I due ispettori entrarono nel vasto ufficio open space, luminoso e confortevole malgrado la giornata umida e fredda che imperversava fuori. L’ambiente era pieno di luce e movimenti: intorno a scrivanie di design raggruppate ad isole scorrazzavano impiegati, per lo più giovani, vestiti in modo casual, che parlavano animatamente fra loro. Più che un ufficio in cui gente stesse lavorando sembrava un luogo di ritrovo dove fosse in corso qualche happening; in più da una stanza lontana giungevano grida ed applausi che davano ancora più colore al tutto. I due erano fisicamente, e forse non solo, l’antitesi uno dell’altro: il primo, dal fare dimesso, piccolo e mingherlino, intabarrato in un modesto cappottino stretto e avvolto in uno sciarpone, capello corto e pelle olivastra, sembrava uscito da un racconto di Gogol; il secondo, decisamente corpulento, portava la sua mole con allegra e tracotante noncuranza, (quasi da risultare, se non elegante, quantomeno esteticamente coerente) e la avvolgeva in un pesante soprabito di buona taglia. Si vedeva che era quest’ultimo che comandava, fra i due; dalla sua faccia allegra, terminata da una fronte per così dire spaziosa, traspariva una sicumera accattivante, coinvolgente e gradevole. Tuttavia quando si presentò la responsabile dell’ufficio, fu lo smilzo a parlare. – Siamo qui per un’ispezione – disse esibendo un tesserino e mostrando una lista di documenti di cui sarebbe stato necessario prendere visione. Con delicata gentilezza, i due furono accompagnati dalla responsabile in una meeting room che poco dopo cominciò ad essere invasa di documenti, ma nemmeno tanti come ci si sarebbe potuto aspettare – date le dimensioni aziendali – perchè tutto il resto della documentazione era archiviata digitalmente e poteva essere consultata con comodità scorrendola su un ampio touch screen che dominava lo stanzone. Allo smilzo sembrava di essere entrato in un film di Tom Cruise, e si dedicò con esaltazione ad esaminare quanto gli serviva. Al suo fianco la responsabile, una signora sui cinquanta, mora e a ben vedere pure piacente, con un paio di occhiali che sottolineavano due occhi nocciola tanto espressivi quanto attenti ed una bocca carnosa da cui uscivano risposte precise e sapienti, con una erre arrotondata che faceva un po’ Francia. Il più florido (diciamo che aveva superato di diverse taglie l’accezione di “robusto”) dopo un po’ di partecipazione alla cosa, sembrava disinteressato: lo smilzo invece esaminava compunto e preciso, eccitato da possibilità tecnologiche sicuramente non disponibili nell’Ente dal quale proveniva. – Dottò, se ce l’avessimo noi un gioiellino così … – Eh Caputo, fra un po’ manco gli occhi per piangere teniamo … Però si vedeva che il robustone aveva altro per la testa. Ad un certo punto infatti chiese alla cortese ospite se avesse potuto fare un giro in azienda. Ad un cenno telefonico della sapiente e potente responsabile, si palesò nella stanza un ragazzone sulla trentina alto e dinoccolato, con ancora qualche accenno di acne, una faccia da buono, forse quasi da nerd, col capello arruffato ed un maglione giallo ocra. – Panetti, può cortesemente accompagnare l’ispettore … scusi non ho capito bene il nome … – Caracciolo, dottoressa, mi chiamo Caracciolo – disse affabilmente il paffuto. – Può cortesemente accompagnare l’ispettore Caracciolo che vuole visitare la nostra azienda? E così, lasciato Caputo alle prese con le gioie dell’hi tech e i dolori delle scartoffie, Caracciolo prese sottobraccio Panetti, quasi fossero due amiconi. Mentre giravano, il Caracciolo riuscì a farsi raccontare dal Panetti quasi tutta la storia della sua vita, che laurea aveva conseguito, cosa faceva in azienda (era un amministrativo con funzioni aggiunte di junior HR), se aveva la morosa, perché mai a trent’anni non si era ancora sposato, di dov’era la sua famiglia e mille altri particolari. Sembravano davvero due gioviali amiconi che si conoscevano da tempo, e non un incontro occasional-professionale di due sconosciuti che di lì a poco la vita avrebbe diviso con la stessa facilità con cui li aveva messi a contatto. Merito del Caracciolo, che se aveva un pregio era quello di un’immediata carica di simpatia che ti metteva subito a proprio agio. Ma d’altronde la passeggiata per l’azienda, come detto, si innestava nel quadro informale con cui tutto il personale dell’azienda si muoveva. – Uhe e che ci fa tutto ’sto ben di Dio ? – disse l’ispettore, indicando un cestino pieno di diversi succulenti frutti. – È un’iniziativa dell’azienda, sa nella logica del wellness… ogni giorno arriva sulla scrivania della frutta fresca, un gesto di attenzione e un invito a trattare bene il corpo e la mente. Una pausa con uno spuntino di frutta è l’ideale. – Eh.. quest’uva è tanto bella che sembra dipinta … l’occhio dell’ispettore tradiva un certo languorino… – Prenda, prenda pure – disse il Panetti – tanto è gratis e qualcosa avanza sempre, qualcuno se la porta anche a casa, poi alla sera passa un addetto che ritira il resto e lo usano per la mensa dei poveri. – Ma tutti i giorni così? – disse l’ispettore, con la bocca piena di acini succosi – Ma dov’è che fate la selezione delle assunzioni, che vi mando mio figlio … Bravi, bravi, una bella cosa… ora però ci vorrebbe un po’ acqua che se no mi s’allappa la bocca. – E magari dopo anche un bel caffè – ipotizzò il Panetti, avvicinandosi ad un miscelatore/distributore di acqua fredda-ambiente-gassata a cui era affiancata una macchina del caffè da cui usciva un aroma invitante. – Si ma qui offro io però – disse il Caracciolo, tirando fuori di tasca qualche spicciolo. – Ma che scherza? – sorrise divertito l’impiegato – Qua il caffè è gratis per tutti, dipendenti e visitatori, tra l’altro è una marca molto buona, chicco macinato all’istante. La provi! – Oggesù, ma questa è quasi meglio di quella che faccio a casa con la moka – disse l’ispettore e stava per aggiungere qualcosa quando fu interrotto da un boato gioioso che proveniva dalla stanza sul fondo. Vedendo la faccia sorpresa dell’ispettore, il Panetti ne prevenne la curiosità. – Venga venga … Attraversato tutto l’open space la porta sul fondo si aprì rivelando uno stanzone quasi grande come l’ufficio, pieno di divanetti e con in fondo una cucina attrezzatissima, con vari frigo, forni a microonde, delle piastre per cuocere etc.. Ai lati alcuni video collegati a consolle, ove due dipendenti stavano imbastendo una partita di calcio virtuale. Nel centro della stanza c’era un biliardino, si insomma un calcio balilla, ma veramente professionale, di quelli solidi e massicci che si trovano ancora solo in certi bar o in qualche oratorio. Un nugolo di impiegati (forse anche in numero superiore a quelli sulle scrivanie) festeggiavano una coppia raggiante stretti intorno ad essa, una seconda coppia era un po’ più mogia in disparte. – Oggi c’era la finale del torneo di biliardinodisse sorridendo il Panetti – categoria over 35, devono aver vinto il Rossi e il Carletti, strano perché gli altri erano anche più forti. – Ma son le quattro del pomeriggio! Ma lavorate anche ogni tanto qui o no? – Vede – disse il Panetti con fare sapiente – il nostro è un lavoro prevalentemente creativo, l’ambiente è improntato al relax, alla serenità e alla responsabilità personale. Così si lavora meglio ed in maniera più produttiva. L’azienda ci coccola un po’ e noi siano contenti di lavorare qui. – E come altro vi coccola, di grazia? – chiese il Caracciolo un po’ stralunato. – Beh ci sono tante cose, oltre a quelle che ha già visto, l’orario flessibile, i momenti di team building (il mese scorso siamo andati a fare rafting in Val D’Aosta, un’emozione!) … E poi l’aperitivo del giovedì, offerto dall’azienda. – Tutti i giovedì? Offerto dall’azienda? E perché non il venerdì?
– Beh, con l’orario flessibile il venerdì sono molti quelli che finiscono prima di lavorare, tanti stanno anche in smart così si preparano per il weekend – il Panetti snocciolava queste notizie con la massima naturalità, quasi fossero cose scontate. – Ehhh ma chist’è il paese di Bengodi, mica un’azienda, Io ci vengo anche domattina a lavorare accussì. Qua è sempre Natale… – Beh, anche a Natale è una festa, quest’anno siamo andati tutti a cena in quel famoso ristorante, quello in gara per una stella Michelin, roba esclusiva. E poi il panettone di Cova (c’è chi preferisce Marchesi o Vergani, ma quello va a gusti personali) ed uno spumante di marca. E le gift card. – Gift card, e che sono? – chiese il Caracciolo interessato. – Le carte regalo, ognuno di noi riceve il massimo possibile (quest’anno mi pare fosse 1000 per tutti e 2000 per chi aveva figli a carico), l’azienda le compra e ce le consegna e poi ognuno di noi le spende per ciò che più gli aggrada. – Eh figlio mio – disse sospirando il Caracciolo – mi sa che son nato nell’epoca sbagliata. Mo’ se rinasco me la cerco anch’io un’azienda come questa. Bravi bravi, un giro davvero interessante. Mo’ andiamo a vedere come se la cava il mio collega, anzi gli portiamo pure il caffè, così me ne prendo un altro anch’io che è buono assai … Arrivarono così nella sala dove avevano lasciato il Caputo e la bella responsabile. Mentre sorseggiava il suo caffè, il Caputo, ancora inebriato dalla sbornia tecnologica (e forse anche dall’accattivante profumo della signora con cui aveva condiviso i documenti) esclamò bello felice: “Dotto’, qua tutto a posto. Mi sa che ce ne possiamo andare, facciamo un verbalino e via”. – Eh aspetta, aspetta – disse il Caracciolo, senza perdere un briciolo della sua affabilità – che qua mi sa che ci sono due cosine da sistemare. E di fronte alla responsabile e a un Panetti allibiti cominciò ad elencare: Gift card, il caffe e la frutta gratis tutti i giorni, l’aperitivo settimanale, la cena stellata, i regali … qui c’è tanto materiale imponibile. – Ma noi … rispettiamo i limiti di legge – protestò la responsabile. – Ennò – sorrise il Caracciolo (era invidiabile questa sua caratteristica di non perdere il sorriso e la gentilezza nemmeno di fronte alla comunicazione di notiziole non simpatiche) – tutte queste delizie (come li chiamate, ah sì benefits) se superano il tetto stabilito dalla legge sono tutte imponibili, dal primo euro all’ultimo. – Ma il caffè, la frutta, la cena… sono semplici gentilezze – balbettava la responsabile. – Ma sono gentilezze che fanno reddito, purtroppo … – si intromise timidamente il Caputo, cercando a sua volta di essere delicato, che era proprio dispiaciuto, un caffè cosi buono, un sistema così moderno, una signora così gentile (ma ora con una faccia molto seccata). Io osservavo questa scena come da dietro un vetro, sul quale cominciai a battere forte: non è possibile, non si può vivere in uno Stato così gretto, che si attacca alle piccole cose e va a discutere sulle minuzie, raschiando il fondo del barile. E poi nemmeno con un plafond, no, se sgarri anche solo di un centesimo si tassa tutto, ma proprio tutto. No, non si può, è ingiusto. Già ma…che ci faccio io dietro a un vetro? Fermi tutti! Forse è un sogno, sì sto sognando, non c’è niente di vero. Non c’è uno Stato carogna, un fisco perfido, una tassazione micragnosa e meschina, trappoloni dietro ogni angolo! Sollevato, mi alzo dal letto e apro la finestra. Fuori c’è un bel tempo primaverile, un’aria frizzantina, il concerto mattutino dei merli ed era tutto un brutto sogno. Mi sento felice e leggero, così leggero che mi sembra di fluttuare nel cielo, Anzi sto fluttuando come una rondine in mezzo alle rondini, scivolando fra piccole nubi bianche in un cielo azzurrissimo. Ad un tratto però, non so perché comincio a precipitare … e mentre cado – in un inesorabile risucchio verso il basso – sento una risata sardonica, quasi diabolica … Il sudore freddo, la luce forte del mattino e un senso di smarrimento: l’amarezza e la delusione del risveglio -quello vero- mi accompagnarono tutto il giorno…