Legge di Bilancio 2019 e le nuove sanzioni in materia di lavoro

a cura di Alberto Borella, Consulente del lavoro in Chiavenna

 

È passata mediaticamente in sordina la disposizione della Legge di Bilancio 2019 in materia di “aggiornamento” delle sanzioni pecuniarie.

In verità parlare di aggiornamento è improprio: si tratta di un aumento “secco”, del tutto svincolato dalla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertata dall’Istat, metodo ad esempio utilizzato per l’adeguamento delle sanzioni amministrative previste per le violazioni del Codice della Strada.

È un aumento peraltro che teoricamente potrebbe rivelarsi generalizzato dato che, a fronte degli specifici aumenti disposti direttamente dalla norma, compare anche una sorta di delega al Ministero del Lavoro per l’individuazione di altre sanzioni oggetto di revisione.

Forte peraltro rimane la sensazione che il provvedimento non sia tanto dettato dalla volontà di migliorare la capacità di deterrenza della sanzione a fronte di una rilevata incapacità della stessa a contrastare alcuni e specifici comportamenti illeciti, ma piuttosto da più prosaiche ragioni di bilancio.

L’analisi che segue del provvedimento lo conferma.

Le nuove assunzioni in capo all’INL

Il comma 445 dell’art. 1 della Legge n. 145 del 30 dicembre 2018 così dispone:

Al fine di rafforzare l’attività di contrasto del fenomeno del lavoro sommerso e irregolare e la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, fermo quanto previsto dai commi 300 e 344 del presente articolo:

a) l’Ispettorato nazionale del lavoro è autorizzato ad assumere a tempo indeterminato, con un incremento della dotazione organica, un contingente di personale prevalentemente ispettivo pari a 300 unità per l’anno 2019, a 300 unità per l’anno 2020 e a 330 unità per l’anno 2021.

Lo scopo dichiarato è il contrasto al lavoro sommerso e irregolare oltre la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, prevedendo per tale compito un adeguamento degli organici dell’INL grazie all’assunzione di quasi 1.000 nuovi dipendenti a tempo indeterminato, in prevalenza ispettori, nel prossimo triennio.

I nuovi importi sanzionatori in materia di rapporto di lavoro

Lo stesso articolo interviene anche sugli importi sanzionatori previsti in materia di lavoro e legislazione sociale, in pratica nelle stesse materie e settori che verranno affidati alle “cure” dei nuovi ispettori, disponendone un sostanzioso aumento.

Evidente il legame a doppio filo tra le due previsioni: le nuove forze ispettive verificheranno e gli introiti derivanti dalle violazioni accertate pagheranno (così si spera) i costi del nuovo personale.

Ecco quindi che, sempre con il comma 445 ma alla lettera d), si dispone l’aumento del 20 per cento per quanto riguarda gli importi dovuti per la violazione delle disposizioni di cui all’articolo 3 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73.

Si tratta dell’impiego irregolare di lavoratori subordinati senza la prevista preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, con la sola esplicita esclusione di quello domestico.

Stesso aumento per quanto previsto per le violazioni riferibili all’articolo 18 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

La disposizione si riferisce:

– all’esercizio non autorizzato delle attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale ovvero supporto alla ricollocazione professionale (comma 1, art. 18);

– al ricorso, da parte dell’utilizzatore, alla somministrazione di prestatori di lavoro da parte di soggetti diversi da quelli autorizzati (comma 2, art. 18);

– alla richiesta di compensi al lavoratore per avviarlo a prestazioni di lavoro oggetto di somministrazione (comma 4, art. 18);

– alla richiesta di compensi al lavoratore in cambio di un’assunzione presso un utilizzatore o per la stipulazione di un contratto di lavoro o avvio di un rapporto di lavoro con l’utilizzatore dopo una missione presso quest’ultimo (comma 4 bis, art. 18);

– agli appalti ed ai distacchi non genuini (comma 5 bis, art. 18).

Inevitabile che il pensiero vada alle recenti vicende che hanno coinvolto società come la M&G Holding e simili [1].

Identica percentuale di aumento è prevista per i comportamenti illeciti indicati all’articolo 12 del decreto legislativo 17 luglio 2016, n. 136.

Il riferimento è alla omessa comunicazione preventiva di distacco transnazionale ed ai conseguenti obblighi amministrativi posti a carico dell’impresa distaccante.

Per non farci mancare nulla è stata data una rinfrescata, sempre del 20 per cento, anche alle sanzioni previste all’articolo 18 bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66.

Parliamo del mancato rispetto delle disposizioni relative al limite massimo dell’orario settimanale medio (art. 4, co. 2) al riposo settimanale (art. 9, co. 1), alle ferie annuali (art. 10, co. 1) ed al riposo giornaliero (art. 7, co. 1 del D.lgs. n. 66/2003).

I nuovi importi sanzionatori in materia di  tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro

Un restyling non poteva certo mancare alle sanzioni – già prima non particolarmente tenere – stabilite in materia di sicurezza sul lavoro, con un aumento del 10 per cento per quanto riguarda gli importi dovuti per la violazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sanzionate in via amministrativa o penale.

Nessun comportamento illecito in questo settore viene risparmiato dall’aumento.

I nuovi importi sanzionatori per altre disposizioni in materia di lavoro e legislazione sociale

Come norma di chiusura registriamo una inedita delega in bianco al Ministero del Lavoro – definirla inusuale appare un eufemismo – che potrà individuare altre fattispecie per le quali il medesimo ritenga necessario l’adeguamento degli importi sanzionatori già previsti.

Si dispone infatti un possibile aumento del 20 per cento per quanto riguarda gli importi dovuti per la violazione delle altre disposizioni in materia di lavoro e legislazione sociale, individuate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

Sarà necessario quindi attendere un provvedimento ad hoc del Ministero competente per conoscere quali altre sanzioni in materia lavoristica subiranno questo aumento del 20%.

L’aumento della misura per recidiva

È prevista infine la punizione dei comportamenti reiterati e recidivi disponendo che le maggiorazioni sono raddoppiate ove, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti.

Si noti che il raddoppio della sanzione riguarda la sola maggiorazione stabilita dalla Legge di Bilancio e non certo i nuovi importi sanzionatori. Tanto per capirci in caso di accertata “reiterazione”, gli illeciti in materia di sicurezza sul lavoro verranno perseguiti con una sanzione aggiornata del 20% e non di quella ordinaria del 10%, mentre l’impiego irregolare di lavoratori subordinati comporterà l’applicazione della precedente sanzione maggiorata non del 20% ma del 40%.

L’arco temporale di riferimenti ai fini della recidiva

L’arco temporale a cui riferire la recidiva viene individuato dalla norma nei 3 anni precedenti.

Si deve qui subito sottolineare che si parla di datori di lavoro che siano stati “destinatari” di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti.

Palese la differenza con la previsione di recidiva prevista dall’art. 8 bis della Legge n. 689/81- la quale, è chiaro, resta ipotesi a sé stante – per la quale questa si realizza “quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione amministrativa, accertata con provvedimento esecutivo, lo stesso soggetto commette un’altra violazione della stessa indole”.

Norma che peraltro esplicitamente prevede, a differenza della nuova recidiva qui in commento, che “Si ha reiterazione anche quando più violazioni della stessa indole commesse nel quinquennio sono accertate con unico provvedimento esecutivo”.

Vedremo tra poco quali conseguenze trarre dalla scelta della Legge di Bilancio 2019 di non riproporre questa precisazione anche nel passaggio normativo che prevede il raddoppio della maggiorazione della sanzione per i casi di recidiva.

Considerazioni critiche

Sembra incredibile, ma anche in un provvedimento di mero, per così dire, aggiornamento degli importi delle sanzioni amministrative l’italico Legislatore è riuscito a creare qualche perplessità.

La previsione di un raddoppio delle maggiorazioni per il datore di lavoro che nei tre anni precedenti sia stato “destinatario” di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti, lascia perplessi.

Se l’italiano ha ancora un senso si dovrebbe interpretare la volontà del Legislatore quale quella non di sanzionare una vera e propria recidiva ma la mera circostanza che una sanzione della medesima indole sia stata “notificata” nei precedenti tre anni, e ciò a prescindere dalla commissione dell’illecito in tale periodo. Illecito che quindi potrebbe riferirsi a comportamenti posti in atto parecchio tempo prima dei tre anni precedenti individuati dalla norma, accertati ovviamente nei termini prescrizionali.

Ma questa scelta non può convincere anche per un altro aspetto: si diceva che l’essere il “destinatario” di una sanzione significa aver ricevuto un provvedimento di tale tenore, ma è palese che alla notifica di una sanzione non sempre consegue l’acquiescenza del presunto trasgressore e quindi l’immediato pagamento dell’importo richiesto. A volte viene proposto ricorso, che può concludersi con la condanna o con l’assoluzione del presunto trasgressore. Nelle more del giudizio che fare? L’arco temporale del triennio precedente considererà la data del verbale, della sua notificazione a mezzo posta o dell’eventuale pagamento della sanzione? Domande al momento tutte senza risposta.

La circolare n. 2 del 14.01.2019 a firma Ispettorato Nazionale del Lavoro

Sulla questione non ci aiuta per niente il recentissimo intervento di prassi dell’Agenzia per le attività ispettive che si limita a precisare che le previste maggiorazioni:

- sono raddoppiate laddove, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti;

- in forza del noto principio del tempus regit actum, trovano applicazione in relazione a condotte che si realizzano a partire dal 2019, dovendosi in proposito tener presente che – come più volte evidenziato dalla giurisprudenza – la collocazione temporale di condotte a carattere permanente va individuata nel momento in cui cessa la condotta stessa (ad es. il mantenimento di un lavoratore “in nero” a cavallo tra il 2018 e il 2019 sarà soggetto ai nuovi importi sanzionatori).

L’intervento di prassi precisa correttamente che le condotte sanzionabili con il raddoppio della maggiorazione sono quelle poste in essere dal 1° gennaio 2019, confermando che deve sussistere il presupposto in capo al datore di lavoro di esser stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per gli stessi illeciti nel triennio precedente.

Nessuna lettura particolare del termine “destinatario”.

Chi scrive avrebbe anche gradito una maggiore chiarezza della circolare sul periodo triennale di riferimento proprio nell’ottica del richiamato principio del tempus regit actum. Per una sanzione accertata poniamo il prossimo 5 dicembre 2019, il triennio per la verifica di precedenti illeciti sarà dal 5 dicembre 2016 al 4 dicembre 2019 oppure solo dal 1° gennaio 2019 al 4 dicembre 2019? Entrambi gli illeciti che realizzano la nuova recidiva devono cadere dopo l’entrata in vigore della norma o è sufficiente solo l’ultimo comportamento?

Qualche dubbio di legittimità pare infatti sussistere nel caso si ritenesse di ancorare l’attuale maggiorazione dell’importo sanzionatorio ordinario alla reiterazione di comportamenti illeciti in parte consumatisi in un periodo previgente la riforma della recidiva. Significherebbe in sostanza dare ulteriore e diverso rilievo sanzionatorio – anche se solo ai fini della verifica di sussistenza della reiterazione – a illeciti che avevano illo tempore, proprio su questo aspetto, una loro specifica rilevanza solo per quanto stabilito dall’art. 8 bis della Legge n. 689/81.

Sic stantibus rebus resta la sensazione di scarsa coerenza e illogicità di una disposizione che cozza con il concetto di “recidiva” quale ripetizione della stessa infrazione o condotta illecita nel corso di un determinato periodo stabilito dalla norma.

Si pensi al caso di una visita ispettiva che rilevi due omesse comunicazioni preventive di instaurazione del rapporto di lavoro, una relativa al 2017 e l’altra nel 2019: sulla seconda non potrebbe essere applicato il raddoppio della maggiorazione non sussistendo la fattispecie di soggetto in precedenza destinatario di una analoga sanzione.

Si ipotizzi poi la contestazione, oggi 2019, della mancata concessione delle ferie per l’anno 2018, per un datore che avesse ricevuto nel 2017 un verbale che accertava l’omessa fruizione delle ferie anche nel 2015: dovrebbe essere contestata la recidiva nonostante che il fatto materiale illecito riguardi un periodo antecedente i tre anni.

Possiamo infine citare il caso di un secondo accertamento che rilevasse la “recidiva” di un comportamento illecito – da intendersi quale precedente notifica di una sanzione e non come oggettiva materiale reiterazione della condotta – sul quale pendesse un ricorso: chi scrive ritiene possibile l’applicazione della sola sanzione base senza alcun raddoppio della maggiorazione. Tuttalpiù si potrebbe ipotizzare, una volta conclusosi il giudizio, una specie di irrituale “conguaglio della sanzione”, cosa però in primis non prevista dalla norma e comunque immaginiamo di non facile gestione dal punto di vista amministrativo.

Per non evidenziare infine i fondati dubbi circa la reale efficacia di questa nuova ipotesi di recidiva dato che, non solo è infrequente che si accerti la violazione nel breve periodo del medesimo precetto di legge, ma soprattutto in molte regioni d’Italia è ancor più raro che una azienda, nell’arco di tre anni, riceva due visite ispettive.

Basta chiedere ad esempio ai colleghi di Milano la media delle ispezioni a cui è a rischio una loro assistita. Si parla di un “rischio visita” ogni 25 anni.

Ma che volete che ne sappiano il Legislatore e il Ministro del Lavoro, chiaramente l’ispiratore della norma, di tutto ciò?

[1]     Per quei pochi che non conoscessero la querelle si rinvia all’articolo a firma Andrea Asnaghi a pagina 38 del numero di dicembre 2018 di questa Rivista.

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Amministrazione segreta: la misura delle sanzioni amministrative

di Mauro Parisi – Avvocato in Belluno

In materia di illeciti di lavoro, una delle realtà più misteriose per gli operatori riguarda il modo in cui, con l’ordinanza-ingiunzione, si fissa la misura della sanzione. Ma una circolare semisconosciuta del 1988…

 

Ispezione del lavoro.

Accesso in azienda dei funzionari.

Indagine e riscontro di illeciti amministrativi.

Verbale di accertamento e di contestazione degli illeciti.

Il verbale degli ispettori, come per legge, ammette alla possibilità di sanare gli illeciti amministrativi, versando somme minime e ridotte.

Ma l’azienda vorrebbe opporsi. Se solo sapesse a priori quanto rischia…

E qui inizia la nostra breve storia.

Spesso aziende che hanno subito un accertamento desiderano conoscere se convenga loro “sistemare” gli illeciti riscontrati dai funzionari; oppure proseguire nel contenzioso, con la speranza di prevalere sull’amministrazione e di portarsi a casa un bel risultato positivo, nulla versando all’Erario.

Però, è chiaro, occorre che il gioco valga la candela. Inoltre, che il rischio da correre -poiché un rischio c’è sempre – sia accettabile.

Facciamo un esempio. Se gli ispettori accedono presso un’azienda (facciamo un laboratorio di analisi) e riscontrano la presenza di tre lavoratori – dei ricercatori, diciamo – impiegati da un paio di giorni come collaboratori autonomi, ma ritenuti dai funzionari dei dipendenti e, quindi, vista la prospettazione, considerati non assunti regolarmente, come noto, al datore di lavoro verrà contestato l’illecito attinente al lavoro irregolare. Cioè, sommerso.

Sulla base dell’art. 3, D.l. n. 12/2002, convertito e modificato, da ultimo, dall’art. 22, L. n. 151/2015, per tale ipotesi viene prevista “la sanzione amministrativa pecuniaria… da euro 1.500 a euro 9.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a trenta giorni di effettivo lavoro”.

Nella fattispecie, come si sa, è pure stabilito per legge che sia possibile per l’azienda sanare la contestazione, mediante “la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche a tempo parziale con riduzione dell’orario di lavoro non superiore al cinquanta per cento dell’orario a tempo pieno, o con contratto a tempo pieno e determinato di durata non inferiore a tre mesi, nonché il mantenimento in servizio degli stessi per almeno tre mesi”. Vale a dire che, per ottenere di versare nella misura premiale del minimo edittale (euro 1.500 per lavoratore, per un totale di euro 4.500), occorrerebbe assumere i tre lavoratori, con prova della sanatoria entro 120 giorni dal verbale.

Diversamente, se non si intendesse sanare (cosa che prevede l’esigenza di versare pure non poche retribuzioni e contribuzione), ma si volesse comunque accedere all’altra misura premiale prevista dall’art. 16, L. n. 689/1981 (“È ammesso il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa o, se più favorevole e qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale, pari al doppio del relativo importo”), entro i successivi 60 giorni – quindi, entro 180 giorni dal verbale – ci si potrebbe limitare a versare la somma di euro 3.000 a lavoratore (per un totale di euro 9.000).

Eppure potrebbe ancora accadere che, credendo di avere ragione e di non dovere nulla, l’azienda intenda sottoporsi all’alea del contenzioso. Per cui, niente sanatoria; niente oblazioni; ricorsi in via amministrativa e, semmai, in seguito, in sede giudiziale.

Tuttavia, nel decidere il muro contro muro, non di rado l’azienda si interroga di quali potrebbero essere le sanzioni amministrative finali (quelle vere), irrogate con l’ordinanza-ingiunzione ai sensi dell’art. 18, L. n. 689/1981 (“Nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo… si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per la eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche”). Quelle che, in caso di soccombenza finale, dovranno essere versate.

Spesso il timore di essere costretti a corrispondere il massimo edittale previsto (euro 9.000 per ogni lavoratore, nel caso proposto, per un totale di euro 27.000), fa decidere di abbandonare le “crociate”, per addivenire a più miti consigli (insomma, versare l’oblazione in una delle due forme premiali anzidette).

Ma davvero l’ordinanza-ingiunzione dell’amministrazione potrebbe arrivare al massimo edittale?

Chiaramente l’ipotesi non è esclusa, ma appare molto più che improbabile.

È chiaro che ogni autorità competente (es. il Direttore dell’ITL), con idonea motivazione ai sensi dell’art. 11, L. n. 689/1981, potrebbe decidere discrezionalmente l’importo finale della sanzione amministrativa irrogata. Ma solitamente gli Uffici sono usi procedere sulla base di un conteggio standardizzato dalla storica circolare n. 121/1988 del Ministero del lavoro. Un pezzo di vero antiquariato burocratico, pressoché introvabile. Va letta.

In sostanza, gli Uffici competenti sono adusi operare un elaborato conteggio, che 30 anni fa, fu escogitato giustamente dal Ministero per dare omogeneità ed equilibrio alle decisioni delle molte sedi territoriali.

Per farla breve, si parte dalla differenza tra massimo e minimo edittale (nel caso proposto, tra euro 9.000 e euro 1.500, avremo euro 7.500).

Quindi, si prende in considerazione 1/10 di tale somma (nel caso, euro 750).

Si valuta il “coefficiente” di disvalore del caso, sulla base di una tabella convenzionale che tiene conto di aggravanti (+) e attenuanti (-), sulla base di “numeri” prestabiliti (es. condotta non collaborativa = + 0,5; condizioni economiche disagiate = – 0,5).

Quindi, si moltiplica il valore “decimale” predetto (euro 750, nel caso), per il coefficiente così valutato (es. 4,5). Al valore del prodotto di tali fattori (es. nel caso: € 750 x 4,5 = € 3.375), si deve aggiungere il minimo edittale (quindi, € 1.500 + € 3.375 = € 4.875). Il valore ottenuto diventerà la sanzione amministrativa irrogata.

Se si considera che il coefficiente finale solitamente calcolato non supera il “4” (a volte solo “2”, nel caso di un solo illecito contestato: ossia, una somma pari a quella prevista dall’art. 18, L. n. 689/1981), ci si renderà conto che le sanzioni amministrative irrogate, nella prassi dell’amministrazione, lungi dal toccare il massimo edittale, risultano non molto lontane dalle somme richieste per l’estinzione anticipata dell’illecito (specie la misura ridotta).

Per chi non intende adeguarsi alle contestazioni e fare valere le proprie ragioni, forse, un piccolo motivo di rassicurazione…

 

 

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Le sanzioni nelle nuove prestazioni occasionali

di Eufranio Massi – Esperto in materia di lavoro

Con la circolare n. 5 del 9 agosto 2017, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito alle proprie strutture territoriali le prime indicazioni operative finalizzate a sanzionare i comportamenti di chi usa le nuove prestazioni occasionali previste dall’art. 54-bis della Legge n. 96/2017 in modo difforme da quanto previsto dalla norma.
L’analisi che segue, lungi dal soffermarsi sulle caratteristiche di questa nuova figura introdotta nel nostro ordinamento, esaminerà quanto la nota dell’INL afferma in ordine alla tracciabilità delle prestazioni ed all’apparato sanzionatorio.
Ma, andiamo con ordine, ricordando che la circolare è stata emanata, dopo aver ricevuto l’avallo dell’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro, cosa che comporta una piena condivisione della struttura di vertice ministeriale in ordine alle interpretazioni fornite.

La Pubblica Amministrazione

Dopo aver sottolineato che le prestazioni sono tracciate attraverso una apposita comunicazione da inviare alla piattaforma informatica dell’Inps, direttamente o con l’ausilio di professionisti “ex lege” n. 12/1979 o patronati (questi ultimi soltanto per le famiglie), utilizzando anche i centri di contatto predisposti dall’Istituto, la nota dell’Ispettorato, afferma, a mio avviso incomprensibilmente, anche perché il concetto è ripetuto in un passaggio successivo, che tale obbligo non riguarda le Pubbliche Amministrazioni.
Ma quale è la disposizione da cui trova origine questo convincimento?
Non è dato sapere anche perché le uniche differenze che distinguono tali soggetti pubblici (che sono quelli evidenziati nell’art. 1, co. 2, del D.lgs.D.lgs. n. 165/2001) riguardano (co. 7) l’assenza del limite dimensionale dei cinque dipendenti a tempo indeterminato, il rispetto dei vincoli finanziari relativi alle spese di personale e le esigenze temporanee ed eccezionali riscontrabili in alcune attività progettuali per soggetti emarginati, poveri, disabili, per attività solidaristiche e per l’organizzazione di manifestazioni culturali, sociali, sportive o di natura caritatevole.
Come si vede, non c’è alcuna norma che eviti la comunicazione preventiva a carico delle Amministrazioni Pubbliche (come deve essere), né, d’altra parte, ce n’è qualcun’altra che parli di comunicazione “ex post” come avviene per le prestazioni occasionali rese all’interno della famiglia.
Si dirà: ma le Pubbliche Amministrazioni ne faranno talmente poche che forse non valeva la pena inserirle nella piattaforma.
È una risposta che si commenta da sé.

Dubbi sull’applicazione

Ora, tornando all’argomento, a parte l’incongruità dell’affermazione contenuta nella circolare n. 5, mi pongo quattro domande:

  1. come farà, ammesso che le parti (utilizzatore pubblico e prestatore) si siano registrate preventivamente in piattaforma, l’Inps a pagare il 15 del mese successivo a quello in cui è stata prestata l’attività, le prestazioni ai lavoratori interessati attraverso accredito sul conto corrente o bonifico postale se non ha ricevuto, oltre alla provvista economica, la comunicazione, come afferma, a chiare note, la circolare n. 107/2017 dell’Istituto la quale, sul punto, non fa sconti a nessuno?
  2. come farà l’Inps, senza alcuna comunicazione, a verificare che il prestatore non superi il limite complessivo dei 5.000 euro netti nell’anno solare (il lavoratore può svolgere attività presso più datori) e quello, presso lo stesso utilizzatore, fissato a 2.500 euro?
  3. come farà il prestatore a dare conferma della prestazione effettuata, come consente, per tutti i lavoratori, la circolare n. 107/2017 attraverso un semplice SMS, se il contratto occasionale non è stato attivato?
  4. come farà l’Inps a verificare se l’utilizzatore pubblico ha superato la soglia dei 5.000 euro annui complessivi o se ha potuto superarla nella misura del 25% avendo utilizzato soggetti “svantaggiati” (pensionati, disoccupati, titolari di redditi da inclusione sociale, lavoratori in integrazione salariale, ecc.)?

Misteri “di palazzo”, anche se, probabilmente, si cercherà di ovviare attraverso qualche “pasticciata” interpretazione amministrativa, che non sembra trovare conforto nel dettato normativo, o una correzione legislativa della quale, francamente, non se ne ravvisa la necessità: forse si cerca di non oberare di adempimenti amministrativi la Pubblica Amministrazione, cosa che, invece, si richiede al comune cittadino che, se dimentica qualche passaggio, viene sanzionato abbastanza duramente.
Tra l’altro, e poi chiudo su questo argomento, già le conseguenze sono diverse in quanto, in caso di sforamento, non sussiste nelle Amministrazioni Pubbliche la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato alla luce del dettato contenuto nell’art. 97 della Costituzione e delle disposizioni in materia di accesso ove si entra in organico attraverso un concorso o una procedura di selezione pubblica.

L’apparato sanzionatorio spiegato con la circolare n. 5

Passo, ora, ad esaminare l’apparato sanzionatorio descritto dalla circolare n. 5.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro sottolinea come il superamento dei 2.500 euro da parte di un utilizzatore per ogni singolo prestatore (co. 1, lett. c) o comunque del limite di durata della prestazione fissato in 280 ore nell’anno civile (1° gennaio – 31 dicembre) o nel diverso limite previsto in agricoltura ove le retribuzioni orarie a seconda dell’area di riferimento sono 9,65 – 8,80 e 6,56, comporti “la trasformazione del relativo rapporto nella tipologia di lavoro a tempo pieno ed indeterminato a partire dal giorno in cui si realizza il superamento, con applicazione delle sanzioni civili ed amministrative”. Tale trasformazione non riguarda, ovviamente, la Pubblica Amministrazione ove, come già detto, si entra in organico in tutt’altro modo.
Fin qui, la nota ministeriale che ribadisce come la sanzione normativa scatti al superamento del tetto massimo del compenso o, in alternativa, al raggiungimento del tetto orario (è sufficiente uno soltanto dei requisiti). La circolare si è guardata bene dallo specificare che, in relazione ai compensi previsti in agricoltura per le singole aree, riportati nel messaggio Inps n. 2887 del 12 luglio 2017 (rispettivamente, 9,65 – 8,80 e 6,56), il numero massimo delle ore lavorabili sono 259 per l’area 1, 284 per l’area 2, e 381 per l’area 3. Ugualmente avrebbe potuto chiarire (le note interpretative dovrebbero servire anche a questo), mettendo in guardia sia gli ispettori che, soprattutto, le famiglie, che nelle prestazioni occasionali domestiche, ove il compenso orario netto è pari ad 8 euro, il tetto delle 280 ore si raggiunge con 2.240 euro e che, quindi, se si dovesse raggiungere il tetto dei 2.500 il “rischio” della trasformazione del rapporto a tempo pieno ed indeterminato si materializzerebbe in modo pressoché automatico.
Il Legislatore, nell’intento di eliminare, il più possibile, il ricorso a forme elusive, vieta (co. 5), nel modo più assoluto, che le prestazioni occasionali in favore di un utilizzatore siano rese da soggetti che abbiano in corso con lo stesso, rapporti di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa: tale divieto sussiste anche nel caso in cui i rapporti predetti siano cessati da meno di sei mesi.
Riferendosi, evidentemente, soltanto a tale ultima ipotesi, la circolare n. 5, giustamente, rileva un vizio “genetico” nella prestazione occasionale e, di conseguenza, afferma che, accertata la natura subordinata del rapporto, lo stesso si considera convertito sin dall’inizio in contratto a tempo pieno ed indeterminato, con tutte le conseguenze del caso. Nel caso in cui, invece, (ma la nota dell’INL non tratta le conseguenze di questa ipotesi) le prestazioni occasionali fossero prestate da un soggetto che ha in corso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con l’utilizzatore, non si potrà, evidentemente, parlare di conversione ma le eventuali prestazioni ulteriori dovranno essere retribuite e contribuite nei modi usuali e gli ispettori, ragionando sul caso concreto, verificheranno se ci sono sanzioni amministrative da irrogare (ad esempio, superamento del limite di lavoro straordinario).
In un passaggio successivo la circolare si occupa della sanzione specifica prevista dal Legislatore compresa tra 500 e 2.500 euro che trova applicazione (co. 20) nel caso in cui sussista una violazione dell’obbligo di comunicazione preventiva o di violazione di uno dei divieti individuati al co. 14: la sanzione si applica “per ogni prestazione lavorativa giornaliera per cui risulti accertata la violazione”. Essa non è diffidabile e, applicando la misura ridotta postulata dall’art. 16 della Legge n. 689/1981, è pari ad 833,33 euro per ogni giornata non tracciata.

Prima di entrare nel merito della specifica applicabilità della sanzione, secondo l’indirizzo operativo espresso dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro va chiarito che per:

  1. violazione dell’obbligo di comunicazione alla piattaforma informatica, si intende una comunicazione effettuata in ritardo (e non almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione), o carente di uno o più elementi richiesti dal Legislatore (dati anagrafici ed identificativi del prestatore, luogo di svolgimento ed oggetto della prestazione, data ed ora di inizio e di termine dell’attività, fatte salve le particolarità per il settore agricolo e compenso pattuito), o con elementi diversi da quanto accertato (ad esempio, un numero di ore superiori rispetto a quelle comunicate, cosa che comporta una immediata segnalazione alla sede Inps);
  2. divieti posti dal co. 14: vi rientrano gli utilizzatori che occupano più di cinque dipendenti (calcolati secondo i criteri fissati dalla circolare Inps n. 107/2017 che fanno riferimento all’organico medio non degli ultimi sei mesi ma dei mesi antecedenti che vanno dall’ottavo al terzo) e che, quindi, non possono accedere alle prestazioni occasionali, i datori di lavoro agricoli che utilizzano soggetti “svantaggiati” iscritti nell’anno precedente negli elenchi anagrafici, le imprese escluse “ex lege” perché operanti nei settori edili ed affini, lapidei, cave, torbiere, ecc. (l’Inps, nella circolare n. 107/2017 ne declina, ai fini del riconoscimento, i codici identificativi) e, infine, i datori che utilizzano le prestazioni occasionali in appalti di opere e servizi.

Tornando alla nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, si resta, a mio avviso, perplessi circa le modalità di computo della sanzione “in misura ridotta”: afferma la circolare che “laddove venga riscontrata la violazione degli obblighi di cui sopra in relazione a più lavoratori, la sanzione ridotta risulterà essere il prodotto tra il citato importo di euro 833,33 e la somma delle giornate lavorative non regolarmente comunicate ovvero effettuate in violazione dei divieti di cui al comma 14”. Tale orientamento è stato confermato nella nota n. 7427 del 21 agosto 2017: di conseguenza, gli ispettori del lavoro sono tenuti a rispettarlo, anche tenendo conto che esso risulta dal c.d. “applicativo SGIL” che prevede e conteggia tutte le sanzioni in materia di lavoro.
Si tratta di una interpretazione “prudente”, forse dettata da considerazioni di ordine generale, ma ad avviso di chi scrive pare che nella moltiplicazione sopra riportata manchi qualcosa proprio perché si riferisce “a più lavoratori”: infatti se, ad esempio, dovesse essere accertato che presso un utilizzatore titolare di un ristorante per le due giornate di sabato e domenica hanno prestato la loro attività (con comunicazione tardiva) tre lavoratori, atteso che la norma fa riferimento ad “ogni prestazione lavorativa giornaliera” la moltiplicazione deve, ad avviso di chi scrive, prevedere che l’importo della sanzione sia pari ad 833,33 euro per il numero delle giornate lavorative non comunicate regolarmente (due) e per il numero dei lavoratori coinvolti (tre).
Credo che questa sia la lettura che emerge dal dettato normativo, anche se “sfavorevole” all’utilizzatore che ha violato la norma: una, diversa, oltre che non essere in linea con la disposizione, e con precedenti indirizzi espressi per il lavoro intermittente con la circolare n. 27/2013 (anche se, successivamente, “affievoliti” con il concetto di “unica sanzione” per un ciclo integrato di 30 giornate), potrebbe portare a favorire un uso “distorto” delle prestazioni occasionali.
Nel passaggio successivo la circolare ricorda la piena applicabilità delle sanzioni legate al mancato rispetto del riposo giornaliero, delle pause e del riposo settimanale ed afferma che “il mancato rispetto da parte di qualsiasi utilizzatore (quindi, anche da parte della Pubblica Amministrazione) comporterà l’applicazione delle specifiche sanzioni previste dal D.lgs.D.lgs. n. 66/2003”. Quest’ultimo, all’art. 18-bis, prevede sanzioni per il riposo giornaliero e per quello settimanale (attraverso un sistema progressivo, per fasce) ma non per le pause (che, potenzialmente, potrebbe essere la violazione più frequente): a mio avviso, sarebbe stato opportuno ricordare agli ispettori che in tali casi è necessario applicare la disposizione ex art. 14 del D.lgs.D.lgs. n. 124/2004.
La nota ricorda, poi, riportando il testo dell’art. 3, co. 8 del D.lgs.D.lgs. n. 81/2008 che per quel che concerne la tutela della salute e della sicurezza del prestatore, trovano applicazione le disposizioni contenute nel predetto Decreto ed in altre norme speciali qualora la prestazione sia svolta in favore di un utilizzatore imprenditore o di un professionista, mentre ciò non vale per le prestazioni rese in ambito familiare.

La maxi sanzione

Da ultimo, la circolare ministeriale affronta la questione relativa all’ambito di applicazione della c.d. “maxi sanzione sul lavoro nero” (art. 22, co. 1, del D.lgs. n. 151/2015) in relazione alla sanzione “speciale” concernente l’obbligo di comunicazione preventiva della prestazione occasionale alla piattaforma informatica (co. 20).
La mancata trasmissione della comunicazione preventiva o la revoca della stessa a fronte di una prestazione lavorativa effettivamente svolta e accertata come subordinata, portano a considerare il rapporto come “sconosciuto” alla Pubblica Amministrazione, con la conseguente contestazione di “lavoro nero”, pur se il lavoratore dovesse essere registrato in piattaforma.
A sostegno di tale orientamento l’Ispettorato Nazionale del Lavoro trova il supporto della Cassazione che, con sentenza n. 16340/2013, non ha ritenuto sufficiente “quale elemento di conoscibilità” che un lavoratore risultasse iscritto all’Albo delle Imprese Artigiane.
L’attività interpretativa dell’INL tende, giustamente, ad individuare alcuni criteri per differenziare le ipotesi nelle quali trova applicazione l’una o l’altra sanzione. Si tratta di un “percorso stretto” che porta alla identificazione di alcune situazioni ben precise.
Si applica la sanzione prevista dall’art. 54-bis, co. 20, ferma restando la registrazione delle parti in piattaforma, allorquando ricorrano congiuntamente due requisiti:

  1. la prestazione sia comunque possibile in ragione del mancato superamento dei limiti economici e temporali (280 ore) previsti dallo stesso art. 54-bis. Qui sarebbe stato il caso di precisare, soprattutto per i potenziali utenti, come già si è accennato in precedenza, i diversi limiti temporali nel settore agricolo (in relazione ai compensi diversi secondo l’area di appartenenza) e che nel lavoro presso le famiglie il limite di 280 ore si raggiunge con un importo di 2.240 euro e non 2.500;
  2. la prestazione possa considerarsi occasionale in ragione di analoghe prestazioni lavorative correttamente gestite, così da potersi configurare una mera violazione dell’obbligo di comunicazione. Qui l’INL fa l’esempio di una mancata comunicazione preventiva che riguardi una singola prestazione a fronte di una pluralità di prestazioni occasionali regolarmente comunicate nel corso del medesimo mese.

La mancanza di uno dei requisiti, qualora venga accertata la subordinazione, porta alla applicazione della maxi sanzione che sussiste anche nella ipotesi in cui la comunicazione alla piattaforma Inps venga effettuata durante l’accesso ispettivo.
La stessa violazione, infine, trova applicazione anche nei casi in cui dopo la prestazione l’utilizzatore revochi la comunicazione (ha tre giorni di tempo per farlo), ma gli organi di vigilanza abbiano accertato che la stessa è stata effettivamente resa. A tal proposito, l’INL preannuncia che, in stretto raccordo, con l’Inps sarà posta una particolare attenzione al fenomeno delle revoche, in relazione alla loro frequenza ed a possibili fenomeni elusivi.
Fin qui la circolare n. 5 che, come detto in premessa, offre le prime indicazioni operative agli Ispettorati Interregionali e Territoriali del Lavoro: probabilmente, anche se ci si riserva di fare ulteriori approfondimenti dopo una prima fase di monitoraggio, si sarebbe potuto dire qualcosa in più mettendo in evidenza come, ad esempio, non sia prevista alcuna specifica sanzione in caso di mancanza della comunicazione ex post (quindi non preventiva) nelle prestazioni in favore della persona fisica rese in ambito familiare. Ovviamente, in caso di accertamento di lavoro subordinato effettivamente svolto (con tutte le difficoltà legate ad una verifica per un lavoro di poche ore rese in ambito domestico), si procederà alla contestazione per “lavoro nero”, con tutte le conseguenze del caso.
Nulla ha detto, a livello interpretativo, la circolare circa quelle prestazioni, abbastanza frequenti, nei pubblici esercizi che, pur essendo uniche, si svolgono “a cavallo” di due giorni (inizio dell’attività alle 20 e cessazione alle ore una del giorno successivo): l’utilizzatore, trattandosi di prestazione che si svolge in un arco temporale di due giorni di calendario, per essere in regola con la previsione del co. 17 che fa riferimento ad almeno “quattro ore continuative nell’arco della giornata (36 euro oltre alla contribuzione del 33% alla gestione separata, al premio assicurativo ed ai c.d. “costi” di gestione)”, deve effettuare una comunicazione per otto ore complessive, atteso che alle ore 24, cambia il giorno?
Per la verità, sul sito dell’Ordine Nazionale dei Consulenti del Lavoro appare riportata una risposta dell’Istituto (peraltro, non fornita da alcun elemento che la riconduca ad ufficialità) secondo la quale in caso di prestazioni “a cavallo” di due giornate debbono essere comunicate due prestazioni di quattro ore continuative ciascuna per cui se in un pubblico esercizio dovessero essere richieste ad un lavoratore prestazioni che, come riportato nell’esempio citato in precedenza, vanno dalle 20 alle una del giorno successivo, occorrerà procedere per complessive otto ore (quattro per una giornata e quattro per l’altra): ad avviso di chi scrive, si tratta di una interpretazione che, se ufficiale, pecca di una rigidità inusuale, atteso che, anche affidandosi ad una interpretazione di buon senso, si sarebbe potuta trovare una strada più logica e razionale.
Nulla ha detto la nota dell’INL circa la previsione non sanzionata dalla norma della violazione della lettera b) del co. 1, laddove si vieta ad un utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori (ognuno dei quali può ben essere largamente sotto i limiti massimi di compenso o le ore annue consentite), di superare il limite complessivo dei 5.000 euro netti: probabilmente, il sistema informatico dell’Inps potrebbe prevedere una sorta di blocco finalizzato ad inibire le prestazioni.
Da ultimo, nei “primi chiarimenti” non è stata affrontata la questione che scaturisce dalla lettura del co. 13 secondo la quale il contratto di prestazione occasionale è “il contratto mediante il quale un utilizzatore, di cui ai commi 6, lettera b, e 7 (imprese, professionisti, Onlus, associazioni, fondazioni, condomini con un numero di dipendenti a tempo indeterminato non superiore a cinque, e Pubbliche Amministrazioni, senza limiti dimensionali, con le sole esclusioni soggettive previste al co. 14) acquisisce, con modalità semplificate, prestazioni di lavoro occasionali o saltuarie di ridotta entità, entro i limiti di cui al co. 1 (5.000 euro netti complessivi nell’anno civile che, al massimo, nei limiti del monte ore annuo, non possono superare per i prestatori, presso il medesimo utilizzatore, la somma di 2.500 euro)”.
La questione non è di poco conto se si pensa che il lavoro accessorio si qualificava soltanto con i limiti di compenso stabiliti dal vecchio art. 48 del D.lgs. n. 81/2015. Qui, il rispetto dei limiti temporali e reddituali previsti al co. 1 sussiste (e sono gli unici requisiti che si richiedono nelle prestazioni domestiche), ma per gli altri utilizzatori la prestazione deve essere accompagnata da due ulteriori requisiti, peraltro alternativi, quello della occasionalità e quello della saltuarietà di ridotta entità.
Non è facile calare il primo concetto, quello della occasionalità, in un contesto organizzativo delle imprese ove, in modo abbastanza costante, la giurisprudenza di merito è restia a riconoscere tale requisito. Del resto, la circolare n. 5, affrontando, in presenza della violazione dell’obbligo di comunicazione, il difficile tema del raccordo tra la “maxi sanzione per lavoro nero” e la sanzione specifica prevista dal co. 20 ha affermato, propendendo per l’applicazione della seconda, in presenza di due requisiti, di cui il primo definisce occasionale che una prestazione può definirsi tale in ragione della presenza di analoghe prestazioni gestite, precedentemente in modo corretto ed in presenza del non superamento dei limiti reddituali annui.
Per quel che riguarda, invece, il concetto di saltuarietà di ridotta entità (ma per ogni prestazione il Legislatore richiede almeno quattro ore consecutive) credo che un aiuto possa giungere dalla stessa norma allorquando richiama il rispetto dell’art. 9 del D.lgs. n. 66/2003 da cui si deduce che una prestazione occasionale può essere definita saltuaria, pur se continuativa, se, ad esempio, dura per due settimane consecutive nel rispetto del riposo settimanale (due giorni) calcolato all’interno di quattordici giorni, cosa che comporta, ovviamente, il rispetto sia del riposo giornaliero (undici ore tra una prestazione e l’altra) che delle pause (almeno dieci minuti dopo sei ore di lavoro).

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