DECRETO LAVORO E OMESSO VERSAMENTO DELLE RITENUTE PREVIDENZIALI: taglio alle sanzioni monstre

Michele Siliato, Consulente del lavoro in Messina e Roma

 

Dopo il contrordine Inps1 ricevuto con il messaggio 27 settembre 2022, n. 3516, con la pubblicazione in G.U. del Decreto Lavoro  arriva l’attesa modifica delle sanzioni amministrative relative alla fattispecie depenalizzata dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali. Salvacondotto sui procedimenti Inps pendenti.

 

Dal 5 maggio 2023, data di entrata in vigore del Decreto Lavoro, sono state rideterminate le sanzioni amministrative punitive previste per le fattispecie di omesso versamento delle ritenute previdenziali, adottando un sistema maggiormente proporzionale e graduale, parametrato sulla base dell’effettiva gravità della violazione contestata. Di converso, il secondo comma, art. 23, Decreto legge 4 maggio 2023, n. 48, estende il periodo di contestazione dell’illecito, in deroga all’art. 14, Legge 24 novembre 1981, n. 689, posticipandolo alla data del 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell’annualità oggetto di violazione.
La disciplina di riferimento della fattispecie è, ancora oggi, contenuta nell’art. 2, Decreto legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni dalla Legge 11 novembre 1983, n. 638 e, in origine, prevedeva, con appositi termini per la riammissione in bonis, la configurazione del delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali in capo al datore di lavoro che non procedeva, nei termini previsti dalla legge, alla liquidazione nei confronti dell’Istituto previdenziale delle quote contributive effettivamente trattenute ai lavoratori dipendenti.
Come noto, il meccanismo della contribuzione previdenziale assegna al datore di lavoro un obbligo contributivo diretto sulla quota di sua spettanza ed un obbligo contributivo indiretto sulla minor quota di spettanza del lavoratore, in relazione alla quale egli agisce come responsabile del versamento all’ente preposto.

In tal senso, la fattispecie dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali, così come da consolidato orientamento giurisprudenziale, è individuabile in due distinte fasi:
– nella condotta commissiva del datore di lavoro, consistente nell’appropriazione delle ritenute previdenziali operate;
– nella condotta omissiva del datore di lavoro, consistente nel mancato versamento delle somme trattenute all’Istituto previdenziale.
Da sempre, il rilievo penale della questione intende colpire non già il fatto omissivo del mancato versamento delle ritenute previdenziali (fattispecie non rientrante nelle ipotesi di reato) quanto, piuttosto, quello commissivo dell’appropriazione indebita da parte del datore di lavoro commessa in relazione alle ritenute operate sulle retribuzioni spettanti al lavoratore.
Si noti, infatti, che tra le caratteristiche principali dell’illecito, sia esso penalmente rilevante o depenalizzato, vi è il presupposto che le retribuzioni siano state effettivamente corrisposte e che, conseguentemente, le trattenute previdenziali siano state effettivamente operate.

Si rammenta, che ai sensi dell’art. 39, Legge n. 187/2010, la fattispecie dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali non è relativa solo con riferimento ai rapporti di lavoro dipendente in genere ma anche rispetto ai committenti di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa tenuti alla  corresponsione dei contributi presso la Gestione Separata di cui all’art. 2, comma 26, Legge n.  335/19952.
Avendo ripercorso brevemente la natura dell’illecito in argomento, il Decreto Lavoro ha agito in maniera sostanziale sulla depenalizzazione operata dall’art. 3, comma 6, Decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, a mente del quale era stato previsto un duplice regime sanzionatorio:
– uno di tipo amministrativo, laddove l’importo annuo delle ritenute previdenziali non versate sia  inferiore o uguale a euro 10.000,  determinato nella sanzione pecuniaria amministrativa da 10.000 a 50.000 euro;
– uno di tipo penale, nel caso in cui l’importo annuo delle ritenute previdenziali non versate sia superiore a euro 10.000, punito con la reclusione fino a tre anni e la multa fino a 1.032 euro.
Invero, l’art. 23, comma 1, Decreto legge 4 maggio 2023, n. 48, ha fissato l’importo della sanzione amministrativa pecuniaria (fattispecie sotto-soglia) nella forbice tra una volta e mezza e quattro volte l’importo omesso.

IL NECESSARIO INTERVENTO DEL LEGISLATORE
Un intervento normativo sul tema era fortemente atteso dai datori di lavoro incappati sulla questione dell’illecito in trattazione, ma stando alla lettura della relazione tecnica al disegno di legge, non siamo innanzi ad un atto di benevolenza del legislatore quanto piuttosto ad una mera valutazione di opportunità di finanza pubblica.
I profili rilevabili sono almeno tre: il primo, certamente, di tipo sociale; il secondo economico-finanziario; il terzo costituzionale. Tutti, in qualche modo, connessi e collegabili tra loro. Sulla portata sociale dell’intervento, la Direzione Centrale Entrate dell’Inps ha reso noto che, fino a tutto il 2019, sono state notificate più di un milione di omissioni non superiori alla soglia di 10.000 euro, non sanate nei tre mesi successivi e delle quali l’importo medio omesso ammonta a circa 465 euro. Una sanzione amministrativa minima che è pari a oltre 36 volte l’importo medio omesso applicando i criteri di cui all’art. 16, Legge n. 689/1981, ovvero ad oltre 10 volte l’importo medio omesso applicando i criteri previsti dall’art. 9, comma 5, D.lgs. n. 8/2016 (messaggio Inps 27 settembre 2022, n. 3516).

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L’abnormità della sanzione amministrativa per le ipotesi sotto-soglia appare chiara ed incontrovertibile tant’è che, nell’anzidetta relazione illustrativa, si ritiene che la disposizione non produca effetti negativi per la finanza pubblica in termini di minore entrate e che il regime sanzionatorio particolarmente severo
vigente sino al 4 maggio 2023 rende poco probabile l’incasso di importi consistenti (…) sicché con sanzioni più moderate si renderebbe più esigibile il credito con effetti finanziari migliorativi.
Si ricade, conseguentemente, sul secondo profilo, quello prettamente economico – finanziario. Seppur il concetto di sanzione amministrativa pecuniaria efficiente ed afflittiva deve rispondere adeguatamente alla natura, alla gravità ed alle conseguenze della violazione, ma anche agli effetti che la stessa ottiene sul comportamento dei consociati, il ragionamento posto in essere dal legislatore pare rispolverare gli assunti di Laffer 3 in materia di pressione e gettito fiscale. Quanto al terzo ed ultimo profilo, quello costituzionale, dapprima il Tribunale di Verbania (ordinanza 13 ottobre 2022) e, successivamente, il Tribunale di Brescia (ordinanza 16 febbraio 2023) hanno sollevato la questione di legittimità della norma in commento per contrarietà all’art. 3 della Costituzione, in quanto hanno ritenuto che la fissazione di un minimo pari ad euro 10.000 e di un massimo pari ad euro 50.000 sottopone ad una irragionevole disparità di trattamento i trasgressori della norma per le omissioni contributive sotto la soglia di rilevanza penale. Infatti, laddove astrattamente il trasgressore violi il precetto normativo nel suo valore massimo sotto-soglia (10.000 euro) potrà accusare una sanzione amministrativa pari ad un quintuplo della violazione stessa. Diversamente, il trasgressore che violi il precetto normativo per un importo minimo (es. 100 euro) vedrà applicarsi una sanzione che rappresenta il centuplo della propria
violazione. I predetti giudici a quo hanno, dunque, messo in risalto un’evidente asimmetria di trattamento tra contribuenti che, violando con diversa gravità il medesimo precetto normativo, non sono assoggettati ad una reale e diversa gradualità della sanzione. Questione, questa, dichiarata dalla Corte Costituzionale non manifestamente infondata. Tra i principi del nostro ordinamento, la tutela della  proporzionalità della pena è assicurata ogniqualvolta si faccia richiamo all’art. 3 e/o 27 della Carta Costituzionale ovvero all’art. 49, par. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,
potendo i giudici di legittimità dichiarare la semplice illegittimità dell’intera norma ovvero operando una riproporzione chirurgica della sola parte illecitamente sproporzionata. Sul punto appare rilevante evidenziare che i giudici della Corte Costituzionale hanno recentemente avuto modo di affermare che sono illegittime le:
• sanzioni manifestatamente eccessive, che siano sproporzionate rispetto al grado di disvalore dell’illecito sanzionato;
• sanzioni amministrative non graduabili, che non prevedono una discrezionalità nella commisurazione tra la misura minima e la misura massima;
• sanzioni amministrative irragionevoli, che colpiscono in modo indifferenziato infrazioni più o meno gravi contemplate dal medesimo illecito;
• sanzioni amministrative cumulative, che colpiscono indistintamente la violazione di obblighi plurimi con la medesima sanzione, non consentendo la graduazione rispetto al singolo illecito commesso.
Se da un lato, la natura punitiva della sanzione amministrativa in argomento consente l’equiparazione
con quella penale, con conseguente applicazione del principio di retroattività in bonam partem (art. 2, comma 2, c.p.), innanzi al rischio di illegittimità costituzionale della norma con eventuale impossibilità della stessa di produrre effetti giuridici vincolanti, il legislatore ha optato per varare un sistema sanzionatorio più mite che, pur salvando i procedimenti di notifica già eseguiti dall’Inps, consentirà al giudice, iura novit curia, di applicare le norme di legge che ritiene meglio adattabili al caso concreto anche laddove queste non siano state poste a fondamento della richiesta di parte.

PRIME INDICAZIONI (NON PUBBLICATE) INPS
Con il messaggio 23 maggio 2023, n. 1901, non pubblicato sul sito istituzionale, l’Inps ha fornito le prime istruzioni alle proprie sedi territoriali per la gestione delle ordinanze ingiunzione oggetto di contenzioso giudiziario ovvero di rateizzazione di cui all’art. 26, Legge 24 novembre 1981, n. 689.

In particolare, la Direzione Inps ha predisposto, tra gli allegati al messaggio, modelli di comunicazione
inerenti le:

• rettifiche delle ordinanze-ingiunzione per annualità fino al 2015 con contenzioso pendente;
• rettifiche delle ordinanze-ingiunzione per annualità dal 2016 con contenzioso pendente;
• rettifiche delle ordinanze-ingiunzione per annualità fino al 2015 con rateazioni di cui all’art. 26, Legge n. 689/1981;
• rettifiche delle ordinanze-ingiunzione per annualità dal 2016 con rateazioni di  cui all’art. 26, Legge n. 689/1981.
Per quanto concerne la rideterminazione delle sanzioni amministrative sui giudizi pendenti, l’Istituto procederà con l’emissione di un nuovo provvedimento sanzionatorio che annulli e sostituisca il precedente. Ciò anche nell’ipotesi in cui non vi siano le tempistiche necessarie mediante la richiesta di rinvio della causa al Giudice.
Non troveranno, invece, applicazione le nuove disposizioni di cui all’art. 23, Decreto legge n. 48/2023, alle ordinanze-ingiunzione per le quali sia intervenuto il pagamento integrale della sanzione amministrativa, dovendosi intendere, in tal caso, definito il procedimento sanzionatorio.
Nelle ipotesi di versamento rateale, laddove l’importo già versato risulti inferiore a quello
della sanzione amministrativa rideterminata dalle disposizioni in commento, la sede territoriale Inps procederà a rideterminare l’importo della sanzione dovuta e ad aggiornare il piano di ammortamento. Parimenti, laddove l’importo delle rate versate risulti superiore a quello previsto dalla sanzione amministrativa rideterminataè esclusa ogni forma di rimborso.
Sono, altresì, escluse ulteriori ipotesi di applicazione della nuova disciplina per i provvedimenti di irrogazione divenuti definitivi. In tal senso:

• nel caso in cui non sia ancora stata emessa l ‘ordinanza-ingiunzione, l’organo di accertamento può rideterminare la sanzione nella misura più favorevole al datore di lavoro;
• nel caso in cui il procedimento amministrativo sia divenuto definitivo alla data di entrata in vigore del Decreto Lavoro, resterà ferma la sanzione amministrativa prevista dal D.lgs. n. 8/2016.
Quanto alle disposizioni amministrative Inps, l’allegato messaggio fornisce una riparametrazione delle sanzioni in trattazione, tenuto conto della eventuale reiterazione dell’illecito, secondo la seguente tabella (cliccare qui per la tabella).

Nessuna ulteriore indicazione amministrativa riguardo la possibilità di effettuare il pagamento in misura ridotta ai sensi dell’art. 9, comma 5, D.lgs. n. 8/2016 (metà della sanzione da irrogare entro il termine di 60 giorni dalla notifica), sebbene tale norma sia ancora in vigore e sia, come da indicazioni fornite con il citato messaggio n. 3516/2022, applicabile.

NUOVI TERMINI DI CONTESTAZIONE DELL’ILLECITO
Se da un lato il quadro sanzionatorio è decisamente più mite del precedente, il secondo comma del sopracitato art. 23 prevede che, per le violazioni riferite alle omissioni per i periodi decorrenti dal 1° gennaio 2023, gli illeciti dovranno essere notificati, in deroga all’art. 14, Legge 24 novembre 1981, n. 689, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell’annualità oggetto di violazione,
sicché le omissioni relative all’anno 2023 dovranno necessariamente essere notificate entro il 31 dicembre 2025.
Viene, dunque, meno il termine di 90 giorni dal riscontro o dall’accertamento dell’omissione precedentemente conosciuto (ex art. 14, L. n. 689/1981).
A fronte di una sostanziale revisione migliorativa  dell’apparato sanzionatorio vi è, dunque, un altrettanto sostanziale aumento dei termini di accertamento da parte dell’Istituto.

1. Parisi M., Contrordine INPS. Tagli alla sanzione per gli omessi versamenti, Sintesi, ottobre 2022, p. 15.

2. Il campo di applicazione dell’art. 39 opera esclusivamente nei confronti dei committenti che si  avvalgono di prestazioni lavorative appartenenti alle categorie indicate dall’art. 50, comma 1, lett. c-bis), TUIR, ovverosia a tutti i rapporti di collaborazione in genere svolti senza vincolo di subordinazione. È, naturalmente, da escludersi la configurazione dell’illecito nel caso in cui sussista la coincidenza tra la figura del committente e quella del collaboratore (es. compensi riconosciuti ad amministratori di  società che siano contestualmente legali rappresentanti della stessa).

3. Secondo la teoria dell’economo Arthur Laffer, all’aumentare delle aliquote d’imposta si verifica,
inizialmente, una crescita di gettito che, successivamente al raggiungimento dell’apice (in  corrispondenza di una determinata aliquota), prosegue riducendo progressivamente il gettito fiscale.

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CORTE COSTITUZIONALE e sanzioni sproporzionate per omessi versamenti *

Mauro Parisi, Avvocato in Belluno e Milano

 

La questione delle sanzioni amministrative per gli omessi versamenti delle ritenute sulle retribuzioni dei dipendenti, malgrado il recente revirement favorevole dell’Inps, approda oggi alla Corte Costituzionale. Il Giudice ordinario rileva, infatti, come appaiono comunque sproporzionate le potenziali sanzioni pecuniarie in misura anche centuplicata rispetto all’effettiva omissione di versamento del datore di lavoro. Rilievi di incostituzionalità che potrebbero però riguardare anche altre fattispecie punitive.

 

La vicenda delle sanzioni amministrative Inps per gli omessi versamenti del datore di lavoro (quelle monstre fino a € 50mila, per intenderci, ex art. 2, c. 1bis, D.l. n. 463/1983) si arricchisce a ritmo serrato di nuovi capitoli ed evoluzioni repentine. Tutte in favore dei datori di lavoro, vi è da dire, seppure accertati trasgressori. Come si ricorda, nell’anno in corso, nella materia, era stato suscitato un allarme molto giustificato, a causa della presa di posizione dell’Inps in chiave decisamente repressiva (con la circolare Inps n. 32/2022: cfr. “Omessi versamenti di ritenute Inps e la campagna di sanzioni monstre”: Sintesi, giugno 2022, pag. 19). Quindi, nel volgere di qualche mese, si era riscontrato il ripensamento da parte dello stesso Istituto, quanto alla determinazione della misura delle sanzioni da adottare. Almeno per i fatti commessi prima del febbraio 2016. Sanzioni amministrative non più monstre, comunque troppo consistenti, ma decisamente più “accomodanti”, quelle attuali, rispetto alle precedenti. Alla rivalutazione dei propri orientamenti, l’Inps era stato costretto dal notevole e fondato contenzioso che, come prevedibile, era sorto nel frattempo presso i Tribunali. Tanto da costringerlo a un mea culpa giuridico -per essersi discostato da una corretta interpretazione della legge di depenalizzazione del 2016-, con il lancio di una campagna di rideterminazione in autotutela delle sanzioni già notificate o notificande (con il messaggio n. 3516 del 27.9.2022: cfr. “Contrordine Inps. Tagli alla sanzione per gli omessi versamenti”: Sintesi, ottobre 2022, pag. 15). Una rilettura della legge -e, in particolare, dell’art. 9, comma 5, D.lgs. n. 8/2016 (“l’interessato è ammesso al pagamento in misura ridotta, pari alla metà della sanzione, oltre alle spese del procedimento”)- che ha garantito la possibilità per i trasgressori di essere ammessi a una generosa “scontistica”. Così, il richiesto versamento in misura ridotta -che estingue la procedura sanzionatoria, evitando l’ordinanza-ingiunzione dell’Inps-, prima indefettibilmente determinato nella misura di € 16.666, diventa oggi pari a € 5000. O almeno lo diventa nella maggiore parte dei casi, precedenti al 6 febbraio 2016. La stessa sanzione amministrativa definitiva, irrogabile per la circolare Inps n. 32/2022 sempre in misura non inferiore di € 17000, si attesta ora sul minimo edittale di € 10000. E ciò in tutte quelle situazioni (che sono del resto le medesime per cui la misura ridotta per gli illeciti sarà pari a € 5000) nelle quali l’omissione contributiva relativa alle ritenute sulla retribuzione del lavoratore è pari o inferiore a € 8333 per anno.

La semplice equazione che delimita la misura dell’omissione contributiva da sanzionare al minimo, la si ricava senza difficoltà dalle stesse indicazioni dell’Inps offerte ai propri Uffici territoriali, i quali si dovranno attenere ai criteri matematici di cui alla tabella allegata al messaggio n. 3516/2022 (l’Istituto ha in particolare predeterminato coefficienti di

calcolo diverso importo, in proporzione alla gravità obiettiva dell’evasione). Nell’ipotesi di omissioni per un anno, la misura della sanzione pecuniaria sarà perciò ricavata dal risultato dell’operazione: “importo ritenute omesse x 1,2”.

Non vi è dubbio, in definitiva, che negli ultimi mesi il “clima” della questione sia mutato in senso più favorevole a trasgressori e datori di lavoro. Oltre al revirement dell’Inps, sono da segnalare le attente disamine dei Giudici di merito investiti dai procedimenti di opposizione di ansiosi datori di lavoro, i quali hanno tra l’altro riconosciuto come l’Istituto debba, non solo dimostrare il merito dei fatti contestati (ossia, con esattezza, che la contribuzione non versata attenga proprio alla quota del lavoratore), ma anche la correttezza della procedura sanzionatoria seguita.

Ci si è infatti spesso accorti che, soprattutto per fatti più risalenti, anche al cospetto di prove provate di omissione, le tempistiche inderogabili previste dalla Legge n. 689/1981 non sono state rispettate. Ciò sia rispetto alla possibilità di contestare gli illeciti amministrativi (novanta giorni dall’accertamento, di norma, ex art. 14), sia di recuperare sanzioni amministrative (cinque anni, ex art. 28).

In tale senso, tra i primi interventi significativi si è registrato quello del Tribunale di Arezzo (sentenza 3.8.2022, n. 166), il quale ha chiarito, come pure in materia di illeciti amministrativi in materia di omesse ritenute, alla stregua dell’orientamento della S.C. (cfr. Cass., sentenza n. 1921/2019) all’Inps incombe -ove costituiscano oggetto di contestazione ad opera del ritenuto trasgressore- sia l’assolvimento della prova relativa alla legittimità dell’accertamento presupposto dal provvedimento irrogativo della sanzione amministrativa sotto il profilo dell’osservanza degli adempimenti formali previsti dalla legge, sia quello della piena prova della legittimità del susseguente procedimento sanzionatorio fino al rituale compimento dell’atto finale che consente la valida conoscenza del provvedimento applicativo della sanzione alla parte che ne è destinataria.

In sostanza, è confermato che non sussistono meccanismi automatici e indimostrati di irrogazione delle sanzioni amministrative da parte dell’Istituto.

Seppure si sono fatti indubitabilmente dei progressi in ordine alla sostenibilità delle sanzioni amministrative irrogabili (non meno che delle somme da corrispondere in misura ridotta), tuttavia, obiettivamente, esse appaiono ancora del tutto spropositate rispetto all’offensività comune dei fatti da punire. Che, si ricorda, potrebbero essere avvenuti pure per mere e transitorie difficoltà finanziaria, per semplici fraintendimenti o in altre ipotesi colpose, sostanzialmente bagatellari. Una tesi condivisa oggi anche dai Giudici di merito, che hanno ritenuto in fondo non eque e proporzionate le sanzioni amministrative previste dall’ordinamento.

L’attenzione alla proporzionalità della misura della punizione rispetto all’illecito, che come è risaputo, costituisce attualmente una costante ragione di richiamo e leit motiv della stessa Corte di Giustizia UE. La quale, anche di recente, per esempio in materia di distacco transnazionale di lavoratori (cfr. Corte di Giustizia UE 8.3.2022, C. 205-20), ha ricordato come “Il principio del primato del diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che esso impone alle autorità nazionali l’obbligo di disapplicare una normativa nazionale, parte della quale è contraria al requisito di proporzionalità delle sanzioni…, nei soli limiti necessari per consentire l’irrogazione di sanzioni proporzionate” (sul tema della proporzionalità, ex multis, si veda anche la nota pronuncia della Corte di Giustizia UE 3.3.2020, C. 482-18). Per cui non sorprende che ora il Giudice ordinario, come nel caso di quello presso il Tribunale di Verbania, si accorga come, malgrado l’intervento mitigatorio dell’Inps con il messaggio n. 3516/2022, residui ancora un’irragionevole sproporzione tra fatti pure contra ius e punizioni irrogabili.

Per cui, non essendogli stato difficile immaginare una potenziale lesione dell’art. 3 della Costituzione, rispetto alla previsione dell’art. art. 2, co. 1bis, D.l. n. 463/1983, nel corso di un giudizio di opposizione contro l’Inps, il medesimo Giudice ha deciso di sollevare la questione di legittimità costituzionale in riferimento alla sanzione amministrativa in discorso, disponendo il rinvio della questione alla Corte costituzionale. Al riguardo il Tribunale di Verbania (Ordinanza del 13 ottobre 2022), tra l’altro,

osserva come il legislatore nella fissazione di un minimo e di un massimo della sanzione amministrativa che “parte” da € 10.000 e “arriva” fino a € 50.000 abbia sottoposto a un’irragionevole disparità di trattamento i trasgressori della norma per le omissioni contributive sotto la soglia di rilevanza penale fino all’omissione di € 10.000. Ciò che si intende sottolineare è, cioè, il fatto che in astratto il trasgressore che massimamente viola il precetto normativo nel suo massimo valore sottosoglia (per € 10.000) può soffrire una sanzione amministrativa che, nella sua previsione massima, pari a € 50.000, rappresenta il quintuplo della violazione. Diversamente, il trasgressore per un importo minimo oggetto della omissione, pari a esempio a € 100, anche nella irrogazione della sanzione amministrativa minima prevista dalla legge, pari a € 10.000, viene in realtà sanzionato per un importo che rappresenta il centuplo della propria violazione. Ciò con un’evidente asimmetria di trattamento dei cittadini che, pure, violando con diversa gravità il precetto normativo, non vedono tale diversa gravità altrettanto diversamente ponderata e graduata nella determinazione della sanzione.

Né, in tale senso, costituisce un valido correttivo della norma il richiamo ai criteri di commisurazione della sanzione di cui all’art. 11, Legge n. 689/1981 -pure applicabile alla fattispecie del caso concreto per effetto dell’art. 6 del D.lgs n. 8/2016- poiché, per quanto detto, la previsione della sanzione minima pari a € 10.000, prevista dalla norma dell’art. 3, comma 6 del decreto legislativo 8/2016, non consente una effettiva graduazione della sanzione commisurata alla “gravità della violazione”.

La segnalata irragionevole sperequazione si presenta lampante proprio ed anche nella fattispecie del caso concreto laddove, a fronte di una omissione contributiva di € 190,52 la norma sanzionatoria, anche laddove fosse applicata nella minima afflizione pari a € 10.000 da parte di questo Giudice, comporterebbe l’irrogazione di una sanzione pari a 52 volte la violazione commessa. Questo Giudice osserva, infine, come la novità esposta dall’Inps non incida sui termini della questione come sopra proposti. Infatti, l’Inps, richiamando una propria nota del Direttore Generale, la n. 3516 del 27.09.2022, ha invitato le proprie articolazioni locali a “rivedere” la sanzione irrogabile alla luce del comma 5 dell’art. 9, D.lgs. n. 8 del 2016, osservando che per le omissioni accertate con riferimento al periodo antecedente alla entrata in vigore della depenalizzazione (prima cioè del 6 febbraio 2016), la sanzione possa essere limitata nella misura della metà. Si osserva come, però, anche in questo caso, pure ipotizzando nella fattispecie del caso concreto che attiene ad un’omissione effettivamente avvenuta anteriormente al febbraio 2016, l’applicazione della sanzione in Euro 5.000, si tratti comunque di una misura di oltre 25 volte l’omissione contributiva accertata. Dunque, si ritiene, ancora sperequata.

Un rinvio alla Corte costituzionale, quello in parola, che, al cospetto dei molti interventi punitivi sproporzionati in materia di lavoro (si pensi al caso del recupero di agevolazioni per centinaia di migliaia di euro, ex art. 1, co. 1175, L. n. 296/2006, per “scoperture” pure minime), assume un interesse più ampio e di carattere generale, rivestendo tutto sommato la funzione di aprire una breccia a consimili riponderazioni in chiave costituzionale dell’impianto punitivo del nostro ordinamento del lavoro.

 

(*) L’articolo è anche sul sito www.verifichelavoro.it della rivista Verifiche e Lavoro.

 

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CONTRORDINE INPS. Tagli alla sanzione per gli omessi versamenti*

Mauro Parisi, Avvocato in Belluno e Milano

 

Con il messaggio n. 3516 del 27.9.2022 l’Inps corregge in modo sostanziale se stesso e le precedenti indicazioni alle proprie sedi circa le abnormi sanzioni per gli omessi versamenti contributivi delle ritenute sulle retribuzioni dei lavoratori. Un revirement, rispetto alla circolare Inps n. 32/2022, che riproporziona parzialmente le misure pecuniarie irrogabili e può comportare per i trasgressori “risparmi” anche di oltre € 11.500 a illecito.

 

Come già si ricordava su questa rivista alcuni numeri fa (cfr. “Omessi versamenti di ritenute Inps e la campagna di sanzioni monstre”: Sintesi, giugno 2022, pag. 19), a causa della previsione dell’art. 2, co. 1 bis, D.l. n. 463/1983, per l’omesso versamento delle ritenute sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, per un importo omesso non superiore a € 10.000 nell’anno, viene irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di € 10.000 a € 50.000. Sempre che, beninteso, il datore di lavoro non abbia provveduto al versamento delle ritenute evase entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione. La citata previsione sanzionatoria e le circostanze dei vari casi, nel tempo, erano passate piuttosto in sordina, con l’Inps che procedeva a saltuarie contestazioni e raramente a irrogare sanzioni amministrative.

Poi, in tempi recenti, e soprattutto nell’anno in corso, con la circolare Inps n. 32/2022, l’Istituto si è dato una “scossa” e sono incominciate a imperversare le misure punitive. Così, mentre nei Verbali di contestazione dell’illecito amministrativo i datori di lavoro trasgressori venivano ammessi a corrispondere l’importo in misura ridotta (quello che permette di estingue la procedura punitiva) in € 16.666, la direttiva dell’Istituto impegnava ogni sede -in caso di mancata resipiscenza, con versamento delle ritenute omesse o corresponsione della detta somma in misura ridotta- all’ “irrogazione di una sanzione amministrativa di importo superiore a quello determinato in misura ridotta”. Pertanto, la circolare n. 32/2022 stabiliva che la sanzione amministrativa irrogata con l’ordinanza-ingiunzione avrebbe avuto un “importo da un minimo di 17.000 euro fino a un massimo di euro 50.000”.

Importi decisamente notevolissimi, anche al cospetto di minime infrazione. Per cui, a titolo di esempio, a fronte dell’omesso versamento di € 350, l’Inps avrebbe dovuto irrogare una sanzione pecuniaria minima a partire da € 17.000 a crescere.

Il recente intervento del messaggio Inps del 27.9.2022, n. 3516 ha però preso atto di una serie di criticità emerse fino a oggi, specialmente nei contenziosi che sono conseguiti alle numerose sanzioni irrogate. Va detto che la nota dell’Istituto, relativa alla notifica degli atti di accertamento della violazione ed emissione dell’ordinanza-ingiunzione e alle nuove indicazioni operative al riguardo, si presenta di una certa complessità espositiva. Volendo limitare la disamina agli aspetti immediatamente rilevanti per i potenziali trasgressori, si può osservare come il messaggio, nel tentativo di chiarire quali debbano essere i termini della quantificazione delle sanzioni amministrative imposti dalla legge, oltre a confermare che quanto determinato fino a oggi, nella sostanza, non appare corretto, individua un metodo certo di quantificazione degli importi irrogabili.

L’Inps pone l’accento, in particolare modo, sulla previsione dell’art. 9, comma 5, D.lgs. n. 8/2016 -decreto attuativo che ha disposto la depenalizzazione in discorso-, il quale stabilisce che

Entro sessanta giorni dalla notificazione degli estremi della violazione l’interessato è ammesso al pagamento in misura ridotta, pari alla metà della sanzione, oltre alle spese del procedimento. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

La disposizione indiscutibilmente introduce una previsione speciale di misura ridotta, idonea all’estinzione del procedimento sanzionatorio.

Come noto, alla luce della legge n. 689 del 1981, il procedimento sanzionatorio amministrativo, che inizia con la contestazione dell’illecito amministrativo (con il verbale di accertamento), si conclude con l’irrogazione della sanzione amministrativa vera e propria (a mezzo dell’ordinanza-ingiunzione). Con la contestazione dell’illecito (cioè degli estremi della violazione accertata), salvo specifici casi esclusi per legge, il trasgressore e l’obbligato in solido vengono ammessi al versamento di una somma, in c.d. misura ridotta, prevista con modalità predeterminate “pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa o, se più favorevole e qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale, pari al doppio del relativo importo”. Nel caso degli omessi versamenti ai sensi dell’art. 2, comma 1bis, D.l. n. 463/1983, tale misura ridotta, ai sensi dell’art. 16, L. n. 689/1981, come osservato sarebbe pari a € 16.666. Ma a quanto equivale, invece, l’importo “pari alla metà della sanzione” di cui all’art. 9, comma 5, D.lgs. n. 8/2016?

In effetti, al momento della contestazione e notificazione degli estremi della violazione, in senso tecnico, non parrebbero ancora esserci “sanzioni” comminate (salvo casi di condanne penali definitive, per cui si trasformi la pena in misura pecuniaria: art. 8, D. lgs. n. 8/2016). Per cui -tecnicamente-, non sarebbe dato comprendersi a quale dimezzamento di sanzioni amministrative faccia riferimento l’art. 9, comma 5, D.lgs. n. 8/2016. Tuttavia, una soluzione in termini di fattibilità e, per di più, favorevole ai trasgressori oggi la fornisce l’Inps. Il quale, proprio con il messaggio n. 3516/2022 precisa che va garantita

la rimodulazione dell’importo delle sanzioni amministrative pecuniarie da irrogare con la notifica dell’ordinanza-ingiunzione, consentendo la loro determinazione a partire dal minimo edittale fissato in euro 10.000. In ragione di ciò, le ordinanze-ingiunzione in corso di emissione o emesse e non notificate alla data di pubblicazione del presente messaggio dovranno prevedere l’irrogazione di una sanzione amministrativa determinata tenendo conto dell’importo delle ritenute omesse e delle eventuali reiterazioni della violazione.

Perciò, calcolata la “sanzione” (in modo “automatico”, anche senza attendere l’ordinanzaingiunzione), la misura ridotta speciale dovrà intendersi pari alla sua metà.

Una tabella allegata al messaggio spiega come opera il nuovo meccanismo di determinazione, che tiene conto di coefficienti predefiniti di conteggio.

In sostanza, nel caso di omissione dei versamenti occorsi in un anno, la sanzione amministrativa irrogabile sarà pari all’importo delle ritenute sulle retribuzioni dei lavoratori non versate, moltiplicate per il coefficiente 1,2. Facciamo l’esempio di due trasgressori, l’uno che nel corso dell’anno non ha versato € 1000 di ritenute, mentre il secondo non ha versate € 9000.

Nel primo caso la sanzione amministrativa sarà pari a € 1000 x 1,2 = € 1200. Ma, come espone la tabella Inps allegata al messaggio (“se la misura della sanzione amministrativa, determinata secondo il criterio indicato in ciascuna colonna della tabella, sia pari ad un importo inferiore a euro 10.000 ovvero superiore a euro 50.000, la sanzione sarà irrogata rispettivamente nella misura di euro 10.000 e di euro 50.000”), non essendo prevista una sanzione inferiore a € 10000, sarà quest’ultima, nel caso, la “sanzione” da applicarsi. Per cui la misura ridotta “dimezzata” risulterà pari a € 5000 (e, dunque, non a € 16.666). Nell’ipotesi in cui, invece, l’omissione contributiva sia di € 9.000, il medesimo schema di calcolo ci condurrà a una sanzione amministrativa pari a € 10.800 (€ 9000 x 1,2 = € 10.800), con importo in misura ridotta pari a € 5.400. Nel caso di reiterazione delle omissioni, sono previste, poi, a seconda degli anni di reiterazione, dei coefficienti di aggravio della sanzione (per esempio, nel caso di reiterazione per un anno: “importo ritenute omesse x 1,2 + importo ritenute omesse x 0,5”). Per cui, stando ai casi di cui sopra, nel primo caso (omissioni di € 1000 per anno) potremmo avere una sanzione di € 1700 (quindi, da ricondurre al minimo edittale di € 10.000); nel secondo, una sanzione pecuniaria di € 15.800. Anche qui con importi da calcolare al 50% (€ 7.900 nel secondo caso).

Fissata la sanzione, pertanto, come rileva anche il messaggio dell’Inps, vi sarebbe la possibilità di applicare in via alternativa la misura ridotta “speciale” (per evasioni meno gravi, di € 5000) oppure quella degli € 16.666 (“se più favorevole, il responsabile dovrà essere ammesso al pagamento della sanzione amministrativa nella misura ridotta, definita dall’articolo 16 della legge n. 689/1981”). Vale a dire che, nella stragrande maggioranza dei casi (salvo reiterazioni rilevanti e tendenzialmente di almeno quattro anni), l’illecito potrà essere estinto versando un più contenuto importo “speciale”, in misura notevolmente inferiore alla misura ridotta ex art. 16, L. n. 689/1981. Quella applicata dall’Istituto fino a oggi.

Una determinante precisazione dell’Inps, in definitiva, che consente finalmente di riproporzionare (seppure parzialmente) le sanzioni amministrative dell’art. 2, co. 1 bis, D.l. n. 463/1983 alla gravità effettiva degli illeciti.

 

 

(*) L’articolo è anche sul sito www.verifichelavoro.it della rivista Verifiche e Lavoro.

 

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