Aggiornamento sulla cd. “informativa trasparenza” ,di cui al DECRETO LEGISLATIVO 104-2022

di Roberta Simone, Consulente del lavoro in Milano

 

Nel precedente numero di questa Rivista1 abbiamo pubblicato un contributo che trattava gli aspetti più critici dello Schema di decreto legislativo2 di attuazione della Direttiva UE 2019/11523. Poche ore dopo, il 29 luglio 2022, nella GURI n. 176 veniva pubblicato il Decreto Legislativo 27 giugno 2022, n. 104, Attuazione della direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea4 (a seguire anche Decreto) il quale, con pochissime modifiche, confermava il testo di cui allo Schema di decreto citato. Da quel momento, un decreto il cui iter legislativo si era sviluppato nella sostanziale indifferenza di molti, nonostante le varie bozze fossero disponibili e pubblicate sui siti istituzionali da diversi mesi5, è prepotentemente divenuto l’oggetto di dissertazioni tra diversi colleghi Consulenti del Lavoro e – come vedremo oltre – ha richiesto l’intervento dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, oltre che del nostro CNO6. La nostra Rivista questo mese ha dedicato questo e diversi altri contributi, tra i quali il Senza Filtro del collega Andrea Asnaghi e un articolo di approfondimento sulla specifica tematica delle sanzioni a cura del collega Alberto Borella, che proseguono l’attività di studio e analisi da noi avviata nei mesi scorsi, anche con diversi webinar di approfondimento da noi dedicati, e che vedrà un’ulterio1. La rivista Sintesi del mese di luglio 2022 è disponibile a questo link. re trattazione nel convegno, a cura dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Milano e ANCL U.P. di Milano, che si terrà il prossimo 12 settembre. Questo contributo si è reso necessario per sottolineare diversi aspetti che meritano una disamina aggiuntiva alla luce della pubblicazione del Decreto, con l’auspicio che il nostro intervento, in forma addirittura corale unitamente agli altri citati, possa offrire spunti di riflessione per attuare le necessarie modifiche al testo legislativo e, prima ancora, essere utile per dirimere alcune questioni per le quali esistono ad oggi punti di vista ed approcci differenti.

APPLICAZIONE TEMPORALE DEL DECRETO (ART. 16, D.LGS. 104/2022 – DISPOSIZIONI TRANSITORIE)

Non si tratta di un refuso, perché iniziare dal penultimo articolo del D.lgs. n.104/2022 è assolutamente volontario e ne comprenderete presto il motivo. Il Decreto, pubblicato il 29 luglio 2022, è entrato in vigore il 13 agosto. All’art. 16, in ossequio alla Direttiva UE 2019/1152 che ne obbligava il recepimento entro l’inizio del mese di agosto, è indicato che “1. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano a tutti i rapporti di lavoro già instaurati alla data del 1° agosto 2022”, precisando che – in tema di trasparenza – a tali lavoratori dovranno essere fornite le informazioni prescritte dal Decreto entro il termine di 60 giorni7 decorrenti dalla loro (eventuale) richiesta nei confronti del datore di lavoro-committente.

La criticità è evidente: per i contratti8 instaurati tra il 2 e il 12 agosto 2022 si crea di fatto un vuoto normativo, in quanto non solo gli adempimenti in tema di informativa, ma tutto il Decreto non trova applicazione. Quale approccio adottare? Le soluzioni potrebbero essere diverse:

1. applicare il Decreto ai lavoratori in forza al 1° agosto, applicare il precedente D.lgs. n. 152/1997 ai lavoratori assunti tra il 2 e il 12 agosto, (ri)applicare il Decreto ai lavoratori assunti dal 13 agosto;

2. applicare il Decreto ai lavoratori in forza al 1° agosto, applicare comunque il Decreto anche ai lavoratori assunti tra il 2 e il 12 agosto, in quanto di miglior favore rispetto al precedente D.lgs. n. 152/1997, (ri)applicare il Decreto ai lavoratori assunti dal 13 agosto. Soprassedendo sul fatto che rispetto al contenuto della norma, prima della sua pubblicazione, era doveroso porsi quantomeno un interrogativo sugli effetti di tale enunciato in combinato con il principio ben noto della vacatio legis9, è indiscutibile come l’approccio di diritto (il primo) cozzi con l’approccio pragmatico (il secondo) lasciando non pochi dubbi interpretativi ed applicativi all’operatore attento e scrupoloso. Nei giorni successivi alla pubblicazione del Decreto, il 10 agosto, è intervenuto l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la circolare n. 4/202210, la quale nelle proprie “Disposizioni transitorie” dichiara “Per il richiamato disallineamento temporale la lettera della norma non sembra interessare direttamente i rapporti di lavoro instaurati tra il 2 ed il 12 di agosto 2022, rispetto ai quali trovano comunque applicazione i medesimi principi di trasparenza, solidarietà contrattuale e parità di trattamento tra lavoratori che fondano la novella normati8. Si rammenta che il Decreto si applica ai rapporti di lavoro subordinato, compreso il lavoro agricolo, a tempo indeterminato e determinato, anche a tempo parziale, ma anche al lavoro somministrato, al lavoro intermittente, alle collaborazioni etero-organizzate di cui all’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015, alle collaborazioni coordinate e continuative ai sensi dell’art. 409, n. 3, c.p.c., ai contratti di prestazione occasionale di cui all’art. 54-bis del D.L. n. 50/2017 (conv. dal L. n. 96/2017), al lavoro marittimo, della va, cosicché anche questi ultimi possono richiedere l’eventuale integrazione delle informazioni relative al proprio rapporto di lavoro”.

Fa sicuramente onore che l’Inl abbia voluto dare un approccio pratico e risolutivo della questione e sia voluto intervenire, e non solo su questo aspetto, con parole chiare e precise le quali tuttavia – ancora una volta – ci fanno precipitare in un vortice di ulteriori interrogativi. La circolare infatti, nell’includere anche i lavoratori venutisi a trovare loro malgrado nel limbo del periodo 2-12 agosto, fa riferimenti letterari espliciti solo agli obblighi di trasparenza, i quali non sono che una parte del contenuto della norma. A questi lavoratori, nemmeno per l’Inl, non trovano dunque applicazione i precetti di cui al Capo 3 – Prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro (artt. 7÷11) e al Capo 4 – Misure di tutela (artt. 12÷17) del Decreto? Ma prima di tutto, può una circolare andare a sanare un vulnus, per di più di tale portata? Nelle more di ulteriori precisazioni, la seconda opzione sopra esposta, in barba al diritto, appare la più prudenziale purché non limitata agli obblighi di trasparenza ma estesa a tutte le prescrizioni del Decreto.

RINVIO ESTERNO SÌ O NO?

L’art. 4, co. 3 della Direttiva cita “Le informazioni di cui al paragrafo 2, lettere da g) a l) e lettera o)11, possono, se del caso, essere fornite sotto forma di un riferimento alle disposizioni legislative, regolamentari, amministrative o statutarie o ai contratti collettivi che disciplinano tali punti”. Come abbiamo già avuto modo di esporre nel precedente articolo, tale possibilità è stata preclusa dallo Schema e dal successivo Decreto, sia per l’abrogazione del D.lgs. 152/1997 che invece conteneva esplicitamente tale possibilità (“L’informazione […] può essere effettuata mediante rinvio alle norme del contratto collettivo applicato al lavoratore”), sia perché, nel Decreto approvato, non è prevista alcuna modalità di rinvio esterno. A scanso di equivoci, e a sostegno di tale assunto, è doveroso ricordare che il Dossier A.G. 37712 “Schema di D.lgs. recante attuazione della Direttiva (UE) 2019/1152 relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea” pubblicato il 13 aprile 2022, a pagina 4 dichiara in modo manifesto che “Sebbene la direttiva comunitaria consenta il rinvio alla normativa vigente, lo schema di decreto richiede che l’informazione sia indicata in modo puntuale, gravando di fatto sul datore di lavoro la ricognizione degli strumenti adattabili al singolo lavoratore”. In ossequio quindi alle indicazioni della Direttiva che ammette la possibilità (non obbligo) di rimando a fonti esterne all’informativa (sul punto è chiaro il passaggio della Direttiva poc’anzi citato “L’informazione […] può essere effettuata”) il nostro Legislatore ha preferito non accogliere l’invito UE, imponendo l’indicazione delle informazioni previste senza prevedere la possibilità di alcun rimando esterno. Questo aspetto rappresenta di certo il punto critico del c.d. Decreto trasparenza13, perché la mole di informazioni da rendere al lavoratore è tale che l’esatto adempimento della norma imporrebbe al datore di lavoro-committente l’indicazione di una serie di dati tale da vanificare l’obiettivo di trasparenza precipuo della Direttiva. Per di più, nemmeno l’auspicato rinvio a fonti esterne, se da un lato rappresenterebbe una semplificazione (rectius un non ulteriore aggravio di adempimenti), dall’altro forse non esaudirebbe appieno i principi di informazione chiara, trasparente, completa e accessibile, vuoi per la difficoltà di lettura dei Ccnl, vuoi per la difficoltà di reperire, anche per noi Professionisti, i contratti regionali o provinciali anche di epoche molto remote e che continuano a trovare odierna applicazione. Tuttavia, anche in questo ambito è intervenuta la circolare Inl n. 4/2022 il cui passaggio citiamo per esteso “Il nuovo art. 1 del D.Lgs. n. 152/1997 non fa più espresso riferimento alla possibilità di rendere alcune informazioni al lavoratore mediante il rinvio alle norme del contratto collettivo applicato. Tuttavia, fermo restando che con la consegna del contratto individuale di lavoro o di copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro […] il lavoratore deve essere già informato sui principali contenuti degli istituti di cui all’art. 1 (ad es. orario di lavoro giornaliero per n. giorni alla settimana; importo retribuzione mensile per numero delle mensilità ecc.), la relativa disciplina di dettaglio potrà essere comunicata attraverso il rinvio al contratto collettivo applicato o ad altri documenti aziendali qualora gli stessi vengano contestualmente consegnati al lavoratore ovvero messi a disposizione secondo le modalità di prassi aziendale”. Di nuovo il dubbio è lecito: come si colloca una circolare nelle fonti del diritto? Quale la portata e gli effetti? Sono domande le cui risposte sono a noi tutti ben note e, nonostante lodevole sia l’intento semplificatorio dell’Ispettorato, è doveroso approcciarsi a tale apertura in modo cauto, posto che l’interpretazione ministeriale se può (forse) metterci al riparo da eventuali sanzioni comminate dal medesimo istituto che l’ha emanata, potrebbe ragionevolmente non trovare applicazione nel caso di contenzioso giudiziario.

IL PORTALE WEB ISTITUZIONALE (ART. 4, CO. 6, D.LGS. N. 104/2022)

La creazione del portale web, ad oggi ancora non attuata, è mero adempimento ad una precisa intimazione della Direttiva la quale all’art. 5 impone che “Gli Stati membri provvedono affinché le informazioni […] siano rese disponibili […] anche tramite portali online esistenti”. Il Decreto, all’art. 4, co. 6, precisa che “Le disposizioni normative e dei contratti collettivi nazionali relative alle informazioni che devono essere comunicate dai datori di lavoro sono disponibili a tutti gratuitamente e in modo trasparente, chiaro, completo e facilmente accessibile, tramite il sito in ternet istituzionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Per le pubbliche amministrazioni tali informazioni sono rese disponibili tramite il sito del Dipartimento della funzione pubblica”. Benché il testo, anche in questo passaggio, appaia a dir poco sibillino, al portale è attualmente collegata una funzione conoscitiva delle condizioni applicabili ai rapporti di lavoro meramente aggiuntiva rispetto all’adempimento informativo in capo al datore-committente, in quanto una funzione sostitutiva dello stesso, ad esempio mediante rimando al sito web, non è richiamata in alcun passaggio della norma. LA PARZIALE ABROGAZIONE DEL D.LGS. N. 152/1997 Il Decreto n. 104/2022 ha abrogato gli articoli da 1 a 4 del D.lgs. n. 152/1997, lasciando vigente l’art. 5 Disposizioni transitorie e finali. Tale abrogazione parziale comporta un’ulteriore problematica, poiché rimangono vigenti prescrizioni, relative al preesistente D.lgs. n. 152/1997, in contrasto con il nuovo Decreto, in particolare: • al comma “1. Gli obblighi di informazione previsti dal presente decreto non trovano applicazione: a) nei rapporti di lavoro di durata complessiva non superiore ad un mese e il cui orario non superi le otto ore settimanali […]”, mentre il Decreto include i rapporti a prescindere dalla loro durata complessiva, escludendo quelli di durata inferiore alle 3 ore settimanali includendo tuttavia quelli c.d. a zero ore14;

• al comma “2. Per i rapporti di lavoro in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto il lavoratore può richiedere, per iscritto, le informazioni di cui agli articoli 1, 2 e 3. Il datore di lavoro fornisce le predette informazioni con comunicazione scritta da consegnarsi entro trenta giorni dalla data di ricevimento della richiesta”, mentre il Decreto ha modificato il precedente Schema innalzando tale termine a 60 giorni. La parziale abrogazione è tecnica non del tutto condivisibile per una serie di motivi, tra cui: 1. la corretta applicazione del novellato D.lgs. n. 152/1997 necessita la lettura di altri articoli del Decreto, ad esempio l’art. 1 (Ambito di applicazione), l’art. 2 (Definizioni), e l’art. 3 (Modalità di comunicazione delle informazioni), oltre al già citato art. 16 (Disposizioni transitorie e finali), tutti di estrema importanza ai fini della corretta applicazione della normativa; 2. il Decreto n. 104/2022, proprio per la sua parziale integrazione in altre norme, deve comunque mantenere una sua indipendenza non potendo essere superato dalle norme così come da esso novellate. Sarebbe stata più opportuna una abrogazione completa ed espressa del D.lgs. n. 152/1997, con decorrenza dal 1° agosto, senza rimandi e abrogazioni di dettaglio, così da poter applicare autonomamente il Decreto nella sua interezza e rendere più agevole l’applicazione della precedente normativa per i rapporti vigenti entro tale data. Il che porta a una riflessione ulteriore, ben più ampia ma doverosa. Può il nostro sistema di diritto (del lavoro ma non solo) continuare a poggiarsi su una stratificazione normativa come la nostra? È lecito continuare a giustificare la coesistenza di diverse fonti sulla stessa singola questione o, peggio ancora, circolari di Ministeri, Enti previdenziali o assicurativi, laddove il loro intervento – come è successo nel caso in esame – sia finalizzato a dirimere dubbi emersi da un testo letterale promiscuo se non addirittura erroneo? Può il nostro sistema di gerarchia e competenza delle fonti del diritto continuare ad essere continuamente confuso e sconvolto da circolari che, pur se con finalità apprezzabili, di fatto spesso agiscono in ambiti ad esse precluse? Infine, considerata la complessità del nostro ordinamento giuridico, delle materie che esso disciplina e quanto sia ormai evidente la necessità di un approccio multidisciplinare, quando matureremo la convinzione che la produzione legislativa deve coinvolgere tutti i Professionisti che siano in grado di dare un contributo pragmatico alla redazione di norme, tra i quali certamente i Consulenti del Lavoro?

 

1. La rivista Sintesi del mese di luglio 2022 è disponibile a questo link.

2. Lo Schema di decreto, approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 31 marzo 2022, trasmesso a parere il 1° aprile 2022 e infine approvato in via definitiva come da comunicato stampa del 22 giugno 2022, è disponibile a questo link.

3. Il testo della Direttiva completo è reperibile a questo link.

4. Il testo del Decreto Legislativo 27 giugno 2022 n. 104 è disponibile a questo link.

5. Ad esempio, lo Schema di decreto era già disponibile al link di cui in nota precedente, fin dalla sua approvazione.

6. Il testo della lettera della Presidente Calderone, Prot. 0005414/U del 1° agosto 2022 è disponibile a questo link. La successiva lettera, Prot. 0005469/U del 3 agosto 2022 è disponibile a questo link.

7. Nello Schema di decreto il termine concesso era di 30 giorni.

8.Si rammenta che il Decreto si applica ai rapporti di lavoro subordinato, compreso il lavoro agricolo, a tempo indeterminato e determinato, anche a tempo parziale, ma anche al lavoro somministrato, al lavoro intermittente, alle collaborazioni etero-organizzate di cui all’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015, alle collaborazioni coordinate e continuative ai sensi dell’art. 409, n. 3, c.p.c., ai contratti di prestazione occasionale di cui all’art. 54-bis del D.L. n. 50/2017 (conv. dal L. n. 96/2017), al lavoro marittimo, della pesca e della PA (con eventuali limitazioni).

9. Art. 73 della Costituzione “[…] Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso”.

 

10. Il testo della Circolare INL n. 4/2022 del 10 agosto 2022 è disponibile a questo link.

11. Direttiva, art. 4, punto 3: “[…] g) la durata e le condizioni del periodo di prova, se previsto; h) il diritto alla formazione erogata dal datore di lavoro, se previsto; i) la durata del congedo retribuito cui ha diritto il lavoratore o, se ciò non può essere indicato all’tto dell’informazione, le modalità̀ di attribuzione e di determinazione di tale congedo; j) la procedura, compresi i requisiti di forma e la durata dei periodi di preavviso, che deve essere seguita dal datore di lavoro e dal lavoratore in caso di cessazione del rapporto di lavoro o, nell’impossibilità di indicare la durata dei periodi di preavviso all’atto dell’informazione, le modalità di determinazione di detti periodi; k) la retribuzione, compresi l’importo di base iniziale, ogni altro elemento costitutivo, se del caso, indicati separatamente, e la periodicità e le modalità di pagamento della retribuzione cui ha diritto il lavoratore; l) se l’organizzazione del lavoro è interamente o in gran parte prevedibile, la durata normale della giornata o della settimana di lavoro del lavoratore nonché́ eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione e, se del caso, eventuali condizioni relative ai cambi di turno; […] o) ove la responsabilità incomba al datore di lavoro, l’identità delle istituzioni di sicurezza sociale che ricevono i contributi sociali collegati al rapporto di lavoro e qualunque forma di protezione in materia di sicurezza sociale fornita dal datore di lavoro”.

12. Il testo è reperibile nella sezione della documentazione parlamentare, sezione Dossier di cui a questo link.

13. La terminologia ormai già entrata nel gergo comune è fuorviante: il Decreto Legislativo 104/2022 non si limita a regolamentare gli obblighi informativi in materia di trasparenza.

14. Sul punto si rimanda all’articolo pubblicato su Sintesi di luglio 2022, lettera A, pagina 5, disponibile a questo link.

 

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DIRETTIVA UE 2019-1152: dalla trasparenza alla confusione

Roberta Simone, Consulente del lavoro in Milano

La Direttiva UE 2019/1152 del 20 giugno 20191 relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea, è intervenuta sancendo il diritto del lavoratore2 ad essere edotto in merito alle condizioni contrattuali applicabili al proprio rapporto di lavoro.
La Direttiva si pone lo scopo di “stabilire a livello dell’Unione prescrizioni minime” nella comunicazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e sulle condizioni applicabili, al fine di “garantire che tutti i lavoratori
dell’Unione fruiscano di un livello adeguato di trasparenza e di prevedibilità”.
Oltre a questo obiettivo primario, la Direttiva interviene modificando alcuni istituti che possono essere così raggruppati:
• Informazioni obbligatorie per i lavoratori relative al rapporto di lavoro
• Periodo di prova
• Cumulabilità degli impieghi
• Prevedibilità minima dell’orario di lavoro
• Transizione a forme di lavoro più prevedibili, sicure e stabili
• Formazione obbligatoria
• Meccanismi di protezione e risoluzione rapida nel caso di violazioni dei diritti previsti e relative sanzioni.

EXCURSUS NORMATIVO SINTETICO
La Direttiva UE 2019/1152 sostituisce ed abroga la Direttiva 91/533/CEE relativa “all’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro”, a cui a suo tempo
si diede attuazione mediante il Decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 1523.
Al fine di ottemperare all’obbligo di recepimento, nei primi mesi dell’anno sono stati avviati i lavori propedeutici all’emanazione della relativa norma.
Le Commissioni Parlamentari preposte hanno redatto uno “Schema di decreto legislativo” (a seguire anche SDL), approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 31 marzo 2022, successivamente trasmesso a parere il 1° aprile 2022 e infine approvato in via definitiva come da comunicato stampa del 22 giugno 2022.
Alla data di redazione di questo articolo il decreto non risulta tuttavia ancora pubblicato, pertanto nell’analisi che segue si farà riferimento allo SDL come approvato in via preliminare.

STRUTTURA DELLO SCHEMA DI DECRETO
Il testo si compone di 17 articoli suddivisi in 4 Capi:
Capo 1 – Finalità e ambito di applicazione (artt. 1÷3)
Capo 2 – Informazioni sul rapporto di lavoro (artt. 4÷6)
Capo 3 – Prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro (artt. 7÷11)
Capo 4 – Misure di tutela (artt. 12÷17).
Si cercherà ora di offrire al lettore una panoramica delle criticità dello Schema di decreto, da tenere monitorate per la successiva redazione dei “nuovi” contratti di assunzione e/o collaborazione, con l’auspicio che esse rappresentino spunti di riflessione che possa no essere accolti dal Legislatore prima della pubblicazione della norma o in una sua successiva rielaborazione.

DIRETTIVA UE – SCHEMA DI DECRETO – DOSSIER: UN (IMPRATICABILE) COMBINATO DISPOSTO
Chi avrà modo di leggere la Direttiva UE non potrà che apprezzarne la chiarezza e precisione nella definizione di contenuto ed ambiti di applicazione. La relativa trasposizione in un testo legislativo ne doveva dunque risultare agevolata, ma in tale attività di produzione normativa, purtroppo, risultano presenti proposizioni fumose e distanti da logiche di realistica e facile applicazione pratica.
La piena comprensione di alcuni passaggi dello SDL risulterebbe agevolata con una sorta di lettura coordinata dello SDL, della Direttiva UE e di un ulteriore documento, il Dossier4 A.G. 377 “Schema di D.Lgs. recante attuazione
della Direttiva (UE) 2019/1152 relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea” pubblicato il 13 aprile 2022.
Lettura congiunta che, è bene precisare, è mero esercizio di studio, poiché – in ossequio agli assiomi che disciplinano il diritto – non può trovare applicazione l’integrazione di princìpi assenti nella norma giuridica in atti che non
siano fonti di diritto e, quindi, non in grado di esplicare efficacia nel nostro ordinamento.
Sottraendoci al lecito interrogativo sul perché non si siano integrati nello SDL i passaggi chiaramente delineati nella Direttiva e/o nel Dossier così da limitare le difficoltà interpretative e di attuazione concreta della norma, vogliamo mettere in evidenza alcune delle criticità derivanti dalla lettura combinata di SDL / Direttiva / Dossier.

A. Rapporti di lavoro di durata pari o inferiore a tre ore settimanali
L’art. 1 (Ambito di applicazione) dello SDL esclude “i rapporti di lavoro caratterizzati da un tempo di lavoro predeterminato ed effettivo di durata pari o inferiore a una media di 3 ore a settimana in un periodo di
riferimento di 4 settimane consecutive”. Tuttavia, nel delineare l’ambito oggettivo e soggettivo di tale articolo, è solo il Dossier che precisa “dunque la Relazione Illustrativa ne trae la diretta conseguenza di ritenere che lo Schema di decreto trovi applicazione, invece, nei confronti dei cd. contratti a zero ore […]”.
Tale precisazione è coerente con le puntuali indicazioni nelle considerazioni introduttive iniziali, al punto 12 della Direttiva “I lavoratori che non hanno una quantità garantita di lavoro, compresi quelli con contratti a zero ore e alcuni contratti a chiamata, si trovano in una situazione di particolare vulnerabilità.
Pertanto, a tali lavoratori dovrebbero applicarsi le disposizioni della presente Direttiva, qualunque sia il numero di ore da essi effettivamente lavorate”.
Riepilogando: lo SDL esclude tout-court i rapporti con durata media inferiore a tre ore, il Dossier e la Direttiva includono i rapporti a zero ore.

B. Applicazione temporale della nuova normativa
L’art. 16 (Disposizioni transitorie) dello SDL prevede che “1. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano a tutti i rapporti di lavoro già instaurati alla data di entrata in vigore dello stesso.” e solo al comma 2 “Il datore di lavoro o il committente, su richiesta  scritta del lavoratore già assunto […] è tenuto a fornire […] entro 30 giorni le informazioni […]”.
Poiché dalla lettura di entrambi i commi potrebbe non comprendersi se (anche) l’obbligo di informazione si applichi ai rapporti di lavoro già in forza e – solo per i lavoratori che ne facciano espressa richiesta – esso debba essere assolto entro il termine perentorio di 30 giorni, è il Dossier che nel commentare l’art. 16, precisa “In conformità
al disposto di cui all’art. 22 della Direttiva […], si precisa che il datore di lavoro o il committente, su richiesta scritta del lavoratore già assunto alla data di entrata in vigore del presente Schema di decreto, è tenuto a fornire, aggiornare o integrare entro 30 giorni 5 le informazioni di cui agli articoli 1, 1-bis, 2 e 3 del decreto legislativo n. 152 del 1997, come modificato […]”.
Leggendo l’art. 22 della Direttiva tutto è decisamente più comprensibile: “I diritti e gli obblighi di cui alla presente Direttiva si applicano a tutti i rapporti di lavoro esistenti entro il 1° agosto 2022. Tuttavia, un datore di lavoro fornisce o completa i documenti di cui all’articolo 5, paragrafo 1, e agli articoli 6 e 7 solo su richiesta del lavoratore
già assunto a tale data. […].”.

Riepilogando: SDL fumoso, Direttiva chiara e comprensibile.

C. Recesso dal rapporto
Lo SDL prevede tra le informazioni da comunicare, segnatamente all’art. 4, lettera m) “la procedura, la forma e i termini del preavviso in caso di recesso del datore di lavoro o del lavoratore”.
Il tenore letterale di questa lettera implica che tra le informazioni da rendere vi siano i termini di preavviso nel caso di licenziamento e/o dimissioni, la forma di tali atti e la procedura.
Quanto alla forma, si ritiene sia dunque necessario riportare anche le varie modalità di comunicazione in caso di recesso per dimissioni e per licenziamento. Val la pena sottolineare che le forme previste possono essere, per il datore di lavoro la forma scritta (raccomandabile quando non obbligatoria), ma è per le dimissioni che la forma
dell’atto risulta ancor di più complicata in quanto, ad esempio, sono previste le dimissioni telematiche (ma non nel periodo di prova) e le dimissioni sottoposte a convalida nel caso di recesso in periodi tutelati.
La criticità forse più sibillina è proprio all’inizio della lettera m) ovvero “la procedura […] del preavviso […]”.
Perché si possono palesare dubbi interpretativi?
Perché dalla lettura sembrerebbe che (la procedura) si riferisca esclusivamente alla fattispecie del preavviso.
Quindi, facendo valere quanto sopra, andrà specificata la procedura per il preavviso nell’ipotesi ad esempio di dimissioni.

Dovremo quindi indicare le modalità per presentare le dimissioni differenziandole tra telematiche, convalidate, semplicemente scritte?
Quale procedura di preavviso indicare per il recesso datoriale?
Una ulteriore personale inquietudine sorge laddove si propenda per una lettura combinata dei vari testi (Direttiva, SDL, Dossier) che portano a supporre che la procedura da segnalare sia invece riferita alla più ampia fattispecie della cessazione.
Nelle considerazioni iniziali della Direttiva, troviamo infatti al punto 18 “Le informazioni sulla procedura che deve essere seguita dal datore di lavoro e dal lavoratore in caso di cessazione del rapporto di lavoro dovrebbero poter includere il termine per la presentazione di un ricorso contro un licenziamento” e ancora, la Direttiva all’art. 4,
lettera j) precisa “la procedura, compresi i requisiti di forma e la durata dei periodi di preavviso, che deve essere seguita dal datore di lavoro e dal lavoratore in caso di cessazione del rapporto di lavoro o, nell’impossibilità
di indicare la durata dei periodi di preavviso all’atto dell’informazione, le modalità di determinazione di detti periodi”.
Ma pur ignorando quanto appena riportato, sempre in virtù della impraticabilità della lettura congiunta, non è ancora del tutto chiaro a quale “procedura del preavviso” alluda la norma.
Quale procedura segnalare per il (mancato) preavviso, ad esempio nell’ipotesi di licenziamento per giusta causa? È necessario riportare la procedura del mancato preavviso, ovvero le fasi del licenziamento disciplinare? O questa particolare fattispecie di preavviso non soggiace agli obblighi di trasparenza?

IL NODO DELLE INFORMAZIONI SUL RAPPORTO DI LAVORO
Lo Schema di decreto legislativo novella il citato D.lgs. n. 152/1997 intervenendo in particolare sulle informazioni che dovranno essere rese ai lavoratori.
Lo SDL ha ampliato il campo di applicazione soggettivo, disponendone l’applicazione non solo ai contratti di lavoro dipendente, come richiesto dalla Direttiva, ma anche a “tipologie contrattuali non standard (quali, a titolo esemplificativo, i contratti di prestazione occasionale e i contratti di collaborazione coordinata e continuativa)”.
La comunicazione delle informazioni previste all’art. 1 del novellato D.lgs. n. 152/1997 dovrà essere chiara e completa, anche in riferimento all’accessibilità nei confronti di lavoratori disabili, dovrà avvenire mediante forma
scritta, con possibilità di utilizzo di formati elettronici, purché vi sia in ogni caso prova dell’avvenuta trasmissione o ricezione e sia garantita conservazione e accessibilità su richiesta del lavoratore.
L’assolvimento potrà avvenire mediante consegna del contratto individuale di lavoro o della copia di comunicazione di instaurazione del rapporto6, prescrizione invariata rispetto al D.lgs. n. 152/1997 come ad oggi vigente.
Quanto alle tempistiche sarà necessario adempiere prima dell’inizio dell’attività lavorativa, con possibilità di integrare le informazioni mancanti entro i 7 giorni successivi o entro 1 mese per talune specifiche informazioni.
In caso di successiva modifica di qualsivoglia informazione obbligatoria dovrà essere predisposta una nuova comunicazione per iscritto entro il primo giorno di decorrenza della modifica. Sul punto si segnala che il Dossier, nel
commentare l’art. 4, comma 1, lettera d) dello SDL precisa “giorno antecedente al prodursi degli effetti della modifica”, di nuovo aiutandoci nella comprensione di un testo che si presta a difficoltà interpretative.
Tale obbligo di integrazione informativa non troverebbe applicazione laddove la modifica derivasse da disposizioni legislative o regolamentari, o da clausole del contratto collettivo. Tuttavia, tale deroga, presente all’art. 6,
punto 2 della Direttiva che cita “non si applica alle modifiche che riflettono semplicemente un cambiamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative o statutarie ovvero dei contratti collettivi” e richiamata nel
Dossier, nella spiegazione7 dell’art. 4, co. 1, lett. d) dello SDL, risulta del tutto assente nel testo normativo.
Si tratta di nuovo di una (impraticabile) lettura congiunta?
Pur apprezzando le finalità informative e di trasparenza, obiettivi perseguiti dalla Direttiva che comporteranno la redazione di contratti di assunzione dal contenuto necessariamente più completo e dettagliato8, non si
può tacere come ne risulti gravoso l’adempimento in capo a datori di lavoro e committenti, considerata quantità e contenuto delle informazioni che dovranno essere rese ai dipendenti- collaboratori.

Tra queste ad esempio le informazioni relative alla gestione delle assenze. Oltre a dover indicare la durata delle ferie (e lungi da me segnalare al Legislatore la dimenticanza di ROL/PAR o le cd. ex festività) sarà necessario comunicare la durata dei congedi retribuiti9 o le modalità di determinazio ne laddove non definibili.
Si può presumere che con il termine “congedi retribuiti” non ci si riferisca ai riposi giornalieri e settimanali, ma al consistente insieme di congedi (tra i quali i permessi studio, sindacali, a tutela della genitorialità, …) previsti
sia dal nostro ordinamento che dai Ccnl? In caso di risposta affermativa, così come parrebbe, l’individuazione prima ed elencazione poi di tali informazioni, rappresenterebbe un’incombenza a dir poco gravosa in capo a datori di lavoro-committenti.
Nondimeno, gli ulteriori obblighi informativi nel caso di utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati che, se in uso, comporteranno una serie di dati ulteriori (nuovo art. 1-bis del D.lgs. n. 152/1997).
Una pletora di informazioni il cui obbligo di specificazione nel contratto comporterà inevitabilmente una massa documentale da consegnare al lavoratore, preceduta da una serie di attività di studio e di integrazione dei contratti
di assunzione-collaborazione, a carico dei datori-committenti, finalizzate non solo all’adempimento della norma in questione ma anche, se non soprattutto, a precludere  l’insorgere di contenziosi.

DALLA TRASPARENZA ALLA CONFUSIONE
Come accennato, lo SDL ha novellato il D.lgs. n. 152/1997 ed in particolare l’art. 4 al  capo II sostituisce  integralmente l’art. 1 (Obbligo di informazione) nel nuovo art. 1 (Informazioni sul rapporto di lavoro), ampliando
le informazioni da comunicare. Si pone l’attenzione sull’abrogazione anche del comma 4 del D.lgs. n. 152/1997 che citava “L’informazione circa le indicazioni di cui alle lettere e), g), h), i) ed l) del comma 1, può essere effettuata mediante il rinvio alle norme del contratto collettivo applicato al lavoratore.”
L’aspetto cruciale dello Schema di decreto legislativo risiede proprio in questo passaggio: la nuova normativa, con la cancellazione del comma 4, sembra precludere la possibilità di ricorrere alle consuete clausole di chiusura
nei contratti di assunzione che citavano ad esempio “Per quanto qui non espressamente contemplato si rimanda al Ccnl vigente” e che consentivano di adempiere agli obblighi informativi (a dire il vero non solo a questi) con
un semplice rimando ad un testo di ben più ampia portata (il contratto collettivo).
Anche nel successivo art. 2 (Prestazioni di lavoro all’estero) è omessa la riproposizione del comma 2 dell’originario D.lgs. n. 152/1997 che citava “L’informazione relativa alle indicazioni di cui al comma 1, lettere b) e c), può
essere effettuata mediante rinvio alle norme del contratto collettivo applicato al lavoratore.”.
Tutto ciò nonostante l’art. 4 della Direttiva, al punto 3, dichiari espressamente che “Le informazioni di cui al paragrafo 2, lettere da g) a l) e lettera o)10, possono, se del caso, essere fornite sotto forma di un riferimento alle disposizioni legislative, regolamentari, amministrative o statutarie o ai contratti collettivi che disciplinano tali punti”: possibilità (e semplificazione) che risulterebbe del tutto preclusa dallo SDL per effetto dell’abrogazione dei commi sopra riportati.

• Come si può ritenere che inserire nel contratto, specificatamente e per esteso, una siffatta mole di informazioni possa assolvere in modo maggiormente trasparente rispetto ad una clausola di rinvio come (ad oggi) resa possibile dai commi citati del D.lgs. n. 152/1997?
• Per quale ragione la possibilità di un rimando esterno, non precluso dalla Direttiva, è stato omesso nello SDL?
• In alternativa al rimando esterno, non poteva essere altrettanto possibile prevedere nello SDL l’obbligo di allegare il contratto collettivo (CC) o Ccnl vigente, i contratti di secondo livello, e i Regolamenti aziendali?
• Provocatoriamente: si ravvisano impedimenti al datore di lavoro nell’adempiere alla nuova normativa allegando il CC o il Ccnl vigente, i contratti di secondo livello, e i Regolamenti aziendali?
• Semplicemente: le informazioni non essenziali nella redazione del contratto di assunzione, non potrebbero essere comunicate con il rimando esterno al link istituzionale, previsto nello SDL art. 4, punto 6, che ha novellato l’art. 1 del D.lgs. n. 152/1997 e che cita “Le disposizioni normative e dei contratti collettivi nazionali relative alle informazioni
che devono essere comunicate dai datori di lavoro sono disponibili a tutti gratuitamente e in modo trasparente, chiaro, completo e facilmente accessibile, tramite il sito internet istituzionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Per le pubbliche amministrazioni tali informazioni sono rese disponibili tramite il sito del
Dipartimento della funzione pubblica”?

Siamo certi che l’abrogazione del rimando esterno nello Schema di decreto legislativo e nel Dossier11 sia  semplicemente una svista, così come sicuramente siano refusi anche le delucidazioni chiarificatrici fornite dal Dossier in ossequio alla Direttiva non presenti nello SDL, e che tali anomalie saranno certamente
superate dal Legislatore nel testo definitivo in attesa di pubblicazione.

Auspichiamo che questo nostro ottimismo, unitamente alle osservazioni sopra esposte, possano essere di spunto per una revisione migliorativa del testo proposto a beneficio di ciascuna parte coinvolta nel processo.

 

 

1. Il testo della Direttiva completo è reperibile a questo link istituzionale.

2. Nel corso di questo paragrafo si utilizzerà genericamente il termine “lavoratore” includendo anche le altre figure
professionali di cui si dirà poco oltre (vd. “Il nodo delle informazioni sul rapporto di lavoro”).

3. Una doverosa puntualizzazione: il D.lgs. n. 152/1997 di attuazione della Direttiva 91/533/CEE relativa “all’obbligo
del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro” è imprescindibile riferimento nella redazione delle lettere (rectius contratti) di assunzione. Duole sottolineare che
sovente le informazioni obbligatorie previste da tale norma risultano assenti, vuoi per imprecisione, vuoi perché il
D.lgs. n. 152/1997 è forse meno conosciuto di quel che dovrebbe essere. La revisione imposta dal recepimento della
Direttiva UE 1152/1997 è quindi una buona occasione per rivedere i propri format di assunzione e porre una completa regolarizzazione delle informazioni in essi presenti, pur con le criticità e i limiti che saranno evidenziati nel corso di questa disamina.

4. Il testo del Dossier è reperibile nella sezione della documentazione parlamentare, sezione Dossier di cui a questo link istituzionale.

5. Parrebbe che in sede di pubblicazione tale termine possa essere innalzato a 60 giorni, ma è necessario attendere la pubblicazione del decreto.

6. A tal proposito si rileva come, in concreto, la comunicazione di instaurazione del rapporto, ad esempio il noto UniLav, non sia mai stata di per sé sufficiente ad assolvere a tale adempimento in quanto deve essere integrata
da una serie di informazioni che non sono presenti in tale documento. Curioso che siano passati oltre vent’anni dalla prima formulazione del D.lgs. n. 152/1997 ma non si sia ancora compreso l’inutilità comunicazione di instaurazione del rapporto ai fini dell’assolvimento degli obblighi in esso prescritti.

7. Dossier, pag. 9 “L’articolo 4, comma 1, lettera d) dello schema di decreto legislativo disciplina l’obbligo di informare il lavoratore dei mutamenti del rapporto di lavoro dopo l’assunzione. Il datore di lavoro deve quindi
notificare al lavoratore per iscritto “qualsiasi variazione” delle condizioni di lavoro indicate agli articoli 1, 1- bis e 2 del decreto di recepimento, salvo che le informazioni fornite siano rinvenibili in leggi, regolamenti o contratti collettivi, e questi vengono modificati (nel qual caso non sussiste alcun obbligo di notifica al lavoratore) […]”.

8. Si pensi alla necessità di indicare l’importo iniziale della retribuzione (o compenso) e suoi elementi costitutivi, piuttosto che l’indicazione del periodo e modalità di pagamento della stessa.

9. La Direttiva UE 2019-1152, condizioni iniziali, al punto [19] cita “Le informazioni sull’orario di lavoro dovrebbero essere coerenti con la direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e dovrebbero includere informazioni su pause, riposi quotidiani e settimanali e durata del congedo retribuito, garantendo in tal modo la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori”.

10. Direttiva, art. 4, punto 3: “[…] g) la durata e le condizioni del periodo di prova, se previsto;
h) il diritto alla formazione erogata dal datore di lavoro, se previsto;
i) la durata del congedo retribuito cui ha diritto il lavoratore o, se ciò non può essere indicato all’atto dell’informazione, le modalità  di attribuzione e di determinazione di tale congedo;
j) la procedura, compresi i requisiti di forma e la durata dei periodi di preavviso, che deve essere seguita dal datore di lavoro e dal lavoratore in caso di cessazione del rapporto di lavoro o, nell’impossibilità di indicare la durata dei periodi di preavviso all’atto dell’informazione, le modalità di determinazione di detti periodi;
k) la retribuzione, compresi l’importo di base iniziale, ogni altro elemento costitutivo, se del caso, indicati separatamente, e la periodicità e le modalità di pagamento della retribuzione cui ha diritto il lavoratore;
l) se l’organizzazione del lavoro è interamente o in gran parte prevedibile, la durata normale della giornata o della settimana di lavoro del lavoratore nonché eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione
e, se del caso, eventuali condizioni relative ai cambi di turno;
[…] o) ove la responsabilità incomba al datore di lavoro, l’identità delle istituzioni di sicurezza sociale che ricevono i contributi sociali collegati al rapporto di lavoro e qualunque forma di protezione in materia di sicurezza sociale fornita dal datore di lavoro.”

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IL RICONOSCIMENTO GIURIDICO E LAVORATIVO DELLE C.D. “MALATTIE FEMMINILI”: un passo verso una concreta parità di genere*

Andrea Asnaghi – Consulente del lavoro in  Paderno Dugnano (Mi),  Luciana Mari e Roberta Simone, Consulenti del lavoro in Milano

 

E’ passato l’ennesimo 8 marzo, ricco di avvenimenti, celebrazioni, riflessioni. Che certo non possono che far bene per l’obiettivo di un pieno accoglimento delle istanze antidiscriminatorie e di integrazione che riguardano, fra le tante discriminazioni, anche l’universo femminile, nel mondo del lavoro e non. Quello che vorremmo qui considerare, come piccolo ed iniziale spunto ad una discussione, e forse come l’avvio verso qualcosa di più concreto, è un dato strisciante e poco considerato, che si innesta proprio in quelle che sono differenze di genere, ma che proprio in quanto non siano riconosciute nella loro peculiarità, come diversità da valutare e sostenere, finiscono per discriminare nel pratico, nelle scelte ed indirizzi di ogni giorno.

Parlare di malattie femminili è difficile, anche per chi ne viene colpita.

In primo luogo c’è una forma di riservatezza, in parte comprensibile, in parte legata a retaggi culturali; quando si parla delle “parti basse” si cerca sempre di parafrasare, è come qualcosa di cui si fa fatica spesso anche solo a pronunciare il nome. Pensate ad un vocabolo, ora meno usato, con cui si era soliti definire certe zone del corpo, le pudenda: non c’è bisogno di essere degli esperti latinisti per andare all’etimo (pudere) e comprendere che si sta parlando di qualcosa da trattare con discrezione, anzi di cui in fondo in fondo vergognarsi un po’. E quindi è con vergogna e reticenza che chi soffre di queste patologie ne parla.

La seconda cosa che fatica ad entrare nella mentalità – non solo maschile, intendiamoci – è che è estremamente riduttivo trattare e definire questi malanni come “disturbi”. Quasi fossero nient’altro che un prolungamento dei dolori mestruali, e allora perché tanta scena, in fondo è un fatto che colpisce tutte, non bisogna farne una tragedia solo “per un po’ di dolore in più”.

L’unione di queste due devastanti percezioni mancate della gravità del problema (unite al fatto che la specializzazione in queste patologie è rara e la diagnosi è spesso difficoltosa) crea una terza, ancor più devastante complicazione: la persona colpita e che soffre, si sente in colpa, racchiusa in un circolo vizioso da cui è impossibile uscire. Un po’ quello che accade con i disturbi di natura psicologica, spesso sottovalutati e trattati con i buoni consigli della nonna; e se tiriamo in ballo, non a caso, i disturbi psicologici, è perché soffrire di alcune di queste malattia spesso si accompagna, e non si vede come non potrebbe, a ricadute di natura psichica, innescando un ulteriore tragico circolo (“vedi che è colpa tua, devi essere più positiva, se non reagisci sarà peggio”, e tutto il campionario delle cose dette, magari anche con affetto e da chi ti sta vicino, che restringono ancora di più il cerchio del soffocamento, della solitudine e della incomprensione).

Dare un nome a queste malattie, e cominciare a parlane seriamente, è la prima forma di caduta del velo di Maya. E allora, senza pretendere di fare un elenco esaustivo o di offrire un piccolo trattato di medicina che sarebbe davvero ben lontano dalla nostra portata professionale (anzi chiediamo anticipatamente scusa per le eventuali ipersemplificazioni), possiamo parlare di endometriosi o di vulvodinia.

L’endometrio è sostanzialmente una tonaca mucosa che riveste internamente la cavità dell’utero; il suo ispessimento o il suo sfaldamento (l’endometriosi, appunto) crea, insieme a dolori lancinanti nella zona addominale, il possibile e spesso pericoloso interessamento di altri organi adiacenti, nel qual caso è talvolta necessario intervenire chirurgicamente con uno o più interventi per la rimozione delle schegge impazzite di questo tessuto, che può portare gravi conseguenze. Chi ne è colpita in modo serio, quando va bene (cioè quando non subentrano le complicazioni suddette) è comunque interessata da forti dolori, abbastanza continui e non direttamente coincidenti con il periodo mestruale, in cui possono a volte intensificarsi. Si stima che soffrano di endometriosi in Italia circa tre milioni di donne, e che sul lavoro si parla di una media di 5/6 giornate lavorative perse al mese. Una certa attenzione è stata data includendo questa patologia nei LEA, i livelli essenziali di assistenza, ma si nota ancora un certo ritardo nel riconoscerne il potenziale invalidante.

La vulvodinia è ancor più rara e sconosciuta, ma interessa anch’essa un numero sempre crescente di pazienti (si calcola sfiori il mezzo milione in Italia, comprese le diagnosi sbagliate o incerte). Le cause della vulvodinia non sono ancora note, c’è chi la lega a fattori biologici, psicologici o relazionali. Tale patologia, chiamata anche vestibolite vulvare, determina un incremento esponenziale del volume e del numero di terminazioni nervose dolorifiche nella zona vulvare, manifestandosi all’inizio quasi come una normale infiammazione, ma con un dolore continuo e pressante che finisce per trasferirsi a livello di tutto il sistema nervoso. Dolore per cui esistono ad oggi solo terapie palliative e sintomatiche, senza una cura.

Come non citare a questo punto, anche una terza patologia, la fibromialgia, che ha diversi apparentamenti (si calcola infatti che oltre il 90% dei colpiti da fibromialgia siano donne) con le malattie precedenti, di cui talvolta è una spiacevole conseguenza (nei fatti, ma senza ad oggi alcun collegamento causale), che viene classificata, in mancanza di meglio, come una malattia reumatica. Il termine “fibromialgia” dall’etimo greco composto sta a significare appunto dolore dei muscoli e delle strutture connettivali fibrose (legamenti e tendini).

Le cause precise dell’insorgenza di questa sindrome cronica dolorosa sono poco note, ma normalmente i sintomi solitamente iniziano a manifestarsi dopo traumi fisici, infezioni o forti stress psicologici (ecco il possibile collegamento con la vulvodinia e con l’endometriosi).

Della fibromialgia si conoscono bene solo i sintomi, ad oggi il principale mezzo diagnostico: un dolore diffuso in tutto il corpo, vissuto come una sensazione di contrattura, rigidità e bruciore, e l’astenia, cioè una stanchezza

cronica, una debolezza generale con riduzione della forza muscolare. La pesantezza di tali sintomi può portare a volte a paralizzare completamente le attività sociali di chi ne è colpito in forma grave. Anche in questo caso le cure sono solo sintomatiche o palliative. Ma perché parlare di queste malattie in questo consesso lavoristico? Perché i risvolti di tali patologie nell’accesso e nel mantenimento al lavoro risultano evidenti.

Consideriamo la questione da un’altra angolazione. Il 20 dicembre 2021, il Parlamento ha approvato all’unanimità la Legge n. 227/2021, una delega al Governo in materia di disabilità (una delle riforme previste dalla Missione 5 “Inclusione e Coesione” del PNRR) per adottare, entro 20 mesi, uno o più decreti legislativi per la revisione ed il riordino delle disposizioni vigenti in materia di disabilità, partendo dalla  definizione di disabilità delle Nazioni Unite.
“Per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva
partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri.”
Fra gli altri scopi della norma da approvare vi è anche l’elaborazione di un “progetto di vita personalizzato” che consenta alla persona con disabilità, fra le altre cose necessarie, il superamento delle condizioni di emarginazione nei diversi contesti sociali di riferimento, inclusi quelli lavorativi e scolastici.
Nell’ambito dell’accesso al lavoro, la nostra Legge n. 68/99 – con cui la legge delega dovrà in qualche modo  correlarsi – favorisce “la promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel
mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato”. Spesso si pensa alla disabilità solo come qualcosa di visibile, di concreto: ed è proprio questo il dramma delle patologie in argomento,  che costituiscono sicuramente una pesante barriera sociale, ma che sono striscianti, poco visibili, anche se terribilmente incidenti sulla
vita di molte donne.

Noi ovviamente ci auguriamo primariamente che per tutte le patologie invalidanti, fra cui quelle sopra descritte, come per le altre che sarebbe impossibile qui continuare a menzionare, si trovino presto cure efficaci e
risolutive e comunque livelli di assistenza sanitaria adeguati.
Ma non possiamo non pensare che il riconoscimento del grado invalidante di queste malattie sia indispensabile  per favorire un inserimento mirato ed attento nella vita sociale e lavorativa delle molte donne che ne sono colpite, con conseguenze umane e psicologiche spesso anche devastanti, con tutti gli strumenti che tale riconoscimento metterebbe a disposizione.
Come Centro Studi e Ricerche dei Consulenti del lavoro di Milano, insieme con la neocostituita Fondazione dei Consulenti del Lavoro di Milano, abbiamo intenzione di sollevare e tenere alta l’attenzione su questi problemi e di dare vita ad una campagna di ricerca e sensibilizzazione volta a favorire, attraverso ogni riconoscimento giuridico, ma anche attraverso forme di welfare e di contrattazione collettiva, il massimo sostegno a chi è colpito da queste patologie, mantenendo nel contempo un’attenzione a 360 gradi su tutte queste tematiche, ovviamente anche a prescindere dalla questione di genere.

 

 

* Pubblicato su LavoriDirittiEuropa, 1/2022.

 

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DISPARITÀ DI GENERE: quello che le donne non dicono

Roberta Simone Consulente del lavoro in Milano

 

E’ da poco passata la Festa della Donna, 8  marzo, giorno nel quale i nostri smartphones si riempiono di messaggi augurali, le case e gli uffici si colorano di fiori gialli, gli angoli delle strade si popolano di venditori di mimose pagate a peso d’oro, àncora di salvezza per i soliti smemorati bisognosi di rimediare all’ultimo minuto.

Ovunque sorrisi di circostanza, uomini che porgono i propri auguri, donne più o meno felici di riceverli.

Tutto procede normalmente, come ogni anno. Ma questo è un anno diverso dagli altri, perché in realtà è accaduto qualcosa di sconvolgente.

Nel mese di gennaio, i massmedia riportano una notizia drammatica. Una donna, una libera professionista al nono mese di gravidanza, prende una decisione drastica e sentendosi oppressa dagli impegni di lavoro, forse anche della vita in generale, compie un gesto drammatico proprio il giorno prima del suo trentasettesimo compleanno, e pone fine alla sua vita. Prima di compiere quel gesto estremo, prepara dei promemoria per i suoi colleghi con diversi appunti e l’elenco degli adempimenti da ultimare per i clienti.

Di questa vicenda colpisce soprattutto l’etica e il senso del dovere di questa professionista che, sopraffatta dal dolore, non ha comunque potuto tralasciare di prendersi cura dei suoi clienti, ultimo gesto di abnegazione e passione per una professione che già l’aveva stretta nelle sue spire. Da quel momento, prima lo sgomento e il cordoglio, poi i social si riempiono di commenti di altre donne libere professioniste e tra queste molte si rivelano, aprono il proprio cuore e raccontano le loro storie, spesso in forma anonima, confessando di essersi sentite spesso sopraffatte dalla mole di lavoro e di essersi dovute piegare all’inevitabile e dover scegliere tra carriera e impegni di vita, di famiglia, di salute. Ecco allora che la storia di quella libera professionista diventa la storia di tutte, delle donne che hanno il coraggio di svelarsi e anche di quelle che restano in silenzio. Come è possibile che una donna possa sentirsi così sola da non vedere altra via d’uscita alla propria disperazione? Come è possibile che ancora oggi sia così complesso e conflittuale il rapporto delle donne nel mondo del lavoro e nella società in generale?

LA “QUESTIONE” FEMMINILE

Tutte le donne conoscono la faccia nascosta della Luna, quel mondo tanto evidente quanto sconosciuto, fatto di piccoli sgarbi e di grandi difficoltà, quella parte di mondo che molti uomini ancora ignorano, sempre meno per fortuna, e che tante donne vivono come una triste quotidianità.

Tutto inizia in famiglia, nucleo sociale che prima di tutti insegna la “giusta” collocazione femminile lì e nel mondo, nell’accezione più o meno marcatamente autoritaria, retrograda, discriminante, in funzione di epoca, territorio e caratteristiche del genitore, più o meno illuminato o illuminante. Il condizionamento involontario inizia dall’assenza di giochi tecnici o scientifici, perché una femmina non può dedicarsi a tali discipline o addirittura appassionarsi. No. Il mondo delle piccole donne è lontano da costruzioni, veicoli, esperimenti: è dedicato a bambole da accudire, pappe da preparare, carrelli della spesa da riempire, formine e finti fornelli, giocattoli per le faccende domestiche. Non a caso le discipline STEM (acronimo di Science, Technology, Engineering e Mathematics) vedono ad oggi un’incidenza femminile piuttosto deludente, mediamente inferiore al 20%, come confermato da diversi studi1

L’impiego delle donne nei settori tecnologici è quasi ancillare e benché la collocazione lavorativa avvenga anche in tempi brevi grazie ai brillanti risultati accademici, l’avanzamento di carriera è lento, se non impossibile, e il ristagno è a livelli retributivi inferiori a quelli degli uomini, a parità di anzianità lavorativa, contenuto delle mansioni e competenze effettive.

Un copione che si ripete un po’ ovunque. Così è del tutto normale che perfino in ambiti in cui lo stereotipo di genere dovrebbe manifestarsi in tutto il suo “splendore” e registra effettivamente una presenza femminile in percentuali assolutamente importanti (cura della persona, sanità e istruzione, solo per citarne alcuni) ricadiamo nel tranello, perché i ruoli apicali sono assegnati maggiormente al sesso maschile e anche ai livelli inferiori si registra un divario retributivo piuttosto evidente. Durante la pandemia la disparità di genere si è ulteriormente amplificata2. La convivenza familiare forzata e la chiusura di asili e scuole hanno innescato circuiti pericolosi che hanno incrementato l’impegno delle donne nel nucleo familiare: gestione della casa e della famiglia sono rimaste a carico della moglie-madre, anche laddove le incombenze lavorative risultino paritarie con il marito-padre. Di nuovo il meccanismo dell’infanzia si ripete: sarai anche brava, sarai anche una professionista capace, ma sempre “bambole da accudire, pappe da preparare, carrelli della spesa da riempire, formine e finti fornelli, giocattoli per le faccende domestiche”. A tutto ciò si aggiungono le responsabilità della cura e del sostegno nei confronti di familiari e affini che versano in condizioni di fragilità. Poco importa la presenza o assenza del cosiddetto vincolo di sangue, ciò che conta è che normalmente è la donna che si prende carico della loro assistenza ed è a lei che si chiede il passo indietro dal ruolo di lavoratrice a quello di caregiver familiare. Non può che tornare alla mente il suicidio della donna torinese di pochi mesi fa.

È un problema di attività professionale tout court che colpisce egualmente uomini e donne? O il lavoro, sia esso autonomo che dipendente, è (solo) un ulteriore pezzo della scacchiera femminile, stracolmo di impegni professionali, familiari e casalinghi? Vi sono professioni nelle quali lo stress e l’impegno in termini di ore è un connotato tipico: molte ore di lavoro, orari che mal si conciliano con la vita privata e sociale, stanchezza fisica o mentale, ma è indubbio che a parità di tipologia di lavoro vi è una asimmetria nella fase domestica che ne segue, e da qui è evidente che le donne non finiscono mai di lavorare.

TENTATIVI PRESSAPOCHISTI PER ARGINARE IL DIVARIO

Negli ultimi decenni, le istituzioni hanno introdotto meccanismi di tutela del lavoro femminile e della maternità, pietre miliari nel nostro ordinamento giuridico ma che, non collocati in un quadro socio-giuridico più ampio e lungimirante, hanno acuito il divario tra lavoratori e lavoratrici in favore dei primi, scevri per natura da certe incombenze biologiche, e a discapito delle seconde, ree di aver la “brutta abitudine” di volersi riprodurre. Un rimedio successivo è stato l’inserimento del congedo parentale in luogo della maternità facoltativa, un tempo a solo appannaggio delle mamme e ora esteso anche ai padri, e l’introduzione e successiva cristallizzazione del congedo obbligatorio per i papà che da quest’anno è stato innalzato a dieci giorni. Ma anche questi interventi, seppur lodevoli, mal si coniugano con la realtà. Benché in timida crescita negli anni, il congedo parentale è scarsamente richiesto e i giorni di congedo obbligatorio diventano quasi un vincolo noioso e pedante, un’imposizione perfino per il destinatario della misura.

Nondimeno altri tentativi, buoni nelle intenzioni, si stanno rivelando pessimi nei risultati. Ne sono un esempio evidente le quote rosa, tese a innescare forzatamente una proporzione di genere nei ruoli apicali. In questo modo si sono verificati imbarazzanti situazioni, nelle quali per far fronte alle percentuali imposte dal Legislatore sono state designate donne che, per dirla con un elegante giro di parole, mal si rappresentano in quel contesto e in quelle funzioni. Le competenze devono essere premiate non per il nome di chi le possiede, né per il loro appartenere all’uno o all’altro sesso, a questa o a quell’altra etnia, né per un’imposizione legale, ma devono essere riconosciute per la storia professionale del soggetto, per quel che sa fare e per come lo sa fare, nonché per l’etica e il rispetto che riserva al prossimo.

LA NECESSITÀ DI UN CAMBIO INDIVIDUALE E CULTURALE

La disparità di genere è un problema complesso e articolato, il cui approfondimento non può prescindere da profonde analisi sociologiche che risultano ben lungi dalla breve disamina di questo articolo, relegando la finalità di quest’ultimo allo stimolo di una riflessione comune.

Bisogna agire su più fronti, simultaneamente ed in modo efficace.

La cultura e la scolarizzazione sono il futuro di qualsiasi Paese e purtroppo negli ultimi anni abbiamo assistito impotenti e rassegnati al loro lento declino. È necessario rivedere criticamente il contenuto e le modalità di erogazione dell’istruzione scolastica, creando già in tenera età percorsi di avvicinamento alle materie scientifiche e a mestieri e professioni, altrimenti non stupiamoci se i modelli di riferimento restano veline, calciatori e influencers. La rimozione delle disparità passa anche da un diverso sostegno alla maternità e alla cura dei figli che può trovare concretezza nel rafforzamento delle istituzioni a sostegno dell’infanzia, con una maggior flessibilità degli orari di asili e delle scuole così da renderli compatibili con le attività lavorative dei genitori. Prendendo spunto da esempi virtuosi di paesi nord-europei, andrebbe considerata l’introduzione della figura della Tagesmutter, persona dotata di competenze e formazione specifica professionale, che presso il proprio domicilio si dedica della cura e educazione di piccoli gruppi di bambini, in genere massimo cinque. Altri ambiti su cui agire sono l’erogazione di incentivi per il mantenimento di rapporti di lavoro al rientro dalla maternità, il sostegno alle forme di lavoro flessibile, la creazione di soggiorni e campi estivi per i figli, il rafforzamento delle cure domiciliari rivolte a soggetti fragili e luoghi di aggregazione e di cura economicamente accessibili. Queste sono alcune proposte per attribuire la responsabilità della cura della famiglia a soggetti diversi, così che le donne possano dedicarvisi per scelta e non più per costrizione. Ma non può essere sufficiente. Il superamento delle discriminazioni di genere necessita di un nostro percorso di crescita individuale. Dobbiamo coltivare collaborazioni genuine e sincere tra di noi, a partire dai più ristretti nuclei lavorativi, superando l’eventuale incapacità di lavorare in gruppo, spesso manifestata nella smania di protagonismo e da rivalità inutili; superate queste criticità sappiamo lavorare insieme e sappiamo farlo bene, creando sinergie e collaborazioni incredibili. Abbandoniamo l’approccio autoritario in favore dell’autorevolezza, smettiamo di approcciarci al lavoro facendo nostri i comportamenti peggiori di alcuni uomini di cui potremmo diventare la loro peggiore imitazione.

La nostra competenza non ha bisogno di essere ostentata, smettiamo di sentirci in competizione perché le nostre capacità non hanno bisogno di essere poste in discussione, in primis da noi stesse.

Infine, ai colleghi, amici, padri, mariti, cosa possiamo chiedere?

Un ulteriore passo avanti nella nostra direzione, che implica approcciarsi al mondo del lavoro guardandolo anche con i nostri occhi, prendendo atto delle nostre peculiarità e ammettendo che anche voi ne avete delle vostre, anch’esse più o meno apprezzabili, per comprendere infine che si può convivere e lavorare insieme se si superano le prese di posizione infruttuose e i pregiudizi reciproci.

 

1. Tra i principali studi in materia: UNESCO (giugno 2019), SCO (2018), Telling SAGA: improving measurement and poliWomen in science, Fact Sheet no. 55, FS/2019/SCI/55; UNE- cies for gender equality in science, technology and innovation.

2. MEF (2021), Bilancio di genere per l’anno finanziario 2020.

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