Le novità in campo previdenziale per il 2019…e oltre

di Mario Verità – Consulente previdenziale

 

Un paio di mesi fa da queste colonne avevamo cercato di intuire dove e come sarebbe stato modificato l’impianto previdenziale costruito in tanti anni di continui ritocchi.
Le promesse (elettorali) parlavano di accantonamento delle Legge Fornero e di restaurazione di un regime pensionistico più  mite in termini di età di pensionamento e di requisiti di accesso. Era parso immediatamente chiaro agli addetti ai lavori che per eliminare la L. n. 214/2011 sarebbe stato necessario scriverne una nuova che sostituisse la logica e l’impostazione strategica di quella basata sulla crescita dell’età pensionabile e dell’anzianità contributiva legate all’aspettativa di vita. Con molta fatica siamo arrivati al dunque – con la pubblicazione in G.U. del Decreto  legge 28 gennaio 2019 n. 4 -, al varo ufficiale della norma che dovrà successivamente essere integrata dai regolamenti e anche attraverso le circolari dell’Inps. Basandosi sulla lettura del decreto summenzionato si può ritenere che“quota 100” avrà le seguenti caratteristiche:
•Limitatezza del provvedimento fino al 31/12/2021 così da farlo ricadere fra le misure sperimentali per le quali ci sarà una fine “naturale” salvo proroghe successive.
•Per accedervi saranno necessari contemporaneamente il requisito di 38 anni di anzianità contributiva e 62 anni di età anagrafica. I contributi utili sono quelli di una “normale” pensione anticipata e resta valida anche la formula del cumulo purché sia interno al sistema Inps. Andando per esclusione, al concorrere dei 38 anni non possono essere sommate le anzianità contributive maturate nelle casse professionali, mentre dovrebbero poter essere utili i periodi di lavoro all’estero in paesi convenzionati.
•Ci sarà un differimento del pagamento di 3 mesi dalla data di maturazione del diritto, quindi la liquidazione della prestazione avverrà il primo giorno del quarto mese successivo al raggiungimento del traguardo. Entrando in vigore la norma, retroattivamente dal primo gennaio 2019 significa che, tutti coloro che hanno maturato i requisiti di accesso alla pensione prima del 31/12/2018, potranno vedere liquidata la pensione dal 1° aprile 2019. Coloro che li matureranno in gennaio potranno essere pensionati da maggio e così via, fino al 1° aprile 2022 data di liquidazione per coloro che avranno raggiunto il requisito entro il 31/12/2021.
•Non sarà possibile svolgere alcuna attività lavorativa a partire dal primo giorno di pensionamento. Questa limitazione siamo certi sarà quella oggetto del maggior numero di richieste di interpretazione: cosa significa che sarà vietato svolgere attività?
Quale sarà la discriminante? La tipologia di reddito? E un’attività che non produce redditi? E la partecipazione a società di capitali? E quale sarà il limite entro il quale potrà essere giudicata attività lavorativa quella svolta all’interno di un’impresa famigliare in cui figurano parenti e affini?
•Non ci sarà alcuna penalizzazione; il calcolo dell’assegno seguirà le regole stabilite dalla propria storia contributiva e verrà effettuato considerando i contributi versati fino al giorno della domanda. L’eventuale penalizzazione di cui molti hanno parlato non è altro che la differenza fra un risultato virtuale che è la pensione calcolata alla sua scadenza naturale (anticipata o di vecchiaia) e quella effettivamente percepita optando per “quota 100”. Certamente l’insieme di contributi in meno versati (quelli che avrebbero potuto essere versati continuando a lavorare), un coefficiente di trasformazione legato all’età più basso poiché vi accedo prima (e statisticamente la pensione mi viene erogata per un periodo più lungo) e una rivalutazione dei contributi che si ferma prima, mi conduce ad un virtuale assegno meno cospicuo.
Il dilemma di molti sarà se e quando prendere questa occasione che ribadiamo resterà possibile anche dopo il 2021, a patto che il diritto maturi entro la fine di questo triennio. Sorgono però naturali delle domande…siamo sicuri che il divieto di cumulo reddito + pensione sia definitivo e vincolante? E se io volessi ad un certo punto rinunciare alla mia pensione “quota 100”, potrebbe essermi impedito, ovvero, quale sarebbero le conseguenze di un ritorno all’attività (sanzione amministrativa, restituzione delle quote già pagate…)? La previdenza pubblica non è di certo la porta girevole di un albergo da cui si possa entrare ed uscire a proprio piacimento, ma porre un’ipoteca così importante su un periodo di vita di 5/6 anni porta a fare delle riflessioni approfondite: dall’enunciato pare che un soggetto nato nel gennaio del 1957 che il 31 gennaio 2019 compie 62 anni ed ha i 38 anni di contributi si trova di fronte ad un bivio. Accetto “quota 100” e mi impedisco qualsiasi velleità produttiva per 5 anni e 3 mesi fino alla maturazione dell’età della vecchiaia prevista in questo caso a 67 anni e 4 mesi? Oppure provo a continuare per raggiungere i 42 anni e 10 mesi (età della pensione anticipata secondo la Legge Fornero) lavorando fino alla fine del 2023? Naturalmente sarà utile avere un confronto di dati in ognuna delle opzioni che abbiamo di fronte e poi, come sempre, la scelta dipenderà soprattutto da fattori extracontabili.

Nel decreto abbiamo anche una novità molto importante nel medio periodo che sta nella modifica dell’articolo della Legge n. 214/2011 che legava la pensione anticipata all’aumento dell’aspettativa di vita: ebbene il traguardo dei 42 anni e 10 mesi per gli uomini e di 41 anni e 10 mesi per le donne rappresentano i nuovi limiti per l’ottenimento della pensione indipendentemente dall’età anagrafica. Insomma, rappresenteranno per il futuro (fino a nuovo ordine) ciò che erano fino al 2011 i 40 anni. Quindi gli uomini dovranno raggiungere 2227 settimane di lavoro, le donne 2175 per ottenere la pensione anticipata (salvo eccezioni legate alla precocità).
Viene però mantenuto l’aumento dell’età anagrafica per le pensioni di vecchiaia che per il 2019 verranno pagate al compimento del 67mo anno di età per poi crescere ogni biennio.
Un’ultima menzione, sempre per proseguire quanto scritto a dicembre in questa Rivista, va all’“opzione donna”: è confermata la possibilità di accesso al pensionamento per le lavoratrici del comparto privato nate fino al 31/12/1960 con 35 anni di contributi maturati entro il 31/12/2018 (1820 settimane) e per le lavoratrici nate entro il 31/12/1959 che per raggiungere il requisito contributivo dovranno far valere almeno una settimana come lavoratrici autonome.
L’erogazione della prestazione avverrà dopo 12 mesi per le lavoratrici del comparto privato e di 18 mesi per le autonome. Ricordiamo che il calcolo sarà integralmente contributivo e che, anche in questo caso, lo svantaggio sarà ancora più virtuale  poiché una donna nata a dicembre del 1960 che a dicembre 2018 vanta 35 anni di contributi avrebbe la possibilità di ottenere la pensione a gennaio 2020 con “opzione donna”, oppure, continuando a lavorare, a novembre 2024 con la Legge Fornero (41 anni e 10 mesi di contribuzione). Quasi 6 anni di calendario e 62 mesi di pensione prima…
Il decreto contiene anche indicazioni sulle regole per il riscatto di laurea che affronteremo in un prossimo futuro approfondendo tutte le problematiche legate alla specifica materia riscatto.

 

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“Quota 100” fra opportunità e dubbi applicativi

di Mario Verità – Consulente previdenziale

 

In attesa dell’approvazione della Legge di Stabilità per il 2019, si moltiplicano le ipotesi che riguardano la tanto attesa “riforma” delle pensioni.

Senza entrare nel merito politico e tecnico delle modifiche che sono state annunciate, cerchiamo di ragionare sulle eccezioni che verranno apportate alla attuale normativa.

Saranno modifiche ed eccezioni, poiché l’intelaiatura della legge n. 214/2011 (la cosiddetta Fornero) verrà mantenuta e dovrebbero essere introdotte alcune correzioni alla regola (la Fornero appunto) che faciliteranno l’uscita per determinate categorie di lavoratori.

Il ripristino del sistema delle quote

Quello di quota 100 è il provvedimento forse più chiacchierato anche perché potrebbe portare una popolazione di diverse decine di migliaia di soggetti ad una possibilità di pensionamento inaspettata. Cancellato dalla riforma Fornero, questo sistema per l’accesso alla pensione anticipata fino al 2011 permetteva di accedere al trattamento di anzianità a patto che la somma di età anagrafica e anzianità contributiva desse la quota in vigore in quell’anno; anche in quel momento dovevano necessariamente e contemporaneamente verificarsi un’età minima e un’anzianità utile. Pare che dal 2019 i due numeri magici siano 62 (anni) e 38 (contributi).

Ritornando a quanto in vigore fino al 2011 aggiungiamo che:

  • Dal raggiungimento del diritto al pagamento dell’assegno era necessario attendere la finestra di scorrimento (il pagamento era posticipato di un anno)
  • La quota valeva solo per i lavoratori che sommavano la contribuzione nella gestione ordinaria (con differenziazione fra dipendenti e autonomi)
  • Era necessario avere almeno 35 anni di contributi da lavoro, con esclusione quindi di quelli figurativi
  • Non erano compresi i contribuenti che oggi possono avvalersi del cumulo.

Indubbiamente la strada è tracciata, vedremo se, in sede di approvazione della legge e di scrittura delle circolari attuative qualche piccolo ostacolo all’applicazione pura e semplice della quota verrà posto.

Sulla eventuale penalizzazione sappiamo per certo che una sarà “naturale”: diversi anni di contributi non versati e un coefficiente di trasformazione legato all’età più basso (poiché la pensione verrà pagata per più anni) daranno come risultato una pensione più magra rispetto all’atteso.

Opzione donna

Altro argomento caldo e che avrebbe un impatto decisamente importante sulla popolazione in uscita è l’eventuale ripristino della cosiddetta “opzione donna”.

Anche per questa fattispecie ci rifacciamo alla precedente applicazione che si è fermata al 2015. In pratica tutte le donne che avessero compiuto – al 31/12/2015 – 57 anni (+3 mesi per effetto dell’aumento dell’aspettativa di vita) e che avessero anzianità contributiva pari ad almeno 35 anni da lavoro con esclusione quindi di alcune fattispecie di figurativi, accedevano, su domanda, al trattamento pensionistico.

In questo caso, così come per la quota 100, la convenienza di uscita è da valutare caso per caso: di quanto il calcolo contributivo penalizza il pensionando? Ma di quanti anni si avvantaggia lo stesso? E sopratutto non è possibile generalizzare il calcolo del gap che dipende dalle retribuzioni, dal loro andamento, dai periodi di contribuzione ecc.

Tagli alle pensioni d’oro

Questo argomento è ancor più insidioso dei precedenti. Teoricamente è anche quello di più facile attuazione perché si parla di togliere qualcosa. Il punto cruciale è come…fra le ipotesi c’è il blocco degli adeguamenti al costo della vita, ma sappiamo che già qualche anno fa l’Inps aveva dovuto restituire il mancato aumento degli assegni ricalcolando quanto non era stato versato per effetto del blocco voluto dal governo Monti. È da escludere un aumento dell’aliquota Irpef perché sarebbe da applicarsi anche ai redditi delle persone fisiche in genere.

Potrebbe essere che sia un nuovo contributo di solidarietà…anche se la via più equa, a mio parere, sarebbe quella di applicare questo ulteriore contributo alla differenza che si è generata tra il calcolo misto e il calcolo interamente contributivo. Ma sarebbe piuttosto complicato e richiederebbe un ricalcolo di tutte le pensioni in pagamento o quasi.

 

 

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