Comunicazione telematica di dimissioni versus comunicazione ordinaria: quando decorre il preavviso?

di Alberto Borella – Consulente del Lavoro in Chiavenna

 

Anche Facebook e i gruppi di discussione che vengono creati al suo interno possono essere fonte di ispirazione per i nostri articoli. Una problematica ricorrente, che riguarda la gestione del preavviso in funzione della comunicazione telematica di dimissioni, diventa così il pretesto per chiarire modalità e particolarità dell’istituto.

La diatriba da cui vogliamo partire riguarda il caso di un’eventuale preventiva comunicazione predisposta dal lavoratore ai soli fini della decorrenza del preavviso, posticipando ad altro momento l’invio della comunicazione telematica delle dimissioni. A questa manifestazione di volontà può essere riconosciuta la caratteristica di atto unilaterale ricettizio oppure i suoi effetti dipendono da un accordo con il datore di lavoro?

Le dimissioni telematiche 

La risposta alla domanda non può che partire dall’analisi della disciplina delle “Dimissioni volontarie e risoluzione consensuale” prevista dall’art. 26, co. 1, del D.lgs. n. 151/2015 (c.d. Decreto Semplificazioni) che così dispone:

Al di fuori delle ipotesi di cui all’articolo 55, comma 4, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sono fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso il sito www.lavoro.gov.it e trasmessi al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente con le modalità individuate con il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di cui al comma 3.

La volontà del legislatore appare chiara in quanto la procedura di dimissioni e di risoluzione consensuale assurge a forma tipica, che quindi non può essere derogata da altre e diverse modalità comunicative fino ad oggi utilizzate.

In parole povere il lavoratore, a differenza di quanto previsto dal sistema della “convalida” contenuto nella c.d. Riforma Fornero (che prevedeva la presentazione delle dimissioni in modalità cartacea procedendo successivamente alla loro ratifica), dovrà utilizzare questa specifica procedura comunicativa, per la quale dovrà seguire necessariamente il canale telematico, essendo l’unica modalità ammessa pena l’inefficacia delle dimissioni stesse.

L’accesso alla predetta procedura quale modalità legale di esternazione della volontà è confermata chiaramente anche nelle FAQ ministeriali:

20. Il modulo telematico ha la funzione di convalidare delle dimissioni già presentate con altra forma o quella di comunicare la volontà di dimettersi?

Il modello telematico non ha la funzione di convalidare dimissioni rese in altra forma bensì introduce la “forma tipica” delle stesse che per essere efficaci devono essere presentate secondo le modalità introdotte dall’articolo 26 del Decreto Legislativo n. 151/2015.

In questo contesto come vedremo si inserisce la problematica in argomento ovvero in quali termini un’eventuale comunicazione del lavoratore della volontà di dimettersi – in modalità cartacea e preventiva rispetto quella telematica – esplichi i suoi effetti sugli obblighi di preavviso.

La tesi della autonoma rilevanza del preavviso

La tesi da cui prende spunto la nostra disamina è quella che considera la nuova normativa riguardante esclusivamente la modalità legali di formalizzazione della decisione di porre fine al rapporto di lavoro. Rimarrebbero invece in vigore gli effetti ricettizi di una diversa comunicazione relativa il rispetto del preavviso previsto contrattualmente il quale, quindi, inizierebbe a decorrere immediatamente a prescindere dall’aver seguito o meno la nuova procedura telematica. Seguendo questa impostazione il datore di lavoro si vedrebbe costretto, in funzione della mera intenzione del lavoratore di comunicare (in un prossimo futuro) le proprie dimissioni nelle forme di legge, a considerare da subito decorrenti gli effetti del preavviso, senza nulla poter eccepire in merito.

Una tesi che taluni vedrebbero confermata dalla stessa prassi che, ritengono, avrebbe riconosciuto come la data di cessazione indicata sul modulo telematico sia aspetto irrilevante e secondario (ma vedremo che non è vero) sulla scorta della facoltà riconosciuta alle parti di rettificare tale termine senza che sia necessario provvedere all’invio di ulteriore comunicazione telematica1.

Al contrario è proprio nelle FAQ – strumento che in verità chi scrive non ama particolarmente – che si ritiene venire smentita la tesi sopra riportata.

22. Nell’ipotesi in cui il lavoratore e il datore di lavoro si accordino per modificare il periodo di preavviso, spostando quindi la data di decorrenza indicata nel modello telematico, come si può comunicare la nuova data se sono trascorsi i 7 giorni utili per revocare le dimissioni e variare la data di cessazione?

Come indicato nella circolare n. 12/2016, la procedura online non incide sulle disposizioni relative al preavviso lasciando quindi alle parti la libertà di raggiungere degli accordi modificativi che spostino la data di decorrenza delle dimissioni o della risoluzione consensuale. Sarà cura del datore di lavoro indicare l’effettiva data di cessazione nel momento di invio della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro, senza che il lavoratore revochi le dimissioni trasmesse telematicamente.

La possibilità di un accordo sul periodo di preavviso non significa che lo stesso non sia “gestito” dalla comunicazione telematica; anzi è proprio la prevista “libertà di raggiungere degli accordi modificativi che spostino la data di decorrenza delle dimissioni o della risoluzione consensuale” a presupporre che la comunicazione telematica contenga implicitamente le decisioni del lavoratore in merito alla data di decorrenza del preavviso da cui conseguentemente ricavare la volontà o meno di rispettarlo.

Se così non fosse il lavoratore sarebbe sempre costretto ad una duplice comunicazione per gestire le proprie dimissioni: una telematica ai fini dell’espressione della volontà e un’altra cartacea (contestuale o meno) per la decorrenza dei termini di preavviso.

Chiarito ciò, semplificando possiamo dire che se il lavoratore ha indicato sul modulo telematico la data del 31 dicembre, quella data (rectius: il giorno prima) sarà l’ultimo giorno di lavoro e pertanto:

– se questa data cadrà antecedentemente alla scadenza teorica del periodo di preavviso previsto dal Ccnl si considererà, implicitamente, la volontà di lavorare solo in parte il preavviso e il datore di lavoro sarà autorizzato a trattenere pro quota l’indennità sostituita e il lavoratore, salvo accordi con il datore di lavoro, non potrà avanzare pretesa di completare il periodo al quale si intende abbia rinunciato;

– se la data cadrà oltre il termine minimo del periodo di preavviso significherà che il lavoratore ha individuato quella data come ultimo giorno di lavoro (anticipando la sua volontà al datore di lavoro magari solo per una questione di correttezza nei confronti di costui) e su quella data l’azienda potrà fare affidamento per tutti gli aspetti normativi e organizzativi.

L’errore di data nel modulo telematico

Le conclusioni sopra riportare trovano del resto conferma anche in una successiva FAQ:

23. Se la data di decorrenza è stata inserita dal lavoratore calcolando erroneamente il preavviso e sono trascorsi i 7 giorni utili per revocare le dimissioni, come può essere comunicata la data di cessazione esatta?

La procedura telematica introdotta dall’articolo 26 del D.lgs.151/2015 e dal DM del 15 dicembre 2015 interviene sulle modalità di manifestazione della volontà, la quale non viene inficiata da un eventuale errore di calcolo o di imputazione. In questa ipotesi, la Comunicazione obbligatoria di cessazione, da effettuare secondo le vigenti disposizioni normative, fornisce l’informazione esatta sull’effettiva estinzione del rapporto di lavoro.

Anche dalle indicazioni ministeriali si intuisce quindi come la comunicazione telematica dia piena contezza delle scelte del dimissionario circa l’eventuale periodo di preavviso lavorato proprio perché tale scelta – che è ovviamente a carico del lavoratore – può comportare un errore di calcolo o di imputazione.

Un eventuale errore che, comunque, rimane irrilevante per il datore di lavoro, salvo che possa essere considerato riconoscibile ai sensi dell’art. 1431 c.c. ovvero “quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo”.

A prescindere quindi da qualsiasi inesattezza, l’indicazione da parte del dimissionario della data di risoluzione del rapporto (dato peraltro obbligatorio) produrrà – quantomeno nell’immediato – il duplice effetto a valenza giuridica di porre fine al proprio rapporto di lavoro e di formalizzare la sua decisione di rispettare o meno i termini di preavviso previsti dal contratto.

In conclusione troviamo anche in questa FAQ un’ulteriore conferma di come le modalità di gestione del preavviso emergano implicitamente dal contenuto (la data indicata di fine rapporto) della comunicazione telematica, che racchiude in sé la rinuncia o la disponibilità a lavorarlo, interamente o parzialmente.

Tutto ciò, come detto, senza che sia necessario ricorrere ad altra specifica comunicazione.

La modifica della data di cessazione rapporto

In questo quadro un eventuale errore nell’indicazione della data di cessazione potrà essere gestito, in autonomia dal lavoratore, entro i 7 giorni successivi previsti per la revoca delle dimissioni mediante un escamotage ovvero annullando la comunicazione inviata e presentandone una nuova con data diversa.

Oltre tale termine la data potrà essere modificata solo ed esclusivamente tramite accordo con il proprio datore. E non potrebbe essere altrimenti perché riconoscendo al lavoratore il potere unilaterale di modificare la data di fine rapporto si giungerebbe a situazioni paradossali.

Si ipotizzi infatti l’indicazione della cessazione del contratto dopo una decina di giorni, pur a fronte di un periodo di preavviso di un paio di mesi. Se fosse riconosciuto un potere unilaterale al lavoratore di modificare la data di fine lavoro questi potrebbe, di dieci giorni in dieci giorni, posticipare la cessazione del rapporto di lavoro creando non pochi disagi all’organizzazione del datore di lavoro.

Analoga situazione dove si permettesse al lavoratore di modificare – anticipando la chiusura del proprio rapporto – una comunicazione che sia stata presentata con largo anticipo rispetto ai termini previsti dal Ccnl. In questo caso si ritiene che l’abbandono del lavoro prima della data segnalata autorizzerà il datore di lavoro a trattenere il preavviso nella misura della prestazione lavorativa non eseguita, considerando il teorico periodo di preavviso con un calcolo a ritroso dalla data di cessazione effettiva. Una diversa interpretazione permetterebbe a ciascun lavoratore di segnalare la cessazione del rapporto di lavoro con la data ad esempio del compimento dei 100 anni lasciandosi così aperta la possibilità di cessare il proprio rapporto ad nutum senza incappare in alcuna trattenuta per il mancato rispetto del preavviso.

L’accordo tra le parti per la gestione del preavviso

Ovviamente nulla vieta che le parti prevedano – a mezzo di un accordo ad hoc, anche preventivo – gli effetti di un futuro verificarsi dell’evento dimissioni e pertanto convengano tra loro che il periodo di preavviso abbia decorrenza dalla manifestazione delle dimissioni, anche prescindendo dalla presentazione cartacea di una lettera di dimissioni. Si tratterebbe quindi di un accordo e mai di una conseguenza automatica di un atto unilaterale del lavoratore.

Si ritiene peraltro che un accordo di questo tipo sia fortemente da sconsigliare in quanto un ripensamento del lavoratore – anche se è improprio parlare di ripensamento dato che la volontà di dimettersi è giuridicamente inesistente – potrebbe creare non pochi problemi all’azienda che avesse fatto affidamento sulla cessazione del rapporto.

Si ipotizzi un lavoratore con un periodo di preavviso di qualche mese con il quale si concordasse la decorrenza del preavviso senza una valida comunicazione telematica e proprio a fronte di questa programmata assenza (giuridicamente non certa ma solo prospettata dal lavoratore) il datore di lavoro si organizzasse e contattasse un sostituto, formalizzando con questi un impegno di assunzione a tempo determinato, il quale in funzione di questa promessa abbandonasse il suo posto di lavoro.

E magari che il lavoratore dimissionario, spinto a dimettersi perché allettato da altra proposta lavorativa, si rendesse conto che il cambio lavoro non è così allettante come credeva e rinunciasse a dimettersi.

In tali casi, salvo integrare l’accordo di gestione del preavviso con una clausola penale di importo elevato per il caso di mancata cessazione del rapporto, le conseguenze economiche potrebbero essere di un certo rilievo.

Del resto non si riesce ad immaginare motivo alcuno – giuridicamente meritevole di tutela – per cui il lavoratore non possa accedere da subito alla procedura telematica o per permettergli di procrastinare, magari all’ultimo giorno di lavoro previsto, la formalizzazione della propria volontà nelle modalità previste ex lege ai fini dell’efficacia delle proprio dimissioni.

Conclusioni

La tesi dell’autonoma efficacia del preavviso che abbiamo preso a pretesto per questa disamina e per le successive considerazioni appare in tutta evidenza non sostenibile per le varie ragioni che abbiamo sopra esposto.

Ma soprattutto non appare condivisibile sulla base di una semplicissima considerazione: la norma parla di inefficacia delle dimissioni in assenza della forma tipica.

In assenza di una diversa precisazione, che nella norma non si intravede, l’inefficacia è da intendersi a tutto tondo e quindi ai fini civilistici, normativi ed economici (preavviso compreso) e non solo in relazione alla volontà di porre termine al proprio rapporto di lavoro.

Poiché solo la procedura telematica fornisce rilevanza giuridica alla decisione del lavoratore non appare possibile sostenere che in assenza dell’atto principale (le dimissioni) possano crearsi, per volontà unilaterale, effetti collaterali e secondari necessariamente collegati e riconducibili ad una volontà mai manifestata, inesistente in quanto priva della forma prevista dalla legge.

Se così fosse ci ritroveremmo a dare rilevanza giuridica a una manifestazione di intenti (la volontà di dimettersi) che per legge non vincola il lavoratore in quanto inesistente, ma che si vorrebbe produrre effetti sul datore di lavoro (in riferimento al preavviso) nel caso in cui la cessazione del rapporto si realizzasse in un successivo momento.

È un poco come sostenere che un datore di lavoro possa comunicare al lavoratore la decorrenza del preavviso in funzione di un licenziamento che ancora non si intende formalizzare, precisando che una vera e propria comunicazione di risoluzione del rapporto verrà inviata successivamente perché sta fissando un appuntamento con il proprio Consulente del lavoro per individuare e compiutamente esplicitare le necessarie motivazioni.

1 Ministero del Lavoro: Dimissioni on line: Risposte FAQ.

 

Preleva l’articolo completo in pdf 

Il licenziamento ai tempi di WhatsApp

di Gabriele Fava – Avvocato in Milano

Risale al 27 giugno 2017 una significativa pronuncia del Tribunale di Catania in merito alla possibilità di ritenere legittimo, sotto il profilo formale, un licenziamento comminato ad un lavoratore tramite WhatsApp. La tematica è indubbiamente rilevante ed attuale in quanto l’utilizzo massivo dei social network, di internet e delle c.d. Mobile App, sta rivoluzionando le modalità di comunicazione tradizionali e i rapporti giuridici connessi.

Per quanto concerne i fatti di causa, la pronuncia trae origine dal ricorso giudiziale proposto da una lavoratrice al fine di ottenere dal Tribunale adito l’accertamento dell’invalidità/inefficacia del licenziamento comminato dal proprio datore di lavoro, con conseguente reintegra nel posto di lavoro. Dal punto di vista processuale, il Giudice ha accolto l’eccezione preliminare formulata dal datore di lavoro, fondata sulla tardività della proposizione del ricorso per violazione del termine di decadenza previsto dall’art. 6, comma secondo, della L. n. 604/1966 (60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo in sede di tentativo di conciliazione o arbitrato).

Ciò che, tuttavia, ha destato maggiore interesse e stupore è il passaggio dell’Ordinanza con il quale il Giudice adito ha riconosciuto un informale messaggio inviato dal datore di lavoro tramite WhatsApp, come valida comunicazione idonea a porre fine al rapporto di lavoro. Al riguardo, si ricorda che la legge impone al datore di lavoro di comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro e che lo stesso deve qualificarsi come atto unilaterale ricettizio che si perfeziona nel momento in cui giunge a conoscenza del destinatario (Cfr. ex multis Cass. Sez. Lav. n. 6845/2014).

Nel caso di specie, il Giudice del Tribunale di Catania ha affermato che la modalità utilizzata dal datore di lavoro è da considerarsi idonea ad assolvere i requisiti formali previsti ex lege “ … in quanto la volontà di licenziare è stata comunicata per iscritto alla lavoratrice in maniera inequivoca …”. Dal punto di vista tecnico, l’onere della forma scritta è stato ritenuto integrato in quanto il messaggio inviato a mezzo WhatsApp presenterebbe le caratteristiche peculiari proprie di un documento informatico dattiloscritto. A sostegno delle proprie argomentazioni, il Giudice del Tribunale di Catania ha richiamato una corrente interpretativa costante della Suprema Corte di Cassazione secondo cui in tema di forma scritta del licenziamento non sussiste a carico del datore di lavoro l’onere di adoperare forme “sacramentali”, ben potendo comunicare la volontà di licenziare anche in forma indiretta purché chiara (Cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. n. 17652/2007).

Il ragionamento giuridico posto alla base dell’Ordinanza in commento, seppur innovativo, presenta alcuni profili che meritano di essere analizzati in quanto potrebbero comportare, nella prassi, alcune problematiche in relazione al c.d. principio della certezza del diritto. In particolare, posto che, come detto in precedenza, il licenziamento si perfeziona nel momento in cui lo stesso entra nella sfera di conoscenza del destinatario, potrebbe essere molto rischioso per un datore di lavoro affidarsi ad un mezzo di comunicazione informale che non garantisca, a livello giuridico, il momento di avvenuta consegna del messaggio al pari di una tradizionale raccomandata con ricevuta di ritorno. E ciò anche ai fini del computo dei termini di decadenza.

Nello specifico, seppur vero che WhatsApp consente al mittente del messaggio di conoscere l’avvenuta consegna del messaggio mediante la c.d. “doppia spunta grigia”, è altrettanto vero che si tratta di un’attestazione temporale propria dell’applicazione di messaggistica e, come tale, non disciplinata a livello giuridico.

La domanda sorge dunque spontanea: il datore di lavoro può ritenere di aver assolto il proprio onere sulla base di una comunicazione che non trova, ad oggi, una disciplina peculiare nell’ordinamento giuridico italiano? Stando all’interpretazione fornita dal Giudice del Tribunale di Catania ciò sarebbe astrattamente possibile.

Al contrario, ragioni di opportunità e di etica professionale suggerirebbero, almeno in questa fase, di evitare di regolare un momento così delicato del rapporto di lavoro mediante comunicazioni informali che potrebbero far scaturire dubbi applicativi. Non è difficile, infatti, immaginare in ipotesi del genere un notevole incremento delle strumentalizzazioni da parte dei lavoratori in merito all’effettiva conoscenza diretta della comunicazione di recesso con conseguente aggravio dell’onere probatorio a carico del datore di lavoro.

Preleve l’articolo completo in pdf