IL DIVIETO DI CUMULO reddituale di Quota 100 e 102 passa il vaglio della Corte Costituzionale

Antonello Orlando, Consulente del lavoro in Roma e Bologna

 

Il 5 ottobre 2022 la Corte costituzionale ha  esaminato in camera di Consiglio la questione di legittimità costituzionale che era stata sollevata da parte del Giudice del lavoro di Trento in merito all’articolo 14, comma 3 del Decreto legge n. 4 del 2019; l’articolo stabilisce l’incumulabilità della pensione anticipata Quota 100 con i redditi da lavoro, con unica eccezione per quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale entro il limite di 5.000 euro lordi annui fino all’età pensionabile di vecchiaia (fino al 2024 ferma a 67 anni di età).

Il citato articolo 14, nel suo insieme, ha riconosciuto, per il triennio dal 2019 al 2021, la possibilità in favore degli iscritti alla assicurazione obbligatoria (AGO), alle forme esclusive e sostitutive della stessa e alla gestione separata gestite dall’Inps la possibilità di ottenere il diritto alla pensione una volta raggiunti almeno 38 anni di contribuzione e almeno 62 anni di età. Ai fini dell’effettivo accesso a pensione deve, poi, trascorrere la cosiddetta “finestra mobile” che, ai sensi del comma 5, corrisponde a 3 mesi. Il diritto deve essere stato conseguito entro il 2021, ma può essere esercitato anche successivamente a tale data. Come anticipato, il comma 3 del citato articolo 14 prevede la non cumulabilità tra l’assegno pensionistico e i redditi da lavoro dipendente o autonomo. L’unica eccezione è data dalla possibilità di cumulare redditi derivanti da lavoro autonomo occasionale purché il loro importo sia inferiore a 5.000 euro lordi annui. La non cumulabilità decorre dal primo giorno di titolarità della pensione e non viene contemplata per l’intero periodo di fruizione della stessa, ma solo fino alla data di maturazione del requisito anagrafico, come previsto dalla gestione interessata nella quale l’assicurato matura il requisito contributivo richiesto, per l’accesso alla pensione di vecchiaia. Nel caso in cui dovesse essere rilevato un reddito percepito durante l’intervallo temporale indicato che non sia riferito ad attività lavorativa svolta precedentemente allo stesso, il pagamento dell’assegno di pensione viene sospeso da parte dell’Istituto e quest’ultimo procederà anche a richiedere le rate di pensione che siano già percepite dal pensionato. Pertanto, nel caso in cui il reddito faccia riferimento ad un’attività che sia stata svolta al di fuori dell’intervallo temporale tra la data di accesso a pensione anticipata in Quota 100 e la data di raggiungimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia, lo stesso non rientrerà nella non cumulabilità con i redditi da pensione.

L’erogazione della pensione riprenderà a partire dal successivo anno di imposta, a condizione che il reddito percepito rientri nei vincoli previsti e che il pensionato compili il modello AP139 dichiarando l’assenza di redditi non cumulabili con l’assegno di pensione in Quota 100.

La circolare Inps n. 117/2019 ha chiarito eventuali dubbi sorti a seguito della prima circolare n. 11/2019 e riporta un elenco esemplificativo dei redditi che rientrano o meno nel computo ai fini della non cumulabilità. Nello specifico, oltre ai redditi derivanti da lavoro dipendente e quelli da lavoro autonomo eccedenti il limite dei 5.000 euro lordi, non sono cumulabili con i redditi da pensione in Quota 100 compensi percepiti per l’esercizio di arti, redditi di impresa connessi ad attività di lavoro, partecipazioni agli utili nei casi in cui l’apporto è costituito da prestazione di lavoro, diritti d’autore e brevetti, tutti assimilabili alla definizione estensiva di redditi di lavoro autonomo. Ai fini del calcolo del limite di 5.000 euro lordi da lavoro autonomo occasionale vige il principio di cassa e, dunque, soltanto i ricavi incassati nell’anno solare possono essere inclusi nel calcolo del reddito.

L’elenco tassativo dei redditi non rilevanti ai fini dell’incumulabilità della pensione in Quota 100 -e che non azionano la sospensione annuale della pensione- comprende:

  • indennità connesse a cariche pubbliche elettive;
  • redditi di impresa non connessi ad attività di lavoro e le partecipazioni agli utili nei casi in cui l’apporto non è costituito da prestazione di lavoro;
  • compensi percepiti per l’esercizio della funzione sacerdotale;
  • indennità percepite per l’esercizio della funzione di giudice di pace, di giudice tributario e le indennità percepite dai giudici onorari aggregati per l’esercizio delle loro funzioni (art. 8, L. n. 276/1997);
  • indennità sostitutiva del preavviso in quanto la competenza ha natura risarcitoria e non retributiva;
  • redditi derivanti da attività svolte nell’ambito di programmi di reinserimento degli anziani;
  • indennità di vitto, alloggio e trasporto che non concorrono a formare il reddito (art. 51, co. 5 TUIR);
  • indennizzi per la cessazione di attività commerciale.

Ai fini dell’accertamento, come chiarito dal messaggio Inps n. 54/2020, in fase di domanda di pensione Quota 100 l’assicurato deve compilare il modello AP140 dichiarando l’assenza di redditi da lavoro o la presenza di redditi da lavoro non cumulabili, la percezione di redditi da lavoro cumulabili in quanto riferiti all’elenco tassativo di cui sopra e/o di redditi da lavoro cumulabili perché riferiti a periodi precedenti la decorrenza. Durante il periodo emergenziale sono state previste deroghe ad hoc per i sanitari e i dipendenti impegnati nella lotta al Covid-19. Nel caso in cui il pensionato debba dichiarare redditi non cumulabili o cumulabili durante la percezione della pensione dovrà compilare il modello AP139, speculare all’AP140, ma obbligatorio per indicare ogni modifica reddituale fino al compimento dell’età richiesta per la pensione di vecchiaia. Lo stesso dovrà essere compilato anche se, una volta violato il divieto di cumulo e sospesa la pensione, nell’anno successivo non si percepiscano redditi non cumulabili, dichiarando espressamente l’assenza degli stessi.

Nel caso in cui il richiedente nella domanda di pensione abbia richiesto il differimento della decorrenza della medesima ad una data posteriore rispetto alla prima data utile di accesso, lo stesso può continuare a svolgere attività di lavoro e ad avere redditi relativi a questa fino all’effettiva data di decorrenza richiesta.

La vicenda che ha portato al parere della Corte Costituzionale ha avuto origine da un titolare di pensione in Quota 100 dal 1° maggio 2019. Durante la percezione della pensione, questi aveva svolto alcuni rapporti di lavoro intermittente:

  • dal 3 giugno al 31 luglio 2019: 385,79 euro di retribuzione;
  • dal 7 al 10 settembre 2019: 495,72 euro di retribuzione;
  • dal 23 novembre al 31 dicembre 2019: euro 217,96 di retribuzione;
  • dal 2 al 16 luglio 2020: euro 373 di retribuzione.

L’Inps, pertanto, applicando il divieto assoluto di cumulo con redditi da lavoro dipendente (non trattandosi di redditi da lavoro autonomo occasionale), ha chiesto il rimborso dei ratei di pensione corrisposti da maggio 2019 ad agosto 2020 e, allo stesso tempo, non ha erogato i ratei da settembre a dicembre 2020. Il Tribunale di Trento, con la ordinanza 211/2021, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale della norma relativamente al divieto di cumulo, nella parte in cui non è previsto un importo minimo di reddito da lavoro dipendente oltre il quale la pensione diviene non cumulabile, come è stato fatto, al contrario, per il lavoro autonomo occasionale con il limite fissato a 5.000 euro all’anno.

La questione d’incostituzionalità è legata all’articolo 3, comma 1, della Costituzione per una disparità di trattamento data dal fatto che il pensionato che dovesse svolgere attività lavorativa autonoma occasionale non si troverebbe nella medesima situazione di un pensionato che dovesse svolgere attività con contratto intermittente. La Corte Costituzionale ha chiarito che la questione di illegittimità costituzionale non è fondata dal momento che le due situazioni non sono comparabili tra loro. Difatti, il lavoro autonomo occasionale fino a 5.000 euro lordi annui non dà luogo all’obbligo contributivo e, dunque, la preclusione assoluta di svolgere lavoro subordinato, imposta da Quota 100, ma anche da Quota 102, trova la propria ragion d’essere nella richiesta di una uscita anticipata dal mondo del lavoro, rispetto alla pensione di vecchiaia o alla pensione anticipata ordinaria, che risulta in chiara contraddizione con la prosecuzione di un’attività lavorativa successivamente all’accesso alla pensione in Quota 100.

Tale divieto di cumulo potrà, fra l’altro, trovare spazio anche nelle nuove misure di anticipazione a pensione al vaglio del nuovo esecutivo che potrà, a questo punto, confidare sulla tenuta costituzionale del divieto replicando quello del D.l. n.4/2019 senza particolari criticità.

 

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Le novità in campo previdenziale per il 2019…e oltre

di Mario Verità – Consulente previdenziale

 

Un paio di mesi fa da queste colonne avevamo cercato di intuire dove e come sarebbe stato modificato l’impianto previdenziale costruito in tanti anni di continui ritocchi.
Le promesse (elettorali) parlavano di accantonamento delle Legge Fornero e di restaurazione di un regime pensionistico più  mite in termini di età di pensionamento e di requisiti di accesso. Era parso immediatamente chiaro agli addetti ai lavori che per eliminare la L. n. 214/2011 sarebbe stato necessario scriverne una nuova che sostituisse la logica e l’impostazione strategica di quella basata sulla crescita dell’età pensionabile e dell’anzianità contributiva legate all’aspettativa di vita. Con molta fatica siamo arrivati al dunque – con la pubblicazione in G.U. del Decreto  legge 28 gennaio 2019 n. 4 -, al varo ufficiale della norma che dovrà successivamente essere integrata dai regolamenti e anche attraverso le circolari dell’Inps. Basandosi sulla lettura del decreto summenzionato si può ritenere che“quota 100” avrà le seguenti caratteristiche:
•Limitatezza del provvedimento fino al 31/12/2021 così da farlo ricadere fra le misure sperimentali per le quali ci sarà una fine “naturale” salvo proroghe successive.
•Per accedervi saranno necessari contemporaneamente il requisito di 38 anni di anzianità contributiva e 62 anni di età anagrafica. I contributi utili sono quelli di una “normale” pensione anticipata e resta valida anche la formula del cumulo purché sia interno al sistema Inps. Andando per esclusione, al concorrere dei 38 anni non possono essere sommate le anzianità contributive maturate nelle casse professionali, mentre dovrebbero poter essere utili i periodi di lavoro all’estero in paesi convenzionati.
•Ci sarà un differimento del pagamento di 3 mesi dalla data di maturazione del diritto, quindi la liquidazione della prestazione avverrà il primo giorno del quarto mese successivo al raggiungimento del traguardo. Entrando in vigore la norma, retroattivamente dal primo gennaio 2019 significa che, tutti coloro che hanno maturato i requisiti di accesso alla pensione prima del 31/12/2018, potranno vedere liquidata la pensione dal 1° aprile 2019. Coloro che li matureranno in gennaio potranno essere pensionati da maggio e così via, fino al 1° aprile 2022 data di liquidazione per coloro che avranno raggiunto il requisito entro il 31/12/2021.
•Non sarà possibile svolgere alcuna attività lavorativa a partire dal primo giorno di pensionamento. Questa limitazione siamo certi sarà quella oggetto del maggior numero di richieste di interpretazione: cosa significa che sarà vietato svolgere attività?
Quale sarà la discriminante? La tipologia di reddito? E un’attività che non produce redditi? E la partecipazione a società di capitali? E quale sarà il limite entro il quale potrà essere giudicata attività lavorativa quella svolta all’interno di un’impresa famigliare in cui figurano parenti e affini?
•Non ci sarà alcuna penalizzazione; il calcolo dell’assegno seguirà le regole stabilite dalla propria storia contributiva e verrà effettuato considerando i contributi versati fino al giorno della domanda. L’eventuale penalizzazione di cui molti hanno parlato non è altro che la differenza fra un risultato virtuale che è la pensione calcolata alla sua scadenza naturale (anticipata o di vecchiaia) e quella effettivamente percepita optando per “quota 100”. Certamente l’insieme di contributi in meno versati (quelli che avrebbero potuto essere versati continuando a lavorare), un coefficiente di trasformazione legato all’età più basso poiché vi accedo prima (e statisticamente la pensione mi viene erogata per un periodo più lungo) e una rivalutazione dei contributi che si ferma prima, mi conduce ad un virtuale assegno meno cospicuo.
Il dilemma di molti sarà se e quando prendere questa occasione che ribadiamo resterà possibile anche dopo il 2021, a patto che il diritto maturi entro la fine di questo triennio. Sorgono però naturali delle domande…siamo sicuri che il divieto di cumulo reddito + pensione sia definitivo e vincolante? E se io volessi ad un certo punto rinunciare alla mia pensione “quota 100”, potrebbe essermi impedito, ovvero, quale sarebbero le conseguenze di un ritorno all’attività (sanzione amministrativa, restituzione delle quote già pagate…)? La previdenza pubblica non è di certo la porta girevole di un albergo da cui si possa entrare ed uscire a proprio piacimento, ma porre un’ipoteca così importante su un periodo di vita di 5/6 anni porta a fare delle riflessioni approfondite: dall’enunciato pare che un soggetto nato nel gennaio del 1957 che il 31 gennaio 2019 compie 62 anni ed ha i 38 anni di contributi si trova di fronte ad un bivio. Accetto “quota 100” e mi impedisco qualsiasi velleità produttiva per 5 anni e 3 mesi fino alla maturazione dell’età della vecchiaia prevista in questo caso a 67 anni e 4 mesi? Oppure provo a continuare per raggiungere i 42 anni e 10 mesi (età della pensione anticipata secondo la Legge Fornero) lavorando fino alla fine del 2023? Naturalmente sarà utile avere un confronto di dati in ognuna delle opzioni che abbiamo di fronte e poi, come sempre, la scelta dipenderà soprattutto da fattori extracontabili.

Nel decreto abbiamo anche una novità molto importante nel medio periodo che sta nella modifica dell’articolo della Legge n. 214/2011 che legava la pensione anticipata all’aumento dell’aspettativa di vita: ebbene il traguardo dei 42 anni e 10 mesi per gli uomini e di 41 anni e 10 mesi per le donne rappresentano i nuovi limiti per l’ottenimento della pensione indipendentemente dall’età anagrafica. Insomma, rappresenteranno per il futuro (fino a nuovo ordine) ciò che erano fino al 2011 i 40 anni. Quindi gli uomini dovranno raggiungere 2227 settimane di lavoro, le donne 2175 per ottenere la pensione anticipata (salvo eccezioni legate alla precocità).
Viene però mantenuto l’aumento dell’età anagrafica per le pensioni di vecchiaia che per il 2019 verranno pagate al compimento del 67mo anno di età per poi crescere ogni biennio.
Un’ultima menzione, sempre per proseguire quanto scritto a dicembre in questa Rivista, va all’“opzione donna”: è confermata la possibilità di accesso al pensionamento per le lavoratrici del comparto privato nate fino al 31/12/1960 con 35 anni di contributi maturati entro il 31/12/2018 (1820 settimane) e per le lavoratrici nate entro il 31/12/1959 che per raggiungere il requisito contributivo dovranno far valere almeno una settimana come lavoratrici autonome.
L’erogazione della prestazione avverrà dopo 12 mesi per le lavoratrici del comparto privato e di 18 mesi per le autonome. Ricordiamo che il calcolo sarà integralmente contributivo e che, anche in questo caso, lo svantaggio sarà ancora più virtuale  poiché una donna nata a dicembre del 1960 che a dicembre 2018 vanta 35 anni di contributi avrebbe la possibilità di ottenere la pensione a gennaio 2020 con “opzione donna”, oppure, continuando a lavorare, a novembre 2024 con la Legge Fornero (41 anni e 10 mesi di contribuzione). Quasi 6 anni di calendario e 62 mesi di pensione prima…
Il decreto contiene anche indicazioni sulle regole per il riscatto di laurea che affronteremo in un prossimo futuro approfondendo tutte le problematiche legate alla specifica materia riscatto.

 

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