CE LO DICE L’AGRICOLTURA: il lavoro atipico è bocciato, la soluzione arriva sempre dal rapporto di lavoro subordinato

di Marco  Tuscano, Consulente del lavoro in Brescia

 

PREMESSA

Il Legislatore, di tanto in tanto, plasma delle forme di lavoro alternative che si discostano dalla classica subordinazione, fulcro del nostro diritto del lavoro.

Tendenzialmente, o perlomeno negli intenti, lo fa, e lo ha fatto, non tanto per attuare il semplice e ordinario scambio “lavoro-retribuzione” in una diversa e inedita modalità, ma con degli specifici e diversi fini.

Ad esempio:

  • con scopi strettamente formativo-orientativo-esperienziali, al fine di semplificare e migliorare l’accesso al lavoro, come nel caso dei tirocini;
  • per promuovere e incentivare il bene sociale, come nell’ipotesi del volontariato;
  • nell’ottica di combattere il lavoro nero e sopperire a esigenze contingenti, generalmente non programmabili né tantomeno strutturali, ossia occasionali, come nel caso dei previgenti voucher o degli attuali “Prest.o” ex 54 bis, D.l. n. 50/2017.

Tali prestazioni, anche se non di lavoro subordinato, restano pur sempre lavorative, sebbene sui generis, in considerazione delle diverse (e ridotte) tutele per esse previste e delle differenti regole e formalizzazioni per loro predisposte. A tal proposito, in dottrina, si identifica uno specifico bacino di prestazioni lavorative speciali, catalogabili come di “lavoro senza contratto”1 o di “attività lavorativa senza rapporto di lavoro”2.

UN POSSIBILE PERCHÉ DEL LAVORO AL DI FUORI DELLA SUBORDINAZIONE

Risulta chiaro come, per i rapporti che vivono al di fuori della subordinazione, siano previste delle tutele ridotte rispetto a quest’ultima. Senza volersi addentrare eccessivamente nelle singole dinamiche regolatorie relative agli esempi sopra visti, nell’immediato si puo’ evidenziare:

  • l’assenza di tutele previdenziali per il tirocinante;
  • l’assenza di una retribuzione o di tutele previdenziali per il volontario;
  • l’assenza di stabilità e precedenza, ovvero di retribuzione differita, per il prestatore occasionale.

In buona sostanza, ciò che l’ordinamento giuridico sembra suggerirci è che, in linea di massima, la suddetta riduzione di tutele, e quindi il concepimento di forme di lavoro non soggette (per loro stessa essenza) alle salvifiche strutture della subordinazione, si giustifichi proprio a fronte dei particolari fini sopra visti. Come a dire che sussistono talune improrogabili esigenze statuali, le quali, astrattamente, consentono la creazione di forme lavorative non comuni, atteso che “Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”3. Preso atto di questo aspetto, pare opportuno affermare che il ricorso, da parte del Legislatore, alle predette forma di lavoro senza contratto debba essere oculato e ben ponderato: non solo per l’evidente erosione di tutele a cui queste sono soggette, ma anche, se vogliamo, per non creare un inusuale bacino di lavoratori privo di un reale titolo nella contrattazione collettiva4 (fino a prova contraria, uno dei principali metodi di adeguamento e miglioramento delle condizioni di lavoro, posto anche che, tra i molti aspetti, la “contrattazione […] è stata tradizionalmente lo strumento principale di governo e di difesa delle retribuzioni”5). Se in taluni casi non v’è dubbio che la forma di lavoro non debba (e possa) essere subordinata, come nel caso del volontariato, posto che il volontario “per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà”6, in altri è lo stesso Legislatore, soprattutto negli ultimi tempi, ad ammetterne nemmeno troppo implicitamente la loro inutilità, e quindi, di fatto, la loro astratta ingiustificabilità. Nello specifico, si fa riferimento al settore dell’agricoltura, per il quale, tramite la “Legge di Bilancio 2023”, si è bocciato il “Prest.o”, sostituendolo con un ben più ordinario lavoro subordinato.

L’ESEMPIO DELL’AGRICOLTURA

Il contratto di prestazione occasionale nasce come evoluzione, in un secondo perfezionato stadio, del presumibilmente pluriabusato lavoro accessorio di cui agli artt. 48-50 del D.lgs. n. 81/20157 .

Per entrambe le misure, operativamente diverse ma comunque simili per l’intrinseca essenza, il motivo della loro genesi era ed è da ravvisarsi nella doppia esigenza di:

– rispondere a delle esigenze contingenti;

– far emergere quel lavoro occasionale tipicamente sommerso.

In dottrina, si è infatti evidenziato come le suddette discipline si pongano, con “funzione antifraudolenta”8, “in essenziale continuità con la risaputa istituzione e relativa regolamentazione del lavoro occasionale accessorio nell’ambito della c.d. riforma Biagi, da parte del D.lgs. n. 276/2003 (spec. artt. 70-73 e modificazioni successive), con la finalità di contrasto al lavoro irregolare e di lotta al sommerso, nonché dunque di promuovere l’emersione e corrispondente regolarizzazione di prestazioni svolte con saltuarietà ed occasionalità”9, ovvero “con l’evidente obiettivo di lasciare emergere alla luce del sole determinate attività lavorative, tradizionalmente sinora relegate nell’area dell’economia informale (e svolte solitamente in maniera irregolare)”10.

Evidentemente, le due ragioni qui indicate risultano tra loro fortemente connesse: vuoi perché il lavoro occasionale, proprio per la sua occasionalità, in una erronea logica di comodità, tenta di sfuggire a qualsiasi tipo di formalità, vuoi perché il lavoro nero è da considerarsi, in un certo qual modo, sempre occasionale, pur se reso in modo continuativo, poiché in assoluto, e per definizione, privo di stabilità11. Di fatto, il Legislatore ha creato una forma di lavoro acontrattuale, ovvero una prestazione di lavoro con tutele ridotte (si pensi alle tutele per il licenziamento, qui assenti), per garantire immediatezza, semplicità di utilizzo, così da annichilire il lavoro sommerso. Come accennato, per , di recente il Legislatore è intervenuto sulle prestazioni occasionali in agricoltura, esclusivamente per il biennio 2023-2024, riconducendole al più ordinario rapporto di lavoro subordinato, e questo al “fine di garantire la continuità produttiva delle imprese agricole e di creare le condizioni per facilitare il reperimento di manodopera per le attività stagionali, favorendo forme semplificate di utilizzo delle prestazioni di lavoro occasionale a tempo determinato in agricoltura assicurando ai lavoratori le tutele previste dal rapporto di lavoro subordinato”12. Anche agli occhi meno attenti, balza immediatamente all’occhio la contraddizione: il lavoro subordinato è chiamato, in disperato soccorso, a sostituire il contratto di prestazione occasionale, per permettere una maggiore facilità di utilizzo e una fruttuosa risposta alle esigenze datoriali. In altre parole, lo strumento che nasce, ed è plasmato, appositamente per rispondere a ragioni di urgente flessibilità, e che per tali motivi dovrebbe teoricamente giustificare una riduzione di tutele, viene soppiantato, perché inefficiente e macchinoso, dall’usuale rapporto di lavoro a dipendenza.

CONCLUSIONI

Il Legislatore, con l’intervento di cui all’art. 1, commi 343 – 354 della L. n. 197/2022, ha implicitamente confermato i dubbi circa le tutele e l’utilità delle forme di lavoro non standard. Senza voler peccare di presunzione, di seguito si intendono suggerire 3 possibili soluzioni, rispetto al problema evidenziato, su cui imbastire una successiva e più approfondita riflessione.

Per questi strumenti, si potrebbe:

  • assicurare un sistema di tutele maggiormente strutturato;
  • fare in modo che gli aspetti operativi e pratici, e non solo quelli normativi, non complichino macchinosamente il raggiungimento delle finalità mirate;
  • pensare a una loro definitiva abolizione, laddove non realmente funzionali.

Concludendo, ce lo dice l’agricoltura: al momento, il lavoro atipico è bocciato, la soluzione arriva sempre dal rapporto di lavoro subordinato.

 

1. Cfr. ex multis M. Tiraboschi, Teoria e pratica dei contratti di lavoro, Adapt University Press, quinta edizione, pag.163. Per un approfondimento sulla disciplina delle varie forme di lavoro senza contratto, mi si permetta di rimandare a M. Tuscano, Il Lavoro senza contratto, Adapt University Press.
2. M. Roccella, Manuale di diritto del lavoro, Giappichelli Editore, pag. 214.

3. Art. 1, D.lgs. n. 81/2015.
4. Sulla questione, a titolo esemplificativo, si veda S. Spattini, La copertura dei CCNL tra narrazione e realtà, nella prospettiva del salario minimo legale, Bollettino ADAPT 6 giugno 2022, n. 22: “Le persone […] escluse dalla copertura dei contratti collettivi […] sono tirocinanti, collaboratori autonomi, lavoratori occasionali, lavoratori in nero e altri lavoratori non dipendenti”.
5. Così T. Treu, La questione salariale: legislazione sui minimi e contrattazione collettiva, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”. IT – 386/2019, pag. 135.
6. Art. 17, D.lgs. n. 117/2017.

7. Senza dimenticare l’esistenza di discipline precedenti.
8. M. Lamberti, Il lavoro occasionale accessorio: dalle vendemmie autunnali alla manovra d’estate, in DRI, n. 3, XVIII/2008, pag. 801.
9. Così E. Balletti, in F. Carinci, Commento al d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, a cura di, pag. 295.
10. Così M. Roccella, cit., pag. 216.
11. Cfr. per una riflessione sugli occasionali, M. Miscione, Il lavoro oltre la subordinazione, Lavoro Diritti Europa, Numero 1/2022.

12. Art. 1, comma 343, L. n. 197/2022. L’intero intervento normativo è contenuto nei commi da 343 a 354, dell’art. 1 della medesima legge.

 

 

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GESTIONE SEMPLIFICATA DEL RAPPORTO DI LAVORO OCCASIONALE: fine di un’epoca

Manuela Baltolu, Consulente del Lavoro in Sassari (Ss)

Il D.lgs. n. 104/2022 ha messo le sue grinfie anche sui rapporti di lavoro occasionale.

E pensare che, nonostante la loro storia travagliata, fino al 12 agosto 2022 erano rimasti l’ultimo, vero e forse unico baluardo della gestione “semplificata” dei rapporti di lavoro. Ma facciamo un passo indietro nella storia: c’era una volta il rapporto di lavoro occasionale accessorio, introdotto (sulla carta) dal D.lgs. n. 276/2003 e riservato, in origine, ai prestatori a rischio di esclusione sociale ed a soggetti non ancora entrati nel mercato del lavoro, od in procinto di uscirne.

Era infatti limitato ai disoccupati da oltre un anno, casalinghe, studenti e pensionati, disabili e soggetti in comunità di recupero, lavoratori extracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia nei 6 mesi successivi alla perdita del lavoro. La durata delle prestazioni non doveva superare i 30 giorni e/o 3mila euro di compenso nell’anno solare, e poteva essere svolta esclusivamente in specifici ambiti, quali piccoli lavori domestici a carattere straordinario compresa l’assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con handicap, insegnamento privato supplementare, piccoli lavori di giardinaggio e di pulizia e manutenzione di edifici e monumenti, realizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli, collaborazioni con enti pubblici e associazioni di volontariato per lo svolgimento di lavori di emergenza causati da calamità, eventi naturali improvvisi. Il sistema non venne però concretamente applicato fino al 2008, quando l’art. 22 del D.l. n. 112/2008 convertito dalla L. n. 133/2008 aggiunse all’ambito di applicazione anche le attività agricole di carattere stagionale nonché quelle svolte nell’ambito dell’impresa familiare limitatamente al commercio, al turismo e ai servizi, le consegne porta a porta e la vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica, oltre ad estenderne l’utilizzo ai giovani con meno di 25 anni regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso l’università o un istituto scolastico di ogni ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, in qualsiasi settore produttivo il sabato e la domenica e durante i periodi di vacanza. Successivamente, il D.l. n. 5/2009 convertito dalla L. n. 33/2009, aggiunse alla platea dei prestatori occasionali anche i percettori di prestazioni integrative del salario o con sostegno al reddito.

I lavoratori venivano allora retribuiti con i “buoni lavoro” o “voucher” cartacei, ciascuno del valore di 7,5 euro di cui 5,8 euro di compenso, fiscalmente esente, acquistato dal committente e ceduto al lavoratore, che lo convertiva in danaro presso l’ente in cui era stato acquistato.

Ulteriore importante modifica al sistema voucher, volta a limitarne l’abuso, si ebbe poi con la L. n. 92/2012, in cui venne stabilito che “per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura meramente occasionale che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare”. Ancora, la L. n. 99/2013 eliminava il riferimento alla “natura meramente occasionale” e, successivamente, il D.lgs. n. 81/2015 (art.. 48, 49, 50) innalzava il limite economico massimo generico per anno da 5.000 euro a 7.000 euro (3.000 euro per anno civile per i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito, specificando che per le prestazioni svolte nei confronti di ciascun committente imprenditore commerciale o professionista tale importo massimo era invece pari a 2.000 euro per anno). Inoltre, venne introdotto il divieto di utilizzo dei buoni lavoro in ambito di appalti di forniture e/o servizi, e il valore nominale del singolo buono fu modificato in 10 euro, a fronte di un compenso netto per il prestatore di 7,50 euro. Infine, venne resa obbligatoria la procedura telematica per le imprese che, per la prima volta, dovevano registrare preventivamente le prestazioni nella piattaforma telematica Inps,  ma senza indicare orario di inizio e fine dell’attività lavorativa, e ciò, come è facile intuire, rendeva comunque fin troppo semplice eludere la reale entità delle ore lavorate.

Proprio in conseguenza dell’abuso dell’utilizzo dei buoni lavoro (o almeno, questa era stata la motivazione all’epoca pubblicizzata), il D.l. n. 25/2017, pubblicato ed entrato in vigore immediatamente, nella serata di venerdì 17 marzo 2017, con un fulmineo colpo di spugna che tutti ricordiamo, li abrogò totalmente, come contro-partita concessa dall’allora governo Gentiloni ai sindacati in cambio della loro rinuncia al referendum abrogativo del Jobs Act. Dopo poco più di un mese dall’abrogazione dei voucher, in data 24 aprile 2017, con l’entrata in vigore del D.l. n. 50/2017, vide la luce il nuovo assetto gestionale delle prestazioni occasionali, che è rimasto più o meno intatto fino a giorni nostri (fino al 12 agosto scorso, sic!). Nello specifico, furono individuati due ambiti di utilizzo caratterizzati da diverse specificità, ovvero il libretto famiglia (in seguito L.F., di cui all’art. 54-bis, c.6, lettera a), D.l. n. 50/2017) per l’utilizzo in ambito familiare e delle società sportive (lettera b-bis), e i prest-O in ambito imprenditoriale (lettera b) e pubblico (c.7). I limiti di utilizzo stabiliti erano (e sono tutt’ora) i medesimi per entrambi i sistemi, pari a 280 ore annue e/o 5.000 euro annui per ciascun prestatore con riferimento alla totalità degli utilizzatori, 5.000 euro annui per ciascun utilizzatore con riferimento alla totalità dei prestatori, e 2.500 euro per le prestazioni complessivamente rese da ogni prestatore in favore del medesimo utilizzatore (5.000 euro per gli steward nelle società sportive). Altri paletti limitanti sono costituiti dal divieto di utilizzo da soggetti con i quali l’utilizzatore abbia in corso o abbia cessato da meno di 6 mesi un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa, da aziende che abbiamo una media semestrale di lavoratori a tempo indeterminato superiore a 5 (8 nel settore turistico-alberghiero per le sole prestazioni svolte dai medesimi soggetti autorizzati nel settore agricolo), da aziende del settore edile ed affini e lapideo, fermo restando il divieto già esistente in caso di esecuzione di contratti d’appalto. Le prestazioni occasionali non sono ammesse, inoltre, nel settore agricolo, fatta eccezione per i soggetti che, purché non iscritti nell’anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli, siano pensionati, giovani con meno di 25 anni regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado e università, e percettori di prestazioni integrative del salario, di reddito di inclusione (REI o SIA), ovvero di altre prestazioni di sostegno del reddito. Il L.F. retribuisce ogni ora di lavoro con un netto i 8 euro a fronte di un costo, per il committente, di 10 euro; il prest-O prevede invece un netto orario minimo di 9 euro ad un costo complessivo di 12,48 euro. Relativamente ai prest-O, per ogni giornata di lavoro il prestatore deve ricevere un minimo di retribuzione pari 36 euro, ovvero l’equivalente di 4 ore, indipendentemente dalle ore effettivamente lavorate; inoltre, 4 è il numero massimo consentito di ore lavorate continuative giornaliere.

La gestione di questo sistema è interamente telematica: prest-O e L.F. possono essere acquistati dal committente con pagamento elettronico mediante la piattaforma Inps o utilizzando il Modello F24 Elide, previa registrazione dello stesso e del prestatore; successivamente, il datore di lavoro registrerà le prestazioni di lavoro, entro 60 minuti prima dell’inizio delle stesse per il prest-O, non oltre il terzo giorno del mese successivo allo svolgimento per il L.F. L’Inps eroga il compenso direttamente al lavoratore entro il giorno 15 del mese successivo a quello in cui la prestazione è avvenuta. Non vi è obbligo di redigere alcuna lettera/ contratto di assunzione, né di inviare il modello Unilav al Ministero. Nessun periodo di prova da formalizzare, nessuna elaborazione del Lul, Uniemens, versamento mensile di contributi e ritenute fiscali. Nessuna CU, autoliquidazione Inail, modello 770.

Praticamente il paradiso degli adempimenti, solo la mera compilazione dei dati minimi necessari sulla piattaforma Inps e, per questo, quasi totalmente gestita in autonomia dai datori di lavoro senza costi aggiuntivi.

Troppo facile?

Si, tant’è che, a due giorni dall’ultima festa dell’assunzione di Maria (!!!!!!), l’ormai celeberrimo D.lgs. n. 104/2022, ha spezzato l’incantesimo, affermando, all’art. 1, c.1, lettera f, che tutte le disposizioni ivi contenute si applicano anche al “contratto di prestazione occasionale di cui all’articolo 54-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96”.

Ei fu.

Finita la favola della gestione snella e sburocratizzata, anche i datori di lavoro dei prestatori occasionali dovranno ora redigere l’informativa con le informazioni previste dalla lettera a) alla lettera e) del co.1, art. 1 del D.lgs. n. 104/2022.

Se non fosse tragico, sarebbe quasi divertente analizzare quanto sia necessario ed opportuno informare il lavoratore di ogni singolo elemento previsto, confrontandolo con quanto già in essere nella gestione consolidata pre-D.lgs. n. 104: Lettera a) – identità delle parti: informazione già a disposizione del lavoratore mediante registrazione sulla piattaforma Inps. Lettera b) – luogo di lavoro: idem come lettera a). Lettera c) – sede o il domicilio del datore di lavoro: idem come lettere a) e b). Lettera d) – caratteristiche o descrizione sommaria del lavoro (non compatibili le informazioni relative a inquadramento, livello e qualifica): idem come lettere a), b) e c). Lettera e) – data di inizio del rapporto di lavoro: idem come lettere a), b), c) e d). Alla luce di ciò, nascono difficoltà oggettive a cogliere l’utilità del nuovo obbligo, in considerazione del fatto che, come sopra descritto, tutti gli elementi richiesti sono già conosciuti. L’unico dato estremamente chiaro ed inequivocabile è l’importo delle sanzioni previste in caso di inadempimento, di importo variabile da 250 a 1.500 euro per ogni lavoratore interessato che, malignamente, potrebbe essere considerato l’unico scopo del nuovo adempimento. Tra l’altro, relativamente alla lettera e), un ulteriore dubbio sorge in considerazione del fatto che lo svolgimento del lavoro occasionale è soggetto a limiti meramente economici, risulta complicato identificare con precisione il momento esatto della costituzione del rapporto. Consideriamo ad esempio che un lavoratore effettui prestazioni nel mese di febbraio 2022, e successivamente a dicembre 2022, dopo ben 9 mesi di inattività, faranno comunque capo ad un unico rapporto di lavoro o, al contrario, dovranno essere considerate come due distinti rapporti, con conseguente necessità di due diverse informative, una per ogni rapporto?

A chiusura di questa triste storia non possiamo esimerci dall’evidenziare che, citando l’art. 54-bis, D.l. n. 50/2017, il D.lgs. n. 104/2022 si riferisce sia i rapporti gestiti con L.F. che quelli gestiti con prest-O, e il novellato testo (ad opera sempre del D.lgs. n. 104/2022, art. 5, co.1) del secondo periodo del co.17, art. 54-bis, D.l. n. 50, inserisce l’obbligo delle informazioni relative alla trasparenza affermando che “copia della dichiarazione, contenente le informazioni di cui alle lettere da a) ad e) è trasmessa, in formato elettronico, oppure è consegnata in forma cartacea prima dell’inizio della prestazione”.

Ma il comma 17 dell’art. 54-bis rimanda espressamente agli utilizzatori di cui al comma 6, lettera b) del medesimo articolo, ovvero gli “altri utilizzatori, nei limiti di cui al comma 14, per l’acquisizione di prestazioni di lavoro mediante il contratto di prestazione occasionale di cui al comma 13”; in ragione di ciò, l’obbligo di consegna della dichiarazione di cui al D.lgs.n. 104/2022 risulta essere limitato ai soli rapporti “prest-O”, con esclusione sia del L.F. che delle società sportive (lettere a e b-bis, c.17, art. 54-bis).

In sostanza, il testo del D.lgs. n. 104/2022 afferma che tutti i rapporti occasionali sono assoggettati alle previsioni del medesimo decreto, mentre il nuovo testo del D.l. n. 50/2017 riconduce l’obbligo solo ai “prest-O”. Il conflitto potrebbe essere risolto considerando che lo stesso D.lgs. n. 104/2022 è applicabile anche ai rapporti di lavoro domestico, ed essendo di fatto il L.F. la versione “domestica” del prest-O, l’esclusione dagli obblighi di trasparenza del L.F. non appare del tutto coerente, anche se questa mancanza di coerenza fa pendant con tutto l’impianto normativo. Ai posteri l’ardua sentenza, per ora confidiamo nell’abrogazione di queste previsioni assurde o, in subordine, di una sostanziale e realmente utile modifica.

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