PARI OPPORTUNITÀ: al via la certificazione della parità di genere*

Antonella Rosati, Ricercatrice Centro Studi e Ricerche

Monica Lambrou si confronta con le novità della legge n. 162/21.

Con il presente contributo, l’Autrice esamina la Legge 5 novembre 2021, n. 162 con la quale il Legislatore – in attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – è intervenuto in materia di pari opportunità sul luogo di lavoro, al fine di rafforzare la tutela già offerta dal Codice delle Pari Opportunità (D.lgs. n. 198/2006) e, nel contempo, contrastare il crescente divario salariale tra uomini e donne nel mercato del lavoro (c.d. gender pay gap).

I predetti obiettivi vengono perseguiti dalla nuova norma agendo su due differenti leve: da un lato, inasprendo l’apparato sanzionatorio in tema di discriminazioni di genere e rafforzando altresì la trasparenza riguardo le retribuzioni e l’inquadramento contrattuale dei dipendenti uomini e donne; dall’altro, introducendo un approccio premiale inedito, con l’introduzione di una certificazione, volta ad attestare le misure adottate dal datore di lavoro per rimuovere le disparità di genere, il cui possesso darà accesso a sgravi contributivi.

AMPLIATA LA NOZIONE DI DISCRIMINAZIONE

L’art. 2 della Legge 5 novembre 2021, n. 162, va a modificare e a implementare l’art. 25 del D.lgs. n. 198/2006.

Per quanto riguarda la discriminazione diretta, viene ampliata la cerchia dei soggetti nei confronti dei quali puo’  essere adottato un comportamento direttamente discriminatorio: non sono solo compresi lavoratori e lavoratrici, ma anche le candidate e i candidati in fase di selezione del personale.

Con riferimento alla discriminazione indiretta, la nuova versione dell’art. 2-bis inserisce tra le fattispecie che danno luogo a discriminazioni ogni atto organizzativo che, modificando le condizioni e il tempo del lavoro in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, possa porre il lavoratore o la lavoratrice (il candidato o la candidata) in almeno una delle seguenti condizioni: posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori; limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali; limitazione dell’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera.

OBBLIGO REPORTISTICO PER AZIENDE CON PIÙ DI 50 DIPENDENTI

L’art. 3 della Legge n. 162/2021 va a modificare in maniera piuttosto incisiva l’art. 46 del D.lgs. n. 198/2006: viene infatti stabilito l’obbligo, a cadenza biennale, di redazione di un rapporto sul personale delle imprese con più di 50 dipendenti.

Nello specifico, il datore di lavoro che soddisfi l’anzidetto requisito dimensionale è tenuto a redigere un rapporto sulla situazione dei lavoratori e delle lavoratrici che, distinto per genere, categoria professionale, livello di inquadramento e tipologia contrattuale, evidenzi, oltre ai livelli retributivi annui, il numero di lavoratori:

− assunti nel corso dell’anno di riferimento;

− coinvolti in attività di formazione professionale e le ore complessive dedicate a tale attività;

− interessati da un passaggio di categoria, qualifica o livello o da altri fenomeni di mobilità;

− il cui contratto individuale di lavoro sia stato trasformato da tempo determinato a tempo indeterminato ovvero da tempo parziale a tempo pieno (e viceversa);

− interessati dall’intervento di ammortizzatori sociali;

− sottoposti a procedure di licenziamento collettivo o individuale;

− coinvolti in procedure di prepensionamento e pensionamento.

Il rapporto è redatto per via telematica, mediante la compilazione di un apposito modello predisposto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (MLPS) e condiviso sul proprio sito istituzionale e trasmesso alle RSA. Ai fini della redazione del rapporto il MLPS, di concerto con il Ministro delegato per le pari opportunità, definisce con apposito decreto:

− le indicazioni per la redazione del rapporto; il datore di lavoro sarà tenuto a indicare ulteriori informazioni quali il numero delle lavoratrici in stato di gravidanza, l’importo della retribuzione complessiva corrisposta al lavoratore o alla lavoratrice, con l’indicazione degli elementi accessori, delle indennità, degli elementi premiali della retribuzione, dei bonus e di ogni altro elemento retributivo o erogazione (anche in natura) eventualmente riconosciuti;

− le modalità mediante le quali il datore di lavoro sarà tenuto a illustrare i dati relativi ai processi di selezione e reclutamento dei lavoratori, le procedure utilizzate per l’accesso alla qualificazione professionale e alla formazione manageriale, le misure volte a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, l’adozione di politiche aziendali finalizzate a realizzare un ambiente di lavoro inclusivo e i criteri adottati per il riconoscimento di progressioni di carriera;

− le modalità di accesso al rapporto da parte dei lavoratori e delle rsa, in ottemperanza alla normativa in materia di trattamento dei dati personali.

Il decreto interministeriale definisce inoltre le modalità per la trasmissione del rapporto che, in ogni caso, dovrà essere inoltrato entro il 31 dicembre di ciascun anno alla Consigliera o al Consigliere nazionale di parità nonché alle Consigliere e ai Consiglieri di parità regionali, delle Città Metropolitane e degli enti di area vasta competenti.

Presa visione dei rapporti trasmessi dalle imprese interessate, la Consigliera e il Consigliere regionale di parità competenti elaboreranno i relativi risultati e li trasmetteranno alle sedi territoriali dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), alla Consigliera o al Consigliere nazionale di parità, al MLPS, al Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, all’ISTAT e al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL).

Sul proprio sito istituzionale il MLPS pubblicherà sia l’elenco delle imprese che hanno trasmesso il rapporto che quello dei datori di lavoro che non hanno adempiuto a tale obbligo.

In caso di inadempimento dell’obbligo di trasmissione del rapporto nei termini prescritti, la Direzione Regionale del Lavoro, previa segnalazione dei soggetti competenti, inviterà l’impresa interessata ad adempiervi entro 60 giorni.

Nel caso in cui l’inottemperanza si protragga oltre 12 mesi, potrà essere disposta la sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall’impresa.

L’Inl procederà alla verifica della veridicità del rapporto e quando esso risulterà mendace o incompleto troverà applicazione la sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra i 1.000 euro e i 5.000 euro.

LA CERTIFICAZIONE DELLA PARITÀ DI GENERE

L’art. 4 della Legge n. 162/2021, con l’introduzione dell’art. 46-bis del D.lgs. n. 198/2006, ha istituito dal 1° gennaio 2022 la certificazione della parità di genere volta ad attestare l’efficacia delle politiche e delle misure organizzative adottate dal datore di lavoro che occupi più di 50 lavoratori al fine di ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di carriera, ai livelli retributivi a parità di mansione, alle politiche per la gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri saranno stabiliti:

− i parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere da parte dell’impresa avente titolo; detti parametri saranno in ogni caso correlati ai livelli retributivi, alle opportunità di progressione di carriera, alle misure volte a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche con riguardo alle lavoratrici in stato di gravidanza;

− le modalità di acquisizione e di monitoraggio dei dati trasmessi dal datore di lavoro, resi disponibili dal MLPS;

− le modalità per il coinvolgimento delle rsa e delle Consigliere e dei Consiglieri di Parità regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta nel controllo e nella verifica del rispetto dei parametri;

− le forme di pubblicità della certificazione della parità di genere.

 

ESONERO CONTRIBUTIVO E PREMIALITÀ

Ai datori di lavoro in possesso della certificazione della parità di genere è riconosciuto, per il 2022, un esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro (ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche). L’esonero verrà concesso in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50mila euro annui per ciascuna azienda, riparametrato e applicato su base mensile, previo apposito decreto ministeriale.

Alle aziende in possesso della certificazione di parità al 31 dicembre dell’anno precedente rispetto a quello di riferimento, la norma riconosce inoltre un punteggio premiale per la valutazione, da parte delle Autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, di proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti.

Sarà poi compito delle amministrazioni aggiudicatrici indicare nei bandi di gara, negli avvisi o negli inviti relativi a procedure per l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere i criteri premiali che intendono applicare alla valutazione dell’offerta. Un punteggio più alto determinerà, in tutta evidenza, un miglior posizionamento in graduatoria per le aziende partecipanti.

 

 

 

* Sintesi dell’articolo pubblicato in D&PL, 2/2022, pag. 94 dal titolo Certificazione della parità di genere.

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DISPARITÀ DI GENERE: quello che le donne non dicono

Roberta Simone Consulente del lavoro in Milano

 

E’ da poco passata la Festa della Donna, 8  marzo, giorno nel quale i nostri smartphones si riempiono di messaggi augurali, le case e gli uffici si colorano di fiori gialli, gli angoli delle strade si popolano di venditori di mimose pagate a peso d’oro, àncora di salvezza per i soliti smemorati bisognosi di rimediare all’ultimo minuto.

Ovunque sorrisi di circostanza, uomini che porgono i propri auguri, donne più o meno felici di riceverli.

Tutto procede normalmente, come ogni anno. Ma questo è un anno diverso dagli altri, perché in realtà è accaduto qualcosa di sconvolgente.

Nel mese di gennaio, i massmedia riportano una notizia drammatica. Una donna, una libera professionista al nono mese di gravidanza, prende una decisione drastica e sentendosi oppressa dagli impegni di lavoro, forse anche della vita in generale, compie un gesto drammatico proprio il giorno prima del suo trentasettesimo compleanno, e pone fine alla sua vita. Prima di compiere quel gesto estremo, prepara dei promemoria per i suoi colleghi con diversi appunti e l’elenco degli adempimenti da ultimare per i clienti.

Di questa vicenda colpisce soprattutto l’etica e il senso del dovere di questa professionista che, sopraffatta dal dolore, non ha comunque potuto tralasciare di prendersi cura dei suoi clienti, ultimo gesto di abnegazione e passione per una professione che già l’aveva stretta nelle sue spire. Da quel momento, prima lo sgomento e il cordoglio, poi i social si riempiono di commenti di altre donne libere professioniste e tra queste molte si rivelano, aprono il proprio cuore e raccontano le loro storie, spesso in forma anonima, confessando di essersi sentite spesso sopraffatte dalla mole di lavoro e di essersi dovute piegare all’inevitabile e dover scegliere tra carriera e impegni di vita, di famiglia, di salute. Ecco allora che la storia di quella libera professionista diventa la storia di tutte, delle donne che hanno il coraggio di svelarsi e anche di quelle che restano in silenzio. Come è possibile che una donna possa sentirsi così sola da non vedere altra via d’uscita alla propria disperazione? Come è possibile che ancora oggi sia così complesso e conflittuale il rapporto delle donne nel mondo del lavoro e nella società in generale?

LA “QUESTIONE” FEMMINILE

Tutte le donne conoscono la faccia nascosta della Luna, quel mondo tanto evidente quanto sconosciuto, fatto di piccoli sgarbi e di grandi difficoltà, quella parte di mondo che molti uomini ancora ignorano, sempre meno per fortuna, e che tante donne vivono come una triste quotidianità.

Tutto inizia in famiglia, nucleo sociale che prima di tutti insegna la “giusta” collocazione femminile lì e nel mondo, nell’accezione più o meno marcatamente autoritaria, retrograda, discriminante, in funzione di epoca, territorio e caratteristiche del genitore, più o meno illuminato o illuminante. Il condizionamento involontario inizia dall’assenza di giochi tecnici o scientifici, perché una femmina non può dedicarsi a tali discipline o addirittura appassionarsi. No. Il mondo delle piccole donne è lontano da costruzioni, veicoli, esperimenti: è dedicato a bambole da accudire, pappe da preparare, carrelli della spesa da riempire, formine e finti fornelli, giocattoli per le faccende domestiche. Non a caso le discipline STEM (acronimo di Science, Technology, Engineering e Mathematics) vedono ad oggi un’incidenza femminile piuttosto deludente, mediamente inferiore al 20%, come confermato da diversi studi1

L’impiego delle donne nei settori tecnologici è quasi ancillare e benché la collocazione lavorativa avvenga anche in tempi brevi grazie ai brillanti risultati accademici, l’avanzamento di carriera è lento, se non impossibile, e il ristagno è a livelli retributivi inferiori a quelli degli uomini, a parità di anzianità lavorativa, contenuto delle mansioni e competenze effettive.

Un copione che si ripete un po’ ovunque. Così è del tutto normale che perfino in ambiti in cui lo stereotipo di genere dovrebbe manifestarsi in tutto il suo “splendore” e registra effettivamente una presenza femminile in percentuali assolutamente importanti (cura della persona, sanità e istruzione, solo per citarne alcuni) ricadiamo nel tranello, perché i ruoli apicali sono assegnati maggiormente al sesso maschile e anche ai livelli inferiori si registra un divario retributivo piuttosto evidente. Durante la pandemia la disparità di genere si è ulteriormente amplificata2. La convivenza familiare forzata e la chiusura di asili e scuole hanno innescato circuiti pericolosi che hanno incrementato l’impegno delle donne nel nucleo familiare: gestione della casa e della famiglia sono rimaste a carico della moglie-madre, anche laddove le incombenze lavorative risultino paritarie con il marito-padre. Di nuovo il meccanismo dell’infanzia si ripete: sarai anche brava, sarai anche una professionista capace, ma sempre “bambole da accudire, pappe da preparare, carrelli della spesa da riempire, formine e finti fornelli, giocattoli per le faccende domestiche”. A tutto ciò si aggiungono le responsabilità della cura e del sostegno nei confronti di familiari e affini che versano in condizioni di fragilità. Poco importa la presenza o assenza del cosiddetto vincolo di sangue, ciò che conta è che normalmente è la donna che si prende carico della loro assistenza ed è a lei che si chiede il passo indietro dal ruolo di lavoratrice a quello di caregiver familiare. Non può che tornare alla mente il suicidio della donna torinese di pochi mesi fa.

È un problema di attività professionale tout court che colpisce egualmente uomini e donne? O il lavoro, sia esso autonomo che dipendente, è (solo) un ulteriore pezzo della scacchiera femminile, stracolmo di impegni professionali, familiari e casalinghi? Vi sono professioni nelle quali lo stress e l’impegno in termini di ore è un connotato tipico: molte ore di lavoro, orari che mal si conciliano con la vita privata e sociale, stanchezza fisica o mentale, ma è indubbio che a parità di tipologia di lavoro vi è una asimmetria nella fase domestica che ne segue, e da qui è evidente che le donne non finiscono mai di lavorare.

TENTATIVI PRESSAPOCHISTI PER ARGINARE IL DIVARIO

Negli ultimi decenni, le istituzioni hanno introdotto meccanismi di tutela del lavoro femminile e della maternità, pietre miliari nel nostro ordinamento giuridico ma che, non collocati in un quadro socio-giuridico più ampio e lungimirante, hanno acuito il divario tra lavoratori e lavoratrici in favore dei primi, scevri per natura da certe incombenze biologiche, e a discapito delle seconde, ree di aver la “brutta abitudine” di volersi riprodurre. Un rimedio successivo è stato l’inserimento del congedo parentale in luogo della maternità facoltativa, un tempo a solo appannaggio delle mamme e ora esteso anche ai padri, e l’introduzione e successiva cristallizzazione del congedo obbligatorio per i papà che da quest’anno è stato innalzato a dieci giorni. Ma anche questi interventi, seppur lodevoli, mal si coniugano con la realtà. Benché in timida crescita negli anni, il congedo parentale è scarsamente richiesto e i giorni di congedo obbligatorio diventano quasi un vincolo noioso e pedante, un’imposizione perfino per il destinatario della misura.

Nondimeno altri tentativi, buoni nelle intenzioni, si stanno rivelando pessimi nei risultati. Ne sono un esempio evidente le quote rosa, tese a innescare forzatamente una proporzione di genere nei ruoli apicali. In questo modo si sono verificati imbarazzanti situazioni, nelle quali per far fronte alle percentuali imposte dal Legislatore sono state designate donne che, per dirla con un elegante giro di parole, mal si rappresentano in quel contesto e in quelle funzioni. Le competenze devono essere premiate non per il nome di chi le possiede, né per il loro appartenere all’uno o all’altro sesso, a questa o a quell’altra etnia, né per un’imposizione legale, ma devono essere riconosciute per la storia professionale del soggetto, per quel che sa fare e per come lo sa fare, nonché per l’etica e il rispetto che riserva al prossimo.

LA NECESSITÀ DI UN CAMBIO INDIVIDUALE E CULTURALE

La disparità di genere è un problema complesso e articolato, il cui approfondimento non può prescindere da profonde analisi sociologiche che risultano ben lungi dalla breve disamina di questo articolo, relegando la finalità di quest’ultimo allo stimolo di una riflessione comune.

Bisogna agire su più fronti, simultaneamente ed in modo efficace.

La cultura e la scolarizzazione sono il futuro di qualsiasi Paese e purtroppo negli ultimi anni abbiamo assistito impotenti e rassegnati al loro lento declino. È necessario rivedere criticamente il contenuto e le modalità di erogazione dell’istruzione scolastica, creando già in tenera età percorsi di avvicinamento alle materie scientifiche e a mestieri e professioni, altrimenti non stupiamoci se i modelli di riferimento restano veline, calciatori e influencers. La rimozione delle disparità passa anche da un diverso sostegno alla maternità e alla cura dei figli che può trovare concretezza nel rafforzamento delle istituzioni a sostegno dell’infanzia, con una maggior flessibilità degli orari di asili e delle scuole così da renderli compatibili con le attività lavorative dei genitori. Prendendo spunto da esempi virtuosi di paesi nord-europei, andrebbe considerata l’introduzione della figura della Tagesmutter, persona dotata di competenze e formazione specifica professionale, che presso il proprio domicilio si dedica della cura e educazione di piccoli gruppi di bambini, in genere massimo cinque. Altri ambiti su cui agire sono l’erogazione di incentivi per il mantenimento di rapporti di lavoro al rientro dalla maternità, il sostegno alle forme di lavoro flessibile, la creazione di soggiorni e campi estivi per i figli, il rafforzamento delle cure domiciliari rivolte a soggetti fragili e luoghi di aggregazione e di cura economicamente accessibili. Queste sono alcune proposte per attribuire la responsabilità della cura della famiglia a soggetti diversi, così che le donne possano dedicarvisi per scelta e non più per costrizione. Ma non può essere sufficiente. Il superamento delle discriminazioni di genere necessita di un nostro percorso di crescita individuale. Dobbiamo coltivare collaborazioni genuine e sincere tra di noi, a partire dai più ristretti nuclei lavorativi, superando l’eventuale incapacità di lavorare in gruppo, spesso manifestata nella smania di protagonismo e da rivalità inutili; superate queste criticità sappiamo lavorare insieme e sappiamo farlo bene, creando sinergie e collaborazioni incredibili. Abbandoniamo l’approccio autoritario in favore dell’autorevolezza, smettiamo di approcciarci al lavoro facendo nostri i comportamenti peggiori di alcuni uomini di cui potremmo diventare la loro peggiore imitazione.

La nostra competenza non ha bisogno di essere ostentata, smettiamo di sentirci in competizione perché le nostre capacità non hanno bisogno di essere poste in discussione, in primis da noi stesse.

Infine, ai colleghi, amici, padri, mariti, cosa possiamo chiedere?

Un ulteriore passo avanti nella nostra direzione, che implica approcciarsi al mondo del lavoro guardandolo anche con i nostri occhi, prendendo atto delle nostre peculiarità e ammettendo che anche voi ne avete delle vostre, anch’esse più o meno apprezzabili, per comprendere infine che si può convivere e lavorare insieme se si superano le prese di posizione infruttuose e i pregiudizi reciproci.

 

1. Tra i principali studi in materia: UNESCO (giugno 2019), SCO (2018), Telling SAGA: improving measurement and poliWomen in science, Fact Sheet no. 55, FS/2019/SCI/55; UNE- cies for gender equality in science, technology and innovation.

2. MEF (2021), Bilancio di genere per l’anno finanziario 2020.

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