TRATTAMENTO PENSIONISTICO AGGIUNTIVO ALLA PENSIONE PRINCIPALE: in quali casi spetta, quali sono le gestioni previdenziali che liquidano l’assegno

Noemi Secci, Consulente del lavoro in Sassari

 

PENSIONE SUPPLEMENTARE E SUPPLEMENTO DI PENSIONE

La maggior parte dei lavoratori ha contributi in diverse gestioni previdenziali. È possibile unificarli presso una sola gestione con la ricongiunzione (L. n. 29/1979 e L. n. 45/1990), che di solito ha un costo, oppure gratuitamente attraverso la costituzione di posizione assicurativa, la convenzione Inps-Ex Enpals se si è lavoratori dello spettacolo o sportivi professionisti (art. 16, D.P.R. n. 1420/1971) o attraverso il computo nella gestione Separata (art. 3, D.M. n. 282/1996). In alternativa, si possono unire i contributi senza costi, ai soli fini del diritto a pensione, con il cumulo (art. 1, co. 239 e ss., L. n. 228/2012) o la totalizzazione (D.lgs. n. 42/2006). Questi ultimi due strumenti non trasferiscono i versamenti in una sola cassa, ma ogni gestione paga la sua parte di pensione. Queste opzioni sono generalmente disponibili fino al pensionamento. Se per  il contribuente riceve già una pensione dalla gestione nella quale risulta la maggior parte dei contributi ed ha versamenti insufficienti in altre gestioni per un autonomo trattamento pensionistico, come pu  evitare di perdere quanto accantonato? E come non perdere eventuali nuovi versamenti derivanti dall’attività lavorativa svolta dopo il pensionamento? In questi casi, bisogna esaminare le possibilità di richiedere una pensione supplementare. Si tratta di una prestazione aggiuntiva rispetto alla pensione principale, erogata da una gestione previdenziale in cui il pensionato possiede dei contributi, ma sotto il minimo necessario per ottenere un assegno autonomo. Laddove invece, dopo il pensionamento, l’interessato continui a lavorare contribuendo nella stessa gestione che eroga il trattamento principale, potrebbe sorgere il diritto a un supplemento di pensione: questo consiste in un importo aggiuntivo, calcolato sulla base della nuova contribuzione accreditata.

 

GESTIONI PREVIDENZIALI CHE RICONOSCONO LA PENSIONE SUPPLEMENTARE

Il diritto alla pensione supplementare non è sempre riconosciuto: alcune casse non lo prevedono, altre lo erogano soltanto se la pensione principale è liquidata da specifiche gestioni di previdenza.

L’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO) dell’Inps, ad esempio, liquida la pensione supplementare soltanto a favore dei pensionati presso i c.d. fondi sostitutivi (Fondo Elettrici, Telefonici, Volo…) o esclusivi (Gestione Inps Dipendenti Pubblici, ex fondi F.S. e Ipost) (art. 5, L. n. 1338/1962). Se il trattamento principale è liquidato a carico di una cassa professionale o della gestione Separata, l’Ago non eroga la pensione supplementare. I fondi sostitutivi ed esclusivi dell’AGO non prevedono proprio alcun diritto alla pensione supplementare, a prescindere dalla cassa in cui si ha diritto alla prestazione pensionistica principale.

La Gestione Separata Inps, invece, riconosce la pensione supplementare a prescindere dalla cassa che liquida il trattamento principale, persino nell’ipotesi in cui si tratti di una cassa professionale (art. 1, co. 2, D.M. n. 282/1996). Questa “generosità” non funziona, purtroppo, nel caso contrario: laddove la pensione principale sia a carico della Gestione Separata, nessuna gestione amministrata dall’Inps riconosce il trattamento supplementare (possono fare eccezione le casse professionali privatizzate di cui al D.lgs. n. 103/1996, o private di cui al D.lgs. n. 509/1994, se è previsto dal regolamento dell’ente; l’art. 39 del Regolamento di Previdenza CNPR-Cassa Ragionieri, ad esempio, prevede il diritto alla pensione di vecchiaia supplementare ai titolari di trattamento presso qualsiasi altra gestione previdenziale obbligatoria).

La gestione Ex Enpals (lavoratori dello spettacolo e sportivi professionisti) riconosce la pensione supplementare soltanto in caso di pensione principale liquidata dalle gestioni sostitutive o esclusive dell’AGO, o dalla stessa AGO, ma in qualità di lavoratore autonomo (iscritto presso le gestioni speciali degli artigiani, dei commercianti, o coltivatori diretti, Iap, coloni e mezzadri). Non riconosce, invece, il trattamento supplementare laddove la pensione principale risulti a carico del FPLD, dato che la contribuzione tra le due assicurazioni viene cumulata d’ufficio attraverso un’apposita convenzione (cfr. Circolare Inps n. 83/2016).

ETÀ PENSIONABILE

Per ottenere la pensione supplementare, non basta avere una pensione principale: bisogna anche raggiungere l’età minima per la pensione di vecchiaia presso la gestione che eroga la pensione. Specificamente, per i fondi gestiti dall’Inps, l’età necessaria per la prestazione supplementare è di 67 anni (come stabilito dall’art. 24, co. 6, D.l. n. 201/2011). A partire dal 1° gennaio 2025, questo requisito potrebbe essere modificato basandosi sugli eventuali aumenti della speranza di vita media rilevati dall’Istat.

DECORRENZA

La pensione supplementare viene erogata a partire dal mese successivo a quello di presentazione della domanda amministrativa. Se la domanda non è stata inoltrata, non si ha diritto a ratei arretrati dal momento della maturazione dei requisiti. Se il pensionato o il lavoratore decede, ai familiari aventi diritto può essere corrisposta una pensione supplementare per i superstiti, sia di reversibilità che indiretta.

CALCOLO DELLA PENSIONE

La pensione supplementare è liquidata considerando i soli contributi presenti nella gestione che riconosce il trattamento. Laddove sia la pensione principale che quella supplementare siano liquidate a carico di gestioni amministrate dall’Inps, i contributi non sono unificati ai fini dell’accertamento dell’anzianità contributiva alla data del 31 dicembre 1995: sono valorizzati i soli contributi che danno luogo alla pensione supplementare (messaggio Inps n. 331/2001). Ad esempio, se l’interessato non raggiunge 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 con i soli versamenti presso la gestione che eroga la pensione supplementare, ha diritto al calcolo retributivo del trattamento soltanto sino a tale data, non sino al 31 dicembre 2011; questo, anche nell’ipotesi in cui raggiunga 18 anni di contribuzione ante 1996 sommando i versamenti accreditati presso la gestione principale e presso la gestione che eroga la pensione supplementare. La pensione supplementare non è integrabile al trattamento minimo (art. 7, L. n. 155/1981).

SUPPLEMENTO DI PENSIONE

Il supplemento di pensione consiste in un incremento del trattamento liquidato dalla stessa gestione che eroga la pensione principale, sulla base dei contributi versati dopo il pensionamento, derivanti dallo svolgimento di attività lavorativa.

ASSICURAZIONE GENERALE OBBLIGATORIA

Se l’interessato è pensionato presso il Fondo  pensione dei lavoratori dipendenti (FPLD), puo’ ottenere il supplemento, sia che decida di reimpiegarsi in qualità di lavoratore subordinato, che di iniziare un’attività che comporti l’iscrizione presso una delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, CD-CM), o di proseguire un’attività comportante il suddetto obbligo. In questi casi, difatti, è ugualmente soggetto alla copertura contributiva presso l’Assicurazione generale obbligatoria, la stessa forma assicurativa presso la quale è titolare di pensione. In pratica, è liquidato un importo aggiuntivo alla pensione, determinato sulla base dei nuovi versamenti effettuati in periodi successivi alla data di decorrenza della pensione principale. Quanto esposto vale anche in relazione agli iscritti presso le gestioni speciali dei lavoratori autonomi.

FONDI SOSTITUTIVI ED ESCLUSIVI

I fondi sostitutivi ed esclusivi dell’Assicurazione generale obbligatoria non riconoscono il supplemento di pensione (artt. 130 e ss. del D.P.R. n. 1092/1973). I dipendenti pubblici assicurati presso le ex casse di previdenza amministrate dal Tesoro (CPDEL, Cpug, CPI e CPS) possono tuttavia ottenere una quota aggiuntiva di pensione (art. 26, L. n. 610/1952), per lo svolgimento di un nuovo servizio di durata superiore ad un anno, laddove non costituisca derivazione, continuazione o rinnovo del precedente rapporto di lavoro.

DOMANDA DI SUPPLEMENTO

È possibile inviare domanda di supplemento di pensione:

  • dopo che siano trascorsi almeno 5 anni dalla data di decorrenza della pensione o del precedente supplemento;
  • per una sola volta, dopo due anni dalla decorrenza della pensione o del precedente supplemento, se risulta compiuta l’età pensionabile (art. 7, co. 4-5-6, L. n. 155/1981).

Il supplemento decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda, purché siano perfezionati i requisiti richiesti.

I contributi versati successivamente alla data di decorrenza di un supplemento danno diritto alla liquidazione di ulteriori supplementi. Il supplemento spetta anche se il lavoratore ha ottenuto il trattamento pensionistico attraverso la totalizzazione o il cumulo, purché continui a lavorare e a versare contributi in una delle gestioni.

Se si riceve la pensione da una cassa professionale, è possibile, ai sensi dell’art. 1, co. 5, L. n. 45/1990, chiedere la ricongiunzione di eventuali periodi assicurativi successivamente maturati e la liquidazione di un supplemento di pensione commisurato alla nuova contribuzione trasferita. La richiesta di ricongiunzione puo’ essere esercitata una sola volta, entro un anno dalla cessazione della successiva contribuzione.

CALCOLO DEL SUPPLEMENTO DI PENSIONE

Il supplemento di pensione, presso le gestioni amministrate dall’Inps, è calcolato con lo stesso sistema adottato per la pensione principale, ossia:

  • col sistema retributivo sino al 31 dicembre 2011, per chi possiede almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995; ricordiamo che questo metodo di calcolo è basato sugli ultimi redditi e sulle settimane contribuite risultanti entro specifici archi di tempo;
  • col sistema retributivo sino al 31 dicembre 1995, per chi possiede meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995;
  • col sistema contributivo dal 1° gennaio 2012 per chi possiede almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, dal 1° gennaio 1996 per gli altri contribuenti; ricordiamo che questo metodo di calcolo è basato sui versamenti accreditati e sull’età pensionabile. Ricordiamo che i periodi ante 1996 possono essere calcolati con sistema contributivo in relazione alle pensioni conseguite in regime di computo presso la gestione Separata, totalizzazione nazionale, o con opzione al contributivo (art. 1, co. 23, L. n. 335/1995) o opzione donna (art. 16, D.l. n. 4/2019).

Laddove nel supplemento di pensione rientrino periodi da valorizzare con calcolo retributivo, sono da considerare soltanto le retribuzioni e le anzianità che si collocano tra la data di decorrenza della pensione, o del precedente supplemento, e quella del supplemento da liquidare.

ESEMPIO

Decorrenza pensione 01/04/2009 Supplemento liquidato il 01/01/2014 (ultimo versamento 31/12/2013) Oltre 18 anni di contributi al 31/12/1995. Supplemento da liquidare presso la gestione speciale Artigiani.

Il supplemento consta di due quote: quota retributiva dal 2009 al 31/12/2011 e quota contributiva 2012-2013. Anche il supplemento è soggetto al cd. “doppio calcolo” di cui alla L. n. 190/2014 (si liquida l’importo inferiore tra quello ottenuto valorizzando il supplemento con sistema contributivo sino al 2011, contributivo dal 2012 e il solo sistema retributivo).

CALCOLO QUOTA RETRIBUTIVA

Poiché l’interessato ha diritto al calcolo retributivo sino al 2011 compreso, nel supplemento deve essere valorizzato il periodo dal 04/2009 (data di liquidazione della pensione) al 31/12/2011, utilizzando il sistema di calcolo retributivo valido per la quota B. Nello specifico, la retribuzione media settimanale per la quota B del supplemento si calcola prendendo i redditi dalla decorrenza della pensione alla data del supplemento, senza considerare i redditi già contati nella prima liquidazione della pensione.

Nel caso di specie, la quota B riguarda dunque le anzianità ed i redditi dal 01/04/2009 al 31/12/2011. I redditi sono rivalutati, secondo l’indice FOI + 1%, alla data di decorrenza del supplemento.  

(Clicca qui per tabella 1)

CALCOLO QUOTA CONTRIBUTIVA
La quota contributiva, nel caso di specie, comprende gli anni 2012 e 2013: sono dunque
considerati i versamenti effettuati in queste due annualità. Quale coefficiente di trasformazione del montante contributivo, è utilizzato quello relativo all’età dell’interessato alla data di decorrenza del supplemento.

(Clicca qui per tabella 2)

(Clicca qui per tabella 3)

Il supplemento non subisce limitazioni di importo, in quanto sia le retribuzioni, sia i periodi contribuiti, sono considerati integralmente.
Di conseguenza, l’importo del supplemento si somma comunque alla pensione retributiva, anche se questa è stata liquidata in base all’anzianità contributiva massima
consentita di 40 anni di contribuzione.

INTEGRAZIONE AL TRATTAMENTO MINIMO
Se il titolare della pensione beneficia dell’integrazione al trattamento minimo, il supplemento è assorbito dall’integrazione; se l’assorbimento è parziale, al pensionato viene corrisposta l’eccedenza.

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CUMULO REDDITI pensione-lavoro

Noemi Secci, Consulente del lavoro in Sassari

 

Lavoro dei pensionati: in quali casi non è possibile sommare i redditi derivanti dall’attività lavorativa ai redditi di pensione?

In base a quanto chiarito dalla Cassazione (n. 5052/2016), perché il lavoratore dipendente possa ricevere la pensione di vecchiaia, o la pensione di anzianità o anticipata, è necessario che al momento della decorrenza del trattamento risulti verificata la cessazione dell’attività. L’obbligo di cessare l’attività lavorativa subordinata è connesso alla finalità della pensione, che consiste nello stato di bisogno derivante dalla fine del rapporto di lavoro. L’obbligo di terminare l’attività lavorativa dipendente, in particolare, è stato introdotto dall’art. 1, co. 7, D.lgs. n. 503/1992 ed è stato esteso alle pensioni liquidate con il sistema contributivo dall’art. 1, co. 20, L. n. 335/1995. Per i lavoratori autonomi e parasubordinati, invece, non è previsto l’obbligo di cessare l’attività lavorativa.

Il lavoratore, una volta pensionato, puo’ comunque essere assunto, sia come subordinato che come parasubordinato, oppure puo’  svolgere attività lavorativa come lavoratore autonomo (libero professionista o imprenditore). Vi sono tuttavia dei trattamenti pensionistici che non risultano pienamente cumulabili con i redditi di lavoro; li elenchiamo nella tabella seguente

Limiti alla piena cumulabilità

PENSIONE OSSERVAZIONI
Quota 100- 102-103 Totalmente non cumulabile con l’attività lavorativa, salvo redditi di lavoro autonomo occasionale (art. 2222 Cod. Civ.) entro 5.000 euro di compensi lordi annui (o 45 giornate lavoro agricolo occasionale, relativamente alla Quota 103). Basta un solo giorno di lavoro non compatibile nell’anno perché la pensione sia sospesa per l’intera annualità. L’incumulabilità opera sino al compimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia o sino alla cessazione dell’attività lavorativa.
Assegno ordinario d’invalidità Pienamente cumulabile con l’attività lavorativa, se il reddito non supera 4 volte il trattamento minimo (TM). Con reddito di lavoro tra 4 e 5 volte il TM, l’assegno si riduce del 25%, oltre 5 volte il TM si riduce del 50%. Si applica una seconda riduzione se l’assegno supera il trattamento minimo.
Pensione calcolata con sistema integralmente contributivo Cumulabile limitatamente con l’attività lavorativa, qualora non si raggiungano determinati requisiti di età e/o contribuzione.
Pensioni di inabilità/invalidità specifica In caso di svolgimento di un’attività lavorativa, si applica una decurtazione sull’eventuale parte della prestazione eccedente il trattamento minimo.
Pensione d’inabilità ordinaria Totalmente incumulabile con qualsiasi attività lavorativa, nonché con l’iscrizione presso albi ed elenchi.
Pensione anticipata precoci Totalmente incumulabile con qualsiasi attività lavorativa, sino alla maturazione del requisito contributivo “virtuale” per la pensione anticipata ordinaria, pari a 42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne. Il periodo massimo di incumulabilità è dunque pari a 1 anno e 10 mesi per gli uomini, 10 mesi per le donne.

Osserviamo i trattamenti pensionistici elencati che possono dar luogo ad alcune criticità interpretative ed i correlati limiti alla piena cumulabilità nel dettaglio.

PENSIONI LIQUIDATE NEL SISTEMA INTEGRALMENTE CONTRIBUTIVO

Per quanto riguarda le prestazioni maturate in base al solo sistema di calcolo contributivo, cioè per coloro che sono entrati nel mondo del lavoro successivamente al 31 dicembre 1995, o per gli optanti per il regime contributivo ex art. 1, co. 23, L. n. 335/1995, il cumulo della pensione con i redditi da lavoro è possibile a condizione che risulti soddisfatta almeno una delle seguenti condizioni, al momento del pensionamento:

  • siano stati compiuti almeno 60 anni di età se donna o 65 anni se uomo;
  • ci siano almeno 40 anni di contribuzione;
  • ci siano almeno 35 anni di contributi e 61 anni di età (art. 19, del D.l. n. 112/08; Circ. Inps n. 108/2008).

PENSIONE PER INABILITÀ PERMANENTE ED ASSOLUTA

La pensione di inabilità di cui all’art. 2, L. n. 222/1984 è riconosciuta, nello specifico, se si possiedono i seguenti requisiti:

La pensione di inabilità di cui all’art. 2 L. 222/1984 è riconosciuta, nello specifico, se si possiedono i seguenti requisiti:

  • riconoscimento dell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa;
  • almeno 5 anni di contribuzione, di cui 3 accreditati nel quinquennio precedente la domanda di trattamento; per raggiungere questo requisito sono ammessi sia il cumulo che la totalizzazione dei versamenti.

Per quanto riguarda i dipendenti pubblici, l’art. 2 co. 12 L. 335/1995 prevede il diritto a conseguire la pensione di inabilità sulla base dei medesimi presupposti contributivi e sanitari: è inoltre necessario che intervenga la dispensa dal servizio da parte dell’Amministrazione per inabilità permanente ed assoluta allo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa, non dovuta a causa di servizio.

Il trattamento per inabilità è incompatibile con:

  • qualsiasi tipo di attività lavorativa;
  • l’iscrizione negli elenchi anagrafici degli operai agricoli e negli elenchi di categoria dei lavoratori autonomi;
  • l’iscrizione negli albi professionali;
  • la spettanza di trattamenti per disoccupazione e di ogni altro trattamento sostitutivo o integrativo della retribuzione.

 

ASSEGNO ORDINARIO DI INVALIDITÀ

Ricordiamo che l’assegno ordinario di invalidità (art. 1, L. n. 222/1984) è una prestazione pensionistica spettante agli iscritti presso l’Assicurazione generale obbligatoria, i fondi sostitutivi o la Gestione Separata Inps, in presenza di un minimo di 5 anni di contribuzione, di cui 3 accreditati nell’ultimo quinquennio, laddove sia riconosciuta un’invalidità pensionabile superiore ai 2/3.

Il trattamento è calcolato allo stesso modo della pensione, ma, a partire dal 1995, se il titolare di un assegno ordinario di invalidità svolge attività lavorativa dipendente, autonoma o di impresa, l’importo dell’assegno viene ridotto:

a) in misura pari al 25% se il reddito ricavato da questa attività supera 4 volte l’importo del trattamento minimo annuo calcolato in misura pari a 13 volte l’importo mensile in vigore al 1° gennaio di ciascun anno;

b) in misura pari al 50% se il reddito ricavato da questa attività supera 5 volte l’importo del trattamento minimo annuo calcolato in misura pari a 13 volte l’importo mensile in vigore al 1° gennaio di ciascun anno. Si applica altresì una seconda riduzione sull’eventuale parte della prestazione eccedente il trattamento minimo, corrispondente: – al 50% della quota eccedente il minimo, se il reddito percepito è di lavoro dipendente; – al 30% della quota eccedente il minimo, se il reddito percepito è di lavoro autonomo.

Questa riduzione non puo’  superare l’importo del reddito prodotto e non si pu  applicare se l’invalido possiede almeno 40 anni di contributi (art. 10 del D.lgs. n. 503/1992, art. 72 del D.lgs. n. 388/2000 e circolare Inps n. 197/2003); la decurtazione non opera in presenza di particolari condizioni (indicate dall’art. 10 del D.lgs. n. 503/1992 e dalla circolare Inps n. 197/2003). In particolare, nel caso di svolgimento di lavoro dipendente la riduzione non scatta se:

  • il reddito conseguito è inferiore al trattamento minimo Inps;
  • il lavoratore è impiegato in contratti a termine la cui durata non superi le 50 giornate nell’anno solare (art. 10, co. 2, D.lgs. n. 503/1992);
  • per i redditi derivanti da attività svolte nell’ambito di programmi di reinserimento degli anziani in attività socialmente utili promosse da enti locali ed altre istituzioni pubbliche e private.

La decurtazione, per i lavoratori dipendenti beneficiari dell’assegno, è operata dal datore di lavoro sotto forma di trattenuta giornaliera; nel caso di redditi di lavoro autonomo ed in ipotesi particolari è l’Inps ad applicare una trattenuta diretta sull’assegno.

 

PENSIONI PER INABILITÀ E INVALIDITÀ SPECIFICA

I titolari di pensioni d’invalidità ed inabilità specifica (ossia connesse a peculiari tipologie di riduzione della capacità lavorativa) eccedenti il trattamento minimo, in caso di svolgimento di attività lavorativa e di contribuzione inferiore ai 40 anni, subiscono la stessa decurtazione applicabile “in seconda battuta” ai titolari di assegno ordinario di invalidità, con le medesime eccezioni.

TRATTENUTA GIORNALIERA

La c.d. trattenuta giornaliera ai lavoratori dipendenti titolari di assegno ordinario o pensione d’invalidità è applicata, come osservato, in relazione alle prestazioni d’importo superiore al trattamento minimo di pensione.

La trattenuta deve essere effettuata, nei casi previsti, direttamente sulla retribuzione, a cura del datore di lavoro. Nel dettaglio, l’art. 21, D.P.R. 27.4.1968, n. 488, nel testo integrato dall’articolo 21, L. n. 153/1969, dispone che il lavoratore è tenuto a dichiarare per iscritto al datore di lavoro la propria qualità di pensionato e che il datore di lavoro, a seguito della denuncia, o comunque accertato che il dipendente risulta titolare di pensione, è tenuto ad annotare tale circostanza sul libro matricola (ora sostituito dal libro unico del lavoro). Per conoscere l’importo della trattenuta, è necessario verificare quanto indicato dall’Inps nel modello ObisM, o Certificato di pensione (messaggio Inps 31.3.2021, n. 1359) inviato al pensionato.

In nessun caso l’importo della trattenuta per attività lavorativa pu  essere superiore a quello della retribuzione, al netto dei trattamenti di famiglia e dei contributi previdenziali ed assistenziali a carico del lavoratore.

Per quanto concerne l’aspetto contributivo, gli importi ritenuti sulle pensioni sono ininfluenti sull’imponibile previdenziale, in quanto si considera retribuzione tutto ci  che il lavoratore, “al lordo di qualsiasi ritenuta, percepisce dal datore di lavoro”: la trattenuta è infatti una ritenuta sulla pensione, non una minor retribuzione. Per quanto concerne l’aspetto tributario, gli importi ritenuti sulle pensioni sono da portare in diminuzione dall’imponibile fiscale, in quanto hanno già subito la ritenuta alla fonte a cura dell’Istituto.

Le somme trattenute ai lavoratori pensionati devono essere comunicate all’Istituto con il modulo di denuncia UniEmens, concernente il mese cui le trattenute si riferiscono, nonché versate con modello F24. Nel caso di regime orario part-time orizzontale, il datore di lavoro deve determinare la trattenuta settimanale moltiplicando la trattenuta giornaliera per 6, dividendo il prodotto per il numero delle ore corrispondenti al normale orario settimanale e moltiplicando il risultato per il numero delle ore effettivamente lavorate nella settimana.

Esempio:

-Trattenuta giornaliera normale (indicata su ObisM) 8,00 euro T Minor orario settimanale ore 20.

– Orario normale ore 40.

-40: 20=2;

– 8,00: 2 = 4,00

– Trattenuta giornaliera pari a 4 euro Qualora il pensionato per invalidità che abbia già svolto attività di lavoro a termine per meno di 50 giornate si rioccupi con contratto di lavoro a termine che comporti il superamento del limite delle 50 giornate nell’anno, è obbligato a comunicarlo al nuovo datore di lavoro (art. 10, co. 3, D.lgs. n. 503/1992), che deve:

  • operare la trattenuta per l’intero periodo lavorativo effettuato alle proprie dipendenze;
  • segnalare la circostanza all’Inps, inviando all’Istituto copia della dichiarazione del lavoratore; l’istituto si occuperà di effettuare le trattenute per le giornate relative ai rapporti di lavoro precedenti.

L’Istituto applica una trattenuta diretta sulla pensione anche nell’ipotesi in cui il titolare di assegno ordinario o pensione d’invalidità percepisca redditi di lavoro autonomo.

ASPETTI FISCALI

Anche nell’ipotesi in cui il trattamento pensionistico sia pienamente cumulabile con il reddito di lavoro, è necessario considerare l’aspetto fiscale: i redditi di pensione, difatti, rientrano nell’imponibile Irpef e scontano lo stesso trattamento tributario dei redditi di lavoro dipendente (art. 49, co. 2 del TUIR), con l’applicazione di specifiche detrazioni (circ. Ag. Entrate n. 4/2022, par. 1.2.2). Laddove il pensionato percepisca anche un reddito di lavoro, dunque, sia tale reddito che l’importo della pensione entreranno a far parte dell’imponibile Irpef, che pertanto risulterà più elevato, con applicazione di una maggiore imposta e di una minore detrazione. Si ricorda che le detrazioni per reddito di pensione sono parametrate su 365 giornate annuali, proprio come le detrazioni per redditi di lavoro dipendente e assimilati. In relazione alla stessa giornata, le due tipologie di detrazione sono incumulabili. Laddove l’interessato svolga invece un’attività di lavoro autonomo, la relativa detrazione, non essendo rapportata ai giorni di lavoro, è totalmente incompatibile con la detrazione per redditi di pensione, in relazione alla medesima annualità.

Osserviamo come cambia l’imposizione nelle seguenti ipotesi: percezione di sola pensione in misura pari a 1.000 euro per 13 mensilità (ipotesi 1), confrontata con la percezione della medesima pensione con aggiunta di un reddito annuo di lavoro autonomo pari a € 10.000 (ipotesi 2).

IPOTESI 1
Imponibile Irpef (pensione) € 13.000
Irpef lorda € 2.990
Detrazioni per redditi di pensione € 1.665,36
Irpef netta € 1.324,64
Pensione netta € 11.675,36
IPOTESI 2
Imponibile Irpef

(pensione + reddito di lavoro aut.)

€ 23.000
Irpef lorda € 5.449,99
Detrazioni per redditi di pensione € 1.021,80
Irpef netta € 4.428,19
Pensione netta + reddito netto di lavoro autonomo € 18.571,81

Laddove il regime fiscale utilizzato dal pensionato lavoratore autonomo sia il c.d. forfettario (art. 1, co. da 54 a 89, L. n. 190/2014), non spettano detrazioni per il reddito di lavoro autonomo che per , sottoposto a una tassazione specifica, non rientra nell’imponibile Irpef e quindi non causa l’aumento dell’imposta e la diminuzione delle detrazioni. Non è possibile, tuttavia, la permanenza nel regime forfettario se viene superata la soglia di 30.000 euro di pensione nell’anno: in questo caso, il regime agevolato viene meno a partire dall’anno successivo.

Per quanto riguarda le detrazioni per redditi di pensione, a partire dal 2022 devono essere applicate le seguenti formule:

  • redditi sino a 8.500 euro: detrazione base pari a 1.955 euro annui; si tratta della cd. nuova no tax area;
  • redditi da 8.500 a 28mila euro: 700 +1.2500 x (28.000 – reddito complessivo): 19.500;
  • redditi oltre 28mila e fino a 50mila euro: 700 x (50.000 -reddito complessivo): 22.000; redditi oltre 50.000 euro: nessuna detrazione.

Viene applicato un incremento dell’importo della detrazione di 50 euro per la fascia di reddito tra i 25.000 e i 29.000 euro.

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APE SOCIALE 2023: requisiti e valutazione di convenienza

Noemi Secci, Consulente del lavoro in Sassari

Anticipo pensionistico a carico dello Stato accessibile anche per chi matura i requisiti nel 2023: analizziamo le condizioni da rispettare e la convenienza di questa misura di accompagnamento alla pensione.

Vola ancora l’Ape sociale, giunta ormai al settimo anno di operatività: la legge di Bilancio 2023 (L. n. 197/2022) ha previsto infatti la proroga di questo strumento di accompagnamento alla pensione, includendo nella platea dei beneficiari coloro che maturano i requisiti richiesti entro il 31 dicembre 2023. L’Ape sociale (art. 1, co. 179, L. n. 232/2016), nel dettaglio, è un’indennità di prepensionamento erogata dall’Inps, che ha la funzione di sostenere il reddito del lavoratore, se appartenente a specifiche categorie tutelate, dai 63 anni di età sino alla maturazione del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia ordinaria (art.24, co. 6, D.l. n. 201/2011). Considerando che, ad oggi (e almeno sino al 31 dicembre 2024), l’età pensionabile è pari a 67 anni, la durata massima del periodo di scivolo indennizzato è di 4 anni. Tuttavia, in molti si chiedono se usufruire di questa misura di sostegno possa comportare degli svantaggi in termini di pensionamento: per rispondere alla domanda, analizziamo
nello specifico lo strumento e prendiamo in esame un caso di studio, che evidenzia l’ammontare della pensione di vecchiaia a seguito di un periodo di Ape sociale ed a seguito del regolare svolgimento dell’attività lavorativa.

REQUISITI
In merito alla possibilità di fruire dell’anticipo pensionistico a carico dello Stato, è innanzitutto necessario aver compiuto 63 anni di età ed aver cessato l’attività lavorativa. Successivamente alla decorrenza della prestazione, è possibile rioccuparsi, ma il reddito annuo derivante dal nuovo lavoro non deve superare 8.000 euro per i lavoratori dipendenti o parasubordinati, 4.800 euro per i lavoratori autonomi. Il beneficiario deve inoltre appartenere a una delle seguenti categorie tutelate: disoccupati di lungo corso, invalidi dal 74%, caregiver e addetti ai lavori gravosi. Per ciascuna di queste categorie è disposto un differente requisito di contribuzione.
Il beneficiario non deve essere titolare di pensione: laddove acquisisca il diritto ad un trattamento pensionistico durante il periodo di fruizione dell’Ape sociale, l’indennità è revocata dal momento della decorrenza della pensione (Circ. Inps n. 100/2017, p.8).

CONTRIBUTI
I requisiti di contribuzione richiesti per l’accesso al prepensionamento con Ape sociale sono:
• 30 anni di versamenti per i disoccupati di lungo corso, per i caregiver e per gli invalidi dal 74%;
• 36 anni per gli addetti ai lavori gravosi;

• 32 anni per gli operai edili, per i ceramisti e per i conduttori di impianti per la formatura di articoli in ceramica e terracotta.
Le donne, inoltre, hanno diritto a una riduzionedel requisito contributivo pari a un anno per ogni figlio, sino a un massimo di due anni di sconto. Durante il periodo di fruizione dell’indennità, l’Inps non accredita contributi figurativi: questo in quanto il requisito contributivo minimo utile alla pensione di vecchiaia ordinaria (art. 24, co. 6, D.l. n. 201/2011) è generalmente pari a 20 anni e deve essere già raggiunto per accedere all’Ape sociale.
Ad ogni modo, il beneficiario dell’Ape sociale, se lo desidera, può richiedere all’Inps l’autorizzazione al versamento dei contributi volontari, per aumentare l’importo della futura pensione di vecchiaia.

CATEGORIE TUTELATE
Le categorie beneficiarie dell’Ape sociale sono costituite dai disoccupati di lungo corso, dai caregiver, dagli invalidi dal 74% e dagli addetti ai lavori gravosi.

DISOCCUPATI DI LUNGO CORSO
Alla categoria dei disoccupati di lungo corso ai fini dell’Ape sociale coloro che risultano:
• in stato di disoccupazione a seguito di licenziamento, anche collettivo, o di dimissioni per giusta causa, o per effetto di risoluzione consensuale nell’ambito della procedura di conciliazione obbligatoria (art. 7, L. n. 604/1966);
• in stato di disoccupazione a seguito di cessazione di un contratto a termine, laddove risultino almeno 18 mesi di periodi di lavoro subordinato negli ultimi 36 mesi.

CAREGIVERS
Appartengono alla categoria dei caregivers coloro che assistono, da almeno 6 mesi, il coniuge (o parte dell’unione civile) o un familiare di primo grado, convivente, con handicap riconosciuto in situazione di gravità (art. 3, co. 3, L. n. 104/1992).
Può rientrare nella platea dei beneficiari anche chi assiste e convive, da almeno 6 mesi, con un familiare entro il secondo grado, ma in questo caso è necessario che il coniuge o i genitori del disabile abbiano compiuto i 70 anni di età, oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

INVALIDI
Possono beneficiare dell’Ape sociale anche coloro a cui è stata riconosciuta un’invalidità civile pari o superiore al 74%.

ADDETTI AI LAVORI GRAVOSI
Appartengono alla categoria degli addetti ai lavori gravosi i lavoratori subordinati che hanno svolto per almeno 6 anni negli ultimi 7 anni, o per 7 anni nell’ultimo decennio, un’attività lavorativa particolarmente rischiosa o pesante, che deve far parte dell’elenco di cui alla Tabella A del D.M. del 5 febbraio 2018 o all’All. 3, L. n. 234/2021.

AMMONTARE DELL’INDENNITÀ
Il valore dell’Ape sociale è pari all’importo della rata mensile della pensione calcolata al momento dell’accesso all’indennità, sino al tetto massimo  di 1.500 euro mensili lordi, non rivalutabili.
L’indennità, incompatibile con l’indennità di disoccupazione e con qualsiasi tipologia di pensione diretta, è assimilata al reddito di lavoro dipendente dal punto di vista fiscale e dà dunque diritto all’applicazione delle relative detrazioni e, sussistendo i requisiti reddituali, del trattamento integrativo di cui al D.l. n. 3/2020.

DOMANDA DI CERTIFICAZIONE DEI REQUISITI
La domanda per la liquidazione dell’indennità Ape sociale non può essere approvata se prima non è stata inoltrata la domanda di certificazione del diritto alla prestazione.
Per certificare il diritto alla prestazione, l’Inps deve verificare la sussistenza delle condizioni per l’accesso all’Ape sociale: i requisiti devono risultare già soddisfatti al momento della presentazione della domanda di certificazione, ad eccezione del requisito anagrafico, dell’anzianità contributiva, nonché della  conclusione della fruizione del trattamento di disoccupazione e del periodo di svolgimento dell’attività lavorativa gravosa in via continuativa; queste condizioni, che l’Inps certifica in via prospettica, devono comunque maturare entro la fine dell’anno in corso al momento di presentazione della domanda.
Per non perdere ratei di trattamento, coloro che, al momento della presentazione della domanda  di certificazione delle condizioni, risultano già in possesso di tutti i requisiti previsti, possono presentare contestualmente anche la domanda di Ape sociale (messaggio Inps n. 163/2020).
Qualora risultino perfezionati tutti i requisiti, l’Ape sociale decorre dal primo giorno del mese successivo all’invio della domanda di trattamento, previa cessazione dell’attività di lavoro.
Le domande di certificazione, come chiarito dal decreto Lavoro, possono essere presentate entro i termini di scadenza del 31 marzo 2023 o del 15 luglio 2023, nonché, tardivamente, entro il 30 novembre 2023 (le istanze saranno accolte soltanto in caso di sussistenza di risorse residue).

CALCOLO DELL’INDENNITÀ
L’indennità di Ape sociale è pari all’importo della pensione spettante al momento di accesso alla prestazione, senza operare penalizzazioni o ricalcoli con sistema interamente contributivo.
Tuttavia, è previsto un tetto massimo di importo, che ammonta a 1.500 euro mensili lordi. Ai fini fiscali, l’indennità è assimilata al reddito di lavoro dipendente.

CASO DI STUDIO
Per comprendere se la fruizione dell’Ape sociale possa riflettersi negativamente sull’importo della futura pensione, osserviamo il seguente caso di studio, relativo a un addetto ai lavori gravosi:
• lavoratore dipendente iscritto presso Inps Fpld;
• data di nascita 10/11/1957;
• addetto a mansioni gravose per almeno 6 anni negli ultimi 7;
• la sua situazione previdenziale presso Inps Fpld, al 30/06/2020 (data ultimo aggiornamento dell’estratto conto certificativo), risulta la seguente:
– settimane accreditate: 1884, pari ad anni 36, mesi 3;
– sussistendo la successiva regolare continuazione nel versamento della contribuzione, al  31/12/2020 vi sono anni 36 mesi 9.
Si procede dunque al calcolo relativo alla simulazione dell’indennità di Ape sociale ed al calcolo della pensione di vecchiaia ordinaria successivamente spettante.

 

DETTAGLIO SITUAZIONE PREVIDENZIALE IPOTIZZATA AL 31-01-2021 (SULLA BASE DEGLI ACCREDITI ORDINARI) Totale contribuzione: 1914 settimane, pari ad anni 36 mesi 10

(per la tabella clicca qui)

CALCOLO APE SOCIALE CON ACCESSO AL 01.02.2021
L’Ape sociale è calcolata con sistema misto (retributivo sino al 31.12.1995, poi contributivo) in quanto l’interessato possiede meno di 18 anni di contributi al 31.12.1995.

(per la tabella clicca qui e qui)

Importo Ape sociale lordo al 01.02.2021:
1.187,85 euro mensili
Importo Ape sociale netto al 01.02.2021:
1.083,00 euro mensili
Il lavoratore riceverà la suddetta indennità sino alla data del pensionamento per vecchiaia, ipotizzata, in base ai futuri adeguamenti alla speranza di vita previsti, al 01.12.2024.
La pensione spettante alla data risulterà la seguente:

(clicca qui per la tabella)

Importo pensione di vecchiaia lordo al 01.12.2024: 1.334,15 euro mensili
Importo pensione di vecchiaia netto al 01.12.2024: 1.114,01 euro mensili.
L’importo della pensione di vecchiaia risulta più elevato rispetto a quello dell’Ape sociale, pur non essendo stata accreditata contribuzione aggiuntiva, in quanto:
• le retribuzioni che costituiscono la retribuzione media settimanale delle quote retributive sono rivalutate annualmente in base all’indice Foi;
• è rivalutato annualmente anche il montante contributivo, cioè la somma dei contributi accantonati;
• cresce, all’aumentare dell’età pensionabile, il coefficiente moltiplicatore, che trasforma il montante contributivo in assegno di pensione.
In caso di continuazione nel versamento della contribuzione in misura pari all’ultimo imponibile (prosecuzione dell’attività lavorativa o versamento di contributi volontari), pari a circa 25.000 euro annui, l’importo lordo della pensione risulterebbe invece pari a € 1.472,61 lordi mensili.

(per la tabella di riepilogo clicca qui)

CONCLUSIONI
Il mancato accredito di contribuzione durante il periodo di Ape sociale, nel caso di specie, comporta una penalizzazione lorda sulla futura pensione di € 178,46 mensili. La differenza è giustificata dal maggiore ammontare del montante contributivo, mentre si registra solo un moderato aumento della retribuzione pensionabile.
Il versamento di contribuzione volontaria per tutto il periodo di fruizione dell’Ape sociale avrebbe però un costo complessivo di € 31.624. Considerando la differenza mensile netta di € 146,57 tra i due  trattamenti, il costo si ammortizzerebbe in 213 mesi, ossia in 17 anni e 9 mesi. Considerando però la possibilità di deduzione del costo della contribuzione volontaria dall’imponibile Irpef, il costo si ammortizzerebbe realmente in 183 mesi, pari a 15 anni e 3 mesi. Tale valutazione è ovviamente da considerarsi attendibile soltanto in assenza di altri redditi dell’interessato.
Laddove l’interessato abbia possibilità di scelta, sarebbe da consigliarsi la continuazione dell’attività lavorativa in luogo dell’Ape sociale, per ottenere una pensione maggiore. La fruizione dell’Ape sociale unitamente al versamento di contribuzione volontaria, considerando i lunghi tempi necessari ad ammortizzare i costi sostenuti, non è consigliabile.

 

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PENSIONE OPZIONE DONNA: nuovi chiarimenti e valutazione di convenienza

Noemi Secci, Consulente del lavoro in Sassari

Pensionamento con Opzione donna: quali le novità, alla luce della circolare Inps n. 25/2023 e quali le penalizzazioni che eventualmente comporta l’uscita dal lavoro con il nuovo trattamento pensionistico sperimentale?

La pensione opzione Donna è una pensione anticipata prevista in via sperimentale dalla legge di Bilancio 2023 (art. 1, co. 292, L. n. 197/2022, che ha modificato l’art. 16 del D.l. n. 4/2019), che comporta una notevole riduzione dei requisiti anagrafici e contributivi per l’uscita dal lavoro, in cambio del ricalcolo dell’assegno pensionistico con sistema integralmente contributivo (cfr. D.lgs. 30.4.1997, n. 180). Può essere ottenuta laddove siano raggiunti, entro il 31.12.2022, i seguenti requisiti:
• un’età minima di 60 anni; il requisito anagrafico è ridotto a 58 anni, per le lavoratrici con 2 o più figli, ed a 59 anni di età con un figlio solo; il requisito anagrafico è sempre ridotto a 58 anni per le lavoratrici o licenziate da imprese in crisi;
• una contribuzione minima di 35 anni, al netto dei periodi di disoccupazione indennizzata, malattia e infortunio non integrati dal datore di lavoro; quest’ultimo requisito deve essere verificato per le sole iscritte presso l’AGO ed i fondi sostitutivi (art. 22, co. 1 della L. n. 153/69; Circ. Inps 23.12.2014, n. 180);
• appartenenza ad una delle seguenti tre categorie tutelate: caregivers, invalide dal 74%, lavoratrici o licenziate da imprese in crisi.
Rispetto alla disciplina relativa a tale trattamento pensionistico vigente negli anni passati, le nuove previsioni della Manovra 2023 hanno ristretto notevolmente la platea delle beneficiarie, prevedendo l’accesso all’Opzione soltanto alle appartenenti alle specifiche categorie elencate.

CONTRIBUZIONE UTILE
I 35 anni di contribuzione non possono essere raggiunti in regime di cumulo: non è dunque possibile sommare la contribuzione accreditata presso casse differenti. Fa eccezione soltanto il cosiddetto cumulo interno (di cui alla L. n. 613/1966 e alla L.n. 233/1990) tra il Fondo pensioni dei lavoratori dipendenti e le gestioni speciali Inps dei lavoratori autonomi (Artigiani, Commercianti, CD-CM), in quanto la contribuzione appartiene alla stessa forma assicurativa, ossia l’Assicurazione generale obbligatoria.
Ai fini del conseguimento dei 35 anni di contribuzione è comunque possibile ricongiungere i versamenti verso un’unica gestione (L. n. 29/1979 e L. n. 45/1990). È inoltre possibile raggiungere 35 anni di contributi avvalendosi del riscatto agevolato della laurea (come specificato nella circ. Inps 22.1.2020, n. 6 e nel messaggio Inps 14.5.2020, n. 1982).

FINESTRE DI ATTESA
In parallelo a quanto previsto per le precedenti “versioni” dell’Opzione donna, anche alle nuove beneficiarie sono applicate le c.d. finestre mobili di attesa, che spostano la decorrenza della pensione, rispetto alla data di maturazione dei requisiti, in avanti di:

• 12 mesi, per le lavoratrici dipendenti;
• 18 mesi, per le lavoratrici autonome;
• alle dipendenti del comparto scuola si applica la finestra unica di uscita (art. 59, co.9 della L. 449/97); le dipendenti del comparto scuola e AFAM, qualora risultino aver maturato i requisiti esposti entro il 31.12.2022, possono presentare domanda di cessazione dal servizio entro il 28.2.2023; per la precisione, al ricorrere dei prescritti requisiti per l’opzione donna, le lavoratrici dei suddetti comparti possono conseguire il trattamento pensionistico:
– a decorrere dal 1.9.2023, se dipendenti dal comparto scuola;
– a decorrere dal 1.11.2023, se dipendenti dal comparto AFAM;
in ogni caso, tali lavoratrici devono possedere i requisiti connessi all’appartenenza alle categorie tutelate alla data di presentazione della domanda di pensione; gli stessi requisiti non devono essere oggetto di ulteriore verifica alla decorrenza del trattamento pensionistico (circ. Inps n. 25/2023).
Se il trattamento pensionistico è liquidato a carico di una gestione esclusiva dell’assicurazione generale obbligatoria (come Inps gestione Dipendenti pubblici), la prima decorrenza utile della pensione è fissata al primo giorno successivo alla chiusura della finestra. Se, invece, il trattamento è liquidato a carico di una gestione diversa da quella esclusiva dell’assicurazione generale obbligatoria, la prima decorrenza utile della pensione è fissata al primo giorno del mese successivo alla chiusura della finestra.
In ogni caso, le lavoratrici che hanno maturato i nuovi requisiti richiesti entro il 31 dicembre 2022 possono accedere alla pensione in qualsiasi momento successivo alla prima decorrenza utile, ferma restando la sussistenza delle condizioni relative alla categoria di appartenenza alla data di presentazione della domanda.

CATEGORIE BENEFICIARIE
In base alle nuove previsioni della Legge di Bilancio 2023, Opzione donna è aperta soltanto alle seguenti categorie:

-caregiver, ossia lavoratrici che assistono, al momento della richiesta e da almeno 6 mesi (il requisito dell’assistenza si considera soddisfatto in presenza di convivenza, in coerenza con l’orientamento espresso con la circolare del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali del 18 febbraio 2010):
– il coniuge o un parente di primo grado convivente, con handicap in situazione di gravità (art. 3, co. 3 della L. n. 104/92: lo status di persona con disabilità grave si considera acquisito alla data dell’accertamento riportata nel verbale di riconoscimento di cui all’art. 4, L. n. 104/1992, o dalla data dell’eventuale sentenza o del decreto di omologa, salvo che nel provvedimento non si faccia decorrere lo status di disabilità grave da una data anteriore);
– oppure un parente o un affine di secondo grado convivente, qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 70 anni di età, oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti (deve trattarsi delle patologie a carattere permanente indicate dall’art. 2, co. 1, lett. d), n. 1, n. 2 e n. 3, del D.l. n. 278/2000) o siano deceduti o mancanti (l’Inps, con la circolare n. 25/2023, ha chiarito che può farsi riferimento a ogni condizione giuridicamente assimilabile all’assenza, compresi divorzio e separazione legale, purché continuativa e debitamente certificata dall’Autorità giudiziaria o da altra pubblica Autorità);
– invalide civili in misura pari o superiore al 74% (deve sussistere il riconoscimento di una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile, superiore o uguale al 74%);

-lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d’impresa (art. 1, co. 852 della L. n. 296/2006): in base a quanto precisato nella Circ. Inps n. 25/2023, in quest’ultima categoria rientrano le lavoratrici dipendenti o licenziate da imprese per le quali risulti attivo alla data del 1° gennaio 2023, o attivato in data successiva, un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d’impresa, istituita presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (art. 1, co. 852, L. n. 296/2006). In particolare:
– in merito alle lavoratrici dipendenti, il tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale deve risultare attivo al momento della presentazione della domanda di pensione;
– per coloro il cui rapporto risulta cessato, il licenziamento deve essere stato intimato nel periodo compreso tra la data di apertura e di chiusura del tavolo; queste ultime lavoratrici non devono poi aver ripreso un’attività di lavoro dipendente a tempo indeterminato successivamente al licenziamento.

REQUISITI PER IL PENSIONAMENTO ORDINARIO C.D. FORNERO
Ad oggi, per la generalità delle lavoratrici iscritte all’Inps, sono previsti, in base alla Legge Fornero, i seguenti trattamenti pensionistici ordinari (non agevolati):
• pensione anticipata (art. 24, co.10, D.l. n. 201/2011): si ottiene, sino al 31.12.2026, con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne, più 3 mesi di finestra; il requisito contributivo può essere raggiunto anche in regime di cumulo (art. 1, co. 239 e ss. L. n. 228/2012, come modificato dalla L. n. 232/2016), ossia sommando, ai soli fini del diritto a pensione, la contribuzione accreditata presso gestioni previdenziali diverse, comprese le casse professionali;
• pensione di vecchiaia (art. 24, co.6, D.l. n. 201/2011): si ottiene, sino al 31.12.2024, di norma con 20 anni di contributi e 67 anni di età (più un importo soglia minimo pari a 1,5 volte l’assegno sociale per coloro che sono soggetti al calcolo interamente contributivo della pensione); anche in questo caso, il requisito contributivo può essere raggiunto in regime di cumulo.
Rispetto alla pensione di vecchiaia ordinaria, l’Opzione donna consente dunque un anticipo del requisito anagrafico dai 7 ai 9 anni, in base al numero di figli; anche in merito al requisito contributivo il risparmio è ingente: senza considerare le finestre di attesa, ben 6 anni e 10 mesi di anticipo rispetto alla pensione anticipata ordinaria.

CALCOLO DEL TRATTAMENTO
Il sostanzioso anticipo nell’uscita dal lavoro consentito alle aderenti all’Opzione donna comporta però il ricalcolo integrale dell’assegno con sistema contributivo, anche per le annualità sino al 31 dicembre 1995 (sino al 31 dicembre 2011 per coloro che possiedono almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995). Tale sistema di calcolo risulta spesso penalizzante, non essendo basato sugli ultimi o migliori redditi come il sistema di calcolo retributivo, ma unicamente sulla contribuzione accantonata (il cui tasso di capitalizzazione si basa sulla variazione quinquennale del Pil nominale) e sull’età pensionabile (che determina il coefficiente di trasformazione, un coefficiente moltiplicatore che aumenta al crescere dell’età al momento del pensionamento e al decrescere della speranza di vita media). Tuttavia, è importante precisare che la pensione liquidata con le regole del regime sperimentale non è considerata una pensione conseguita nel regime contributivo (L. n. 335/95): è difatti consentita l’integrazione al trattamento minimo (vantaggio non previsto per la pensione liquidata nel sistema contributivo puro) e non sono concesse le maggiorazioni contributive per lavoratrici madri di cui all’art. 1, co. 40 della L. n. 335/95.
Peraltro, il calcolo relativo ai periodi sino al 31 dicembre 1995 (o sino al 31 dicembre 2011, per le lavoratrici con almeno 18 anni di contribuzione al 31 dicembre 1995) non risulta basato sulla mera contribuzione, ma su particolari medie retributive e relative alle aliquote contributive; prevede inoltre regole differenti in base al fondo che liquida la pensione. Ci si domanda, a questo punto, se l’uscita con l’Opzione donna sia conveniente o meno.

VALUTAZIONE DI CONVENIENZA
Per rispondere al quesito, è stato sviluppato uno studio previdenziale nel quale sono state confrontate due ipotesi d’uscita con pensione Opzione donna e pensione di vecchiaia ordinaria (la pensione anticipata ordinaria non è stata prospettata in quanto raggiungibile in data successiva alla pensione di vecchiaia). La lavoratrice presa in considerazione è nata il 12/10/1959 e possiede, al 31/03/2023, 38 anni e 1 mese di contributi accreditati presso CPDEL, (Cassa dipendenti degli enti locali). Ultimo imponibile annuo pari a € 55.023. L’interessata può uscire immediatamente con
Opzione donna con i vecchi requisiti (vigenti sino al 31 dicembre 2021), senza verificare l’appartenenza alle categorie tutelate (in precedenza non previste) ed essendo già trascorsa la finestra di attesa pari a 12 mesi sia dalla maturazione del requisito anagrafico che da quello di contribuzione.
Nel presente studio, gli scenari futuri sono stati ipotizzati prendendo in considerazione lo svolgimento dell’attuale attività lavorativa, con i futuri imponibili previdenziali pari all’ultimo.
Di seguito, la sintesi dello studio previdenziale

Confronto Pensioni (clicca qui per la tabella)

Come si evince dalla tabella, l’accesso al pensionamento con Opzione donna comporta, nel caso di specie, un anticipo non indifferente nell’uscita dal lavoro, pari a 3 anni e mezzo rispetto alla pensione di vecchiaia. La lavoratrice avrebbe anche potuto ottenere un anticipo più consistente, ma ha deciso di optare per Opzione donna in data successiva alla prima decorrenza utile.
A causa del mancato versamento di nuova contribuzione ed a causa del ricalcolo contributivo, subisce comunque una penalizzazione pari a € 1.420,82 euro lordi mensili, € 888,26 mensili al netto dell’Irpef.

 

 

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PENSIONE QUOTA 103 E PENSIONAMENTO ORDINARIO: convenienza

Noemi Secci, Consulente del lavoro in Sassari

Pensionamento con Quota 103 e pensione anticipata e di vecchiaia ordinaria: l’uscita dal lavoro con il nuovo trattamento pensionistico sperimentale comporta delle penalizzazioni?

 

La pensione opzione Quota 103 è una pensione anticipata istituita in via sperimentale per l’anno 2023 (art. 1, co. 283, L. n. 197/2022, che ha aggiunto l’art. 14.1 al D.l. n. 4/2019). Può essere ottenuta laddove siano raggiunti, entro il 31.12.2023, i seguenti requisiti:

  • un’età minima di 62 anni;
  • una contribuzione minima di 41 anni, di cui 35 al netto dei periodi di disoccupazione indennizzata, malattia e infortunio non integrati dal datore di lavoro; quest’ultimo requisito deve essere verificato per i soli iscritti presso l’AGO ed i fondi sostitutivi (art. 22, co. 1 della L. n. 153/69; Circ. Inps 23.12.2014, n. 180).

I 41 anni di contribuzione possono essere raggiunti anche in regime di cumulo: a tal fine, è possibile sommare la contribuzione accreditata presso la generalità delle casse amministrate dall’Inps, ma non i contributi presenti nelle casse di categoria di cui al D.Lgs. n. 509/94 e al D.Lgs. n. 103/96 (cfr. circ. Inps 29.1.2019, n. 10 e circ. Inps 29.1.2019, n. 11). È possibile considerare i contributi accreditati per lavoro all’estero, presso un paese UE o convenzionato con l’Italia in materia di sicurezza sociale.

Il requisito contributivo è verificato tenendo conto delle regole della gestione previdenziale che liquida il trattamento.

L’accesso alla “Quota 103” è consentito anche avvalendosi dell’opzione contributiva di cui all’art. 1, co. 23 della L. n. 335/95 o della facoltà di computo dei versamenti nella gestione separata di cui all’art. 3 del D.M. n. 282/96. I requisiti per questa pensione sperimentale non sono adeguati alla speranza di vita.

FINESTRE DI ATTESA

In parallelo a quanto previsto per la pensione quota 100 e quota 102, anche alla quota 103 sono applicate le c.d. Finestre mobili di attesa, che spostano la decorrenza della pensione, rispetto alla data di maturazione dei requisiti, in avanti di:

  • 3 mesi, per i lavoratori del settore privato;
  • 6 mesi, per i dipendenti pubblici; la domanda di collocamento a riposo, per i dipendenti della Pubblica Amministrazione, deve essere presentata all’amministrazione di appartenenza con un preavviso di sei mesi. Ai dipendenti del comparto scuola si applica la finestra unica di uscita (art. 59, co.9 della L.
  • 449/97); in sede di prima applicazione, entro il 28.2.2022, il personale a tempo indeterminato può presentare domanda di cessazione dal servizio con effetti dall’inizio, rispettivamente, dell’anno scolastico o accademico (messaggio Inps 10.1.2022, n. 97).

Se il trattamento pensionistico è liquidato a carico di una gestione esclusiva dell’assicurazione generale obbligatoria (come Inps gestione Dipendenti pubblici), la prima decorrenza utile della pensione è fissata al primo giorno successivo alla chiusura della finestra. Se, invece, il trattamento è liquidato a carico di una gestione diversa da quella esclusiva dell’assicurazione generale obbligatoria, la prima decorrenza utile della pensione è fissata al primo giorno del mese successivo alla chiusura della finestra.

Per coloro che hanno già maturato i requisiti per la Quota 103 al 31 dicembre 2022, la finestra si apre il 1° aprile 2023 se lavoratori del settore privato, il 1° agosto 2023 se dipendenti pubblici.

INCOMPATIBILITÀ CON L’ATTIVITÀ LAVORATIVA La pensione Quota 103 risulta incumulabile, sino al compimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia di cui all’art. 24, co. 6 del D.l. n. 201/2011 (attualmente pari a 67 anni), con qualsiasi reddito derivante dallo svolgimento di attività lavorativa; risulta cumulabile con i redditi di lavoro autonomo occasionale (art. 2222 c.c.) sino a un massimo di 5.000 euro di compensi lordi annui.

CALCOLO DEL TRATTAMENTO

L’ammontare della pensione anticipata con Quota 103 è determinato come qualsiasi altro trattamento pensionistico, senza operare penalizzazioni o ricalcoli (salvo opzione al contributivo esercitata dall’interessato). Il calcolo della pensione deve dunque essere effettuato utilizzando il sistema:

  • retributivo sino al 31.12.2011, poi contributivo, per chi possiede oltre 18 anni di contributi al 31.12.1995;
  • retributivo sino al 31.12.1995, poi contributivo, per chi possiede meno di 18 anni di contributi al 31.12.1995;
  • integralmente contributivo per chi non possiede contributi al 31.12.1995.

TETTO MASSIMO DI IMPORTO

L’ammontare della pensione Quota 103, sino al compimento dell’età per il pensionamento di vecchiaia ordinario, non può superare 5 volte il trattamento minimo previsto a legislazione vigente. Il tetto di importo, per la precisione, si applica solo in relazione alle mensilità di anticipo del pensionamento rispetto al momento in cui tale diritto maturerebbe a seguito del raggiungimento dei requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia ordinaria c.d. Fornero (art. 24, co. 6, D.l. n. 201/2011), attualmente pari a 67 anni.

REQUISITI PER IL PENSIONAMENTO ORDINARIO C.D. FORNERO

Ad oggi, per la generalità dei lavoratori iscritti all’Inps, sono previsti, in base alla legge Fornero, i seguenti trattamenti pensionistici ordinari (non agevolati):

  • pensione anticipata (art. 24, co. 10, D.l. n. 201/2011): si ottiene, sino al 31.12.2026, con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne, più 3 mesi di finestra; il requisito contributivo può essere raggiunto anche in regime di cumulo (art. 1, co. 239 e ss. L. n. 228/2012, come modificato dalla L. n. 232/2016), ossia sommando, ai soli fini del diritto a pensione, la contribuzione accreditata presso gestioni previdenziali diverse, comprese le casse professionali;
  • pensione di vecchiaia (art. 24, co. 6, D.l. n. 201/2011): si ottiene, sino al 31.12.2024, di norma con 20 anni di contributi e 67 anni di età (più un importo soglia minimo pari a 1,5 volte l’assegno sociale per coloro che sono soggetti al calcolo interamente contributivo della pensione); anche in questo caso, il requisito contributivo può essere raggiunto in regime di cumulo.

Rispetto alla pensione di vecchiaia ordinaria, la Quota 103 consente un anticipo del requisito anagrafico di ben 5 anni. In merito al requisito contributivo, però, il risparmio non è ingente: soli 10 mesi di anticipo per le donne, 1 anno e 10 mesi per gli uomini. Dall’altra parte della bilancia, l’impossibilità di lavorare sino ai 67 anni (e oltre, laddove il requisito dovesse essere incrementato nell’ipotesi di innalzamento della speranza di vita media) e l’applicazione, sempre sino al compimento dell’età pensionabile ordinaria, del tetto massimo d’importo. Ci si domanda, dunque, se l’uscita con la Quota 103 sia conveniente o meno.

VALUTAZIONE DI CONVENIENZA

Per rispondere al quesito, è stato sviluppato uno studio previdenziale nel quale sono state confrontate tre ipotesi d’uscita: con pensione Quota 103, pensione anticipata ordinaria e pensione di vecchiaia ordinaria.
Il lavoratore preso in considerazione è nato il 13/10/1960 e possiede, al 31/12/2022, 2123 settimane di contributi, pari a 40 anni e 10 mesi di contributi accreditati presso il FPLD, Fondo pensioni lavoratori dipendenti. Ultimo imponibile pari a € 134.013,00.
Nel presente studio, gli scenari futuri sono stati ipotizzati prendendo in considerazione lo svolgimento dell’attuale attività lavorativa, con i futuri imponibili previdenziali pari all’ultimo e un incremento prudenziale degli indici pari all’1,5%.
Di seguito, la sintesi dello studio previdenziale:

  CONDIZIONI/CRITICITÀ LORDO MENSILE NETTO MENSILE1 DECORRENZA
Pensione Quota 103 Ipotizzata la continuazione nel versamento della contribuzione, in misura pari all’ultimo imponibile, senza soluzione di continuità € 2.839,70 € 4.516,15 dal 2028 2.040,93 € 2.991,27 dal 2028 01/06/2023
Pensione anticipata ordinaria Ipotizzata la continuazione nel versamento della contribuzione, in misura pari all’ultimo imponibile, senza soluzione di continuità € 5.282,51 € 3.404,70 01/04/2025
Pensione di vecchiaia ordinaria Ipotizzata- ma non indispensabile per il diritto a pensione- la continuazione nel versamento della contribuzione, in misura pari all’ultimo imponibile, senza soluzione di continuità € 6.383,94 € 4.186,71 01/01/2028
Al netto di Irpef, addizionale regionale e comunale, considerando le detrazioni per redditi di pensione, ove spettanti.  

Come si evince dalla tabella, l’accesso al pensionamento con Quota 103 comporta un anticipo non indifferente nell’uscita dal lavoro, pari a 4 anni e mezzo rispetto alla pensione di vecchiaia ed a quasi 2 anni rispetto alla pensione anticipata.
In cambio, a causa del mancato versamento di nuova contribuzione, si subisce una penalizzazione, a regime, di € 1.867,79 euro lordi mensili rispetto alla pensione di vecchiaia, di € 766,36 mensili lordi rispetto alla pensione anticipata.
Penalizzazione che, sino al 31/12/2027, risulta ancora più elevata a causa dell’applicazione
del tetto massimo di importo, pari a € 3.544,24 mensili lordi rispetto alla pensione di vecchiaia e ad € 2.442,81 mensili lordi rispetto alla pensione anticipata. Senza poter in alcun modo “ripianare” questa perdita svolgendo attività lavorativa.

 

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