IL DIRITTO DEL LAVORO INTERNAZIONALE: i limiti al principio della libera scelta (parte 2)

Luigi Degan, Ricercatore del Centro Studi e Ricerche

 

APPUNTAMENTI CON IL DIRITTO EUROPEO E INTERNAZIONALE

In questo numero la seconda parte dell’intervento focalizzato sulle norme di applicazione necessaria e sul rispetto delle norme di ordine pubblico nel processo di identificazione della legge regolatrice del contratto.

 

LE NORME DI APPLICAZIONE NECESSARIA

L’identificazione della legge che regola il contratto come descritto in precedenza trova delle eccezioni nelle norme di applicazione necessaria e nell’ordine pubblico.

Le norme di applicazione necessaria sono quelle la cui applicazione è considerata irrinunciabile anche per le fattispecie con elementi di internazionalità.

In particolare, nel caso in cui sia individuata – in applicazione dei criteri indicati – una legge straniera applicabile al caso concreto, questa dovrà cedere il passo alle norme di applicazione necessaria, da non confondere con le disposizioni inderogabili, in quanto funzionali alla salvaguardia degli interessi pubblici quali l’organizzazione politica, sociale ed economica come recita l’art. 9 del Roma I. Tali norme sono da applicare, quindi, a priori quale limite preventivo. E poiché costituisce una eccezione al principio della libera scelta della legge applicabile ad opera delle parti del contratto, l’art. 9 deve essere interpretato restrittivamente (Sentenza CdG Nikiforidis 2016, sentenza Unamar 2013). Uno dei problemi che si devono affrontare concretamente è, quindi, quello dell’individuazione delle norme di applicazione necessaria. Per alcuni le norme lavoristiche non vi rientrerebbero, per altri invece il criterio selettivo sarebbe da individuare nella sfera di efficacia delle disposizioni: se hanno un ambito di applicabilità non solo territoriale – come per alcuni l’art. 2087 c.c. relativo all’obbligo imprenditoriale di sicurezza – dovrebbero considerarsi irrinunciabili. Tra queste vi sono quelle individuate come protezione minima dalla normativa, ad esempio quella europea in materia di distacco.

 

L’ORDINE PUBBLICO

Oltre al limite delle norme di applicazione necessaria, c’è un ulteriore ostacolo all’applicazione della legge prevista nel contratto di lavoro: il limite dell’ordine pubblico. Quando non c’è una adeguata protezione ad opera di norme imperative e di applicazione necessaria il giudice non può applicare il diritto straniero incompatibile coi principi di ordine pubblico, ossia coi principi fondamentali considerati inderogabili nell’ordinamento giuridico del foro. È un limite negativo, in quanto nega, impedisce, l’applicazione della legge straniera. Ma quale sia la nozione di ordine pubblico applicabile è il punto dirimente. Dapprima la giurisprudenza italiana ha accolto la definizione di ordine pubblico interno ritenendo che il principio del favor prestatoris fosse di ordine pubblico e, così, ha ritenuto applicabile la normativa italiana ogni qualvolta l’applicazione della legge straniera comportasse un trattamento peggiore rispetto all’applicazione della prima. Tale posizione si fondava sull’assunto che la normativa giuslavoristica fosse informata al principio di favore per il lavoratore. Ora, invece, dal 2000 in poi (sentenza n. 14662/2000) la Suprema Corte ha abbandonato quella impostazione considerata incompatibile con l’ordinamento internazionale e da allora ha accolto i principi di ordine pubblico realmente internazionali, ossia i principi della legge italiana riconosciuti e condivisi anche negli altri ordinamenti. Tali principi sono rinvenuti nei trattati e altri atti internazionali, così come nella giurisprudenza internazionale, e si possono riassumere nel diritto alla salute e alla sicurezza dei lavoratori, nel divieto di lavoro minorile, nei principi di adeguatezza della retribuzione, nel principio di libertà sindacale, nel divieto di discriminazioni sui luoghi di lavoro. Le conseguenze di questa impostazione sono tali da condurre ad esiti controintuitivi: la disapplicazione di una normativa straniera benché più favorevole al lavoratore, come ad esempio una normativa che preveda la conversione del contratto di lavoro a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato nei confronti della P.A. In applicazione di questa impostazione il trattamento di fine rapporto, così come l’istituto della tredicesima mensilità, non è stato considerato rientrante nella nozione di ordine pubblico, mentre lo è il principio di proporzionalità e sufficienza della retribuzione, peraltro ponderato anche al costo della vita del luogo di esecuzione abituale della prestazione lavorativa. Da ciò deriva che il consueto parametro dell’art. 36 della Costituzione può essere derogato, nel caso concreto, anche in pejus se la prestazione si svolge presso paesi con un costo della vita inferiore a quello italiano.

Anche il principio della tutela della stabilità del lavoro è considerato rientrante nella nozione di ordine pubblico italiano e, quindi, non potrà essere applicata una legge straniera che preveda un regime di libera recedibilità. E nemmeno una normativa straniera che non riconosca l’indennità di mancato preavviso al lavoratore sarebbe applicabile. Più complessa la questione del licenziamento collettivo in relazione ai requisiti procedurali previsti e alla difficile applicazione in ordinamenti differenti.

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IL DIRITTO DEL LAVORO INTERNAZIONALE – (parte I)

Luigi Degan, Ricercatore del Centro Studi e Ricerche

 

APPUNTAMENTI CON IL DIRITTO EUROPEO E INTERNAZIONALE

Nuovo intervento su Sintesi sul diritto europeo ed internazionale che si sofferma, in questa prima parte, sull’analisi dei contratti che presentano elementi internazionali e per i quali si pone la necessità di individuare la legge applicabile

In questo caso avremmo un contratto collegato con più ordinamenti giuridici e, di conseguenza, dovremmo individuare quali norme applicare al contratto e quale giudice sia competente ad esprimersi su di esso. Tralasciando il percorso storico-normativo che ci ha condotti fino agli strumenti regolatori attuali, preme comunque rammentare che la disciplina italiana contenuta nelle c.d. preleggi costituiva un complesso normativo molto interessante in ambito europeo e, ora, sostituito nel 1995 con la riforma del diritto internazionale privato con la Legge n. 218. In ambito europeo, comunque, già nel 1968 la Convenzione di Bruxelles relativa alla competenza giurisdizionale e all’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale era un riferimento importante benché non prevedesse alcunché in materia di contratti individuali di lavoro fino a quando dal 1989, e poi attraverso altre modifiche e trasposizioni, si arrivò al regolamento n. 1215 del 2012. Altro strumento era la Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali che dettava alcune norme in materia di legge applicabile ai contratti individuali di lavoro, e attualmente sostituita dal regolamento n. 593 del 2008.

La disciplina applicabile è, quindi, ora, contenuta nel regolamento (UE) n. 1215/2012 (c.d. di rifusione), detto “Bruxelles I”, e il regolamento (CE) n. 593/2008, detto “Roma I”, che contemplano delle speciali disposizioni per determinare, il Bruxelles I, gli Stati membri le cui autorità giurisdizionali sono competenti a conoscere le controversie sui contratti individuali di lavoro, e il Roma I la legge applicabile ai contratti di lavoro. La principale caratteristica di queste disposizioni specifiche è che – al fine di tutelare i lavoratori in quanto parte più debole del contratto – sono derogatorie dei principi generali in materia di competenza giurisdizionale e legge applicabile. In linea generale, ai sensi dell’art. 8, par. 1 del C-384/10, ha indicato dei criteri di riferimento quali il luogo di lavoro effettivo, il paese nel quale o dal quale il lavoratore riceve istruzioni sui suoi compiti e organizza il suo lavoro; il luogo in cui sono situati gli strumenti di lavoro e quello in cui il lavoratore è tenuto a presentarsi prima di assolvere ai suoi compiti o a ritornare dopo averli portati a termine. Qualora non si possa determinare in questo modo la legge applicabile allora, ai sensi dell’art. 8, par. 3 del Roma I, si farà riferimento al Paese nel quale si trova la sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore, ossia quella in cui, ad esempio, il lavoratore ha firmato il contratto, a prescindere dalla personalità giuridica di essa e dal formale collegamento col datore di lavoro che dovrebbe invece essere sostanziale.

L’art. 8 del Roma I, al paragrafo 4, detta inoltre una c.d. norma di chiusura disponendo che se dall’insieme delle circostanze risulta che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un paese diverso, si applica la legge di questo. Anche qui soccorre la Corte di giustizia che nel caso Schlecker, causa C-64/12, del dicembre 2013, chiarisce che le circostanze da considerare siano legate al versamento delle imposte e tasse sui redditi da lavoro ad opera del lavoratore, all’iscrizione al sistema previdenziale di quello Stato, e i parametri di riferimento presi per la disciplina del rapporto di lavoro.

In sintesi, in base all’art. 8 del Roma I, un contratto di lavoro individuale potrà essere regolato innanzitutto dalla legge scelta dalle parti, in mancanza di tale scelta sarà regolato da quella del paese dove il lavoratore svolge in via prevalente la sua prestazione e, qualora manchi anche questo collegamento, dalla legge del paese dove si trova la sede che ha assunto il lavoratore. Infine, a superamento di tutte le altre circostanze, dallo Stato in cui esista il collegamento più stretto.

Comunque, al di là del principio della libertà di scelta della legge applicabile al contratto di lavoro, è necessario tenere presente che tale scelta, ai sensi della seconda parte dell’art. 8 par. 1 del Roma I, non può privare il lavoratore – in quanto contraente debole – della protezione assicurata dalle disposizioni previste e applicabili in mancanza di scelta. In altre parole, anche se si conviene l’applicazione della legge di un determinato Stato, il lavoratore avrà comunque diritto alle tutele previste dalla legge dello Stato dove egli lavorerà abitualmente, o di quello dove si trova la sede che lo ha assunto, o di quello che è più strettamente collegato.

continua…

 

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