IL METAVERSO COME LUOGO DI LAVORO. Il futuro è già qui?*

Luca di Sevo, Consulente del Lavoro in Bollate (Mi)

M. Novella e A. Donini ragionano sul metaverso come luogo di lavoro

Gli Autori si confrontano con l’esigenza di formulare un pensiero giuridico sul fenomeno del metaverso come luogo di lavoro. “Di fronte alle potenzialità applicative di una tecnologia, il diritto puo’  assumere un atteggiamento di promozione, di assecondamento, di indifferenza, di tolleranza, di limitazione, di contrasto”. Si prende come punto di partenza l’affermazione per cui il web «non si limita ad accumulare conoscenza, ma definisce uno spazio in cui hanno luogo atti sociali come promesse, impegni, ordini»; in modo ancora più significativo per gli ambiti giuslavoristici, il web «è reale prima che virtuale, ossia non è una semplice estensione immateriale della realtà sociale, ma si definisce come lo spazio elettivo per la costruzione della realtà sociale». Se il diritto del lavoro si pone l’obbiettivo di intercettare e disciplinare, la realtà sociale, altrettanto non puo’  il metaverso. Gli Autori hanno deciso di concentrarsi principalmente sulla possibilità di considerare il metaverso, dal punto di vista giuridico, un “luogo di lavoro”. In tale contesto cercano di comprendere se le discipline attuali, possano conservare significato e spazio applicativo nella prospettiva del lavoro svolto nel (o tramite il) metaverso.

“Il metaverso è una speciale evoluzione di Internet consistente in uno spazio parallelo virtuale in cui gli utenti compaiono attraverso le proprie rappresentazioni grafiche (gli avatar)”.

Chi accede al metaverso si trova in una dimensione simulata; inoltre, quella dimensione continua ad esistere, anche in assenza del proprio avatar. In virtù di ci  si puo’  trovare una possibile corrispondenza tra metaverso e luogo di lavoro, inteso come ambito definibile in senso spaziale in cui si svolge la prestazione. Ma si può  propriamente affermare che nel metaverso si svolgano attività lavorative? L’analisi porta a concludere che non ha alcun significato immaginare un diritto del lavoro dell’avatar poichè l’avatar non ha esigenze di protezione dell’integrità fisica, di sostentamento sul piano economico di tutela dell’identità personale o dell’immagine, e poichè è la persona a cui l’avatar si riferisce ad essere titolare di diritti della personalità. Potrebbe tuttavia emergere un’esigenza di protezione dell’identità o dell’immagine della persona fisica quando, in relazione al contratto di lavoro subordinato, le fosse imposto, per ragioni di interesse aziendale, di essere rappresentato da un avatar con sembianze tali da lederne l’immagine, il prestigio, l’onore nella vita quotidiana fuori o dentro il metaverso. Posto quindi che l’avatar non è soggetto che lavora, è indubbio che vi sia lavoro umano, giuridicamente rilevante, a determinare il funzionamento del metaverso (manager, tecnici informatici, programmatori, web designer). È dunque il lavoro umano reso nella realtà fisica che concorre a formare, popolare e far funzionare il metaverso.

IL METAVERSO COME LUOGO DI LAVORO

Sulla base di queste considerazioni, l’agire degli avatar nel metaverso altro non è che il riflesso delle prestazioni dei lavoratori che operano nel mondo fisico. La connessione tra ambiente fisico e ambiente virtuale pone il dubbio se il metaverso possa considerarsi, un luogo di lavoro a livello giuslavoristico. Si possono individuare tre differenti configurazioni ipotetiche del metaverso:

a.il metaverso come mero strumento di lavoro; l’ambiente denominato “metaverso”, è una infrastruttura costruita dall’ICT a cui si accede attraverso software ed eventualmente hardware che consentono l’interazione tra due o più utenti, superando le barriere dello spazio fisico.

b.il metaverso come luogo di lavoro in cui vi è commistione tra realtà fisica e dimensione virtuale; una realtà composta da elementi fisici ed elementi non-fisici.

c.il metaverso come luogo di lavoro virtuale, completamente simulato, che si aggiunge al luogo di lavoro fisico: un’espansione dello spazio fisico dell’azienda o dell’ufficio.

È dunque necessario fare attenzione, poiché quella che è presentata come una conseguenza ineluttabile dello sviluppo delle tecnologie digitali, e cioè la diffusione del lavoro nel metaverso, potrebbe trovare ostacoli di non poco conto nella legislazione ad oggi vigente. Diversi sono gli aspetti che andrebbero tenuti in considerazione:

  • Obblighi di sicurezza e misure di accomodamento ragionevole
  • Disciplina della modifica del luogo di lavoro
  • Il controllo nel metaverso e tramite il metaverso
  • Luogo di lavoro virtuale e attività sindacale.

Su questi aspetti, a livello giuridico, il lavoro da fare sarà sicuramente notevole e comporterà profonde analisi e disquisizioni da parte di tutti gli attori coinvolti.

 

 

 

* Sintesi dell’articolo pubblicato in LabourLawIssues, vol.8, n.2/2022 dal titolo Il metaverso come luogo di lavoro. Configurazione e questioni regolative.

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LA FORMAZIONE DEI LAVORATORI (di nuovo) nell’agenda del sindacato*

Luca di Sevo, Consulente del Lavoro in Bollate (Mi)

Giorgio Impellizzieri si concentra sul tema della formazione nella contrattazione collettiva

 

L’Autore si pone l’obbiettivo di analizzare come sia stata gestita dalla contrattazione collettiva la formazione, la qualificazione e riqualificazione professionale dei lavoratori, cercando di valutare anche il ruolo giocato dalle parti in causa, ovvero dai datori di lavoro e dalle organizzazioni sindacali.

L’indagine ha analizzato ventitré Ccnl tra quelli più applicati (circa il 68% degli occupati), e cinquanta accordi collettivi aziendali stipulati tra il 2012 e il 2022. La ricerca ha rilevato un crescente interesse delle parti sociali verso la materia della formazione professionale e segnala le principali tendenze e modelli di regolazione. È opportuno rilevare che l’ultima indagine ANPAL ha registrato un tasso di partecipazione alle attività di istruzione e formazione della popolazione di 25-64 anni pari all’8,1%, meno di un terzo dei paesi scandinavi e comunque inferiore anche alla media EU28 pari all’11,3 per cento. La finalità degli interventi di professionalizzazione, qualificazione e riqualificazione dei lavoratori può essere orientata: • all’occupabilità tout court del lavoratore;

  • al fabbisogno professionale del datore di lavoro;
  • al rinnovamento dei processi produttivi dell’impresa;
  • alla ricollocazione presso un altro datore di lavoro.

I contratti collettivi non hanno configurato modelli caratterizzati da particolare vincolatività: in linea generale, non sono previsti né obiettivi puntualmente misurabili né scadenze tassative da rispettare (tuttalpiù vaghi termini ordinatori).

Nella contrattazione collettiva, si può distinguere tra due nuclei di norme. Uno legato allo Statuto dei lavoratori del 1970 (principalmente “le 150 ore” per la scolarizzazione dei lavoratori) ed un altro, di seconda generazione e meno diffuso, per cui la formazione non è funzionale a recuperare l’obbligo scolastico o a soddisfare un’aspettativa individuale, quanto piuttosto a risolvere un’esigenza condivisa tra azienda e lavoratore di rinnovare continuamente la sua professionalità.

LA FORMAZIONE NELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA AZIENDALE: ALCUNI MODELLI DI INTERVENTO

L’ambito della formazione, qualificazione e riqualificazione professionale dei lavoratori si frappone ad un livello intermedio tra i bisogni professionali delle imprese e le esigenze formative dei lavoratori. L’autore ha effettuato un’analisi degli accordi aziendali sottoscritti in diversi settori economici, attraverso l’esame della banca dati “FareContrattazione” della Scuola di Alta formazione di ADAPT a partire dal 2012. Questo ha permesso una tipizzazione dei diversi modelli di contratti che hanno per contenuto e scopo la formazione e professionalizzazione dei lavoratori.

Distinguendo a seconda dei contenuti e delle finalità, si individuano almeno cinque tipologie di accordi:

  • accordi per la costituzione e la regolazione delle attività di organismi paritetici con funzioni di consultazione, confronto, pianificazione e monitoraggio delle azioni formative;
  • accordi che definiscono principi, contenuti e finalità delle azioni formative;
  • accordi che incentivano la partecipazione alle azioni di formazione attraverso un riconoscimento economico;
  • accordi che hanno la finalità di attestare, certificare e valorizzare le competenze acquisite e la professionalità maturata;
  • accordi funzionali ai mercati esterni e alla gestione delle transizioni e ricollocazioni occupazionali dei lavoratori in esubero.

Alla prima categoria appartengono gli accordi che istituiscono delle commissioni paritetiche o riconoscono alle rappresentanze sindacali funzioni meramente consultive o di informazione sui fabbisogni formativi prima dell’approvazione dei budget (Seco Tols 2014, Danone 2016, Mediaset 2018, Mondadori 2018, Finmeccanica 2016, Esselunga 2014, Unicoop 2020).

Alla seconda categoria di accordi appartengono i contratti aziendali che definiscono i principi della formazione aziendale, sia in termini di contenuti che di monte orario e di destinatari (Ferrero 2018, Sara Assicurazioni 2019, Unicoop 2020, Lavazza 2020), e gli accordi con cui l’azienda assume l’impegno, per la formazione dei giovani, di prediligere il contratto di apprendistato per l’inserimento nel contesto aziendale (Gucci 2013, Saras 2014, Grom 2014, Renner 2014, Carrefour, 2014). In altri casi tali accordi individuano il monte orario di formazione a cui ciascun lavoratore deve aver accesso durante l’anno, aumentando il minimo previsto dalla contrattazione (Carel 2022, Monte dei Paschi di Siena 2017, Berco 2017, e-Geos 2017, Campari 2018).

Alla terza tipologia di contratti appartengono quelli che mirano ad incentivare la partecipazione dei lavoratori attraverso un riconoscimento economico che può assumere diverse forme (Benetton 2021, Bonfiglioli 2021, Siemens, 2018, Tenaris Dalmine 2012, Campari 2018, Hydro Control 2016), oppure gli accordi integrativi che riconoscono una borsa di studio di vario importo a seconda del titolo di studio conseguito ai lavoratori che, in costanza di rapporto di lavoro, completino un percorso di studio (dalla scuola secondaria superiore al dottorato: Bonfiglioli, 2022).

Nella quarta tipologia rientrano gli accordi volti al riconoscimento, certificazione e valorizzazione delle competenze dei lavoratori (rilevazione dei fabbisogni formativi dei lavoratori, job evaluation, ecc…), (Manfrotto 2018, Agricola Tre Valli 2017, Apofruit 2017, Telespazio 2017, eGeos 2017, San Benedetto, 2013, Far 2022, Rana 2016, Enel 2022), oppure gli accordi che, al riconoscimento di una determinata competenza, previo apposito procedimento valutativo, fanno discendere l’assegnazione di un livello di inquadramento superiore (Banca popolare Alto Adige 2017, Ama 2017, Tenaris Dalmine, Lavazza 2020).

Nella quinta tipologia rientrano gli accordi collettivi che definiscono misure di riqualificazione professionale al fine di una ricollocazione dei lavoratori in esubero o comunque coinvolti in una crisi aziendale o in una chiusura di uno stabilimento (Bayer 2021, Timkens 2021, Laika Caravans 2020).

CONCLUSIONI

La contrattazione collettiva ha un ruolo certamente primario nella tematica trattata. “Non solo affinché la formazione professionale acquisti maggior spazio all’interno del rapporto di lavoro individuale, ma anche perché diventi leva per la produttività e l’innovazione dei processi delle imprese in un’ottica partecipativa”. L’analisi mostra tuttavia che, salvo alcune casistiche aziendali, le parti non possono affermare di aver implementato modelli di partecipazione collaborativa o integrativa, o decisioni condivise nell’esercizio congiunto del “potere di gestione dell’impresa”. Ci si trova ancora in una situazione di carattere puramente informativo. Anche nei pochi casi in cui si sono predisposti dei progetti di formazione, “essi prevedono monti orari piuttosto ridotti e comunque non sfuggono al rischio che Gino Giugni denunciava già con riguardo alle “150 ore”, rispetto al quale all’entusiasmo e clamore del momento della conquista negoziale, non ha fatto seguito un proporzionato sforzo in fase di gestione e implementazione”.

Per il futuro ci si aspetta che i settori che non si sono fino ad ora espressi, possano lavorare per introdurre appositi capitoli sulla formazione nei contratti collettivi. Nei settori che si sono già adoperati, sarà necessario verificare lo stato dell’arte e la possibilità di incrementare il monte ore minimo riconosciuto a ciascun lavoratore, consentendo percorsi di durata maggiore, anche sperimentando nuove politiche in materia di orario di lavoro.

In conclusione, i margini di intervento rimangono sicuramente ampi. La formazione è sicuramente un canale attraverso il quale la contrattazione collettiva può continuare a svolgere la sua funzione istituzionale di governo dei mercati del lavoro, inserendo definitivamente i processi formativi dentro “il circuito delle relazioni industriali”, partecipando alla costruzione sociale delle competenze, delle professionalità e dei mestieri del futuro.

 

 

* Sintesi dell’articolo pubblicato ne LG, 3/2023, pag. 247 dal titolo La formazione dei lavoratori nei
contratti collettivi tra vecchi e nuovi modelli.

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STRUTTURA, CARATTERISTICHE E APPLICAZIONE della maxisanzione*

Luca di Sevo, Consulente del Lavoro in Bollate (Mi)

La maxisanzione sotto la lente di ingrandimento di Pierluigi Rausei

 

Il contributo illustra la maxisanzione contro il lavoro nero, in particolare alla luce del “Vademecum sull’applicazione della Maxisanzione per lavoro sommerso” del 22 luglio 2022 redatto dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro (a seguire Inl) integrato con il parere 18 ottobre 2022, n. 2089 dell’InlL. Data la complessità della materia e il fitto impianto normativo, nonché l’alto livello dell’analisi operata dall’Autore, il lavoro di sintesi (di sicuro non semplice) ha cercato di privilegiare lo stato attuale delle disposizioni, mettendo in evidenza in particolare le tipologie di illecito, le esclusioni e le forme di sanzione.

La maxisanzione (Legge 23 aprile 2002, n. 73) opera nei confronti del datore di lavoro che occupa presso la propria azienda lavoratori “in nero”; l’illecito prevede il duplice requisito della mancanza della comunicazione preventiva di assunzione e della subordinazione del rapporto di lavoro irregolare. Sono escluse dall’applicazione della maxisanzione le prestazioni lavorative che rientrano nell’ambito del rapporto di lavoro domestico, del rapporto societario e del lavoro familiare.

SCUSANTI E SCRIMINANTI

Esistono alcune scusanti o scriminanti rispetto all’applicazione della maxisanzione contro il lavoro sommerso; non sono assoggettabili i seguenti casi:

  • Regolarizzazione operata dal datore di lavoro che, prima di un intervento ispettivo o conciliazione monocratica, provvede a regolarizzare per tutta la durata, il rapporto di lavoro avviato originariamente “in nero”;
  • Adempimenti previdenziali pregressi di carattere contributivo assolti in precedenza, da cui si evidenzi comunque la volontà di non occultare il rapporto, anche in caso di differente qualificazione»;
  • UniURG e chiusura degli intermediari: quando il datore di lavoro si è affidato ad intermediari e si trovi a non poter effettuare la comunicazione in via telematica per le ferie o la chiusura dei soggetti abilitati, a patto che abbia provveduto ad inviare la comunicazione preventiva di assunzione, mediante il modello UniURG, e possa documentare l’affidamento degli adempimenti a un soggetto abilitato e la chiusura dello stesso  (rimane, l’obbligo di inviare la comunicazione il primo giorno successivo alla riapertura degli studi o degli uffici);
  • Assunzioni per causa di forza maggiore o per evento straordinario: nei casi in cui l’evento dell’assunzione è imprevedibile, improcrastinabile e imprevedibile il giorno precedente, al datore di lavoro è data la facoltà di comunicare l’assunzione il primo giorno utile successivo senza l’obbligo di una preventiva comunicazione (vige l’onere della prova).

 

In merito alle modalità di accertamento, il personale ispettivo si basa sulla descrizione puntuale e dettagliata dell’attività lavorativa svolta da ciascun lavoratore interessato, sulle dichiarazioni spontanee rilasciate dai lavoratori riguardo alla omessa consegna della dichiarazione di assunzione e sul dato obiettivo della indimostrata regolarità da parte del datore di lavoro e del professionista che lo assiste (Ministero del Lavoro, lettera circolare n. 8906 del 4  luglio 2007).

 

 CASI PARTICOLARI

Vi sono poi alcuni casi particolari da tenere in considerazione:

  1. Lavoro domestico: l’esonero dalla applicazione della maxisanzione riguarda esclusivamente i lavoratori che prestano con continuità attività lavorative al servizio e per il funzionamento della vita familiare (Ministero del Lavoro, circolare n. 38/2010);
  2. Lavoro in somministrazione: considerando che la tipologia di rapporto non prevede la comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro, per attestare la regolare occupazione del lavoratore somministrato, è richiesta l’esibizione del contratto individuale di lavoro sottoscritto dalle parti, o della comunicazione di invio in somministrazione;
  3. Lavoro a termine: nel caso in cui il rapporto di lavoro a tempo determinato prosegua oltre il termine originariamente fissato, non si rinvengono elementi per l’applicazione della maxisanzione purché si tratti di una prosecuzione nei limiti del periodo “cuscinetto” di 30 o di 50 giorni (a seconda della durata del contratto);
  4. Lavoro intermittente: l’omesso adempimento dell’obbligo di comunicazione preventiva della chiamata del lavoratore intermittente, determina la non applicazione della maxisanzione, in presenza della comunicazione UNILAV di instaurazione del rapporto di lavoro;
  5. Lavoro autonomo occasionale: la maxisanzione trova applicazione soltanto nel caso di prestazioni autonome occasionali che non siano state oggetto di preventiva comunicazione;
  6. Contratto di Prestazione occasionale: in caso di mancata trasmissione della comunicazione preventiva ovvero di revoca della comunicazione effettuata a fronte di una prestazione di lavoro occasionale in realtà effettivamente svolta, la sola registrazione del lavoratore occasionale sulla piattaforma telematica Inps non è sufficiente per escluderne l’irregolarità;
  7. Lavoratori deceduti o infortunati: per il lavoratore deceduto o infortunato, la maxisanzione viene applicata nel caso in cui la comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro non sia stata regolarmente effettuata almeno 24 ore prima dell’evento infortunistico e non risulti provata, da parte del datore di lavoro, la volontà di non occultare il rapporto di lavoro;
  8. Lavoratori della scuola: la regolarità del personale scolastico richiede la specifica documentazione posta in essere dall’Istituto scolastico per l’inserimento del lavoratore (comunicazione di instaurazione nei dieci giorni successivi);
  9. Lavoratori marittimi: l’armatore è tenuto prima della spedizione della nave, a diversi adempimenti, tutti necessari al fine di non incorrere nella maxisanzione. Le modalità di calcolo della maxisanzione e i parametri da adottare, sono stati modificati dal D.lgs. n. 151/2015; dal 2019 la sanzione pecuniaria amministrativa è maggiorata del 20%, e sale al 40% in caso di medesimo illecito nei tre anni precedenti.

IPOTESI BASE

La sanzione amministrativa pecuniaria viene rimodulata proporzionalmente, in base a tre soglie di gravità: da euro 1.800 a euro 10.800 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a 30 giorni di lavoro effettivo (in caso di recidiva nel triennio da euro 2.100 a euro 12.600); da euro 3.600 a euro 21.600 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da 31 e sino a 60 giorni di lavoro effettivo (in caso di recidiva nel triennio da euro 4.200 a euro 25.200); da euro 7.200 a euro 43.200 per ciascun lavoratore irregolare per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre 60 giorni di lavoro effettivo (in caso di recidiva nel triennio da euro 8.400 a euro 50.400).

IPOTESI AGGRAVATA

Nei casi seguenti vi è un incremento della sanzione pari al 20%:

  • lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, o con permesso scaduto e non rinnovato;
  • minori in età non lavorativa;
  • soggetti beneficiari Reddito di Cittadinanza (RdC).  Gli importi delle sanzioni sono: da euro 2.160 a euro 12.960 per ciascun lavoratore irregolare straniero, minore o beneficiario di reddito di cittadinanza, in caso di impiego del lavoratore sino a 30 giorni di lavoro effettivo (in caso di recidiva nel triennio da euro 2.520 a euro 15.120); da euro 4.320 a euro 25.920 per ciascun lavoratore irregolare straniero, minore o beneficiario di RdC, in caso di impiego del lavoratore da 31 e sino a 60 giorni di lavoro effettivo (in caso di recidiva nel triennio da euro 5.040 a euro 30.240); da euro 8.640 a euro 51.840 per ciascun lavoratore irregolare straniero, minore o beneficiario di RdC, in caso di impiego del lavoratore oltre 60 giorni di lavoro effettivo (in caso di recidiva nel triennio da euro 10.080 a euro 60.480).

RECIDIVA

Il Vademecum Inl del 22 luglio 2022 ha chiarito che per verificare la sussistenza della “recidiva” va accertato se:

  1. il destinatario delle sanzioni corrisponde al soggetto che riveste la qualità di “trasgressore” persona fisica ai sensi della Legge n. 689/1981;
  2. il trasgressore è stato destinatario delle stesse sanzioni (definitive) nel triennio precedente il nuovo illecito.

La maggiorazione per recidiva non si applica se gli illeciti amministrativi contestati sono estinti (pagamento in misura ridotta ex art. 16 della Legge n. 689/1981; pagamento della sanzione ridottissima a seguito di diffida ex art. 13 del D.lgs. n. 124/2004 ).

 

APPLICABILITÀ DELLA DIFFIDA

Il D.lgs. n. 151/2015 prevede l’applicazione della procedura di diffida da parte del personale ispettivo, fatta eccezione per le ipotesi di lavoro “in nero” di lavoratori stranieri irregolari e di minori non in età da lavoro: la diffida consente al datore di lavoro che regolarizza tempestivamente, ottemperando a quanto diffidato, di essere ammesso al pagamento della sanzione ridottissima pari al minimo della sanzione edittale per ciascuna fascia di irregolarità (art. 13, D.lgs. n. 124/2004). “Fatta eccezione per i lavoratori già in nero regolarmente occupati per un periodo lavorativo successivo o non più in forza, gli ispettori devono diffidare il datore di lavoro a stipulare un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche a tempo parziale se con riduzione dell’orario non superiore al 50%, oppure un contratto a termine a tempo pieno purché di durata non inferiore a tre mesi, con mantenimento in servizio dei lavoratori assunti per almeno tre mesi, non inferiore a «90 giorni di calendario», al netto del periodo di lavoro prestato “in nero” (che va comunque regolarizzato).(…) La prova della avvenuta regolarizzazione e del pagamento delle sanzioni, dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi previsti va fornita entro il termine di 120 giorni dalla notifica del verbale di accertamento e notificazione (art. 13, comma 5, D.lgs. n. 124/2004 )”.

“Se il lavoratore è stato già regolarizzato nel momento in cui viene notificato il verbale di accertamento (ad esempio, ai fini della revoca della sospensione dell’impresa), la diffida riguarderà soltanto il successivo mantenimento in servizio per almeno tre mesi (90 giorni). Riguardo, invece, ai lavoratori non più in forza la diffida riguarderà la mera regolarizzazione del “periodo in nero”. Se i lavoratori già “in nero” risultano in forza e pienamente regolarizzati (con instaurazione del rapporto di lavoro stabile per almeno 90 giorni e completa emersione del periodo lavorativo irregolare) il personale ispettivo ammetterà direttamente il trasgressore a pagare la sanzione ridottissima (minimo edittale – “diffida ora per allora”).

SANZIONE IN MISURA RIDOTTA

In entrambe le ipotesi di illecito (maxisanzione base e aggravata) è possibile ammettere il trasgressore al pagamento della sanzione in misura ridotta, pari al doppio del minimo edittale e a un terzo del massimo.

 

 

* Sintesi dell’articolo pubblicato in D&PL, n. 47-48,/2022 p. 2869, dal titolo Struttura, caratteristiche e applicazione della maxisanzione

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“IL LAVORO TRA LE RIGHE” VII edizione Premio letterario

SETTIMA EDIZIONE PREMIO LETTERARIO DEI CONSULENTI DEL LAVORO

L’Ordine dei Consulenti del lavoro di Milano ha istituto la settima edizione di “Il lavoro tra le righe –Premio letterario Consulenti del Lavoro Provincia di Milano” riconoscimento annuale per le migliori pubblicazioni in materia di lavoro.

Vi chiediamo di sentirvi tutti coinvolti in questa iniziativa ormai diventata un’importante occasione per rendere evidente la centralità delle tematiche essenza della nostra professione.

Se potete, inoltre, pubblicizzate questa iniziativa tramite i molteplici canali a cui avete accesso, social media compresi. Ampliare la platea dei partecipanti stimola la competizione e arricchisce le nominations al Premio.

Le opere devono essere state pubblicate tra il 1 settembre 2021 e il 31 dicembre 2022.

Ricezione opere entro il 15 maggio 2023

La segnalazione delle opere potrà essere inviata tramite questo link https://forms.gle/ADmrtzvJZbLMvN358

Attendiamo le vostre pubblicazioni e vi ringraziamo del prezioso contributo che darete.

Scarica qui il Regolamento

 

COORDINAMENTO ed etero direzione*

Luca di Sevo, Consulente del Lavoro in Bollate (Mi)

Gambacciani si confronta con il fenomeno del lavoro etero-organizzato alla luce delle posizioni espresse dalla corte costituzionale

 

L’articolo in analisi affronta il complesso tema dell’etero organizzazione e del coordinamento come elementi costitutivi di due distinte fattispecie di lavoro parasubordinato. L’art. 2, D.lgs. n. 81/2015 disciplina le collabo razioni autonome continuative intese come “prestazioni di lavoro esclusivamente persona li” con “modalità di esecuzione […] organizzate dal committente”. L’art. 409 c.p.c. regola inve ce la diversa ipotesi in cui l’attività si concreti in una “prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale”, dove per “collaborazione coordinata” si intende quella in cui le “modalità di coordinamento [sono] stabilite di comune accordo tra le parti, mentre l’organizzazione dell’attività lavorativa, nel rispetto delle modalità di coordinamentopattuite, resta in capo al collaboratore”.

La distinzione tra etero organizzazione e coordinamento è una questione annosa che ha generato una notevole discussione ed un’ampia produzione dottrinale.

L’etero organizzazione non può essere limitata all’inserimento continuativo della prestazione del collaboratore nel contesto organizzativo, nel senso che, sostenere che “le modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative del collaboratore non sono scandite dalle direttive (puntuali o generali) del committente, ma indotte dall’organizzazione predisposta da quest’ultimo e dall’inserimento del collaboratore all’interno di essa”, riduce molto il legame diretto tra committente e collaboratore.

L’organizzazione delle modalità di esecuzione, invece, implica un potere di ingerenza del committente sulla prestazione del collaboratore con una tutela equivalente a quella del lavoratore subordinato. Emerge quindi l’esigenza per cui i tratti salienti dell’etero organizzazione devono essere individuati per differenza rispetto al potere direttivo.

L’introduzione di una specifica disciplina del lavoro etero organizzato serve proprio a tutelare quei rapporti di collaborazione continuativa che, trovandosi in una “terra di mezzo” tra lavoro autonomo e subordinato (Cit. Corte di Cassazione), sono estranei alla nozione tecnica di subordinazione. Si può quindi ritenere che l’etero organizzazione sia principalmente il potere del committente di intervenire sulla prestazione del collaboratore per renderla funzionale alla sua organizzazione: le sue direttive sono utili a perseguire il proprio interesse nell’organizzazione dei mezzi di produzione, ma senza spingersi fino a collocare il collaboratore in una posizione di vera e propria dipendenza gerarchica.

Nella “etero organizzazione” il committente può definire le modalità di inserimento della prestazione nell’organizzazione, distinguendosi dal “potere direttivo” che, invece, si declina in modo puntuale sulle specifiche modalità esecutive della prestazione.

Elementi discrezionali tra le due fattispecie sarebbero, quindi, l’assenza in capo al committente tanto del potere conformativo inteso come facoltà di individuazione della prestazione esigibile tra quelle contrattualmente dovute che del potere di intervento diretto sulla prestazione stessa, se non nei limiti di quanto sopra detto.

Da sempre si è cercato di dare una definizione di lavoro parasubordinato “genuino”.

Una recente pronuncia della Corte Costituzionale ha dato un importane contributo: chiarito che “il rapporto di agenzia non è incompatibile con la soggezione dell’attività lavorativa dell’agente a direttive e istruzioni nonché a controlli, amministrativi e tecnici, più o meno penetranti, in relazione alla natura dell’attività ed all’interesse del preponente”, la Corte conclude che “in alcuni casi, la pregnanza delle direttive […] e l’inserimento tendenzialmente stabile dell’agente nell’organizzazione del [preponente] comportano che la relativa figura possa essere ricondotta a quella di un collaboratore dell’impresa altrui […]. Ipotesi espressamente considerata dal legislatore […] con l’art. 409, numero 3)”.

Si tratta di evitare il rischio che la mancata pattuizione delle modalità di coordinamento implichi la riconduzione nell’ambito della subordinazione o delle collaborazioni etero organizzate. L’assenza di un accordo sulle modalità di coordinamento può automaticamente farne intendere la sua connotazione di lavoro sia autonomo tout court, salvo l’evidenza di altri fatti.

Non va tuttavia dimenticato che la qualificazione di un rapporto nell’ambito della subordinazione ovvero in una delle due fattispecie di lavoro parasubordinato è esclusivamente a carico del giudice chiamato a verificare la genuinità del rapporto.

Risulta quindi evidente da questo ennesimo intervento quanto sia necessario individuare correttamente il ruolo del collaboratore e della collaborazione nell’organizzazione aziendale, e quanto sia di primaria importanza definire in modo inequivocabile le modalità di esecuzione con un patto scritto tra le parti, facendo in modo che tali pattuizioni ritrovino evidenza nella loro esecuzione.

A parere di chi commenta, il corretto utilizzo delle prestazioni di natura parasubordinata necessita innanzitutto di un cambio culturale finalizzato ad una giusta collocazione della prestazione, senza il rischio di cadere nella presunzione di rapporto subordinato.

* Sintesi dell’articolo pubblicato in Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, 3, 2022, pagg. 561 ss, dal titolo Coordinamento ed etero direzione. Le indicazioni della Corte costituzionale.

 

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IL NUOVO RUOLO DEL PREPOSTO: “l’anello di congiunzione” di cui si sentiva la necessità*

Luca di Sevo, Consulente del Lavoro in Bollate (Mi)

Valentina Pasquarella analizza il ruolo del preposto alla luce della vigente, rinnovata normativa

 

L’Autrice analizza la centralità della figura del preposto in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in seguito alle modifiche al D.lgs. n. 81/2008 introdotte dal D.l. n. 146/2021 (L. n. 215/2021 – “Decreto fiscale”).
Quella del preposto è una figura centrale in materia di salute e sicurezza sul lavoro, poiché collocato in posizione intermedia tra il dirigente e i lavoratori, con compiti di vigilanza e controllo sul comportamento dei lavoratori stessi: è un “soggetto cui competono poteri originari e specifici, differenziati tra loro e collegati alle funzioni a essi demandati, la cui inosservanza comporta la diretta responsabilità del soggetto ’iure proprio’ ”; egli, quindi, è chiamato a rispondere “a titolo diretto e personale per l’inosservanza di obblighi che allo stesso (…) direttamente fanno capo”.
Il preposto è la “persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende all’attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa” (art. 2, comma 1, lett. e), D.lgs. n. 81/2008).
Questo lo qualifica come il punto di raccordo tra datore di lavoro e lavoratori. Operando a diretto contatto con i lavoratori e con i fattori di rischio, ha il compito di verificare la concreta attuazione delle disposizioni impartite dal datore di lavoro o dal dirigente e di vigilare sulla corretta esecuzione degli stessi da parte dei lavoratori; è quindi un “responsabile esecutivo (…), estraneo ai compiti di organizzazione e predisposizione delle misure di prevenzione”.
Egli deve vigilare sull’eventuale instaurarsi di prassi comportamentali incaute oltre che sulle anomalie di funzionamento dei macchinari, al fine di “segnalare” ai vertici aziendali eventuali negligenze degli operatori e/o eventuali lacune nell’attuazione delle misure di prevenzione.
La L. n. 215/2021 introduce l’obbligo per il  datore di lavoro/dirigente di individuare uno o più preposti per l’effettuazione dell’attività di vigilanza, prevedendo la possibilità per i contratti collettivi di stabilire l’emolumento ad essi spettante, anche nelle attività eseguite in regime di appalto o subappalto.
Le novità del 2021, oltre ad introdurre un obbligo di individuazione del preposto, ne stabiliscono un presidio mediante sanzioni penali. Infatti, in caso di inadempimento, si configura un reato a carico del datore di lavoro e del dirigente, punito con la pena alternativa dell’arresto (da due a quattro mesi) o dell’ammenda (da 1.500 a 6.000 euro).
Questo ruolo meglio definito del preposto consentirà di chiarire meglio le posizioni di garanzia in materia di sicurezza, in linea con quanto previsto dal documento di valutazione dei rischi che, oltre alla definizione delle procedure per l’attuazione delle misure preventive e protettive, richiede l’individuazione dei “ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri”, con l’obbiettivo di ridurre al minimo l’esposizione a rischio. Il rafforzamento del ruolo del preposto discende dai nuovi obblighi di cui è insignito.
Oltre a quanto previsto dall’art. 19, comma 1, D.lgs. n. 81/2008, si aggiungono specifici casi di intervento, penalmente sanzionabili, in caso del verificarsi di condizioni di insicurezza.
Il preposto deve prima di tutto sovrintendere e vigilare “sull’osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro  disposizione”, ed in più, gli si riconosce un doppio ruolo di intervento diretto ad esercizio progressivo.
Nel caso in cui il preposto rilevi comportamenti dei lavoratori non conformi alle istruzioni impartite dal datore di lavoro e dai dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale, egli dovrà intervenire “per modificare il comportamento non conforme fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza”. Successivamente, ma solo in caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite al lavoratore o di persistenza dell’inosservanza, dovrà esercitare un intervento deciso, ovvero provvedendo ad interrompere l’attività del lavoratore inadempiente (con possibile irrogazione di sanzioni disciplinari da parte del datore di lavoro) e ad informare i diretti superiori; nell’interruzione dell’attività si concentra il carico più oneroso delle nuove responsabilità imputate al preposto.
Va notato che la delicatezza del ruolo, così come delineato, viene difeso dalla norma per cui questi non potrà “subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività”. Questa forma di difesa si aggiunge al compenso economico di emanazione prevista dalla contrattazione collettiva.
In merito alla formazione, che rimane confermata come obbligatoria e specifica per questo ruolo, i contenuti della formazione non vengono più dettagliati dalla norma, ma saranno specificati da un apposito accordo in Conferenza permanente Stato, Regioni, mentre riguardo alle modalità di svolgimento delle attività formative rivolte ai preposti, si introduce in capo al datore di lavoro e al dirigente un obbligo specifico penalmente sanzionato, per cui le attività dovranno essere svolte interamente in presenza e con periodicità almeno biennale “e comunque ogni qualvolta sia reso
necessario in ragione dell’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi” (art. 37, comma 7-ter, D.lgs. n. 81/2008).
In conclusione, viene trasformato il ruolo da semplice “sentinella” a “gestore” attivo delle problematiche della sicurezza; il preposto è in prima linea nell’attuazione del sistema di prevenzione aziendale, con maggiori responsabilità collegate all’esercizio della sua funzione.

 

*Sintesi dell’articolo pubblicato ne Il lavoro nella giurisprudenza, n. 8-9, 1 agosto 2022, p. 782 dal titolo Il “nuovo” ruolo del preposto alla sicurezza.

 

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Analisi dei diversi modello organizzativi del LAVORO IBRIDO*

Luca di Sevo, Consulente del Lavoro in Bollate (Mi)

D’Aponte Marcello analizza, all’interno del quadro normativo europeo e nazionale, la correlazione tra l’ evoluzione dei sistemi organizzativi nell’impresa e la tutela dei diritti dei lavoratori

Le Autrici affrontano con approccio analitico il tema delle nuove forme di lavoro, già presenti soprattutto in alcuni settori economici, ma notevolmente “esplose” con la crisi pandemica del 2020-2021. L’evoluzione rapida ha determinato l’esigenza di capire se e come modificare l’organizzazione aziendale e quali modalità gestionali attuare in seno alle organizzazioni.

Il termine lavoro ibrido viene utilizzato per descrivere le diverse opzioni di lavoro flessibile con tempi e luoghi di lavoro non standardizzati, ma determinati dalle esigenze dell’organizzazione e delle risorse. La recente pandemia ha radicalmente modificato la cultura del lavoro portando le persone e le organizzazioni ad evolvere verso qualcosa di nuovo e diverso, “che sia in grado di cogliere il meglio delle due esperienze e di affermare un nuovo modo di lavorare che metta al centro le reali esigenze delle persone e valorizzi l’unicità di ciascuna organizzazione portando le une e le altre a esprimere al meglio il proprio potenziale”. In un modello di lavoro ibrido, ciascuna organizzazione è chiamata a trovare il proprio equilibrio tra tempo e luogo di lavoro, che si possono rappresentare con lo schema che ci propongono le autrici.

Dall’incrocio delle variabili “flessibilità di tempo” e “flessibilità di luogo di lavoro”, si possono determinare quattro modelli estremi di organizzazione del lavoro:

  • modello completamente in presenza senza alcuna flessibilità di tempo: è il modello di lavoro più tradizionale, in cui l’intera organizzazione è legata ad uno specifico luogo di lavoro e ad un orario prestabilito;
  • modello completamente da remoto con totale flessibilità di tempo: questo è un modello di lavoro a cui molti lavoratori aspirerebbero. È un modello difficilmente realizzabile nella maggior parte delle organizzazioni; 3) modello completamente in presenza con totale flessibilità di tempo: è un modello che si basa sulla presenza e sulla condivisione del luogo di lavoro senza sentire la necessità di garantire una compresenza temporale costante da parte di tutta l’organizzazione; 4) modello completamente da remoto senza alcuna flessibilità di tempo: è un modello basato sulla condivisione e lo scambio in real-time indipendentemente da dove ci si trovi fisicamente (opposto del precedente). Alla luce di quanto evidenziato, il modello di lavoro ibrido si può definire come tutto ciò che si trova nel mezzo dei quattro modelli, spostato verso un quadrante piuttosto che un altro o perfettamente in equilibrio al centro.

Ciascuna organizzazione deve trovare il modello più adatto, cercando di equilibrare le esigenze dei lavoratori e quelle del modello di business, del mercato di riferimento e della cultura che l’azienda vuole promuovere al suo interno ed all’esterno. “Scegliere il proprio modello di lavoro ibrido è una decisione strategica chiave per posizionare l’azienda in modo chiaro in un mercato del lavoro sempre più competitivo e identitario”.

Relativamente alla flessibilità dei luoghi di lavoro si possono individuare diversi modelli di gestione  (clicca qui): modello ibrido office-first, modello ibrido parziale, modello ibrido flessibile, modello ibrido remote first, modello ibrido limitato. Riguardo alla flessibilità dei tempi di lavoro, diverse sono le modalità che possono essere applicate indifferentemente al lavoro svolto in presenza e al lavoro svolto da remoto, sia per favorire il bilanciamento tra vita personale e lavorativa sia per quei lavoratori la cui mansione impedisce l’accesso a forme di flessibilità relative al luogo di lavoro: flessibilità in ingresso e in uscita, flessibilità della pausa pranzo, compresenza, settimana corta. Lo strumento principe di lavoro ibrido è sicuramente rappresentato dal lavoro agile (o smart working) così come definito dall’art. 18 della Legge n. 81/2017. Si introduce in azienda tramite un accordo o regolamento che tenga conto di alcuni aspetti fondamentali:

  • autonomia, responsabilità e fiducia non sono negoziabili;
  • obiettivo di favorire il benessere dei lavoratori e l’intensità e la qualità del loro lavoro; – responsabili al centro;
  • non deve essere perso di vista il lavoro in presenza.

Uno dei temi più delicati da disciplinare è quello dei tempi della prestazione lavorativa. Alcuni accordi specificano che la quantità massima di lavoro che può essere prestato al di fuori delle sedi aziendali non può mai essere prevalente rispetto a quella prestata direttamente presso sedi aziendali. In altri accordi, il requisito della non prevalenza viene raggiunto imponendo dei limiti massimi in giorni o anche in ore.

Con riferimento alla prima parte, dedicata al lavoro agile, si ricorda inoltre che, in aggiunta al regolamento o all’accordo aziendale, sarà poi necessario stipulare con ciascun beneficiario un apposito accordo individuale di lavoro agile così come previsto dall’art. 19 della Legge n. 81/2017.

Quello che si può auspicare, alla luce delle recenti esperienze, è che ogni azienda possa cogliere questa occasione per rimettere in discussione e rivedere le regole relative al lavoro in presenza dando spazio a nuove forme di regolamentazione dei luoghi e dei tempi di lavoro.

 

 

 

 

* Sintesi dell’articolo pubblicato in D&PL, 27, 2022, dal titolo Lavoro ibrido: nuovo modello organizzativo.

 

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Accrescimento del diritto Alla disconnessione in relazione al mutare dei sistemi organizzativi nell’impresa: verso nuove forme di regolamentazione?*

Luca di Sevo, Consulente del Lavoro in Bollate (Mi)

D’Aponte Marcello analizza, all’interno del quadro normativo europeo e nazionale, la correlazione tra l’ evoluzione dei sistemi organizzativi nell’impresa e la tutela dei diritti dei lavoratori

Il contributo ha lo scopo di esaminare gli effetti dei mutamenti nei sistemi organizzativi relativi al riconoscimento del “diritto alla disconnessione” nel rapporto di lavoro. Le disposizioni in materia di disconnessione sono contenute nella Legge 6 maggio 2021, n. 61 e nel Protocollo sul lavoro agile del 7 dicembre 2021. L’Autore opera anche un breve excursus della legislazione presente nei principali Paesi europei, alla luce della risoluzione del PE n. 2019/2181 concernente la raccomandazione alla Commissione europea in materia di disconnessione. Egli in primis esprime la necessità di individuare forme di regolamentazione sulla disconnessione non limitate al “telelavoro” (inteso come lavoro a domicilio svolto integralmente a distanza), ma che abbraccino anche il “lavoro agile” (meccanismo di flessibilità organizzativa che prevede lo svolgimento di parte dell’attività a distanza), con l’obbiettivo finale di un diritto generalizzato per lo svolgimento di qualsiasi prestazione lavorativa che avvenga mediante l’ausilio di strumentazioni informatiche. La recente pandemia ha prodotto un salto in avanti di dimensioni non facilmente prevedibili relativamente all’utilizzo del lavoro agile; i vantaggi di questa forma di lavoro vanno però confrontati con i rischi connessi all’isolamento del lavoratore rispetto all’ambiente lavorativo in presenza, ai danni alla salute provocati dalla costante e prolungata esposizione ai dispositivi elettronici, alle potenziali modalità di controllo più pervasive rispetto a quelle tipiche, ed infine al pericolo di una sovrapposizione tra vita privata e vita lavorativa. È sempre più avvertita l’esigenza di regole che limitino l’esposizione mediante il riconoscimento di un vero e proprio “diritto alla disconnessione” che ad oggi è regolamentato parzialmente dal diritto italiano, ma che la legislazione europea va disciplinando in maniera sempre più ampia. Infatti, il lavoratore è spesso nella condizione di non riuscire materialmente a sfuggire a richieste di lavoro, a causa della costante reperibilità cui lo costringono gli strumenti digitali, le applicazioni di messaggistica istantanea e i social network. Ne consegue la perdita degli spazi dedicati alla vita privata e una pericolosa esposizione ai danni alla propria salute psico-fisica, provocati dalla costante reperibilità ed alla iper- connessione. Nel nostro Paese l’ultimo intervento è il Protocollo sul lavoro agile del 7 dicembre 2021; in tale sede sono affrontati temi quali la tutela della salute del lavoratore, l’esercizio da remoto dei diritti sindacali, la parità di trattamento tra generi, il diritto alla disconnessione. All’articolo 3, il Protocollo prevede che la prestazione di lavoro in modalità agile potrà essere articolata in fasce orarie, e datore di lavoro e lavoratore dovranno individuare la fascia di disconnessione nella quale il lavoratore non eroga la prestazione lavorativa e pertanto può legittimamente disconnettersi.

Esistono, come ad esempio in Francia, degli esempi di attività lavorativa contrattualizzati non più su base oraria, ma su un numero di giornate lavorative garantite nel corso dell’anno, con piena libertà di gestione da parte del lavoratore di tempi e luogo di lavoro e sulla focalizzazione dell’attività sugli obiettivi assegnati.

In conclusione, l’Autore ipotizza un sempre più diffuso superamento della nozione stessa di “diritto alla disconnessione”, connessa alla crescente esperienza di nuovi criteri di misurazione della prestazione di lavoro, in ambito settimanale, mensile ovvero annuale e, quindi all’emergere del fenomeno della valorizzazione del c.d. “lavoro per obiettivi” in sostituzione di quello su base oraria.

 

 

* Sintesi dell’articolo pubblicato in MGL, 1/2022, pag. 29 ss dal titolo  Evoluzione dei sistemi organizzativi nell’impresa e tutela dei diritti dei lavoratori nel quadro della regolamentazione europea: dal diritto alla “disconnessione”, al lavoro “per obiettivi”.

 

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Rapporto tra WELFARE E DURC*

Luca di Sevo, Consulente del Lavoro in Bollate (Mi)

De Luca e M. Giangrande analizzano le disposizioni contributive e fiscali che interessano le erogazioni sotto forma di welfare che possono essere concesse ai lavoratori dipendenti

Non esiste una definizione legale di welfare contrattuale o aziendale; la dottrina lo indica come “l’insieme dei benefit e servizi forniti dall’azienda ai propri dipendenti al fine di migliorare la vita privata e lavorativa”; a titolo esemplificativo si possono citare: il sostegno alla famiglia, allo studio, alla genitorialità, alla tutela della salute.

La Legge 28 dicembre 2015, n. 208, con riferimento al regime fiscale (art. 51, comma 2, lettera f, del Tuir) stabilisce che non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente: “l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell’articolo 12, per le finalità di cui al comma 1, dell’articolo 100”.

L’art. 1, comma 162, della Legge n. 232/2016, precisa che le disposizioni ex art. 51, co.2 lettera f del Tuir “si applicano anche alle opere e servizi riconosciuti dal datore di lavoro, del settore privato o pubblico, in conformità a disposizioni di contratto collettivo nazionale di lavoro, di accordo interconfederale o di contratto collettivo territoriale”.

Il welfare di natura contrattuale è il sistema di tutela dei lavoratori istituito in base alle previsioni della concertazione tra le parti sociali e che si distingue dal welfare datoriale o welfare aziendale, dovuto all’iniziativa specifica del datore di lavoro.

Come sopra evidenziato la Legge 28 dicembre 2015, n. 208 ha decretato l’esclusione dal reddito da lavoro dipendente anche le opere e servizi di welfare non provenienti dall’iniziativa unilaterale del datore di lavoro, ed estendendo quindi i benefici alle emanazioni di natura contrattuale. Pertanto, non concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente l’“utilizzazione di opere e servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di regolamento aziendale”.

Il Documento unico di regolarità contributiva (Durc) è la certificazione che attesta la regolarità da parte delle imprese dei versamenti previdenziali, assistenziali, e dei premi assicurativi. Esso è stato introdotto dall’art. 1, comma 1175, Legge n. 296/2006, che dispone come i benefici normativi e contributivi sono subordinati al suo possesso da parte dei datori di lavoro, “fermi restando gli altri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”; va notato che non sono annoverati servizi, opere e servizi di welfare.

L’autore ha analizzato l’esistenza di collegamenti tra il particolare regime fiscale per i trattamenti di welfare e l’obbligo di regolarità di contributiva previsto all’art. 1, co. 1175, della Legge n. 296/2006 per i benefici contributivi. Accertato che i datori di lavoro – per poter fruire dei benefici previsti dalla norma – devono essere in possesso del Durc, fermi restando gli altri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali, regionali, territoriali o aziendali stipulati dalle organizzazioni sindacali datoriali e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, appare evidente che le disposizioni di cui all’art. 51, comma 2, del Tuir definiscano il criterio di calcolo dell’imponibile fiscale, indipendentemente dalle questioni inerenti il Durc.

Il regime fiscale e contributivo previsto per il welfare aziendale non risulta correlato alle condizioni di rilascio del Durc. Emerge quindi che la disciplina del Durc non ha relazioni con il regime fiscale e contributivo previsto dalla regolamentazione sul welfare contrattuale e aziendale e quindi per applicare

i benefici fiscali legati al welfare non è richiesto il Durc.

Da questo lavoro di analisi, possiamo trarre sicuramente l’importanza di due strumenti profondamente diversi volti, l’uno a verificare gli adempimenti da parte del datore di lavoro, l’altro ad accrescere il benessere economico del lavoratore e tentare di conciliare le esigenze lavorative con la vita extralavorativa. Legare il riconoscimento del welfare ad un documento come il Durc, potrebbe andare a discapito dell’interesse del lavoratore; tuttavia, anche una verifica più stringente ed accurata della regolarità fiscale dei datori di lavoro, potrebbe costituire un piano di azione interessante nell’ambito di un’azione verso una legalità ampia e profonda.

 

 

 

* Sintesi dell’articolo pubblicato in Modulo24, Contenzioso Lavoro, 2022/4 dal titolo Welfare di natura contrattuale e Durc.

 

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Disabilità, diritto al lavoro, diritto alla inclusione: l’esatto adempimento dell’obbligo assuntivo*

Luca di Sevo, Consulente del Lavoro in Bollate (Mi)

Commento di De Falco a cassazione n. 30138: disabilità e condizioni occupazionali

L’Autore, commentando la sentenza Cass., Civ. sez. Lavoro, 26 ottobre 2021, n. 30138, riflette sulle condizioni occupazionali delle persone con disabilità e sugli strumenti di inserimento nel mondo del lavoro, al fine di realizzarne la piena inclusione. La sentenza della Suprema Corte riguarda l’esatto adempimento dell’obbligo assuntivo delle persone con disabilità (ex art. 3, L. n. 68/199 ), il quale prevede che, entro sessanta giorni dall’insorgere dell’obbligo, il datore di lavoro deve consegnare il prospetto informativo ai competenti uffici. All’epoca dei fatti il datore doveva specificare la “qualifica” cui adibire il disabile, mentre la società aveva indicato genericamente i posti di lavoro e le mansioni disponibili, e l’Ispettorato territoriale del lavoro le aveva contestato la violazione delle disposizioni in materia di collocamento mirato. La sentenza, anche se l’odierna formulazione dell’art. 9, L. n. 68/1999, non contenga più la richiesta della qualifica, impone una riflessione sul pieno diritto al lavoro delle persone con disabilità.

Attualmente sono disponibili due modelli di qualificazione della disabilità.

Il “modello medico” (OMS 1980), individua la disabilità come una menomazione, idonea a ridurre la “capacità di compiere un’attività della vita quotidiana nella maniera considerata normale per un essere umano”. In questa ottica, data l’importanza delle caratteristiche della persona e gli ostacoli che ne derivano, si dimentica di adattare l’ambiente alle sue esigenze concrete mentre, per realizzare l’inclusione dei disabili negli ambiti lavorativi, è necessario     adattarli strutturalmente,  per agevolare l’accessibilità.

Il “modello biopsicosociale” concepisce la disabilità, come “conseguenza […] di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e ambientali che rappresentano le circostanze in cui [egli] vive”. Superata la convinzione per cui la soluzione è la sola terapia medica, l’intervento è insito nell’azione e nell’inclusione sociale. Emerge la necessità di realizzare beni, servizi e spazi in un’ottica inclusiva.

La sentenza in commento mettendo in luce la preferenza dell’ordinamento per l’avviamento nominativo anziché numerico su “qualifica”, tenta di realizzare il principio del collocamento della “persona giusta al posto giusto”, ma si dimostra ancora inefficace a garantire il pieno diritto al lavoro delle persone con disabilità. È noto che l’accesso al mercato del lavoro dei disabili è ostacolato da barriere individuali e ambientali e dalla resistenza dei datori all’inserimento nelle strutture. È opportuno riflettere ancor più attentamente sulla condizione dei disabili di natura psichica: in questi casi, il disagio sofferto dalla persona riduce le speranze di inserimento, ma anche le possibilità di mantenerlo.

Sono stati individuati due percorsi alternativi per il collocamento dei disabili: l’assunzione diretta, che consente un’immediata integrazione nel mercato del lavoro; oppure le procedure di

distacco.

L’assunzione diretta risulta difficilmente praticabile per le persone con disabilità di natura psichica, in quanto, oltre “all’adattamento dell’impresa al disabile”, si obbligherebbe anche “il disabile ad adattarsi all’impresa”. Invero, ci  potrebbe costituire una causa di ulteriore frustrazione, anziché un’occasione di realizzazione.

Le convenzioni di cui agli artt. 12, 12- bis, L.

  1. 68/1999 e di cui all’art. 14, D.lgs. n. 276/2003, promuovono il superamento delle barriere, mediante l’individuazione di luoghi di lavoro protetti, in cui il lavoratore pu essere seguito nel proprio percorso di crescita umana e professionale (ad es. le cooperative sociali). Molto importante risulta anche il comma 5 dell’art. 11, L. n. 68/1999, che ammette la possibilità per gli uffici competenti di promuovere e attuare “ogni iniziativa utile a favorire l’inserimento lavorativo dei disabili anche attraverso convenzioni con le cooperative sociali […] e con altri soggetti pubblici e privati idonei a contribuire alla realizzazione degli obiettivi della legge”.

Va notato infine come gli strumenti convenzionali non determinino un “onere finanziario sproporzionato”, bensì un risparmio per il datore, rispetto alle eventuali sanzioni in caso di mancata ottemperanza. È necessario trovare un punto di equilibrio tra l’iniziativa economica privata e il diritto al lavoro anche delle persone con disabilità.

Chi commenta, ha avuto in passato l’occasione di affrontare la tematica su più fronti (sempre per questa testata), in collaborazione con esponenti del terzo settore esperti nella delicata materia dell’inclusione; in particolare ci si è concentrati sull’utilizzo del distacco ex. art. 14, D.lgs. n. 276 e sul ruolo del “disability manager” nelle organizzazioni complesse.

 

* Sintesi dell’articolo pubblicato ne LG, 4/2022, pag. 376 dal titolo Il diritto al lavoro delle persone con disabilità: alla ricerca della “persona giusta al posto giusto”, Nota a sentenza  di Massimiliano De Falco.

 

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