La pagina della mediazione civile e commerciale – La riforma della procedura di mediazione

di Lorenzo Falappi – Avvocato in Milano, Mediatore civile 

La riforma della procedura di mediazione è arrivata ad un passaggio fondamentale con l’approvazione, lo scorso 10 ottobre, del Decreto legislativo n. 149/2022.

Le novità entreranno in vigore il 30 giugno 2023, ed il loro tenore conferma la volontà del legislatore di considerare la mediazione come lo strumento che, favorendo una soluzione non contenziosa, rappresenta per le parti un’effettiva e conveniente alternativa al processo civile.

L’intervento, innanzi tutto, amplia le aree per le quali la mediazione è obbligatoria, in quanto il nuovo art. 5 del D.lgs. n. 28/10 aggiunge le controversie in materia di associazione in partecipazione, consorzio, franchising, contratti d’opera, contratti di rete, contratti di somministrazione, società di persone e subfornitura. Dopo aver allargato il campo d’azione la riforma risolve definitivamente il controverso dibattito processuale in tema di opposizione a decreto ingiuntivo: posto che la mediazione non è obbligatoria qualora l’azione giudiziaria sia promossa con ricorso per decreto ingiuntivo, nel caso di sua opposizione l’art. 5-bis, ritornando operativa la condizione di procedibilità, indica nel creditore ricorrente la parte onerata a proporre la domanda di mediazione. In tema di mediazione condominiale viene finalmente semplificata la possibilità per il condominio di aderire alla procedura, eliminando il farraginoso iter che prevedeva, dopo aver ricevuto la richiesta di mediazione, il differimento del primo incontro e la convocazione dell’assemblea al fine di decidere l’adesione o meno alla mediazione. Con il nuovo art. 5-ter l’amministratore è legittimato ad attivare il procedimento, ad aderirvi e a parteciparvi e l’assemblea sarà coinvolta nel momento in cui dovrà decidere se approvare l’accordo emerso nel corso della mediazione o la proposta conciliativa eventualmente formulata dal mediatore. Come previsto nella legge delega viene valorizzata la mediazione demandata: ai sensi dell’art. 5-quater il giudice – anche in sede d’appello – tenendo conto della natura della causa, dello stato dell’istruzione, del comportamento delle parti e di ogni altra circostanza, può liberamente disporre la mediazione con ordinanza motivata, che diventa altresì oggetto di specifica rilevazione statistica, così come tutte le controversie definite a seguito di tale provvedimento.

Sempre in tale ottica la mediazione entra sia nel percorso formativo del magistrato che nella sua valutazione ex art. 11, D.lgs. n. 160/2006, in quanto la frequentazione a seminari e corsi in tema di mediazione, nonché il numero e la qualità degli affari definiti con ordinanza di mediazione o mediante accordi conciliativi, costituiscono, secondo l’art. 5-quinques, indicatori di impegno, capacità e laboriosità del magistrato.

Riguardo la struttura della procedura la riforma ribadisce che la durata non può essere superiore a tre mesi, decorrenti dalla data di deposito della domanda o dalla scadenza del termine fissato dal giudice per il deposito della stessa in caso di mediazione demandata, e tuttavia precisa che tale termine è prorogabile di ulteriori tre mesi con accordo scritto delle parti. Rilevato che nella prassi il termine di tre

mesi, per la sua obiettiva brevità, viene abitualmente derogato dalle parti, e che le procedure possono avere una durata superiore a sei mesi, occorrerà verificare se anche l’ulteriore termine, come suggeriscono logica e diritto, sia disponibile dalle parti.

Completamente rivoluzionato è il primo incontro, non più di natura informativa e di verifica riguardo la possibilità di iniziare la procedura, in quanto già in tale occasione il mediatore, dopo aver esposto la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, dovrà adoperarsi affinché sia raggiunto un accordo tra le parti che, prosegue il nuovo art. 8, dovranno partecipare personalmente e, unitamente agli avvocati, cooperare lealmente e in buona fede per realizzare un effettivo confronto sulle questioni controverse. In altre parole, viene esautorata la mera funzione di “filtro” riconosciuta al primo incontro che, nella nuova versione, prevede fin da subito l’ingresso delle parti – qualora siano entrambe presenti – nel merito della controversia. Viene ribadito che durante la procedura il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali, precisando che le parti possono convenire la producibilità in giudizio della relazione, che in tal caso sarà valutata dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento in conformità all’art. 116, comma primo, del codice di procedura civile. Recependo una prassi consolidata, già normata durante la c.d. emergenza covid, l’art. 8-bis prevede che gli incontri si possano svolgere da remoto e che gli atti del procedimento siano formati e sottoscritti nel rispetto delle disposizioni del codice dell’amministrazione digitale.

Quindi, a conclusione della procedura, il mediatore forma un unico documento informatico, in formato nativo digitale, contenente il verbale e l’eventuale accordo, e lo invia alle parti per la sottoscrizione mediante firma digitale. Significativa novità è quella in tema di accordo di conciliazione sottoscritto dai rappresentanti delle amministrazioni pubbliche, in quanto la responsabilità contabile viene limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, consistente nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti. Non meno importante è l’estensione del gratuito patrocinio anche ai procedimenti di mediazione, con una disciplina specifica sulle condizioni reddituali di accesso, sulle modalità di presentazione dell’istanza per l’ammissione anticipata e sull’organo competente a riceverla, sul ricorso esperibile in caso di suo rigetto, sugli effetti dell’ammissione anticipata, sulla revoca del provvedimento di ammissione, sul compenso da riconoscere all’avvocato e, infine, sulle sanzioni e i controlli. Un ulteriore incentivo alla mediazione è rappresentato dal riconoscimento di una serie di benefici fiscali in favore di parti e organismi. Il primo è l’esenzione da tasse, imposta di bollo e spese per tutti gli atti, documenti e provvedimenti adottati nel corso della mediazione, mentre il verbale contenente l’accordo di mediazione è esente dal pagamento dell’imposta di registro nel limite di valore di € 100.000,00 (attualmente è di € 50.000,00), e la stessa è dovuta per la parte eccedente tale importo.

Il secondo incentivo consiste in un credito di imposta riconosciuto alle parti che raggiungono l’accordo, commisurato all’indennità dovuta all’organismo di mediazione per avviare la procedura, e fino all’importo di € 600,00. Nei casi di mediazione obbligatoria, o demandata dal giudice, è riconosciuto anche un credito di imposta commisurato al compenso corrisposto all’avvocato per l’assistenza in mediazione, nei limiti sanciti dai parametri forensi e, anche in questo caso, nel limite di € 600,00.

Questi crediti di imposta sono soggetti a limiti temporali e di importo: la parte può utilizzarli fino a € 600,00 per procedura, e nell’importo limite annuale di € 2.400,00 per le persone fisiche e di € 24.000,00 per le persone giuridiche. Un ulteriore credito di imposta, commisurato al contributo unificato versato dalla parte, è previsto se il procedimento giudiziario si estingue dopo che è intervenuto l’accordo di conciliazione. Anche in questo caso il credito incontra un limite, che corrisponde all’importo versato e fino al tetto di € 518,00. Agli organismi di mediazione è riconosciuto un credito di imposta, commisurato all’indennità che la parte ammessa al gratuito patrocinio non deve corrispondere, fino all’importo massimo annuale di € 24.000,00.

Infine, è in previsione un credito di imposta, alternativo al compenso, da riconoscere all’avvocato che assista la parte ammessa a beneficiare del patrocinio gratuito, e che sarà individuato con decreto del Ministero della Giustizia, di concerto con quello dell’Economia, da adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore delle disposizioni attuative della Legge 25 novembre 2021, n. 206.

In conclusione il Decreto legislativo n. 149/2022, sebbene non sia esente da criticità che soltanto la prassi potrà risolvere – si pensi all’effettivo contenuto che dovrà avere il primo incontro piuttosto che la verifica dei poteri di rappresentanza demandata al mediatore -, abbozza un sistema in cui il procedimento di mediazione, oltre ad essere valorizzato, si integra sempre più con il processo civile, rappresentando per gran parte delle controversie una fase imprescindibile di analoga dignità ed importanza.

 

 

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La pagina della mediazione civile e commerciale – La Mediazione: basi legali, esperienza sul campo e prospettive di riforma

di Lorenzo Falappi – Avvocato in Milano, Mediatore civile 

 

In questo numero di Sintesi proponiamo l’intervista a Lorenzo Falappi, avvocato in Milano e mediatore professionista dal 2011, che racconta e illustra la mediazione partendo dalle basi giuridiche arricchite dalla propria personale  esperienza maturata sul campo e con uno sguardo rivolto al prossimo futuro.

 


Avvocato Falappi, ci da’ una breve definizione della mediazione civile e commerciale? In quali ambiti è operativa?

Il Decreto legislativo n. 28/2010 – alla lettera a) del comma 1 dell’art. 1 – definisce la mediazione come “l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”.

Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili.

Tuttavia la mediazione è obbligatoria in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, responsabilità medica, diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari (cfr. art. 5 del D.Lgs. n. 28/10).

Chi intende, infatti, esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia avente ad oggetto tali materie è tenuto, preliminarmente, ad esperire il procedimento di mediazione.

Esiste, inoltre, la mediazione demandata, prevista all’art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 28/10: il giudice, anche in sede d’appello – ma prima dell’udienza della precisazione delle conclusioni – valutata la natura della causa, lo stato dell’istruttoria e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione, rendendolo condizione di procedibilità della domanda giudiziale. In questo caso si tratta di una obbligatorietà non derivante dall’oggetto/materia della controversia, ma da una valutazione del giudice.

Va precisato che la riforma del processo civile, annunciata proprio in questi giorni, potrebbe incidere in maniera significativa anche sul procedimento di mediazione in quanto prevede, tra le altre cose, la sua abolizione per le materie in cui, statisticamente, l’istituto si è rivelato inefficace (es. contratti assicurativi, bancari e finanziari), lasciandola inalterata dove ha dato buoni risultati (es. in materia di diritti reali).

 

E se dovesse definire Lei l’attività di mediazione? Come la descriverebbe?

La mediazione è una procedura con la quale due o più parti si affidano volontariamente ad un terzo – neutrale, imparziale e indipendente – che le aiuta a trovare, se possibile, una soluzione soddisfacente al loro problema. La mediazione si occupa di conflitti, ovvero di situazioni complesse ove si possono fondere aspetti meramente tecnici (giuridici ed economici) insieme ad aspetti più emozionali. All’interno di essa le parti sono protagoniste in quanto ogni decisione deve essere presa da tutti i soggetti partecipanti che, attraverso linguaggi differenti, si confrontano oltre i limiti di operatività propri del diritto.

 

Perché la mediazione è uno strumento efficace in caso di controversie tra due o più parti?

Ritengo che l’efficacia della mediazione consista nel fatto che la procedura suggerisce un metodo per la risoluzione del conflitto che ha come ambito non tanto lo scontro per l’affermazione della propria posizione bensì una cooperazione tra le parti tesa alla gestione comune del problema.

 

La mediazione presenta dei vantaggi rispetto al giudizio civile o comunque ad altri strumenti alternativi alla giustizia ordinaria?

A mio avviso rispetto al giudizio civile i vantaggi fondamentali  – che mi permetto di ricordare ad ogni primo incontro – sono essenzialmente due:  (i) nella mediazione il destino delle parti è nelle loro mani; (ii) si tratta di uno spazio riservato all’interno del quale la parte può manifestare il proprio pensiero, le proprie perplessità (e, se del caso, eventuali proposte di composizione bonaria) in maniera libera, senza che siano in alcun modo pregiudicate le proprie pretese e, non da ultimo, le ragioni in diritto sottese alle stesse. Per quanto riguarda gli altri strumenti alternativi alla giustizia ordinaria (mi riferisco alla negoziazione assistita) mi sembra che il plus sia rappresentato dalla presenza di un terzo il cui scopo non è capire dove sta la ragione ed il torto bensì quello di avvicinare le parti per soddisfare i loro reciproci interessi attraverso la creazione di opzioni e la promozione di uno sforzo congiunto per risolvere il conflitto.

 

Come si possono definire tempi e costi di una mediazione?

In una sola parola: ragionevoli. Alle parti ricordo sempre che in mediazione si ragiona in termini di mesi, in tribunale di anni, mentre per quanto riguarda i costi – al netto, ovviamente, delle spese per l’assistenza legale – faccio presente che il corrispettivo previsto a titolo di indennità per tutta la procedura di mediazione coprirebbe a malapena, in caso di procedimento civile, le spese per il contributo unificato e le notifiche.

 

E quali gli ulteriori vantaggi, non solo di carattere economico, che le parti possono trarre dal “mediare” una controversia?

Ritengo che un ulteriore vantaggio risieda nella possibilità di acquisire ulteriori informazioni, non tanto per un motivo speculativo, quanto come occasione per comprendere la reale portata della controversia. Faccio un esempio in tema di successioni ereditarie (ma può valere anche in tema di responsabilità sanitaria): capita che le parti si presentino al tavolo di negoziazione con posizioni profondamente divergenti rispetto al valore da riconoscere al compendio ereditario – mi riferisco, in particolare agli immobili -, con un’inevitabile ricaduta sugli eventuali conguagli, rispetto ai quali le distanze sembrano – il più delle volte – incolmabili. Ebbene, la possibilità di approfondire le rispettive valutazioni, magari alla presenza di colui che ha redatto la perizia, o addirittura l’opportunità di effettuare all’interno della procedura una perizia in contraddittorio con la controparte – decidendo, se del caso, di mantenerla riservata – permette alle parti di rivalutare ex ante le rispettive posizioni senza le tipiche pressioni presenti in un giudizio.

Per la Sua esperienza, come si presentano le parti ad un tavolo di mediazione? Quali sono le loro aspettative? Come viene percepita la mediazione dalle parti ?

Innanzitutto l’approccio della parte al tavolo di mediazione dipende, il più delle volte, dall’atteggiamento del legale nei confronti del procedimento. Le aspettative, pertanto, spesso sono mediate dall’avvocato. In ogni caso, dall’iniziale diffidenza si è passati, nel corso degli anni, ad un approccio più condiviso. Ciò detto, un tratto comune alle parti è rappresentato dal fatto che, indipendentemente dal significato della realtà oggettiva, ciò che conta realmente è il modo con cui si percepisce il conflitto. In genere le parti ritengono le rispettive posizioni, se non incompatibili, talmente lontane da ritenersi reciprocamente escludenti e per tale motivo mi capita di far presente, in maniera scherzosa, che se non fossero lontane non sarebbero sedute al tavolo della mediazione. Nel momento in cui le parti iniziano a ragionare in termini di interessi (quello che si desidera in realtà) e non più di posizioni (quello che si afferma di volere), l’atteggiamento muta, in quanto iniziano a intravedere la loro necessità, ossia quello di cui hanno davvero bisogno: risolvere un problema.

In sintesi, come si svolge un procedimento di mediazione? Quali sono le fasi salienti e le piu’ critiche?

La mediazione si distingue in quattro fasi: introduttiva, esplorativa, negoziale e conclusiva. La fase introduttiva si svolge nel primo incontro: il mediatore si presenta alle parti, spiega il suo ruolo e cerca di instaurare un rapporto positivo e di fiducia, illustrando le finalità del procedimento e le regole da osservare per agevolare la comunicazione. E’ importante chiarire alle parti che il mediatore può fare degli incontri separati in modo da agevolare per ogni singola persona l’esposizione dei motivi del conflitto e capire meglio le posizioni. La fase successiva è quella esplorativa, nella quale il mediatore deve capire i punti di vista delle parti e le vere ragioni del conflitto, facendo emergere i reali motivi del conflitto e i bisogni delle parti. Questa è forse la fase più impegnativa, in quanto il mediatore deve mettere in campo tutte le sue risorse in tema di gestione del conflitto, cercando di comprendere i segni con cui si mostra il conflitto per poi iniziare a gestirlo attraverso competenze relazionali, capacità di ascolto, di empatia, di porre domande, di comunicazione e di gestione dello stress. La fase negoziale consiste nella realizzazione di incontri sia singoli che congiunti per il raggiungimento di un accordo che soddisfi entrambe le parti. In questa fase il mediatore può lasciare alle parti la gestione della negoziazione oppure intervenire attivamente. Personalmente preferisco accompagnarle in quanto la miglior soluzione è sempre quella che le parti sentono come propria (e non imposta o indotta da un terzo). Infine la fase conclusiva: le parti si mettono d’accordo secondo le modalità da loro ritenute migliori. Il mediatore può intervenire per accertarsi che i termini della transazione siano stati capiti da entrambe le parti, ma non deve verificare che l’accordo sia “giusto” secondo la sua visione (non dimentichiamo che l’avvocato è sempre presente). L’accordo raggiunto costituisce un contratto che ha forza vincolante tra le parti (ed è anche titolo esecutivo). In caso di mancato accordo, il mediatore non deve vivere un senso di fallimento in quanto la sua azione è stata in ogni caso utile per le parti, che hanno avuto la possibilità di conoscere altri aspetti della controversia prima non valutati.

Perché un professionista dovrebbe scegliere di percorrere (anche) la strada della mediazione? Quali benefici, in termini professionali e di arricchimento professionale, ne possono scaturire?

Per rispondere a questa domanda mi sembra opportuno premettere che il mediatore non è un giudice o un arbitro e la sua funzione non si identifica con la decisione della controversia: il suo ruolo principale è quello di avvicinare le parti. Ciò detto, l’esperienza di mediatore, sebbene da un punto di vista quantitativo occupi energie e risorse minori rispetto a quella di avvocato, ha influito sul mio modo di svolgere la professione di avvocato (che, inevitabilmente, rimane la <<principale>>). Innanzitutto, essendo il mediatore imparziale e ”svincolato” da qualsivoglia legame con le parti e con la controversia, diventa quasi consequenziale la capacità di tenere una giusta distanza nei confronti del conflitto. E’, quindi, più semplice osservare la controversia nel suo complesso, comprendendola in misura sicuramente maggiore. In altre parole è un po’ come guardare un quadro: per apprezzarlo veramente occorre una certa distanza. Tutto questo non solo è un vantaggio per l’avvocato-mediatore, ma rappresenta altresì un beneficio per il cliente, al quale viene inevitabilmente restituita questa maggiore consapevolezza. Si affina, inoltre, l’attitudine ad ampliare le alternative in discussione, anziché cercare un’unica risposta, nonché la capacità di ascolto e, correlativamente, di dialogo, e questo nei confronti di tutti i soggetti coinvolti (cliente, controparte, giudice).

 E, infine, quali sono le caratteristiche che deve possedere un “buon mediatore”?

Con tutti i limiti insiti in un’inevitabile schematizzazione riassumerei così le abilità del mediatore: (i) controllare gli automatismi; (ii) identificare le distorsioni cognitive e saperle gestire; (iii) saper ascoltare; (iv) conoscere il linguaggio non verbale ed essere attento ad esso; (v) essere creativo; (vi) esprimere sensazioni e sentimenti in maniera costruttiva (essere assertivi e non aggressivi); (vii) scegliere le strategie adeguate al contesto concreto ed essere capace, se del caso, di modificarle in itinere.

 

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