LAVORO AUTONOMO OCCASIONALE: novità, criticità e possibili alternative

di Gabriele Zelioli,  Consulente del lavoro in Milano

 

L’esigenza di flessibilità e la necessità di contenere i costi spesso e volentieri spingono l’imprenditore a utilizzare il lavoro autonomo occasionale. L’inquadramento in tale tipologia contrattuale, molte volte, è dettato dal fatto che ci si soffermi al solo concetto di “occasionalità”. L’altra caratteristica fondamentale di questo istituto per  è l’autonomia. Quante volte i nostri clienti ci chiedono di ricorrere a questa tipologia di “contratto” proprio per il carattere saltuario ed episodico della prestazione lavorativa richiesta! Si perde di vista, tuttavia, quali siano le reali modalità di esecuzione della prestazione stessa, che il più delle volte autonoma non è. Ci troviamo quindi costretti a evidenziare le problematiche legate all’utilizzo dell’istituto del lavoro autonomo occasionale.

È bene infatti ricordare che nel nostro ordinamento è consolidato l’orientamento giurisprudenziale della cosiddetta “indisponibilità del tipo di contratto”: ci  che prevale non è il nomen juris adottato in sede di qualificazione del rapporto, ma l’effettiva modalità di svolgimento della prestazione.

Non è quindi possibile costruire un elenco “a priori” di quali attività possano essere svolte mediante un contratto autonomo occasionale, ma andranno via via analizzate le caratteristiche connesse alla modalità di esecuzione dell’incarico affidato.

Proviamo a elencare alcune caratteristiche che a nostro avviso il lavoro autonomo occasionale dovrebbe avere:

  • Vincolo di raggiungimento di specifici risultati;
  • Scadenza prestabilita;
  • Totale discrezionalità di tempi e luoghi;
  • Assenza di etero-direzione;
  • Assenza di etero-organizzazione;
  • Non inserimento del lavoratore nell’organizzazione imprenditoriale;
  • Assenza di abitualità;
  • Assenza di ripetitività;
  • Episodicità e non continuità;
  • Attività sporadiche e non sistematiche;
  • Obiettivamente saltuario; – Presenza di un corrispettivo; – Prestazione prevalentemente personale.

Il Legislatore ha voluto introdurre una stretta sull’utilizzo di tale fattispecie proprio per contrastarne l’utilizzo fraudolento.

Dal 21 dicembre 2021 è stato previsto un nuovo adempimento comunicativo. L’utilizzatore ha infatti l’onere di comunicare preventivamente sul portale https://servizi.lavoro.gov.it/ il ricorso a una prestazione autonoma occasionale. Circa i soggetti tenuti ad assolvere questo obbligo, alle modalità di comunicazione e alle sanzioni per omessa comunicazione si rinvia ai vari documenti ufficiali pubblicati1 dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro e dal Ministero, volendosi soffermare sulle criticità del lavoro autonomo occasionale e sulle possibili alternative. Si ritiene infatti che circa le modalità di esecuzione dell’adempimento molti autori si siano già espressi, essendo l’obbligo in vigore dal 21 dicembre 2021.

Segnaliamo un’altra novità importante: la presenza di lavoratori autonomi occasionali non comunicati potrebbe comportare la sospensione dell’attività. È stata infatti abbassata al 10% la percentuale prevista per l’applicazione di tale fattispecie sanzionatoria e tra i lavoratori da conteggiare vi sono anche i lavoratori autonomi occasionali. Per approfondimenti su questa tematica si rinvia al Vademecum sulla maxisanzione per il lavoro sommerso2.

Per un corretto inquadramento della prestazione lavorativa si ritiene utile ora ricordare la definizione di lavoratore subordinato contenuta nell’art. 2094 del codice civile: “È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Si evidenzia inoltre che all’art. 1 comma 1 del D.lgs. n. 81/2015 il Legislatore ha dichiarato che “Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”.

Il contratto di lavoro subordinato si distingue nettamente dal lavoro autonomo e possiamo qui ricordare alcune caratteristiche distintive:

  • Eterodirezione: assoggettamento gerarchico all’esercizio dei tipici poteri datoriali;
  • Eterodeterminazione: assoggettamento al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro;
  • Inserimento nell’organico e nella struttura organizzativa del datore di lavoro;
  • Continuità della prestazione;
  • Osservanza di un orario di lavoro;
  • Periodicità della retribuzione;
  • Misura della retribuzione; – Oggetto della prestazione; – Incidenza personale del rischio.

Una volta comunque analizzate le differenze tra autonomia e subordinazione, che potrebbero non essere così nette in alcuni casi, è bene segnalare altre possibili criticità che potrebbero generare un contenzioso col lavoratore. È il caso, ad esempio, di una assunzione a termine successiva a una prestazione di lavoro autonomo occasionale per le medesime mansioni e svolta con le medesime modalità. Sicuramente l’apposizione del termine potrebbe essere disconosciuta e il rapporto di lavoro ricondotto a un tempo indeterminato fin dall’origine. Stessa sorte di disconoscimento potrebbe capitare nel caso di inserimento del periodo di prova in un contratto di lavoro subordinato preceduto da una prestazione resa mediante ritenuta d’acconto per analoghe attività e con il medesimo committente/datore di lavoro.

Si ritiene rischiosa anche l’instaurazione di un rapporto di apprendistato nelle medesime condizioni di cui sopra.

È fondamentale quindi indagare la modalità concreta di esecuzione della prestazione, ponendo le corrette domande e osservazioni al cliente. Questo ci consentirà di individuare se la prestazione è realmente autonoma e occasionale oppure se, pur essendo effettivamente occasionale, sia riconducibile alla “subordinazione”. In tal caso si potrebbe verificare la possibilità di attivare quei contratti di lavoro subordinato che cercano di rispondere all’esigenze di flessibilità e di temporaneità dell’impresa. Ricordiamo il contratto a tempo determinato, il lavoro intermittente (cosiddetto “contratto a chiamata” o “ job on call”), il part-time, il lavoro stagionale e infine le Prestazioni Occasionali (PrestO). Quest’ultime sono da non confondersi con le prestazioni oggetto di analisi nel presente contributo.

Operando questa indagine ci si accorgerà presto che questi strumenti di “flessibilità” in realtà sono connotati da una certa rigidità, basti pensare alle clausole di contingentamento del contratto a tempo determinato o all’obbligo di causale nei casi di rinnovo del contratto a termine, oppure ancora alla lontananza della norma dalla realtà attuale. È il caso, ad esempio, del contratto a chiamata. Qualora non ci fosse il requisito anagrafico o una disciplina specifica nella contrattazione collettiva applicata in azienda, ci si dovrà rifare al Regio Decreto del 1923. Anche per il lavoro stagionale, qualora non fosse presente una individuazione a livello di contrattazione collettiva, ci si dovrà rifare al D.p.r. n. 1525/63.

Nel caso in cui invece la “subordinazione” dovesse essere più attenuata così come l’occasionalità, si potrebbe valutare la possibilità di instaurare un contratto di collaborazione coordinata e continuativa. In questo caso sarebbe altresì utile ricordarsi di valutare la possibilità di far certificare tale contratto dalle apposite commissioni certificative, tra le quali si segnala quella dell’ordine professionale dei Consulenti del Lavoro di Milano.

Da ultimo, evidenziamo che la distinzione tra lavoro autonomo “occasionale” e lavoro autonomo “abituale” è tale solo sotto un profilo fiscale e previdenziale. All’occasionale si applicano le disposizioni in materia di redditi diversi ai fini fiscali e gli adempimenti previdenziali si applicano al superamento della soglia dei 5.000,00 Euro di compensi. Per quanto riguarda l’abituale si ricorda invece l’applicazione del regime fiscale ai sensi dell’art. 54 del Tuir, delle disposizioni in materia di Iva (art. 5, D.p.r. n. 633/1972) e dei relativi regimi applicabili, oltre che le disposizioni contributive differenti a seconda della gestione previdenziale di appartenenza. In questo caso sarebbe utile segnalare al cliente di valutare attentamente la modalità di selezione dei propri fornitori per non correre rischi. Qualora infatti fosse totalmente certa l’autonomia della prestazione, ci si dovrà focalizzare sulla sua occasionalità, ma anche sul fatto che il prestatore la svolga in via del tutto eccezionale. Se così non fosse probabilmente sarebbe tenuto ad aprire la partita Iva.

 

1. Nota Inl n. 29/2022 dell’11 gennaio 2022, Nota Inl n. 109/2022 del 27 gennaio 2022, Nota Inl n. 573/2022 del 28 marzo 2022, Nota Inl n. 881/2022 del 22 aprile 2022.

2. Nota Inl n. 856/2022 del 20 aprile 2022.

 

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La difficile scelta del Ccnl da applicare in azienda: un percorso a ostacoli con poche certezze

di Gabriele Zelioli – Consulente del lavoro in Milano

Tutti noi Consulenti del lavoro ci siamo trovati almeno una volta ad affrontare la questione relativa al Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (Ccnl) da applicare in azienda. Normalmente il problema sorge all’atto dell’acquisizione di un nuovo cliente che deve procedere con le prime assunzioni, ma ultimamente questa valutazione emerge anche quando dei clienti “storici” si rivolgono a noi con un quesito e osservazioni quali ad esempio: “Ma io posso cambiare contratto collettivo?” oppure “Un mio amico che ha la stessa attività ha scelto di applicare il Ccnl tal dei tali che mi dice essere più conveniente”. Il tema è sicuramente causato dal recente  proliferare di Contratti Collettivi Nazionali. Come riportato da un recente reportpubblicato dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) i contratti collettivi depositati sono più di ottocento. Per capire maggiormente questa frammentazione osserviamo come esempio il settore metalmeccanico. In questo specifico settore vi sono più di trenta contratti collettivi depositati.

Ma perché si è arrivati a questa situazione? Come muoversi e come comportarsi davanti alle richieste del cliente e alla complessità normativa? Vedremo che la situazione non è affatto semplice.

Sicuramente ci sarà sorto un dubbio simile: “Ma io sono obbligato ad applicare un Ccnl? Quale convenienza ho nel farlo?” Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Innanzitutto il Ccnl è quel contratto che viene sottoscritto dalle organizzazioni che rappresentano i datori di lavoro e dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori. Esso disciplina i rapporti di lavoro per tutti quegli aspetti demandati dal Legislatore o da esso non previsti. Solitamente i Ccnl sono composti da tre parti: parte economica, parte normativa e parte obbligatoria. Quest’ultima contiene le disposizioni che regolano i rapporti tra le associazioni che sottoscrivono il contratto. Sono contratti di diritto comune in virtù  della mancata attuazione dell’articolo 39  della nostra Costituzione[1].  Questo articolo disciplina la libertà sindacale, prevedendo anche la possibilità di ottenimento della personalità giuridica da parte dell’associazione sindacale a seguito di una particolare procedura di registrazione.

La mancata registrazione da parte delle rappresentanze sindacali comporta che i sindacati siano oggi delle associazioni di fatto.

Pertanto i contratti sottoscritti dalle parti sono contratti di diritto comune che vincolano solo i contraenti e coloro che esplicitamente o implicitamente vi abbiano conferito mandato.

Ciò comporta un’altra importante conseguenza relativa all’applicazione di alcune norme nel nostro ordinamento. Ci riferiamo in particolare all’articolo 2070 del codice civile[2] : un datore di lavoro può scegliere di applicare un Ccnl di un settore diverso rispetto a quello nel quale opera. Ad esempio, un’azienda con attività tipica del terziario potrebbe applicare un contratto del settore metalmeccanico.

Quanto disposto nell’articolo del codice civile significa che se l’azienda è iscritta all’associazione sindacale firmataria del Ccnl, dovrà applicare integralmente il contratto sottoscritto dall’associazione alla quale ha conferito mandato.

La gestione di questa informazione non è  sempre semplice. Tante volte il cliente non ci comunica se è iscritto a una associazione di categoria, oppure è iscritto contemporaneamente a più associazioni o, ancora più complicato, è iscritto a una associazione che è a sua volta iscritta all’associazione di categoria. In quest’ultimo caso il datore di lavoro è obbligato all’applicazione integrale del contratto collettivo.

Ma l’azienda non iscritta è obbligata ad applicare il Ccnl? E se sì quale? Sicuramente la nostra prassi è quella di suggerire al cliente l’applicazione di un Ccnl per poter gestire con più tranquillità alcuni aspetti essenziali. Non solo quelli più strettamente quotidiani della gestione del rapporto di lavoro, per la quale solitamente all’interno della lettera di assunzione effettuiamo il rimando alla contrattazione collettiva nazionale applicata in azienda.

Ciò che ci può spingere all’applicazione di un Ccnl è innanzitutto il fatto che la giurisprudenza, ormai consolidata, considera le retribuzioni dei Ccnl comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale quelle idonee al rispetto del dettato in Costituzione di cui all’articolo 36[3].

In seconda battuta possiamo ricordare che la retribuzione imponibile ai fini contributivi, ai sensi della legge n. 389/89[4], è quella dei contratti collettivi di categoria sottoscritti dalle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Si possono inoltre aggiungere due ulteriori riferimenti normativi molto importanti nel nostro ordinamento, che nell’ultimo periodo ci troviamo a gestire quasi quotidianamente. Basandoci solo su un criterio temporale di introduzione della norma dobbiamo fare riferimento alle condizioni per l’accesso da parte delle aziende di benefici e agevolazioni contributive e normative. Tra i diversi requisiti richiesti dall’articolo 1, comma 1775, legge 27 dicembre 2006, n. 296 vi è il rispetto dei Ccnl sottoscritti dalle associazioni comparativamente più rappresentative.

Infine possiamo ricordare che nel D.lgs. n. 81/2015 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in materia di mansioni), così come modificato dal recente Decreto Dignità, si trovano numerosi rimandi e numerose possibilità di deroghe alla contrazione collettiva, nazionale, territoriale o aziendale. All’interno del decreto, precisamente all’articolo 51, il Legislatore offre una indicazione chiara di lettura dell’intero testo normativo: “Salvo diversa previsione, ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.”

Evidenziata quindi l’importanza dell’applicazione di un contratto collettivo per il datore di lavoro, sorge spontanea una domanda: ma quali sono i sindacati maggiormente rappresentativi?

A questa domanda non è possibile dare una risposta certa. Non ci sono attualmente strumenti a nostra disposizione per valutare correttamente quali sigle sindacali rispettino il requisito della maggior rappresentatività.

Come accennato all’inizio del presente articolo, il problema sta emergendo sempre più nella sua drammaticità. Nel contesto economico attuale e nella situazione di incertezza normativa si sono viste proliferare sigle sindacali che hanno dato vita a una molteplicità di contratti collettivi. Leggendo alcuni di questi testi ci si è trovati di fronte a retribuzioni inferiori rispetto ad altri Ccnl o addirittura a un numero di mensilità inferiore rispetto al contratto considerato solitamente leader in quel settore.

La prospettiva di un risparmio da parte del datore di lavoro potrebbe fargli gola. Tuttavia deve essere reso cosciente di tutte le problematiche che potrebbero scaturire dal mancato rispetto delle norme e degli obblighi illustrati in precedenza.

Infine aggiungiamo un ulteriore aspetto, anche questo di difficile applicazione anche da parte di operatori del settore, ma che ricopre sempre maggior importanza nei contratti. Ci riferiamo all’introduzione sempre crescente di soluzioni di welfare all’interno della contrattazione di cui i lavoratori possono beneficiare (casse sanitarie, enti bilaterali, ecc.) la cui collocazione all’interno del Ccnl non è mai chiara e pertanto è difficile capire se rientrano nella parte cosiddetta “obbligatoria” o se sono attratti nella parte economica.

L’individuazione dei sindacati maggiormente rappresentativi non sembra di facile e breve soluzione. Questa difficoltà genera sicuramente incertezza negli operatori, come i Consulenti del lavoro, che si trovano a gestire aspetti quotidiani dei rapporti di lavoro, e inoltre fa sì che venga meno una contrattazione di qualità tra le parti sociali.

Infatti in una situazione in cui il Legislatore demanda la regolamentazione o la possibilità di deroga alla contrattazione, sarebbe utile che le parti sociali trovino accordi costruttivi e virtuosi che permettano una gestione efficace ed efficiente dei rapporti di lavoro, senza ledere la dignità dei lavoratori (proponendo ad esempio retribuzioni al ribasso) o facendo leva sulle difficoltà economiche dei datori di lavoro attraendoli verso accordi cosiddetti “pirata”.

È essenziale pertanto che le parti sociali costruiscano relazioni che abbiano al centro il valore e la dignità del lavoro (sia dell’imprenditore che del dipendente) e che procedano anche alla definizione di una soluzione all’annosa questione della maggior rappresentatività, che permetterebbe sicuramente maggior certezza applicativa dei contratti.

[1] Art. 39. L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.

[2] Art. 2070 c.c. (Criteri di applicazione). L’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore. Se l’imprenditore esercita distinte attività aventi carattere autonomo, si applicano ai rispettivi rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attività. Quando il datore di lavoro esercita non professionalmente un’attività organizzata, si applica il contratto collettivo che regola i rapporti di lavoro relativi alle imprese che esercitano la stessa attività.

[3] Art. 36 Cost. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

[4] Decreto Legge 338/89 convertito in Legge n. 389/89, art. 1, co. 1: “Retribuzione imponibile, accreditamento della contribuzione settimanale e limite minimo di retribuzione imponibile”

La retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo.

 

 

 

 

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