Una proposta al mese – RENDIAMO IL DURC veramente positivo – 2a puntata

di Manuela Baltolu – Consulente del lavoro in Sassari

E non è necessario perdersi
in astruse strategie,
tu lo sai, può ancora vincere
chi ha il coraggio delle idee.
(R. Zero, “Il coraggio delle idee”)

 

Nello scorso numero della nostra Rivista1 abbiamo elencato una serie di piccole, ma a nostro avviso efficaci semplificazioni, sulla gestione amministrativa del Durc on-line, in modo da renderlo maggiormente accessibile alle aziende senza snaturarne la funzione di garanzia di regolarità, ponendo rimedio agli ostacoli che attualmente lo rendono un vero e proprio strumento di tortura.

Ahinoi, non è solo in ambito amministrativo che rinveniamo delle criticità, ma anche sotto altri aspetti che possiamo definire “di merito”, le contraddizioni non sono poche.

IL CO. 1175, ART.1 DELLA L. N. 296/2006

E Durc fu.

E non solo, poiché il celeberrimo co. 1175, art. 1 della L. n. 296/2006 ha reso obbligatorio, per usufruire di qualsivoglia agevolazione contributiva, oltre al possesso del Durc regolare, anche il pieno rispetto degli altri obblighi di legge, nonché degli accordi e contratti collettivi nazionali, regionali, territoriali o aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale che, la cui definizione attendiamo tutti con apprensione di conoscere, da che mondo è mondo, come fossimo in attesa del messia. Tralasciando la mancata individuazione dei contratti collettivi citati dal co. 1175, la cui discussione meriterebbe fiumi di inchiostro, e soffermandoci invece sulla necessità di dover dimostrare la regolarità aziendale ai fini di beneficiare degli sgravi contributivi, il punto fondamentale da evidenziare è che il Durc (come già abbiamo avuto modo di affermare nel numero precedente di questa Rivista), altro non è che una mera certificazione amministrativa della regolarità aziendale, che non costituisce elemento fondante del diritto al beneficio, ma solo condizione di mantenimento o perdita di quello stesso beneficio, qualora abbia esito irregolare. Il diritto dell’azienda a fruire degli sgravi nasce nel momento in cui essa ha tutti i requisiti stabiliti dalla norma che regolamenta lo sgravio stesso e, per tale motivo, può immediatamente usufruirne.

È a posteriori che interviene l’obbligo di Durc regolare che, se assente, preclude il proseguimento alla fruizione del beneficio, dal momento in cui si accerta l’irregolarità e fino al momento in cui la stessa viene ristabilita, come puntualmente confermato dall’Inl nella circolare n. 3/2017 che richiamava a sua volta la risposta ad interpello del Ministero del lavoro n. 33/2013.

Resta pertanto sconcertante la prassi adottata da diverse sedi Inps che, anziché limitare il recupero delle agevolazioni contributive al solo periodo di accertata irregolarità aziendale, sfruttano il limite massimo di prescrizione, per procedere al diniego degli sgravi fruiti negli ultimi 5 anni.

A tal proposito,  sarebbe quindi quantomeno opportuno un chiaro ed immediato intervento normativo che limiti una volta per tutte il recupero delle agevolazioni con esclusivo riferimento al periodo di accertata irregolarità aziendale.

Andando oltre, sarebbe opportuno riportare nel medesimo intervento normativo anche quanto previsto dalla citata circolare Inl n. 3/2017 “Va pertanto chiarito che, mentre l’eventuale assenza del Durc (che può peraltro derivare da un accertata violazione di legge e/o di contratto) incide sulla intera compagine aziendale e quindi sulla fruizione, per tutto il periodo di scopertura, dei benefici, le violazioni di legge e/o di contratto (che non abbiano riflessi sulla posizione contributiva) assumono rilevanza limitatamente al lavoratore cui gli stessi benefici si riferiscono ed esclusivamente per una durata pari al periodo in cui si sia protratta la violazione”, per evitare che il giudice eccessivamente rispettoso della gerarchia delle fonti non consideri pienamente valido tale importantissimo concetto poichè contenuto in un atto di prassi, magari ribaltando sull’intera azienda l’irregolarità accertata sul singolo lavoratore, qualora trattasi, appunto, di violazione di legge e/o di contratto senza riflessi sulla posizione contributiva.

IL DISCONOSCIMENTO DELLE COMPENSAZIONI DEI DEBITI CONTRIBUTIVI CON CREDITI DI ALTRA NATURA

Continuano inoltre a spuntare come funghi sentenze (per fortuna finora di merito), che affermano l’illegittimità della compensazione tra debiti contributivi e crediti di altra natura, argomento già trattato su questa Rivista2, e di cui anche Assonime si è preoccupata nel caso n.3/2023 pubblicato sul proprio sito. Tale preoccupante orientamento deriva da un’interpretazione distorta dell’art. 17 del D.lgs.241/1997, che recita “I contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’Inps e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggettirisultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Orbene, i giudici che si sono espressi in materia considerano l’espressione nei confronti dei medesimi soggetti”, riferita non al singolo contribuente, come è logico ed immediato intuire, ma ritengono invece che il legislatore si riferisca al singolo ente, precludendo, di conseguenza, compensazione tra debiti e crediti di differente natura.

Eppure, già il comma 1 dell’art.22 del medesimo D.lgs. n. 241/1997, intitolato “Suddivisione delle somme tra gli enti destinatari” afferma che “Entro il primo giorno lavorativo successivo a quello di versamento delle somme da parte delle banche e di ricevimento dei relativi dati riepilogativi, un’apposita struttura di gestione attribuisce agli enti destinatari le somme a ciascuno di essi spettanti, tenendo conto dell’eventuale compensazione eseguita dai contribuenti”, ergo, come confermato anche nell’interpretazione di Assonime, in caso di compensazione di debiti previdenziali con crediti fiscali, l’Inps riceve in accredito da parte dell’Erario l’importo portato in compensazione, con assolvimento del debito previdenziale. E pensare che la legge delega del D.lgs. n. 241/97, ovvero la L. n. 662/1996, alla lettera b), c. 134, art. 3, menziona candidamente i “versamenti unitari, anche in unica soluzione, con eventuale compensazione, in relazione alle esigenze organizzative e alle caratteristiche dei soggetti passivi, delle partite attive e passive, con ripartizione del gettito tra gli enti a cura dell’ente percettoreprevedendo chiaramente ciò che oggi i giudici di merito negano a spada tratta.

È doveroso aggiungere che nelle sentenze contro tali compensazioni (Trib. Milano n. 2207/2021 e n. 7823/2022, Trib. Brescia n. 1251 /2022), vi è un ulteriore elemento, ovvero la paventata inesistenza dei crediti portati in compensazione, dei quali l’Inps si prodiga di accertare la sussistenza e, nelle more di ciò, ,  ritiene preclusa la compensazione. Considerato quanto disposto dal citato c.1, art. 22, D.lgs. n. 241/97, nasce spontaneo il dubbio relativamente alla legittimità dell’azione diretta dell’Inps contro il contribuente nel recupero del debito previdenziale, poiché appare logico dedurre che, come confermato anche dalla circolare del Ministero delle finanze n. 101/2000, nonché dalla risoluzione Ag. Entrate n. 452/2008, la compensazione su F24 non dovrebbe risentire dell’effettiva sussistenza del credito su cui, invece, l’ente legittimato al recupero del corrispondente importo appare essere la stessa Agenzia delle Entrate, fatti salvi naturalmente i casi in cui l’Inps non abbia ricevuto dalla stessa il “giroconto” a copertura del debito. È inoltre banale ma doveroso ricordare che i crediti previdenziali possono essere compensati in F24 con qualsiasi tipologia di debito, a maggior ragione davvero non si comprende il recente accanimento contro l’operazione contraria. Per dissipare qualsivoglia dubbio, è necessario un brevissimo intervento normativo che chiarisca la piena legittimità delle compensazioni tra partite di origine diversa, confermando le regole introdotte sia dalla L. n. 662/96 nonché, visto quando accaduto con il D.lgs. n. 241/97, inserendo una maggiore rigidità nell’emanazione dei decreti attuativi delle leggi delega, che dovranno riportare in maniera pedissequa la volontà espressa nella legge delega, onde evitare pericolose

elucubrazioni nelle aule dei tribunali come nel caso in trattazione. Infine, è doverosa una riflessione finale sui 4 miliardi3 destinati ad incentivare l’occupazione nelle aree svantaggiate del nostro paese, nonché l’occupazione delle donne e dei giovani mediante il sistema degli sgravi contributivi che è sempre più complicato applicare e mantenere: una sostanziale e strutturale riduzione del costo del lavoro a fronte di riduzioni temporanee che spesso si rivelano “trappole”, anche in conseguenza delle criticità di gestione del Durc, è l’unica soluzione logica da percorrere.

Oltre ad un beneficio immediato per le aziende, anche la collettività ne tratterebbe giovamento, non solo per la maggiore propensione ad occupare nuove risorse umane, ma anche perché la riduzione del contenzioso che inevitabilmente si verrebbe a creare, comporterebbe un ingente risparmio di tempo e denaro da parte sia delle amministrazioni pubbliche (e quindi di ogni singolo cittadino), che delle imprese coinvolte.

Per la tabella delle proposte clicca qui.

 

  1. M.Baltolu, Rendiamo il Durc veramente positivo!!!, Sintesi, 1, 2023.
  2. M. Baltolu, Giù le mani dalle compensazioni, Sintesi, 3, 2022.
  3. Fonte: Piano italiano REACT-EU.

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Una proposta al mese – RENDIAMO IL DURC veramente positivo

di Manuela Baltolu – Consulente del lavoro in Sassari

E non è necessario perdersi
in astruse strategie,
tu lo sai, può ancora vincere
chi ha il coraggio delle idee.
(R. Zero, “Il coraggio delle idee”)

 

Compie tra poco 16 anni, ormai è quasi “maggiorenne” ma, a quanto pare, non ancora “matura” – per usare il termine scolastico che dovrebbe sancire l’avvenuta crescita cognitiva dello studente – la norma che da luglio 20071 ha subordinato la spettanza di benefici normativi e contributivi ad una serie di condizioni imprescindibili, ovvero il possesso da parte dei datori di lavoro del documento unico di regolarità contributiva – Durc con esito regolare, oltre al rispetto degli altri obblighi di legge nonché degli accordi e contratti collettivi nazionali, regionali, territoriali o aziendali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Sempre nel mese di luglio, nel 20152, la procedura di richiesta del Durc è stata resa completamente telematica e da diversi anni, pertanto, aziende e professionisti hanno a che fare con il “grande fratello” Durc, la cui finalità è certamente encomiabile, ovvero consentire la partecipazione a bandi ed appalti e premiare mediante facilitazioni contributive e normative solo le aziende perfettamente in regola con il pagamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi ma, purtroppo, date le molteplici criticità della procedura che porta al tanto agognato rilascio del certificato, per molte aziende e di riflesso per chi, come noi, le assiste, è diventato un vero e proprio “strumento di tortura”, che ha dato adito a numerosi procedimenti legali.
Come noto, laddove vi è un cospicuo contenzioso vi è evidentemente poca chiarezza normativa e/o farraginosità delle procedure.
Orbene, semplificare, nel senso letterale del termine “Rendere semplice o più semplice; rendere più agile e funzionale; facilitare, agevolare, alleggerire 3”, può certamente comportare una riduzione delle   controversie, con risparmio di tempo e di denaro pubblico e privato nonché, risultato ben più importante, coadiuvare le aziende, soprattutto le micro imprese che, ricordiamo, costituiscono oltre il 90% del nostro tessuto produttivo, a ristabilire la regolarità nel momento in cui si fosse perduta, per tutta una serie di motivazioni che possono andare dalla banalissima momentanea mancanza di liquidità
all’errore formale. Le imprese prive di Durc regolare non possono accedere a benefici che spesso rappresentano quella piccola ma indispensabile boccata di ossigeno nell’ambito della riduzione del costo contributivo dei rapporti di lavoro, che sappiamo bene essere nel nostro paese il secondo nell’area Ocse4, oltre ad aver preclusa la partecipazione a bandi, appalti ed affidamenti pubblici. Permettere ai datori di lavoro un accesso più semplice alla regolarità significherebbe rendere liquidi i crediti provenienti dalla pubblica amministrazione in primis, ma anche dai privati, favorendo un atteggiamento di fiducia nel futuro, che gioco-forza porterebbe ad una maggiore predisposizione agli investimenti volti alla crescita aziendale e, di conseguenza, con immancabili effetti positivi sull’intero sistema economico.
Ad oggi purtroppo, anche dal punto di vista amministrativo, i paletti sono parecchi, ma la buona notizia è che con piccoli interventi si potrebbero ottenere grandi risultati.
Tanto per cominciare, il Durc ha una validità di 120 giorni dalla data di effettuazione della verifica5, ma nella quasi totalità dei casi tale  periodo viene considerato decorrente, invece, dalla data in cui viene inoltrata la richiesta telematica. Inoltre, la richiesta non può essere inoltrata se non a partire dal giorno successivo alla scadenza del Durc precedentemente valido.
Ipotizziamo dunque che si richieda il Durc in data 1° marzo; poiché gli enti coinvolti hanno 30 giorni di tempo per il rilascio, il documento potrebbe essere emesso il 31 marzo, ma scadrà il 28 giugno (120 giorni dalla data della richiesta, cioè dal 1° marzo).
Il Durc successivo potrà essere richiesto solo a partire dal 29 giugno e, per effetto dei 30 giorni di cui sopra, potrebbe essere emesso anche il 29 luglio (ovviamente con data di validità 29 giugno e via discorrendo). In sostanza l’azienda potrebbe restare orfana di Durc dal 29 giugno al 29 luglio, e nelle dinamiche aziendali sappiamo bene cosa significa procrastinare gli incassi di un mese, ovvero non poter accedere ad agevolazioni, partecipare ad appalti ecc., con l’aggravante del particolare momento post  covid ed in costanza delle conseguenze derivanti dal conflitto russo ucraino relative al caro gas ed energia, nonché all’aumento dell’inflazione ed al conseguente rincaro del costo della vita.
In considerazione dei 30 giorni di tempo concessi agli enti per emettere il certificato, ci sembra quantomeno doveroso concedere agli utenti di poter richiedere il nuovo documento almeno 30 giorni prima della scadenza, al fine di evitare “vuoti” come descritto nell’esempio.
Tra l’altro, anche far decorrere la validità del documento dalla data di emissione e non dalla data della richiesta, dovrebbe essere una conseguenza piuttosto logica.
Soffermandoci sulle tempistiche di rilascio che, come detto, possono arrivare fino a 30 giorni, definire inadeguato il termine di 15 giorni concesso al contribuente per regolarizzare è un eufemismo, come lo è considerare tali 15 giorni di calendario anziché lavorativi, poiché siamo tutti consapevoli che enti  pubblici e banche osservano prevalentemente la chiusura nei giorni festivi e prefestivi e, pertanto, spesso riuscire a sanare eventuali scoperti diventa veramente un’impresa titanica. Per non parlare delle  situazioni in cui le aziende sono costrette a chiedere una dilazione del pagamento, dovendo in tali casi attendere obbligatoriamente i tempi di lavorazione delle pratiche, evidentemente indipendenti dalla loro volontà, che la L. n. 241/1990 fissa in 30 giorni (termine ordinario per l’emissione del provvedimento di autorizzazione al pagamento dilazionato)6, palesemente in contrasto con i 15 giorni concessi al contribuente per regolarizzare. È utile ricordare che senza la notifica del piano di  ammortamento del debito, non è possibile versare la prima rata e, quindi, accedere alla regolarizzazione.
A tal fine quindi, portare il termine della regolarizzazione a 30 giorni lavorativi pare veramente il minimo sindacale, termine che dovrebbe essere elevato a 45 giorni in caso di  richiesta di dilazione.
A sostegno di quanto proposto, se la stessa norma prevede che “L’interessato, avvalendosi delle procedure in uso presso ciascun Ente, può regolarizzare la propria posizione entro un termine non superiore a 15 giorni dalla notifica dell’invito di cui al comma 1”, il Ministero del lavoro nella circolare n. 19/2015, ha chiarito che “tuttavia gli istituti non potranno dichiarare l’irregolarità qualora la  regolarizzazione avvenga comunque prima della definizione dell’esito della verifica che altrimenti attesterebbe una situazione – il mancato versamento di somme dovute – non corrispondente alla realtà. Conseguentemente, il rilascio del Durc terrà conto dell’avvenuta regolarizzazione, che in ogni caso dovrà avvenire prima del trentesimo giorno dalla data della prima richiesta”.
Alla luce di ciò appare ancor più ragionevole estendere tout court il termine per la regolarizzazione, oltre alla necessità di prevedere la riapertura del Durc irregolare qualora l’istruttoria sia stata ultimata ed il certificato emesso prima dei 30 giorni, ma il contribuente abbia nel frattempo regolarizzato entro tale  termine, anche se successivo all’emissione del documento, purché all’interno dei 30 giorni.
D’altronde sono note le lungaggini derivanti dalle più disparate casistiche, quali ad esempio i debiti in fase legale-amministrativa appena “ceduti” all’agente della riscossione, il cui ruolo esecutivo non sia ancora stato formato; in tale fattispecie non è possibile saldare il debito presso l’agente della riscossione, in quanto non ancora formalizzato, né presso l’istituto di previdenza, in quanto non più in fase legale- amministrativa. Anche qualora gli importi siano già iscritti a ruolo si verifica comunque un allungamento dei tempi di risoluzione della situazione debitoria, poiché l’eventuale richiesta di dilazione deve essere lavorata da un ente terzo rispetto ad Inps ed Inail; pertanto, in presenza di debiti a ruolo e non, occorre operare su due ambiti paralleli, ovvero, con l’Agenzia delle Entrate per le somme in cartella esattoriale, e con gli enti per i restanti importi.
Se poi, come spesso accade, le gestioni con esposizioni debitorie sono più di una, per fare un banale esempio, DM10, Gestione separata e Gestione autonomi artigiani, le corsie su cui lavorare si moltiplicano e vi è l’ulteriore aggravio di dover inviare a ciascuna gestione l’allegato “SC18”, con il riepilogo degli importi dovuti su tutte le altre gestioni, con esclusione di quella a cui si invia; in pratica, nel caso prospettato, è necessario produrre tre diversi “SC18”, ognuno dei quali soggiace alle tempistiche di lavorazione delle tre diverse gestioni.
Appare allora chiara l’urgenza di un sistema unitario, che permetta alle singole gestioni di comunicare e poter avere contezza in tempo reale della regolarizzazione operata anche negli altri comparti.
Altra criticità è costituita dal “periodo di osservazione” della regolarità ai fini del Durc, ovvero la verifica che gli enti devono operare che non può arrivare oltre il secondo mese precedente la richiesta7.
Questa apparente facilitazione non è però operativa in caso di domanda di dilazione che, come noto, deve comprendere tutto il debito esistente alla data di inoltro della domanda stessa, annullando di fatto il limite di verifica al secondo mese precedente la richiesta di Durc.
Sarebbe logico, pertanto, adeguare anche il sistema di dilazione alla verifica ai fini del Durc, consentendo di rateizzare solo ciò che concretamente viene esposto nel preavviso di irregolarità, senza andare oltre.
In aggiunta a ciò, molte sedi Inps esigono anche l’invio del modello Uniemens riferito all’ultimo mese di retribuzioni, nonché il relativo pagamento, anche se entrambe le scadenze non sono ancora spirate.
In pratica, per chiudere un Durc entro il giorno 10 del mese di marzo, ad esempio, viene preteso l’invio del modello Uniemens riferito a febbraio, la cui scadenza è al 31 marzo, ed il pagamento di quanto  dovuto, benché la scadenza sia al 16 di marzo.
L’intera istruttoria gioverebbe di un importante snellimento se venisse identificata un’unica dead line di riferimento dei controlli di regolarità, verosimilmente stabilita nel secondo mese precedente all’inoltro della richiesta.
Fin qui sono state esaminate le possibili modifiche di tipo amministrativo, che incidono prevalentemente sulla parte gestionale-operativa di rilascio del Durc, ma non possiamo non spendere qualche parola sulle problematiche di merito, tutte peraltro già affrontate in più round dalla giurisprudenza nonché da questa stessa Rivista.
La prima considerazione doverosa riguarda la corretta decorrenza del disconoscimento delle agevolazioni in caso di Durc irregolare. L’Ispettorato nazionale del lavoro nella circolare n. 3/2017 afferma che “L’assenza del Durc chiaramente determina il mancato godimento dei benefici di cui gode l’intera compagine aziendale per il relativo periodo, così come del resto già chiarito dal Ministero del lavoro con risposta ad interpello n. 33/2013, secondo l a quale “una volta esaurito il periodo di non rilascio del Durc l’impresa potrà evidentemente tornare a godere di benefici “normativi e contributivi”, ivi compresi quei benefici di cui è ancora possibile usufruire in quanto non legati a particolari vincoli temporali”. È quindi lapalissiano che in presenza di Durc non regolare il disconoscimento dei benefici
eventualmente spettanti potrà avvenire solo per il periodo in cui l’irregolarità sia stata accertata e fino all’avvenuta regolarizzazione, cioè per il lasso di tempo intercorrente tra l’emissione del Durc non regolare e il successivo rilascio del Durc regolare.
Ma, ahimè, tra gli operatori è tristemente nota la prassi utilizzata da molte sedi Inps che procedono al recupero di tutti i benefici fruiti nei 5 anni precedenti l’accertata irregolarità, in applicazione della prescrizione quinquennale.
Ebbene, tale applicazione restrittiva non è certamente condivisibile, poiché il beneficio contributivo
costituisce un diritto in capo all’impresa, derivante dal rispetto di determinate condizioni stabilite dalla normativa di riferimento, allorquando si stipulino determinate tipologie contrattuali, con determinate tipologie di soggetti, aventi determinate tipologie di requisiti, diritto che, evidentemente, non viene generato con l’emissione del Durc. Il co. 1175, art.1 della L. n. 296/2006, subordina la mera continuità di applicazione dei benefici alla presenza del Durc regolare, che costituisce quindi una sorta di autorizzazione al proseguimento della fruizione, assunto pienamente sposato dall’interpretazione dell’Inl.
Altro boccone amaro, fortunatamente addolcito da alcune sentenze di merito, riguarda le irregolarità
“formali”, quali, ad esempio, il mancato invio del modello Uniemens a fronte dell’avvenuto pagamento dei contributi dovuti, che spesso e volentieri ha determinato emissione di Durc con esito negativo.
Recenti pronunce8 confermano che l’assenza di regolarità che dà luogoall’emissione di Durc negativo, è determinata esclusivamente dalla condizione indicata dall’art. 3 del D.M. del M.L.P.S. del 30.01.2015 che al co. 1 recita: “La verifica della regolarità in tempo reale riguarda i pagamenti dovuti dall’impresa in relazione ai lavoratori subordinati e a quelli impiegati con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, che operano nell’impresa stessa nonché, i pagamenti dovuti dai lavoratori autonomi, scaduti sino all’ultimo giorno del secondo mese antecedente a quello in cui la verifica è effettuata, a condizione che sia scaduto anche il termine di presentazione delle relative denunce retributive”.
Argomenta il Giudice romano nella sentenza del 16.03.22 che “nessuna disposizione (…..) autorizza l’Inps ad emettere, come ha fatto in questa vicenda, un Durc negativo che genera poi le conseguenze previste dall’art. 1 co.1175 in una situazione in cui nessuna omissione nei “pagamenti dovuti all’impresa” si è mai verificata”.
Tale chiosa non può che trovarci d’accordo, fermo restando che, naturalmente, su invito dell’istituto, l’azienda dovrà adempiere al mancato invio entro i 30 giorni paventati per la regolarizzazione.
Il Durc è ormai uno strumento di lavoro indispensabile, dall’indubbia valenza, ma che deve essere reso il più accessibile possibile, in modo da affiancare le aziende nel cammino verso la legalità ma, allo stesso tempo, non può e non deve diventare un ostacolo a causa delle descritte criticità che tuttavia appaiono sanabili con alcuni interventi correttivi.

Clicca qui per la tabella delle proposte.

 

 

1. Art.1, c.1175, L. n. 296/2006.

2. D.M. M.L.P.S., M.E.F. e Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione del 30 gennaio 2015.

3. Cit.: Treccani.it

4. Lucini G., Tasse, il cuneo fiscale in Italia è il quinto più alto tra i Paesi Ocse: 46,5% nel 2021, Il Sole 24 Ore, 24 maggio 2022-.

5. Art.7, co.2, D.M. 30 gennaio 2015.

6. Sito web Inps – “Rateazione dei debiti contributivi in fase amministrativa”- https://www.inps.it/prestazioni-servizi/rateazione- dei-debiti-contributivi-in-fase-amministrativa.

7. Art.3, co.2, D.M. 30 gennaio 2015.

8. Tribunale di Roma 11.03.2022 e 16.03.2022.

 

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Rapporto tra WELFARE E DURC*

Luca di Sevo, Consulente del Lavoro in Bollate (Mi)

De Luca e M. Giangrande analizzano le disposizioni contributive e fiscali che interessano le erogazioni sotto forma di welfare che possono essere concesse ai lavoratori dipendenti

Non esiste una definizione legale di welfare contrattuale o aziendale; la dottrina lo indica come “l’insieme dei benefit e servizi forniti dall’azienda ai propri dipendenti al fine di migliorare la vita privata e lavorativa”; a titolo esemplificativo si possono citare: il sostegno alla famiglia, allo studio, alla genitorialità, alla tutela della salute.

La Legge 28 dicembre 2015, n. 208, con riferimento al regime fiscale (art. 51, comma 2, lettera f, del Tuir) stabilisce che non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente: “l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell’articolo 12, per le finalità di cui al comma 1, dell’articolo 100”.

L’art. 1, comma 162, della Legge n. 232/2016, precisa che le disposizioni ex art. 51, co.2 lettera f del Tuir “si applicano anche alle opere e servizi riconosciuti dal datore di lavoro, del settore privato o pubblico, in conformità a disposizioni di contratto collettivo nazionale di lavoro, di accordo interconfederale o di contratto collettivo territoriale”.

Il welfare di natura contrattuale è il sistema di tutela dei lavoratori istituito in base alle previsioni della concertazione tra le parti sociali e che si distingue dal welfare datoriale o welfare aziendale, dovuto all’iniziativa specifica del datore di lavoro.

Come sopra evidenziato la Legge 28 dicembre 2015, n. 208 ha decretato l’esclusione dal reddito da lavoro dipendente anche le opere e servizi di welfare non provenienti dall’iniziativa unilaterale del datore di lavoro, ed estendendo quindi i benefici alle emanazioni di natura contrattuale. Pertanto, non concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente l’“utilizzazione di opere e servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di regolamento aziendale”.

Il Documento unico di regolarità contributiva (Durc) è la certificazione che attesta la regolarità da parte delle imprese dei versamenti previdenziali, assistenziali, e dei premi assicurativi. Esso è stato introdotto dall’art. 1, comma 1175, Legge n. 296/2006, che dispone come i benefici normativi e contributivi sono subordinati al suo possesso da parte dei datori di lavoro, “fermi restando gli altri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”; va notato che non sono annoverati servizi, opere e servizi di welfare.

L’autore ha analizzato l’esistenza di collegamenti tra il particolare regime fiscale per i trattamenti di welfare e l’obbligo di regolarità di contributiva previsto all’art. 1, co. 1175, della Legge n. 296/2006 per i benefici contributivi. Accertato che i datori di lavoro – per poter fruire dei benefici previsti dalla norma – devono essere in possesso del Durc, fermi restando gli altri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali, regionali, territoriali o aziendali stipulati dalle organizzazioni sindacali datoriali e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, appare evidente che le disposizioni di cui all’art. 51, comma 2, del Tuir definiscano il criterio di calcolo dell’imponibile fiscale, indipendentemente dalle questioni inerenti il Durc.

Il regime fiscale e contributivo previsto per il welfare aziendale non risulta correlato alle condizioni di rilascio del Durc. Emerge quindi che la disciplina del Durc non ha relazioni con il regime fiscale e contributivo previsto dalla regolamentazione sul welfare contrattuale e aziendale e quindi per applicare

i benefici fiscali legati al welfare non è richiesto il Durc.

Da questo lavoro di analisi, possiamo trarre sicuramente l’importanza di due strumenti profondamente diversi volti, l’uno a verificare gli adempimenti da parte del datore di lavoro, l’altro ad accrescere il benessere economico del lavoratore e tentare di conciliare le esigenze lavorative con la vita extralavorativa. Legare il riconoscimento del welfare ad un documento come il Durc, potrebbe andare a discapito dell’interesse del lavoratore; tuttavia, anche una verifica più stringente ed accurata della regolarità fiscale dei datori di lavoro, potrebbe costituire un piano di azione interessante nell’ambito di un’azione verso una legalità ampia e profonda.

 

 

 

* Sintesi dell’articolo pubblicato in Modulo24, Contenzioso Lavoro, 2022/4 dal titolo Welfare di natura contrattuale e Durc.

 

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Una proposta al mese – Ancora INPS: garantire una corretta gestione delle richieste

di Valentina Curatolo,  Consulente del lavoro in Milano  e Daniela Stochino, Consulente del lavoro in Milano

Come promesso ritorniamo sull’argomento già trattato nell’articolo apparso su questa Rivista nel mese di novembre 2018 per integrare alcune proposte parallele in merito alla gestione della debenza  contributiva.
Anzitutto riteniamo opportuno aggiornare  i nostri lettori sugli sviluppi intervenuti e,  soprattutto, sulla sensazione che forse, finalmente, qualcosa si stia muovendo. Sul  punto è d’obbligo il riferimento alla lettera che la Presidente Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha trasmesso al Ministro Di Maio, nella quale ha esposto le difficoltà che le aziende e i Consulenti del lavoro riscontrano nell’ottenere il Documento di Regolarità Contributiva, dovendo scontrarsi con “semafori”, “lucchetti” e automatizzazione di processi non controllabili. Nel corso degli “Stati Generali” dei Consulenti del lavoro che si sono svolti a Roma l’11 gennaio scorso, in occasione della celebrazione del 40° della professione, il Ministro ha garantito di aver tenuto in debito conto le sollecitazioni ricevute. Oltre a quanto già esposto, le proposte che  offriamo in questo articolo non entrano nel merito del “contenuto” della norma, di cui all’articolo 1, comma 1175 della Legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007), ma si concentrano sulle “modalità formali” di richiesta e di gestione delle posizioni scoperte (o presunte tali). Sono in parte anche interventi “minimi”, ma  con i quali si potrebbero superare alcuni “ostacoli” burocratici di sicuro peso per le aziende.
Di seguito, quindi, le nostre ulteriori proposte:

1) Possibilità di richiedere il Durc almeno 30 giorni prima della scadenza e non solo una volta trascorsi i 120 giorni di validità. Allo stato attuale, infatti, è possibile richiedere l’emissione di un nuovo Durc solo allo scadere della validità del precedente. Questo comporta che nel caso in cui emergesse una qualche irregolarità (purtroppo non è infrequente che la stessa non sia reale ma emerga da un dato sporco o irrisolto presente nei non sempre affidabili archivi Inps), un’azienda, seppure regolare nei pagamenti, vivrebbe concitatamente un periodo di possibile “scopertura” che potrebbe arrivare fino a 30 giorni (termine massimo entro cui l’Inps deve emettere l’esito positivo o negativo della richiesta). In molti casi, soprattutto nell’ambito degli appalti, le aziende senza il Durc non possono nemmeno lavorare o trovano un blocco nei pagamenti, già difficili da ottenere con regolarità.
Tra l’altro segnaliamo che alcune sedi Inps territoriali hanno manifestato alcuni comportamenti stigmatizzabili:

– pseudo-emissione di Durc negativi (tale è in fondo l’effetto di un Durc non processato) allo scadere del trentesimo giorno solo perché non avevano avuto la possibilità di lavorare la pratica, chiedendo al Consulente del lavoro di inserire una nuova richiesta sul portale;
– Durc elaborati negativamente in casi di risposte non condivise/recepite ben prima del 30° giorno, senza un reale approfondimento ma solo per rispettare (e questo pare un assurdo) “processi di
qualità” interni che prevedono un’accelerazione dei tempi di processo del Durc.
2) Nell’ipotesi di Durc irregolare, consentire alle aziende di aver più tempo per la regolarizzazione, ampliando i termini attuali, portandoli da 15 a 45 giorni.
3) Sempre nell’ipotesi di Durc irregolare per mere violazioni formali e, quindi, nel caso di contributi sostanzialmente pagati, in attesa che l’azienda ricostruisca la situazione, modifichi i flussi e l’Inps li acquisisca, sanando la propria posizione, riteniamo corretto, dato le
tempistiche lunghe, avere la possibilità di concedere all’azienda un “Dur c Te mporaneo”della durata di 15 o 45 giorni (stesso termine per la regolarizzazione) e non di 120 giorni; ciò permetterebbe alle società di non avere “blocchi” nello svolgimento delle proprie attività nelle more della definizione delle irregolarità.
4) Valutare la possibilità di rilasciare il “Durc temporaneo” anche in presenza di attività, messe in atto da parte delle aziende, per contestare il debito richiesto da parte dell’Istituto ritenendo che lo stesso non sia dovuto o sia dovuto in parte – ricorsi amministrativi proposti, ricorsi giudiziari depositati in tribunale-
sino a definizione degli atti.
5) Istituire una procedura di silenzio-assenso sul dialogo post-richiesta di Durc che obblighi l’Istituto a rispondere entro 30 giorni, trascorsi i quali il Durc verrà considerato comunque regolare (salvo successivo intervento dell’Istituto).
6) Per bilanciare tale favor verso il contribuente e, per contrastare possibili fenomeni scorretti, prevedere sanzioni pesanti per chi ponga in essere (azienda o anche professionista) attività fraudolente per sfruttare le previsioni di cui sopra con comportamenti temerari o palesemente dilatori.

Auspichiamo che i suggerimenti che provengono (come i nostri) dall’esperienza  professionale dei Consulenti del lavoro – il  cui fine è unicamente quello di migliorare le attività con cui ci scontriamo giornalmente – vengano colti e, che le promesse di modifiche legislative riferite all’argomento in esame, comprese quelle annunciate dal Ministro Di Maio nell’intervento sopra ricordato, vengano mantenute, non con interventi “spot” ma nel quadro di una rivisitazione organica e sistematica della materia.

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Una proposta al mese – Durc e agevolazioni contributive: un problema da risolvere al più presto. Le nostre proposte

di Valentina Curatolo,  Consulente del lavoro in Milano  e Daniela Stochino, Consulente del lavoro in Milano

“Donaci, o padre Zeus

il miracolo di un cambiamento”

(Simonide di Ceo)

In considerazione dell’importanza che riveste l’argomento e della necessità di una risoluzione rapida dei problemi legati al Durc, il Centro Studi e Ricerche dei Consulenti del Lavoro di Milano ritiene utile avanzare delle proposte volte alla semplificazione delle procedure ed alla risoluzione rapida dei problemi legati al rilascio della regolarità contributiva.

In considerazione della complessità della materia e delle molteplici sfaccettature che si interfacciano sul tema dei versamenti contributivi, ci limiteremo qui alle questioni inerenti al “Durc interno” ed ai risvolti sulla perdita delle agevolazioni, riservando di esporre altre proposte in prossimi numeri della rivista.

Partiamo da una considerazione generale: nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad un processo di profondo cambiamento nella gestione previdenziale dei rapporti di lavoro subordinato e parasubordinato.

Da un lato abbiamo una normativa in continua evoluzione e sempre più complessa, dall’altro lato il “processo di telematizzazione” interno all’Inps, nato con l’obiettivo di semplificare la procedura di rilascio del Durc, di fatto ha generato pericolosissimi automatismi di accertamento delle irregolarità o presunte tali, con conseguenze a volte finanche drammatiche per le aziende, se si considera l’importanza che riveste oggi la regolarità contributiva per le aziende.

È chiaro e palese agli occhi di tutti coloro che per un motivo o per un altro hanno avuto la necessità di rapportarsi con l’Inps, che l’Istituto non è stato in grado di sviluppare una procedura informatica in grado di gestire la complessità della materia previdenziale.

Con ciò non vogliamo certo negare che la tecnologia informatica non possa essere un ausilio fondamentale nei rapporti con la P.A.  e nella gestione della stessa, tuttavia negli ultimi anni è forte l’impressione che l’Inps abbia gradatamente abbandonato l’intelligenza umana – cosi ricca di discernimento – a favore di una ”intelligenza informatica” spesso rigida, impersonale e schematica oltre misura, forse anche per una programmazione ancora parecchio inadeguata.

I riscontri nella realtà sono molteplici: quante volte infatti i consulenti del lavoro si sono sentiti rispondere degli operatori Inps affermazioni quali “è la procedura” oppure “non possiamo forzare la procedura”.

Ad aver aggravato tale situazione si aggiunge il fatto che l’Inps manifesta l’intenzione di avere sempre meno rapporti diretti con le aziende e i consulenti del lavoro.

La discussione vis à vis arriva solo dopo mesi di tentativi, e soltanto come extrema ratio.

Lo strumento di comunicazione bilaterale, il famoso “cassetto previdenziale”, ha miseramente fallito. Possiamo senza dubbio affermare che non rappresenta ad oggi uno strumento idoneo e sufficiente a gestire le necessità di comunicazione delle aziende e dei professionisti con l’Ente. Nella stragrande maggioranza dei casi le risposte che si ricevono non sono pertinenti alla domanda o comunque non sono risolutive, e in ogni caso arrivano sempre in tempi troppo lunghi, tempi incompatibili con l’esigenza degli operatori e con le tempistiche di scadenza contenuta negli atti emessi dallo stesso Istituto.

Si pensi ad esempio che una nota di rettifica a debito ha scadenza 15 giorni dall’emissione. Ma se si rileva che l’importo non è dovuto o è dovuto in parte, i tempi di risposta del cassetto non sono compatibili con la scadenza della nota stessa.

Le aziende devono decidere se pagare ed evitare problemi con il Durc oppure rischiare e attendere nella speranza di riuscire a comunicare con l’Inps.

Una follia, se si pensa che nella maggior parte dei casi un’interlocuzione diretta con personale competente sarebbe sufficiente a risolvere il problema in tempi brevi.

In questo articolo ci concentreremo in particolare su quello che sta diventando sempre più un problema allarmante ovvero la gestione del c.d. “Durc interno”, un apparato dai riflessi quasi diabolici messo a punto dall’Inps per la verifica automatica della regolarità contributiva che permette alle aziende di fruire delle agevolazioni contributive previste dalla legge.

La fonte normativa di riferimento è l’art. 1, co. 1175 della L. 27 dicembre 2006, n. 296 che testualmente recita “a decorrere dal 1° luglio 2007, i benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro, del documento unico di regolarità contributiva, fermi restando gli altri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

Su queste poche righe l’Inps ha costruito procedure e controlli automatizzati che hanno come conseguenza la perdita dei benefici contributivi fruiti.

La prima proposta che avanziamo all’Istituto, dunque, è proprio questa: “basta automatismi”, l’irregolarità o le scoperture che possono dar luogo alla perdita di agevolazioni devono essere notificate con concessione al datore di lavoro di un termine congruo, che riteniamo dovrebbe essere di almeno 30 giorni, per sistemare la posizione e/o confrontarsi con l’Ente. Soprattutto i famosi “semafori rossi” (e multicolore) e i vari “lucchetti” che indicano che l’azienda è definitivamente irregolare senza possibilità di intervento da parte degli operatori Inps, non possono nella maniera più assoluta essere frutto di controlli automatici, spesso fallaci, dai quali scaturiscono i recuperi delle agevolazioni contributive fruite. Chiediamo dunque che prima di far scattare i semafori rossi “lucchettati”, ci sia un confronto formale con l’azienda o con l’intermediario di riferimento.

Molto spesso infatti abbiamo assistito a recuperi di agevolazioni contributive per banalissime violazioni o ritardi di tipo amministrativo.

Facciamo un esempio concreto: se un datore di lavoro temporaneamente senza dipendenti, non procede a sospendere la matricola per i mesi in cui l’Inps non riceve i flussi Uniemens e pagamenti F24, essendo la matricola attiva, automaticamente la procedura rileva l’irregolarità contributiva con il recupero delle agevolazioni fruite. Ne consegue dunque che una violazione banale ha come conseguenza non una sanzione amministrativa congrua, ma un danno economico che in alcuni casi arriva anche ad essere ingente.

Da qui la nostra seconda proposta: “richiediamo che ci sia proporzionalità tra l’infrazione commessa e la relativa sanzione. Non è possibile che violazioni esclusivamente formali, che non comportano una mancata contribuzione, abbiano come conseguenza il Durc interno negativo, con semaforo rosso e “lucchettato”.

Nei casi come quello sopra riportato non deve conseguire alcuna perdita di agevolazione, che la legge prevede correlata ad un mancato versamento. L’Inps invece allargando, indiscriminatamente e senza alcun sostegno normativo, il concetto di irregolarità contributiva ex art. 1, co. 1175 della L. 27 dicembre 2006, n. 296, considera tali violazioni idonee alla perdita del Durc interno, non solo, ma lo fa anche con una procedura automatizzata senza considerare la storia pregressa dell’azienda, un’azienda potrebbe anche essere stata regolare nei versamenti e nell’invio delle denunce contributive, ma una violazione formale potrebbe costarle il recupero degli incentivi fruiti.

Senza voler entrate nel merito dei processi di organizzazione interni all’Inps, che sappiamo essere complessi, riteniamo che gran parte di questi problemi potrebbero essere risolti, come già sottolineato, parlando direttamente con l’operatore responsabile della pratica. A tal proposito si potrebbe pensare di avere un referente (o meglio un gruppo di lavoro) a cui assegnare un certo numero di matricole, una organizzazione alla stregua dei nostri studi più strutturati, in modo tale da raggiungere una continuità ed uniformità di trattamento, senza la sensazione attuale di rimbalzo dei problemi, con utilità reciproca (sia dell’operatore ma anche dell’Ente).

Rispetto alla marginalità di determinate scoperture, riterremmo inoltre equo fissare un più elevato limite di debito al di sotto del quale l’azienda venga considerata comunque regolare (ad esempio: 3% del dovuto ad Inps, con un limite minimo di valore assoluto complessivo di 500 euro), in modo da non rischiare di perdere i benefici per scoperture di poco conto, magari dovute a contenziosi o importi generati in modo improprio.

Valorizzeremmo inoltre la possibilità della regolarizzazione spontanea o ravvedimento operoso. Sotto questo profilo, le aziende non perderebbero le agevolazioni – o, se perdute, le recupererebbero – in caso di regolarizzazione totale intervenuta entro 24 mesi dalla data di scadenza del primo pagamento.

Perché, in fondo, tutte queste proposte? Non certo per un favor verso l’evasione, ma perché riteniamo che le agevolazioni contributive siano in realtà connaturate al rapporto di lavoro ed alle condizioni dello stesso e non un elemento posticcio. Giusto pertanto che la legge revochi la loro fruizione nel caso di conclamata scorrettezza, del tutto ingiusto ed irragionevole che a causarne la perdita siano violazioni marginali se non addirittura semplici equivoci o sfasamenti burocratici, penalizzando imprese sane ed oneste.

 

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