Accrescimento del diritto Alla disconnessione in relazione al mutare dei sistemi organizzativi nell’impresa: verso nuove forme di regolamentazione?*

Luca di Sevo, Consulente del Lavoro in Bollate (Mi)

D’Aponte Marcello analizza, all’interno del quadro normativo europeo e nazionale, la correlazione tra l’ evoluzione dei sistemi organizzativi nell’impresa e la tutela dei diritti dei lavoratori

Il contributo ha lo scopo di esaminare gli effetti dei mutamenti nei sistemi organizzativi relativi al riconoscimento del “diritto alla disconnessione” nel rapporto di lavoro. Le disposizioni in materia di disconnessione sono contenute nella Legge 6 maggio 2021, n. 61 e nel Protocollo sul lavoro agile del 7 dicembre 2021. L’Autore opera anche un breve excursus della legislazione presente nei principali Paesi europei, alla luce della risoluzione del PE n. 2019/2181 concernente la raccomandazione alla Commissione europea in materia di disconnessione. Egli in primis esprime la necessità di individuare forme di regolamentazione sulla disconnessione non limitate al “telelavoro” (inteso come lavoro a domicilio svolto integralmente a distanza), ma che abbraccino anche il “lavoro agile” (meccanismo di flessibilità organizzativa che prevede lo svolgimento di parte dell’attività a distanza), con l’obbiettivo finale di un diritto generalizzato per lo svolgimento di qualsiasi prestazione lavorativa che avvenga mediante l’ausilio di strumentazioni informatiche. La recente pandemia ha prodotto un salto in avanti di dimensioni non facilmente prevedibili relativamente all’utilizzo del lavoro agile; i vantaggi di questa forma di lavoro vanno però confrontati con i rischi connessi all’isolamento del lavoratore rispetto all’ambiente lavorativo in presenza, ai danni alla salute provocati dalla costante e prolungata esposizione ai dispositivi elettronici, alle potenziali modalità di controllo più pervasive rispetto a quelle tipiche, ed infine al pericolo di una sovrapposizione tra vita privata e vita lavorativa. È sempre più avvertita l’esigenza di regole che limitino l’esposizione mediante il riconoscimento di un vero e proprio “diritto alla disconnessione” che ad oggi è regolamentato parzialmente dal diritto italiano, ma che la legislazione europea va disciplinando in maniera sempre più ampia. Infatti, il lavoratore è spesso nella condizione di non riuscire materialmente a sfuggire a richieste di lavoro, a causa della costante reperibilità cui lo costringono gli strumenti digitali, le applicazioni di messaggistica istantanea e i social network. Ne consegue la perdita degli spazi dedicati alla vita privata e una pericolosa esposizione ai danni alla propria salute psico-fisica, provocati dalla costante reperibilità ed alla iper- connessione. Nel nostro Paese l’ultimo intervento è il Protocollo sul lavoro agile del 7 dicembre 2021; in tale sede sono affrontati temi quali la tutela della salute del lavoratore, l’esercizio da remoto dei diritti sindacali, la parità di trattamento tra generi, il diritto alla disconnessione. All’articolo 3, il Protocollo prevede che la prestazione di lavoro in modalità agile potrà essere articolata in fasce orarie, e datore di lavoro e lavoratore dovranno individuare la fascia di disconnessione nella quale il lavoratore non eroga la prestazione lavorativa e pertanto può legittimamente disconnettersi.

Esistono, come ad esempio in Francia, degli esempi di attività lavorativa contrattualizzati non più su base oraria, ma su un numero di giornate lavorative garantite nel corso dell’anno, con piena libertà di gestione da parte del lavoratore di tempi e luogo di lavoro e sulla focalizzazione dell’attività sugli obiettivi assegnati.

In conclusione, l’Autore ipotizza un sempre più diffuso superamento della nozione stessa di “diritto alla disconnessione”, connessa alla crescente esperienza di nuovi criteri di misurazione della prestazione di lavoro, in ambito settimanale, mensile ovvero annuale e, quindi all’emergere del fenomeno della valorizzazione del c.d. “lavoro per obiettivi” in sostituzione di quello su base oraria.

 

 

* Sintesi dell’articolo pubblicato in MGL, 1/2022, pag. 29 ss dal titolo  Evoluzione dei sistemi organizzativi nell’impresa e tutela dei diritti dei lavoratori nel quadro della regolamentazione europea: dal diritto alla “disconnessione”, al lavoro “per obiettivi”.

 

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Disabilità, diritto al lavoro, diritto alla inclusione: l’esatto adempimento dell’obbligo assuntivo*

Luca di Sevo, Consulente del Lavoro in Bollate (Mi)

Commento di De Falco a cassazione n. 30138: disabilità e condizioni occupazionali

L’Autore, commentando la sentenza Cass., Civ. sez. Lavoro, 26 ottobre 2021, n. 30138, riflette sulle condizioni occupazionali delle persone con disabilità e sugli strumenti di inserimento nel mondo del lavoro, al fine di realizzarne la piena inclusione. La sentenza della Suprema Corte riguarda l’esatto adempimento dell’obbligo assuntivo delle persone con disabilità (ex art. 3, L. n. 68/199 ), il quale prevede che, entro sessanta giorni dall’insorgere dell’obbligo, il datore di lavoro deve consegnare il prospetto informativo ai competenti uffici. All’epoca dei fatti il datore doveva specificare la “qualifica” cui adibire il disabile, mentre la società aveva indicato genericamente i posti di lavoro e le mansioni disponibili, e l’Ispettorato territoriale del lavoro le aveva contestato la violazione delle disposizioni in materia di collocamento mirato. La sentenza, anche se l’odierna formulazione dell’art. 9, L. n. 68/1999, non contenga più la richiesta della qualifica, impone una riflessione sul pieno diritto al lavoro delle persone con disabilità.

Attualmente sono disponibili due modelli di qualificazione della disabilità.

Il “modello medico” (OMS 1980), individua la disabilità come una menomazione, idonea a ridurre la “capacità di compiere un’attività della vita quotidiana nella maniera considerata normale per un essere umano”. In questa ottica, data l’importanza delle caratteristiche della persona e gli ostacoli che ne derivano, si dimentica di adattare l’ambiente alle sue esigenze concrete mentre, per realizzare l’inclusione dei disabili negli ambiti lavorativi, è necessario     adattarli strutturalmente,  per agevolare l’accessibilità.

Il “modello biopsicosociale” concepisce la disabilità, come “conseguenza […] di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e ambientali che rappresentano le circostanze in cui [egli] vive”. Superata la convinzione per cui la soluzione è la sola terapia medica, l’intervento è insito nell’azione e nell’inclusione sociale. Emerge la necessità di realizzare beni, servizi e spazi in un’ottica inclusiva.

La sentenza in commento mettendo in luce la preferenza dell’ordinamento per l’avviamento nominativo anziché numerico su “qualifica”, tenta di realizzare il principio del collocamento della “persona giusta al posto giusto”, ma si dimostra ancora inefficace a garantire il pieno diritto al lavoro delle persone con disabilità. È noto che l’accesso al mercato del lavoro dei disabili è ostacolato da barriere individuali e ambientali e dalla resistenza dei datori all’inserimento nelle strutture. È opportuno riflettere ancor più attentamente sulla condizione dei disabili di natura psichica: in questi casi, il disagio sofferto dalla persona riduce le speranze di inserimento, ma anche le possibilità di mantenerlo.

Sono stati individuati due percorsi alternativi per il collocamento dei disabili: l’assunzione diretta, che consente un’immediata integrazione nel mercato del lavoro; oppure le procedure di

distacco.

L’assunzione diretta risulta difficilmente praticabile per le persone con disabilità di natura psichica, in quanto, oltre “all’adattamento dell’impresa al disabile”, si obbligherebbe anche “il disabile ad adattarsi all’impresa”. Invero, ci  potrebbe costituire una causa di ulteriore frustrazione, anziché un’occasione di realizzazione.

Le convenzioni di cui agli artt. 12, 12- bis, L.

  1. 68/1999 e di cui all’art. 14, D.lgs. n. 276/2003, promuovono il superamento delle barriere, mediante l’individuazione di luoghi di lavoro protetti, in cui il lavoratore pu essere seguito nel proprio percorso di crescita umana e professionale (ad es. le cooperative sociali). Molto importante risulta anche il comma 5 dell’art. 11, L. n. 68/1999, che ammette la possibilità per gli uffici competenti di promuovere e attuare “ogni iniziativa utile a favorire l’inserimento lavorativo dei disabili anche attraverso convenzioni con le cooperative sociali […] e con altri soggetti pubblici e privati idonei a contribuire alla realizzazione degli obiettivi della legge”.

Va notato infine come gli strumenti convenzionali non determinino un “onere finanziario sproporzionato”, bensì un risparmio per il datore, rispetto alle eventuali sanzioni in caso di mancata ottemperanza. È necessario trovare un punto di equilibrio tra l’iniziativa economica privata e il diritto al lavoro anche delle persone con disabilità.

Chi commenta, ha avuto in passato l’occasione di affrontare la tematica su più fronti (sempre per questa testata), in collaborazione con esponenti del terzo settore esperti nella delicata materia dell’inclusione; in particolare ci si è concentrati sull’utilizzo del distacco ex. art. 14, D.lgs. n. 276 e sul ruolo del “disability manager” nelle organizzazioni complesse.

 

* Sintesi dell’articolo pubblicato ne LG, 4/2022, pag. 376 dal titolo Il diritto al lavoro delle persone con disabilità: alla ricerca della “persona giusta al posto giusto”, Nota a sentenza  di Massimiliano De Falco.

 

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