L’intervento dell’Ispettorato contro la contrattazione “pirata”

di Carmine Santoro – Funzionario dell’Ispettorato nazionale del lavoro, Dottore di ricerca1

 

L’Ispettorato Nazionale del lavoro, con la circolare n. 3 del 25 gennaio 2018, evidenzia la rilevanza della contrattazione stipulata dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, al fine di contrastare il fenomeno degli accordi “pirata”. Eventuali contratti sottoscritti da soggetti non “abilitati”, nelle varie ipotesi normative, non possono produrre gli effetti previsti dalla legge. Ne consegue che il personale ispettivo, in sede di accertamento, dovrà considerare come del tutto inefficaci detti contratti, adottando i conseguenti provvedimenti.

La criticità maggiore della nozione di “organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative” resta, tuttavia, la carenza di criteri certi per l’individuazione dei sindacati abilitati.

Il tema trattato nella circolare in commento rende necessaria una breve analisi dei poteri ispettivi di intervento sulla contrattazione collettiva, nonché sulla nozione normativa di “organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative”2.

La vigilanza sulla contrattazione collettiva

L’ordinamento prevede da tempo una disposizione, l’art. 4, lett. b) della Legge n. 628/1961, che conferisce all’organo ispettivo il potere di vigilare sui contenuti dell’autonomia collettiva. In tempi più recenti, l’art. 7 del D.lgs. n. 124/2004 ha previsto la potestà ispettiva di verificare, oltre che l’esecuzione delle leggi in materia di lavoro (lett. a), la corretta applicazione dei contratti e accordi collettivi di lavoro (lett. b)3. Analogamente, la Legge n. 183/2010 (“Collegato lavoro”), ha modificato il testo dell’art. 13 del D.lgs. n. 124 cit., aggiungendo alla violazione di legge l’inosservanza di clausole di contratto collettivo, quale antecedente fattuale necessario del potere ispettivo di diffida (co. 2). Il Ministero del lavoro, nella circolare n. 41/2010, ha sostenuto che la disposizione debba trovare applicazione nelle sole fattispecie in cui la contrattazione collettiva svolga una funzione integratrice del precetto normativo, per la cui violazione sia stabilita una sanzione amministrativa.

Nel rispetto della libertà sindacale e dal pluralismo sindacale (art. 39, co. 1, Cost.), nonché dalla autonomia negoziale e dalla libertà imprenditoriale (art. 41 Cost.), l’art. 7, co. 1, lett. b), cit., va inteso nel senso di una verifica ispettiva subordinata alla volontà delle parti del rapporto di lavoro di applicare al relativo contratto individuale uno specifico contratto collettivo. In tale prospettiva, l’ispettore del lavoro deve verificare, in ragione della natura di diritto comune del contratto collettivo di lavoro, se questo risulta essere effettivamente applicato fra le parti, per volontaria adesione alle organizzazioni firmatarie dello stesso ovvero per rinvio contenuto nel contratto individuale di lavoro4. Pertanto, in linea di principio, il personale ispettivo – come il giudice – non può imporre ai datori di lavoro l’applicazione di un determinato contratto collettivo, atteso che nel nostro attuale sistema, a causa della nota inattuazione della seconda parte dell’art. 39 Cost., i patti dell’autonomia collettiva non possiedono efficacia erga omnes.

Il Ministero del lavoro (Interpello n. 21/2009), sollecitato a chiarire in generale l’ambito del potere ispettivo ex art. 7, D.lgs. n. 124/2004, ha precisato che l’eventuale accertamento, da parte del personale ispettivo, di inosservanze ai precetti contrattuali collettivi non determina l’applicazione di sanzioni pecuniarie amministrative, salve talune ipotesi individuate esplicitamente dal legislatore – ad es. la violazione dell’art. 5, co. 5, del D.lgs. n. 66/2003, secondo il quale «il lavoro straordinario deve essere […] compensato con le maggiorazioni retributive previste dai contratti collettivi di lavoro», è punita in via amministrativa – e salva l’inosservanza di contratti collettivi erga omnes, di cui alla cd. legge “Vigorelli” (Legge n. 741/1959). Piuttosto, secondo il Ministero, la vigilanza sui contratti collettivi di lavoro, di cui al citato art. 7, co. 1, lett. b, cit., trova il suo principale strumento attuativo nell’istituto della diffida accertativa per crediti patrimoniali disciplinata dall’art. 12 del medesimo D.lgs. n. 124/2004.

Peraltro, con successive prese di posizione lo stesso Ministero del lavoro ha concepito l’ambito di intervento dell’organo di vigilanza su basi più ampie di quelle sin qui riferite, giungendo a configurare un vero e proprio potere ispettivo di “disapplicazione” delle clausole collettive previste nei cd. “contratti pirata” e nei contratti di prossimità privi dei requisiti legali (Cfr. circolari 9 novembre 2010, 6 marzo 2012 e 1 giugno 2012, nota 24 maggio 2016, n. 10599)5. Si noterà che l’Ispettorato, con la circolare in commento, ha dato continuità a tale orientamento.Circa i poteri ispettivi sulla contrattazione di prossimità, l’intervento del legislatore con l’art. 8 del D.l. n. 138/2011 comporta l’affiancamento, alla tradizionale attività di verifica ispettiva, di un inedito controllo della legittimità della contrattazione collettiva di prossimità e di accertamento della clausola applicabile in regime di pluralità di fonti legali e contrattuali concorrenti6. Come precisa anche l’INL nella circolare in commento, gli organi ispettivi possono sindacare il rispetto dei parametri fissati dal legislatore in ordine alle finalità dell’accordo, alle materie oggetto dell’intesa, e al rispetto delle fonti superiori inderogabili.

Il concetto di sindacato “comparativamente più rappresentativo”

Analogamente alla nozione di sindacato “maggiormente rappresentativo”, anche quella di organizzazione “comparativamente più rappresentativa”, sin dal suo esordio legislativo, è oggetto di dubbi e discussioni, che in questa sede possono essere solo accennati.

Come suggerisce la stessa denominazione, la figura in esame impone una selezione, mediante un confronto di rappresentatività, dei soggetti sindacali legittimati alla stipula del contratto collettivo cui la legge rinvia. Tuttavia, il legislatore non si è mai curato di specificare criterio alcuno per l’individuazione dei contratti in argomento o delle rappresentanze abilitate.

L’adozione legislativa della formula del sindacato comparativamente più rappresentativo potrebbe comportare la verifica delle organizzazioni abilitate attraverso il principio di maggioranza. In presenza di più contratti, dovrebbe essere stabilita la prevalenza dell’uno o dell’altro mediante un procedimento di comparazione fondato sulla copertura associativa e sui risultati elettorali di ciascun soggetto sindacale. Secondo la prospettazione che appare più convincente, i criteri da utilizzare per misurare la maggiore rappresentatività comparata potrebbero essere tratti dai dati dei voti ricevuti all’esito delle elezioni RSU e quello delle deleghe sindacali7. Si potrebbero utilizzare, a tale scopo, i parametri di rappresentatività sindacale adottati nel cd. Testo Unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014. In particolare, l’adozione della soglia del 5%, quale media del dato elettorale con il dato associativo, potrebbe essere valido criterio diretto ad individuare i sindacati comparativamente più rappresentativi.

La circolare dell’Ispettorato

Sintetizzato il problematico quadro ermeneutico, è ora possibile esaminare l’impostazione dell’Ispettorato nella circolare in commento. L’INL, in particolare, segnala talune fattispecie normative, di rilievo per l’attività ispettiva, nelle quali è richiesto il requisito cennato della rappresentatività comparata.

La prima ipotesi evidenziata riguarda i contratti di “prossimità”, di cui all’art. 8 del D.l. n. 138/2011, in relazione ai quali l’organo di vertice delle ispezioni riprende l’orientamento del Ministero del lavoro (nota n. 10599 del 24 maggio 2016). Eventuali contratti sottoscritti da soggetti non “abilitati”, precisa l’INL, non possono produrre gli effetti derogatori “alle disposizioni di legge (…) ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”. Ne consegue che il personale ispettivo dovrà considerare inefficaci detti contratti, adottando i conseguenti provvedimenti (recuperi contributivi, diffide accertative ecc.).

Inoltre, l’applicazione di contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni dotate del requisito detto è condizione per il godimento di “benefici normativi e contributivi”, come stabilito dall’art. 1, co. 1175, Legge n. 296/2006. Il contratto collettivo sottoscritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale rappresenta il parametro ai fini del calcolo della contribuzione dovuta, indipendentemente dal Ccnl applicato ai fini retributivi, secondo quanto prevede l’art. 1, co. 1, del D.l. n. 338/1989 e l’art. 2, co. 25, della Legge n. 549/1995. Sicché, come aveva già precisato il Ministero del lavoro (nota n. 10599 cit.), il personale ispettivo dovrà provvedere a recuperare gli eventuali benefici indebiti goduti dai datori di lavoro che abbiano applicato contratti di rappresentanze “minoritarie”.

L’INL ritiene utile evidenziare anche la facoltà, rimessa esclusivamente alla contrattazione collettiva in questione, di “integrare” o derogare la disciplina normativa di numerosi istituti. A tal proposito si ricorda anzitutto che l’art. 51 del D.lgs. n. 81/2015 – recante, tra l’altro, la “disciplina organica dei contratti di lavoro (…)” – stabilisce che “salvo diversa previsione, ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”. Pertanto, ogniqualvolta la legge rimette alla “contrattazione collettiva” il compito di integrare la disciplina delle tipologie contrattuali, gli interventi di contratti privi del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi non hanno alcuna efficacia. Ciò può avvenire, a titolo esemplificativo, in relazione al contratto di lavoro intermittente, al contratto a tempo determinato o a quello di apprendistato. Ne consegue che l’eventuale disciplina derogatoria o integrativa dettata da un contratto collettivo non stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative non può trovare applicazione in luogo di quella stabilita dalla legge. Ciò potrà comportare, conclude l’INL, la mancata applicazione degli istituti di flessibilità previsti dal D.lgs. n. 81/2015 e, a seconda delle ipotesi, anche la “trasformazione” del rapporto di lavoro in quella che, ai sensi dell’art. 1 dello stesso Decreto, costituisce “la forma comune di rapporto di lavoro”, ossia il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

In ultimo, con la circolare n. 4 dello scorso 12 febbraio, l’INL ha esteso il ragionamento agli enti bilaterali abilitati alla certificazione dei contratti ai sensi degli art. 75 e ss. del D.lgs. n. 276/2003 e del D.P.R. n. 177/2011. In tal caso l’Ispettorato evidenzia che, ai sensi dell’art. 2, lett. h), del D.lgs. n. 276/2003, possono definirsi Enti bilaterali ai fini dello svolgimento delle attività demandate dallo stesso decreto legislativo – ivi compresa “la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o congruità contributiva” – solo quei soggetti costituiti “a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative”. Qualora l’Ente sia costituito da organizzazioni datoriali o sindacali prive del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi, l’organismo non può ritenersi un Ente bilaterale abilitato a svolgere le attività indicate dal citato art. 2, lett. h), D.lgs. n. 276/2003 e, naturalmente, l’attività di certificazione.

Anche in tale ipotesi il personale ispettivo avrà il potere di non tener conto delle certificazioni di tali pseudo Enti, e delle relative preclusioni, adottando anche ogni eventuale provvedimento di carattere sanzionatorio.

Conclusioni

Come si può osservare, in tutte le ipotesi illustrate, l’Ispettorato riconosce al proprio personale un potere di “disapplicazione” dei contratti e, in generale, di tutti gli atti stipulati o discendenti da organizzazioni prive del requisito rappresentativo. Tale potestà non implica la declaratoria di invalidità dei contratti o degli atti in questione, che restano efficaci tra le parti, ma la loro inidoneità a produrre gli speciali effetti legali connessi alla loro stipula. Sicché, tali negozi sono idonei a disciplinare – almeno in parte – gli istituti della relativa parte obbligatoria e normativa, ma non possono, ad es. derogare o integrare la legge ovvero concedere i benefici previsti, ecc., a seconda delle ipotesi legislativamente stabilite.

Si deve osservare che l’impostazione dell’INL è rispettosa dell’art. 39 Cost., giacché il potere di “disapplicazione” concepito dal vertice ispettivo non implica l’imposizione dei contenuti dell’autonomia collettiva “rappresentativa”, ma unicamente la “riespansione” del regime normativo ordinario, il quale non può essere modificato da pattuizioni prive delle garanzie richieste dalla legge. In tal senso è onere, e non obbligo, degli interessati che intendano avvalersi dei benefici ed incentivi legislativi, rispettare le condizioni cui questi sono subordinati.

Pertanto, non è su questo piano che la posizione dell’Ispettorato può essere criticata, anche perché la contrattazione “pirata” è un fenomeno socialmente intollerabile e giustamente l’organo ispettivo – ereditando l’orientamento del Ministero del lavoro – è impegnato nella repressione del medesimo. Piuttosto, la critica che è stata rivolta all’impostazione del vertice ispettivo riguarda l’assenza di indicazioni sui criteri da applicare per l’individuazione dei contratti promananti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative e la conseguente inapplicabilità dell’invito operato ai propri uffici “ad attivare specifiche azioni di vigilanza” (cfr. Approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del lavoro del 12 febbraio 2018). In buona sostanza, il silenzio dell’INL sul punto avalla la prassi, di fatto instauratasi, di ritenere più rappresentativi gli accordi collettivi stipulati dalle organizzazioni “storiche” sia di parte datoriale che sindacale, a svantaggio dei patti siglati da organizzazioni isolate. Il problema giuridico maggiore di tale orientamento è la sua logica meramente presuntiva, nel senso che esso trae il suo fondamento dalla supposizione della maggiore rappresentatività delle organizzazioni storiche rispetto a quella delle organizzazioni “minori”, supposizione suffragata dalle frequenti previsioni peggiorative proprie dei patti siglati da queste ultime. Sebbene tale soluzione sia indubbiamente dotata di buon senso pratico, essa non risulta confortata da verifiche sulla consistenza dei dati effettivi.

Come esempio di tale schema si può citare la situazione del settore cooperativo, dove si registra la presenza di contratti provenienti da organizzazioni diverse da quelle ritenute maggioritarie (Confcooperative, Legacoop, CGIL, CISL, UIL) e contenenti condizioni economiche peggiorative rispetto a queste ultime. Tali accordi sono puntualmente “disapplicati” in sede ispettiva con l’adozione di diffide accertative, e di recuperi contributivi, intesi a riallineare le retribuzioni ai minimi contrattuali imposti dalla legge. In tal senso, si era già espresso il Ministero del lavoro (nota n. 10310 del 1° giugno 2012), in quel caso citando, peraltro, anche criteri di misurazione della rappresentatività adottabili dal personale ispettivo, quali il numero complessivo delle imprese associate, il numero complessivo dei lavoratori occupati, la diffusione sul territorio nazionale e il numero di contratti collettivi nazionali stipulati e vigenti.

1 Articolo pubblicato in “La Circolare di Lavoro e Previdenza”, n. 11/2018, pag. 46, Ed. Gruppo Euroconference. Le considerazioni contenute nel presente contributo sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

2 Per approfondimenti sul tema della vigilanza ispettiva sulla contrattazione collettiva e, in senso più ampio, sul ruolo della contrattazione collettiva nel diritto sanzionatorio amministrativo, sia consentito rinviare a C. Santoro, la contrattazione collettiva nel diritto sanzionatorio del lavoro, 2018, Adapt university press.

3 In dottrina (Cfr. S. Margiotta, La vigilanza pubblica sull’applicazione dei contratti collettivi di diritto comune, in Mass. giur. Lav., 2006) è stato sostenuto che il potere di cui all’art. 7 del D.lgs. n. 124/2004 si spiega con la funzione integrativa e complementare della contrattazione rispetto alle norme di diritto obiettivo svolta con il meccanismo dei rinvii da queste a quella.

4 P. Rausei, Vigilanza e sanzioni sulla contrattazione collettiva, in Dir. prat. lav., 2008, 24.

5 Per un’illustrazione dell’orientamento ministeriale espresso con i documenti di prassi indicati si veda V. Lippolis, Applicazione dei contratti collettivi: controlli ispettivi, in Dir. prat. lav., n. 40/2016, pag. 2352 ss..

6 P. Capurso, Il controllo ispettivo sulla contrattazione collettiva di prossimità, in IPrev., 2012, 1-2-3-4, 18.

7 P. Passalacqua, Il modello del sindacato comparativamente più rappresentativo nell’evoluzione delle relazioni sindacali, in Dir. relaz. ind., n. 2/2014, pag. 378 ss..

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Senza filtro – E se pensassimo ad una abilitazione/un esame di stato per chi sottoscrive i contratti collettivi?

di Alberto  Borella – Consulente del lavoro in Chiavenna

 

Non si può più andare avanti così.

Non basta un legislatore spesso impreciso e quasi sempre equivoco, una giurisprudenza sempre più ondivaga, un pubblica amministrazione che nelle proprie indicazioni di prassi travalica immancabilmente i propri compiti, fornendo interpretazioni della norma a proprio uso e consumo.

Ci si mettono pure i sottoscrittori dei contratti collettivi a complicarci la vita.

E la cosa potrebbe anche non riguardarci se ci fosse permesso di ignorare quantomeno questi accordi collettivi. Invece i Ccnl vanno applicati, perché altrimenti non puoi ottenere il Durc… perché altrimenti non puoi sfruttare appieno determinati istituti contrattuali perché non ti verranno riconosciuti i benefici contributi perché rischi un contenzioso con il lavoratore a cui non hai riconosciuto una retribuzione proporzionata e sufficiente secondo il dettato dell’art. 36 Costituzione… ed infine perché sei passibile di contestazione per evasione contributiva calcolata proprio sulla teorica retribuzione prevista dai Ccnl stipulati dalle OO.SS. maggiormente rappresentative.

Già, maggiormente rappresentative. Ma rappresentative di che cosa? Forse della ignoranza giuridica ma soprattutto della approssimativa proprietà di linguaggio dell’italiano medio che fa fatica a spiegare cos’è un fuorigioco nel calcio?

È un dato di fatto e gli operatori del settore lo sanno bene.

Molto del contenzioso azienda/lavoratore si sviluppa nell’ambito della corretta applicazione dei trattamenti economici e normativi previsti dalla contrattazione collettiva. Inquadramento, maggiorazioni, indennità, permessi e soprattutto regolamenti disciplinari corrispondono spesso a discipline buttate lì alla bell’e meglio.

Per non parlare della fantasia che i rappresentanti aziendali e dei lavoratori mettono in campo per disciplinare i vari istituti, cercando di distinguersi da quella che ovviamente è considerata la mediocrità degli altri contratti collettivi.

Esattamente un anno fa, su questa rivista, avevamo trattato il caso del rinnovo del Ccnl Autoscuole chiedendoci se la fiducia posta dal legislatore nei contratti collettivi fosse ben riposta1.

Ma altri esempi possono essere citati perché la fantasia italica non ha limiti, sfornando le più strampalate discipline che con un briciolo di buon senso non sarebbero mai state sottoscritte.

Ad esempio il Ccnl Metalmeccanici Artigiani prevede che l’integrazione economica a carico delle imprese per i primi tre giorni di assenza sia dovuta solo in caso di malattie che raggiungano i sette giorni. A nessuno è sorto il dubbio che questo possa invogliare il lavoratore a fingere una gravità maggiore di quella reale per ottenere sufficienti giorni di prognosi che gli garantiscano il diritto al pagamento della carenza.

E nemmeno che il lavoratore, che ha conseguito la guarigione anticipata, non avrebbe alcun interesse a valutare un rientro al lavoro prima del previsto, ove questo gli farebbe perdere il diritto alla indennità economica per i tre giorni di carenza.

È un po’ come dire ai bambini che fare i capricci non serve per ottenere la caramella ma se i capricci diventano crisi isterica allora ne avrà un pacchetto.

Della serie “alla ricerca del risparmio illusorio”.

E va segnalato anche il Ccnl Autotrasporto merci che – prefiggendosi esplicitamente di disincentivare il fenomeno dell’assenteismo penalizzando le assenze dovute alle malattie che iniziano il giorno successivo a giornate non lavorative – prevede la riduzione del trattamento economico di malattia riferito ai primi tre giorni secondo una progressione che, via via, aumenta in base al numero degli eventi morbosi registrati.

Se quattro saranno gli episodi iniziati il giorno successivo a giornate non lavorative, l’integrazione a carico dell’azienda non sarà del 100% ma del 75%; per cinque eventi l’integrazione scende al 50%; al sesto spetta il 25%; dal settimo evento l’azienda non sarà più tenuta ad alcuna integrazione.

Opportunamente si è pensato di non applicare la disciplina ad alcuni eventi morbosi oggettivamente sussistenti (ricoveri ospedalieri, day hospital, day surgery e altre patologie), ricascando però nell’errore di escludere dal computo solo gli “eventi di malattia certificati con prognosi iniziale non inferiore a 7 giorni”.

Ma a prescindere da ciò – tenuto conto che il numero degli eventi viene calcolato considerando i 12 mesi precedenti, che la riduzione si applica solo dal quarto evento nell’anno e che si sta parlando di tre giorni di carenza – è palese la volontà di colpire le situazioni patologiche, che proprio perché tali non dovrebbero portare a risparmi (vedremo poi che tali nemmeno sono) di un certo rilevo.

Peraltro il riferimento ai 12 mesi calcolati a ritroso dall’ultima malattia insorta (secondo quindi l’anno solare mobile) costringe a controlli manuali che spesso i programmi paghe non riescono a gestire.

Ma ovviamente non basta. Si stabilisce pure che gli importi “trattenuti”, per effetto di “tali azioni”, saranno “redistribuiti” nell’ambito degli accordi di secondo livello previsti dall’art. 38 del Ccnl.

In questo caso – e sorvoliamo sulle imprecisioni terminologiche considerato che solo in ultimo si comprende che, ciò che apparivano specifici e differenziati trattamenti economici collegati alla diversa durata dell’assenza per malattia, sono di fatto delle trattenute retributive – i sottoscrittori si inventano pure la ridistribuzione di questa specie di “sanzione a presunzione assoluta”.

Ed è proprio questo che lascia basiti, questa voglia di complicarsi la vita, disponendo che il risparmio ottenuto dovrà essere opportunamente quantificato ed accantonato, per poi ridistribuirlo in sede di contrattazione di secondo livello, che avrà il compito di precisarne il come e il quando, le percentuali e i beneficiari.

Se poi la contrattazione territoriale o aziendale non venisse attivata, che fare di questi soldi non si dice.

Il nuovo Ccnl per i dipendenti da aziende dei settori Pubblici Esercizi, Ristorazione collettiva e commerciale e turismo

In data 8 febbraio 2018, tra la RIPE, l’Angem, la Lega Coop Produzione e Servizi, la Federlavoro e Servizi Confcooperative, l’AGCI Servizi e la FILCAMS-CGIL, la FISASCAT-CISL, aderente alla FIST-CISL, la UILTUCS UIL, è stato sottoscritto il nuovo contratto collettivo per i Pubblici esercizi.

I firmatari non sono certo, come vi vede, dei principianti ma organizzazioni avvezze alla contrattazione e che dovrebbero conoscere il mondo del lavoro, quello reale, e le relative dinamiche.

E probabilmente si sono pure affidati a professionisti per mettere nero su bianco gli accordi raggiunti dopo faticose discussioni e molte nottate in bianco. Ecco forse sta tutto lì, in quelle nottate in bianco, spesso su questioni di lana caprina, la spiegazione di ciò che oggi vogliamo commentare.

1. Un nuovo Contratto collettivo oppure no?

Subito un dubbio ci assale. Ma siamo di fronte ad un nuovo Ccnl oppure è solo un’operazione di stralcio della disciplina dei Pubblici esercizi dal vecchio accordo collettivo che era quindi una sorta di contratto plurimo (tre contratti in uno) firmato congiuntamente con FederAlberghi, per la parte Aziende alberghiere, e Faita, per la parte Complessi turistico – ricettivi dell’aria aperta?

La questione non è di poco conto perché nel primo caso l’applicazione dell’accordo Fipe comporterebbe una sostituzione del Ccnl applicato presso l’azienda con i noti problemi di armonizzazione tra quello di provenienza e quello di destinazione.

Non dovrebbe essere questo il caso, ma sul punto un minimo di chiarezza sarebbe stata apprezzata da tutti gli operatori.

2. La data di entrata in vigore

La prima cosa che notiamo è la data di entrata in vigore: il 1° gennaio 2018 pur a fronte della firma dell’accordo avvenuta solo l’8 febbraio.

La possibilità che a questa data qualche azienda abbia già elaborato i propri cedolini paga e pertanto possa essere costretta a rielaborare le retribuzioni e magari anche integrare la retribuzione già corrisposta al lavoratore non sfiora minimamente nessuno dei firmatari.

E se comunque la corresponsione degli arretrati creerà qualche difficoltà (pensiamo al conguaglio di straordinari e supplementare, di maggiorazioni domenicali o notturne, per lavoro festivo, per malattie e infortuni) non è un problema che li riguarda minimamente.

Del resto i Consulenti del Lavoro son pagati “profumatamente” anche per questo.

3. La disciplina della quattordicesima mensilità

Una formulazione poco felice di questa disciplina ha fatto sì che da subito si sia scatenato un dibattito circa l’esclusione degli scatti di anzianità dal calcolo della retribuzione utile ai fini della erogazione di questa mensilità aggiuntiva.

L’articolo 161 del nuovo contratto Fipe così recita:

1) Salvo quanto diversamente previsto all’articolo a tutto il personale sarà corrisposta una mensilità della retribuzione in atto al 30 giugno di ciascun anno (paga-base nazionale, indennità di contingenza, eventuale terzo elemento o quote aggiuntive provinciali, eventuali trattamenti integrativi salariali aziendali comunque denominati), esclusi gli assegni familiari e gli scatti di anzianità maturati.

Ora permettetemi una prima considerazione.

Cosa porta le parti, che stanno discutendo principalmente dei nuovi minimi contrattuali, a concedere da un lato ai lavoratori un aumento economico sui minimi contrattuali – che si rifletterà quindi su tutte le mensilità previste dalla contrattazione, quattordicesima compresa – e dall’altro lato intervenire proprio su quest’ultima riducendone la base di calcolo disponendo la sottrazione degli scatti di anzianità maturati?

Ti do con una mano e con l’altra mi riprendo parte del concesso. Quale ragionamento perverso è alla base di questa manfrina?

Entrando nel merito della disciplina della quattordicesima mensilità, è soprattutto il fatto di aver stabilito che dal relativo calcolo debbano essere esclusi gli scatti di anzianità maturati ad aver destato non poche perplessità.

Qualche commentatore ha sostenuto che d’ora in poi la sua quantificazione avverrà escludendo tutti gli scatti di anzianità, compresi quelli già maturati dal lavoratore e non solo i maturandi.

Altri hanno invece insinuato il dubbio – chi scrive è tra questi – che gli scatti di anzianità, esclusi dal computo della retribuzione utile per il calcolo della quattordicesima, sono esclusivamente i futuri, ovvero quelli che matureranno dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina. Senza entrare troppo nel tecnicismo si dovrebbe quantomeno considerare che diverso senso ha l’espressione “esclusi gli scatti di anzianità maturati” rispetto la formula esclusi gli scatti di anzianità”.

Tutto questo comporterà – tanto o poco – per il lavoratore una diminuzione dello stipendio, ovvero della sua retribuzione lorda annua? Poco importa.

Peraltro è facile immaginare che, ove venisse sposata la prima tesi (quella dell’esclusione di tutti gli scatti) ed il lavoratore anziano – quello che ha già maturato il massimo dell’anzianità prevista, quello che è una colonna portante dell’azienda – avanzasse recriminazioni per la diminuzione della paga sarà il datore di lavoro a porre rimedio con una integrazione economica volontaria.

Ma oltre il fatto di non aver pensato a certe dinamiche la cosa che più irrita è l’incapacità di comprendere l’assoluta necessità di utilizzare la massima chiarezza nel caso in cui, con un nuovo accordo collettivo, si intenda incidere negativamente sulle aspettative, soprattutto economiche, previste dal previgente accordo.

4. I maledetti copia-incolla

Va detto che questo contratto collettivo, vecchio o nuovo che sia, nasce da una costola del precedente contratto Turismo, da cui Fipe si era dal 2014 dissociata non firmando più i successivi rinnovi.

La tecnica utilizzata nella stipula è di fatto un copia-incolla del precedente accordo, del quale vengono modificati alcuni articoli. Nel fare questa operazione appare evidente come nemmeno ci sia preoccupati di leggere e rivedere le “castronerie” che già comparivano nei precedenti accordi.

Eppure la disposizione a cui ci riferiamo è proprio una di quelle oggetto di revisione e modifica, senza quindi che nessuno si sia accorto della bestialità che veniva riproposta.

Ecco che quindi, nell’individuare nella base di calcolo della quattordicesima mensilità, la retribuzione in atto al 30 giugno di ciascun anno (paga-base nazionale, indennità di contingenza, eventuale terzo elemento o quote aggiuntive provinciali, eventuali trattamenti integrativi salariali aziendali comunque denominati) escludendo gli scatti di anzianità maturati, i sottoscrittori si preoccupano di ricordarci che dalle mensilità aggiuntive vanno pure esclusi gli assegni familiari.

Si fa veramente fatica a credere ai propri occhi.

Quale rimedio?

Come si diceva in premessa “non si può più andare avanti così”. Questo paese merita più rispetto.

Più rispetto per il legislatore, che alla contrattazione collettiva affida la disciplina di moltissimi istituti contrattuali.

Più rispetto per la Pubblica Amministrazione e organi di vigilanza, a cui è affidata la verifica della corretta applicazione dei contratti collettivi anche in riferimenti a sgravi e benefici.

Più rispetto per i giudici del lavoro, che anziché alla deflazione del contenzioso, assistono impotenti ad un iperaffollamento delle aule giudiziarie.

Più rispetto per i lavoratori e per le aziende, che ai loro rappresentanti chiedono una regolamentazione non solo semplice ma certa dei loro rapporti.

Più rispetto per i professionisti, Consulenti del lavoro in primis, a cui è affidata la gestione delle dinamiche del complesso mondo del lavoro.

Perché di questo passo l’alternativa diventerebbe quella di un sistema dei Ccnl basato su un testo standard, sul quale le parti sociali andrebbero a riempire delle caselline vuote, inserendo importi, giorni, percentuali e valori economici in genere.

Una cosa che forse, a ben guardare, sarebbe aderente al principio che tutti i lavoratori sono uguali e che i diritti economici e normativi (parliamo di ferie, permessi, prova, preavviso, malattia, comporto) non possono essere condizionati dal settore in cui un lavoratore opera o peggio dalla voglia di stupire dei loro rappresentanti.

Riflessioni finali

Spesso assistiamo a battage pubblicitarie di sigle datoriali che ci dicono, in buona sostanza: “vieni a far elaborare le tue paghe da chi stipula il Ccnl”, con ciò sottintendendo una maggior capacità ed esperienza nel settore rispetto ad altri soggetti.

Certamente su un punto possiamo concordare: solo costoro sono in grado di comprendere appieno il senso di quanto scritto o meglio di ciò che avrebbero voluto scrivere. E sarebbero pure in grado, alla bisogna, di giustificare a posteriori il loro operato sulla scorta di una specie di unilaterale interpretazione autentica.

Volendo pensar male potremmo chiosare dicendo che tanta complicazione – ovvero scrivere i loro accordi in un linguaggio criptato, le cui chiavi sono in possesso solo di pochi eletti depositari della verità – potrebbe pure essere strumentale ad iniziative commerciali di questo genere.

Ma non vogliamo essere così maliziosi: per chi scrive tutto ciò è semplicemente il frutto di un pericoloso mix di superficialità e di incompetenza.

1 Borella A. “I contratti collettivi meritano veramente la fiducia del legislatore? Il caso del Ccnl autoscuole”, Sintesi, marzo 2017, pag. 3.

 

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