LA RIFORMA DEL 2015: riattualizzazione delle categorie legali previste dall’art. 2095 c.c. e nuova configurazione del potere datoriale di modificare le mansioni del lavoratore*

Antonella Rosati, Ricercatrice Centro Studi e Ricerche

Domenico Garofalo analizza le novità su ius variandi e mansioni

 

La riforma dell’art. 2103 c.c., attuata con l’art. 3, D.lgs. n. 81/2015, ha coinciso con l’esplosione del fenomeno della Gig Economy 1, con innovazioni di processo e di prodotto sempre più rapide e con riflessi sulla vita sociale ed economica ancora non del tutto espressi.2

Il passaggio dalla società industriale a quella telematica3 incide soprattutto sul lavoro4, non tanto e non solo sul suo quid, ma anche sul quomodo, e probabilmente in futuro anche sullo stesso an, basti pensare all’intelligenza artificiale quale fattore di sostituzione delle prestazioni manuali labour intensive e di quelle intellettuali di tipo esecutivo.

L’Autore, con il presente contributo, analizza la riattualizzazione delle categorie legali previste dall’art. 2095 c.c. ad opera del novellato art. 2103 c.c., soffermandosi poi sulla nuova configurazione del potere del datore di lavoro di modificare le mansioni del lavoratore,

LA RISCOPERTA DELLE CATEGORIE LEGALI NEL NOVELLATO ART. 2103 C.C.

La disciplina previgente concedeva il mutamento orizzontale di mansioni a patto che le mansioni precedenti e quelle nuove fossero equivalenti: la nozione di equivalenza era stata sviluppata negli anni dalla giurisprudenza in termini restrittivi e andava intesa sia nel senso di pari contenuto e valore professionale delle mansioni sia come coerenza con il background professionale acquisito, come attitudine delle nuove mansioni a consentire l’arricchimento del patrimonio professionale del lavoratore realizzato nella pregressa fase del rapporto.

Il concetto di professionalità, dunque, includeva non solo il complesso di nozioni e perizie già acquisite, ma anche il diritto di professionalizzarsi lavorando.

Nella vigenza della precedente norma, dunque, in caso di contestazione da parte del lavoratore, il giudice, per accertare la legittimità della modifica unilaterale da parte del datore di lavoro, non si limitava a verificare l’eguaglianza retributiva e la riconducibilità delle nuove mansioni al medesimo livello di inquadramento contrattuale, ma verificava anche l’equivalenza professionale.

Nella sua attuale formulazione, frutto delle modifiche apportate dal D.lgs. n. 81/2015, l’art. 2103 c.c. prevede che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto ovvero a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero “riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”. Elemento di novità è, dunque, l’espunzione del requisito dell’equivalenza tra le ultime mansioni svolte e quelle di nuova assegnazione: al datore di lavoro è attribuita la facoltà di modificare unilateralmente le mansioni a condizione che le nuove siano riconducibili allo stesso livello di inquadramento e categoria legale5. Ciò significa che, se in base al contratto collettivo il mutamento di mansioni non comporta alcuna variazione di livello e categoria, non sussiste alcun limite nell’assegnazione di nuove mansioni ad eccezione della non discriminazione.

Il sistema di classificazione del personale, indicato nel contratto collettivo applicato dal datore di lavoro assume così un ruolo primario, poiché costituisce l’unico parametro di riferimento per valutare la legittimità del provvedimento di modifica delle mansioni. In sostanza, la mobilità orizzontale è legittima nel rispetto di un criterio di equivalenza formale con la conseguenza che il lavoratore potrà essere assegnato a tutti i compiti ricompresi nel livello di inquadramento, per quanto espressione di una competenza eterogenea. In tal modo, si passa dalla tutela dello specifico bagaglio di conoscenze ed esperienze acquisite ad una tutela della professionalità intesa in senso più generico, tarata sulla posizione formale occupata dal lavoratore in azienda, in virtù del sistema di inquadramento. Ne consegue che il giudice non può più valutare l’equivalenza tra le nuove mansioni e quelle precedenti, ma deve limitarsi a verificare che il mutamento rimanga all’interno dello stesso livello e categoria6. La scelta normativa sottesa alla nuova formulazione sembra essere quella di garantire un maggiore grado di certezza del diritto e di limitare al massimo lo spazio interpretativo lasciato alla giurisprudenza in quanto il livello di inquadramento costituisce un parametro più sicuro rispetto a quello di equivalenza della professionalità.

DEMANSIONAMENTI UNILATERALI E PATTI DI DEMANSIONAMENTO

La riforma dell’art. 2103 c.c. ha introdotto espressamente alcune fattispecie giustificatrici del demansionamento, che si sostanziano in una serie di deroghe al divieto di assegnare mansioni non inquadrate nello stesso livello e nella stessa categoria delle precedenti. Le ipotesi previste dal nuovo 2103 c.c. sono tre: le prime due sono qualificabili come casi di demansionamento unilaterale, mentre la terza coincide con il c.d. demansionamento consensuale.

Per quanto riguarda le ipotesi di demansionamento unilaterale, è consentito lo spostamento a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore in caso di modifica degli assetti organizzativi dell’azienda, purché siano rispettati alcuni limiti quali la immodificabilità della categoria legale, l’appartenenza delle nuove mansioni al solo livello di inquadramento contrattuale immediatamente inferiore e la conservazione della retribuzione. Tralasciando gli aspetti che interessano l’inquadramento immediatamente inferiore e la categoria legale di appartenenza, è opportuno esaminare il termine incide, sia in considerazione della sua portata, sia in riferimento alla valutazione che il giudice può operare in sede giudiziale nelle ipotesi di demansionamento. L’utilizzo del verbo incidere allude, in definitiva, alla possibilità del datore di lavoro “di retrocedere il lavoratore a una mansione inferiore se adotta una riorganizzazione (di più ampio respiro oppure anche circoscritta, al limite, al lavoratore interessato) che incide in modo diretto sulla posizione del lavoratore. L’indagine che può svolgere, in tale circostanza,  il giudice, ha ad oggetto la veridicità della scelta aziendale a monte e l’esistenza di un nesso di causalità fra tale scelta e il demansionamento del lavoratore”.7

Palesi, dunque, risultano essere i profili sui quali è possibile, per mezzo del potere direttivo, fondare un atto legittimo di variazione in pejus delle mansioni, ovvero la veridicità della scelta aziendale e il nesso di causalità fra la tale scelta e il demansionamento del prestatore di lavoro.

Oltre alla suddetta ipotesi di demansionamento unilaterale, il Legislatore della riforma prevede, con gli stessi limiti e condizioni sopra evidenziati, che ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni corrispondenti al livello inferiore possano essere previste dai contratti collettivi: le “ulteriori ipotesi” devono comunque essere tali da contemperare l’interesse dell’impresa con l’interesse del lavoratore alla professionalità “la cui lesione ha un rilievo che oltrepassa quello puramente economico, come risulta anche dalla giurisprudenza in tema di danno alla professionalità”.8

Per quanto riguarda, invece, il demansionamento consensuale, il nuovo art. 2103 c.c. consente al datore di lavoro e al lavoratore di accordarsi per modificare in pejus le mansioni, la categoria, il livello di inquadramento e la relativa retribuzione.

 

Tale ipotesi di demansionamento è dunque consentita senza i limiti previsti per quelle unilaterali: il lavoratore può essere adibito a mansioni appartenenti a una categoria legale inferiore e anche a più livelli inferiori di inquadramento e ricevere una retribuzione inferiore. Tuttavia, l’accordo è legittimo solo se raggiunto nelle sedi cosiddette protette di cui all’art. 2113, comma 4 c.c. (Dtl, sede sindacale e giudiziaria, commissioni di certificazione) e a condizione che la modifica abbia uno dei seguenti scopi:

  • salvaguardare il posto di lavoro del dipendente (es. per evitare un licenziamento per motivo oggettivo); la giurisprudenza più recente annovera in questa previsione l’inidoneità sopravvenuta del lavoratore allo svolgimento di mansioni precedenti9;
  • acquisire una diversa professionalità; • migliorare le sue condizioni di vita (es. per ottenere il trasferimento in una unità produttiva più vicina alla propria abitazione, il lavoratore accetta una diversa categoria di inquadramento pur di veder realizzato il proprio obiettivo di una migliore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro)10.

In sostanza, con la previsione espressa di un’ipotesi di demansionamento consensuale il Legislatore sembra fare proprio l’orientamento della giurisprudenza ante Jobs Act che, in nome del diritto alla conservazione del posto di lavoro, considerato preponderante rispetto a quello della salvaguardia della professionalità, consentiva i patti di demansionamento come extrema ratio per evitare il licenziamento. La sostanziale differenza tra il patto di demansionamento riconosciuto dalla giurisprudenza e quello disciplinato dal Jobs Act risiede nel fatto che mentre per i giudici l’accordo era legittimo a condizione che fosse finalizzato solo ed esclusivamente alla conservazione del posto di lavoro, il patto previsto dal Legislatore della riforma ha un oggetto più ampio: è legittimo non solo se fatto per tutelare il posto di lavoro, ma anche se finalizzato all’acquisizione di una diversa professionalità11 o al miglioramento delle condizioni di vita.

LO IUS VARIANDI VERSO L’ALTO

Anche la nuova formulazione dell’articolo 2103 c.c. prevede il diritto del lavoratore all’assegnazione a mansioni superiori in caso di svolgimento delle medesime protratto nel tempo12. Tuttavia, il Legislatore del 2015 ha introdotto alcune importanti novità, tra le quali rileva in particolare la definitività dell’assegnazione dopo sei mesi continuativi, e non tre come in precedenza, dando così più tempo al datore per valutare l’idoneità del lavoratore al superiore incarico.

Non solo: la contrattazione collettiva può prevedere un termine anche più lungo dei sei mesi.13 È evidente, dunque, che anche in materia di adibizione a mansioni superiori si è verificato un significativo allargamento dei margini di flessibilità nella gestione del rapporto di lavoro a cui si accompagnano, tuttavia, alcune preclusioni:

  • la “diversa volontà del lavoratore” che può, dunque, rinunciare al diritto all’assegnazione definitiva delle mansioni superiori; anche il riconoscimento di un superiore inquadramento, infatti, potrebbe comportare conseguenze non sempre favorevoli quali, ad esempio, la perdita del diritto alle maggiorazioni per lavoro straordinario (che non spettano agli impiegati direttivi, ai quadri e ai dirigenti) o la mancata applicazione della tutela legale contro i licenziamenti illegittimi (non spettante ai dirigenti, che sono licenziabili ad nutum);
  • la sostituzione di altro lavoratore in servizio: mentre il vecchio 2103 c.c. faceva riferimento alla “sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto”, così includendo i lavoratori in malattia o le lavoratrici in maternità, ma escludendo i lavoratori in ferie, il nuovo 2103 c.c. parla di “ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio”, ampliando in tal modo il ventaglio di casi in cui non è possibile maturare il diritto alla promozione automatica.

Dal punto di vista letterale il riferimento all’assegnazione a mansioni superiori appare poco coerente con quello sottostante all’intera disposizione, ove il termine di comparazione è rappresentato dai livelli di inquadramento e dalle categorie legali, anche se si è giustamente evidenziato che “una interpretazione coerente con il comma 1 della medesima disposizione impone di intendere tale assegnazione come quella riferita a mansioni riconducibili al livello di inquadramento superiore a quello di appartenenza” 14 e, ricorrendone i presupposti, alla diversa categoria legale.

Ovviamente la novella non ha rimosso l’ipotesi di cumulo di mansioni, alcune della quali riconducibili ad un livello di inquadramento superiore rispetto a quello di appartenenza, operando tutt’ora il criterio della prevalenza declinato in senso quantitativo.

 

 

 

 

* Sintesi dell’articolo pubblicato in MGL, 1/2022, pag. 107 ss dal titolo Lo ius variandi tra categorie e livelli.

1. Si rinvia a D. Garofalo, Lavoro, impresa e trasformazioni organizzative, in AA.VV., Frammentazione organizzativa e lavoro: rapporti individuali e collettivi. Atti delle Giornate di studio di diritto del lavoro AIDLASS, Cassino 18-19 maggio 2017, Milano, 2018, p. 17 ss., nonché ai riferimenti bibliografici ivi contenuti.
2. M. Brollo, La disciplina delle mansioni dopo il Jobs Act, in Arg. dir. lav., 2015, p. 1156; Ead., Capitolo XXI. Inquadramento e ius variandi, in G. Santoro Passarelli (a cura di), Trattato di diritto del lavoro, Torino, 2017, pp.
768-772.
3. G. Santoro Passarelli, Trasformazioni socioeconomiche e nuove frontiere del diritto del lavoro. Civiltà giuridica e trasformazioni sociali nel diritto del lavoro, in Dir rel. ind., 2019, p. 417 ss

4. Cfr. M. Weiss, La sfida regolatoria per i nuovi mercati del lavoro: verso un nuovo diritto del lavoro? in Professionalità Studi, 2018, II, n. 1, Professionalità e contrattazione collettiva, p.9 ss.

5. F. Liso, Brevi osservazioni sulla revisione della disci- plina delle mansioni contenuta nel decreto legislativo n.
81/2015 e su alcune recenti tendenze di politica legislati- va in materia di rapporto di lavoro, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, 2015, spec. p. 9.
6. Parla di riscoperta delle categorie legali L. Paolitto, La nuova nozione di equivalenza delle mansioni. La mobilità verso il basso: condizioni e limiti, p. 155 ss

7. R. Del Punta, Diritto del lavoro, Giuffrè Francis Lefebvre, XII edizione, 2020, pag. 505.
8. R. Del Punta, F. Scarpelli (a cura di), con la collaborazione di M. Marrucci e P. Rausei, Codice commentato del lavoro, Commentari Ipsoa, I edizione, 2019, pag. 445.
9. Così M. Brollo, Capitolo XXI. Inquadramento e ius variandi, p. 837.

10. Sul punto v. B. Caruso, The bright side of the moon: politiche del lavoro personalizzate e promozione del welfare occupazionale, in Riv. it. dir. lav., 2016, I, p. 177 ss.
11. Cfr. Cass., Sez. lav., 19 novembre 2015, n. 23698.

 

12. Cfr. Cass., Sez. lav., 11 ottobre 2019, n. 25673, secondo cui l’assegnazione a mansioni diverse da quelle di assunzione determina il diritto del lavoratore all’inquadramento superiore di cui all’art. 2103 c.c., anche quando le prime siano solo prevalenti rispetto agli altri compiti affidatigli, non richiedendo la predetta norma lo svolgimento di tutte le mansioni proprie della qualifica superiore, ma solo che i compiti affidati al lavoratore siano superiori a quelli della categoria in cui è inquadrato.
13. Ritiene la contrattazione collettiva fonte privilegiata e libera, M. Brollo, Capitolo XXI. Inquadramento e ius variandi, p. 842. Sul punto v. anche F. D’Addio, La tutela e lo sviluppo della professionalità nella più recente contrattazione collettiva, p. 82.
14. Così M. Falsone, La professionalità e la modifica delle mansioni: rischi e opportunità dopo il Jobs Act, p. 36, nota 18.

 

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PROCEDURE DELLA COMPOSIZIONE NEGOZIATA DELLA CRISI D’IMPRESA: profili di diritto sindacale e del lavoro *

Antonella Rosati, Ricercatrice Centro Studi e Ricerche

G. R. Simoncini si interroga circa la sorte del rapporto di lavoro nella composizione negoziata della crisi d’impresa

 

Con il presente contributo l’Autrice esamina l’istituto della composizione negoziata della crisi, evidenziando i profili di diritto sindacale e di diritto del lavoro che caratterizzano la procedura.

L’INNOVATIVA PROCEDURA DI COMPOSIZIONE NEGOZIATA DELLA CRISI

Il D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico il c.d. “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza” 1 ma attualmente il numero delle norme del Codice (di seguito CCII) già vigenti è assai limitato, mentre l’entrata in vigore della maggior parte delle disposizioni, prevista per lo scorso 16 maggio 2022, è stata più volte posticipata. L’elemento saliente di tale provvedimento è il tentativo di far emergere in maniera anticipata la crisi dell’impresa, allo scopo di risolvere – ben prima della fase insanabile di liquidazione giudiziale – le problematiche connesse all’esercizio di impresa, con conseguente tutela degli interessi dei creditori e dei posti di lavoro dei prestatori di lavoro e non solo dei loro crediti. Quest’ultimo aspetto merita un’ulteriore precisazione in quanto la conservazione dei rapporti in essere, interpretata come continuità aziendale, rappresenta la forma più compiuta di protezione che pu  essere garantita al lavoratore, non disperdendo il bagaglio professionale acquisito, come invece avviene nel caso di altre soluzioni operative e giuridiche (licenziamento individuale o collettivo, in particolare) che, pur consentendogli una stabilità economica, attraverso strumenti di sostegno al reddito2, lo allontanano dal mercato del lavoro. Peraltro, l’obiettivo di armonizzare le procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza del datore di lavoro, grazie al ricorso a forme di tutela dell’occupazione del reddito, è richiesto sia dalla Carta Sociale Europea che dalla Dir. EU n. 2019/1023, riguardante i “quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione” (c.d. Direttiva Insolvency), il cui termine di recepimento del nostro ordinamento è previsto per il 17 luglio 2022.

Il Legislatore – in attesa di recepire nel nostro ordinamento la suddetta direttiva e ritenuta l’opportunità di disporre il rinvio dell’entrata in vigore del CCII attraverso la disposizione di cui all’art. 1, D.l. 24 agosto 2021, n. 1183  –  ha contestualmente optato per l’introduzione con il medesimo decreto-legge della innovativa procedura di composizione negoziata della crisi.

 

IL SUPERAMENTO DELLE CONDIZIONI DI SQUILIBRIO PATRIMONIALE O ECONOMICO-FINANZIARIO

Il D.l. 24 agosto 2021, n. 118 ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico l’istituto della composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa, quale strumento finalizzato al risanamento delle imprese in difficoltà finanziaria.

Al riguardo, è opportuno rilevare come il punto di contatto tra il “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza” e la “Composizione negoziata della crisi” sia la tutela dell’impresa che si trovi in una situazione di squilibrio finanziario serio, tale da ingenerare il rischio di insolvenza, al fine di salvaguardare per quanto possibile l’attività aziendale.

La grande diversità invece risiede nel dato cronologico: il CCII è stato concepito prima della pandemia quale sostegno alle imprese con difficoltà, basandosi su una situazione di mercato stabile e cioè caratterizzata da oscillazioni fisiologiche. Ma vi è di più.

Il CCII risulta essere poco utilizzabile nella fase pandemica, in quanto gli indicatori che lo caratterizzano non solo non riuscirebbero nell’intento di svolgere alcun ruolo selettivo4, ma addirittura genererebbero effetti potenzialmente sfavorevoli5.

Di contro, la composizione negoziata della crisi è stata progettata durante la pandemia e ci  ha fatto sì che essa nascesse come procedura snella e immediata attraverso la quale viene garantita la possibilità6 all’imprenditore che si trovi in una situazione di squilibrio patrimoniale, o economico-finanziario, di chiedere la nomina di un esperto indipendente se risulta perseguibile il risanamento dell’impresa7. L’esperto – nelle vesti di facilitatore – assume il compito di agevolare le negoziazioni tra l’imprenditore, i creditori e gli “eventuali altri soggetti interessati”, quali i lavoratori, allo scopo di individuare una soluzione idonea allo sbilanciamento dell’impresa, proponendo anche accordi volti al trasferimento d’azienda e/o di alcuni rami della stessa8.

La necessità è che egli sia terzo rispetto a tutte le parti, sancendo quindi la necessità di una limpidezza procedimentale, slegata da ipotetici (ma probabili) conflitti di interessi, che miri al risanamento aziendale attraverso una modalità operativa professionale e imparziale. L’esperto va quindi inteso come figura che “serve a dare forza e credibilità alla posizione dell’impresa”, conferendo alle trattative “un elevato livello di sicurezza ed elimina il dubbio dell’esistenza di possibili atteggiamenti dilatori e poco trasparenti tenuti dalle parti coinvolte” 9. Una volta accettato l’incarico, l’esperto deve convocare senza indugio10 l’imprenditore per valutare la concreta prospettiva di risanamento, anche sulla base delle informazioni assunte dall’organo di controllo o dal revisore legale. A seguito del confronto, si possono quindi aprire due strade: qualora sussista una prospettiva di risanamento, l’esperto incontrerà le parti interessate, indicando le strategie di intervento11; nel caso in cui, invece, la situazione aziendale sia già compromessa verrà informato sia l’imprenditore che la Camera di Commercio territorialmente competente, allo scopo di disporre l’archiviazione della domanda di composizione negoziata. La composizione negoziata è, peraltro, una procedura esclusivamente volontaria, attivabile dalle sole imprese che decidano di farvi ricorso, incentivate da una serie di misure protettive, cautelari e premiali12. In effetti, l’auspicio che un imprenditore affidasse a un terzo sconosciuto dati sensibili della propria azienda, non avrebbe di certo potuto riscuotere consensi senza adeguati vantaggi economici e giuridici. A fronte del sintetico quadro appena tratteggiato, emerge come nella procedura di composizione negoziata della crisi si registri – rispetto all’impostazione del CCII – un rilevante indebolimento della figura del giudice, il quale ha la possibilità di entrare in gioco solo in una fase successiva, su istanza del debitore, rappresen- ! tando una mera eventualità rispetto alla procedura di composizione negoziata.

L’esperto, da un lato, non ha l’obbligo di riferire ad alcuna autorità e, dall’altro, l’intervento giudiziale è meramente eventuale nell’ipotesi in cui la composizione negoziata funzioni. Di contro, l’agilità procedimentale che caratterizza l’impianto del D.l. n. 118/2021 pu  solo dirigersi verso un tentativo di salvaguardia dell’impresa che non sembra imporre la realizzazione di un sistema efficiente13 e anzi potrebbe avallare il c.d. rischio di selezione avversa14: in altre parole, la composizione negoziata della crisi “potrebbe consentire alle imprese meno efficienti di beneficiare di misure e risorse (queste ultime per definizione scarse, ed insufficienti) che dovrebbero essere destinate altrove” 15. In sintesi, stiamo parlando di uno strumento di regolazione della crisi di tipo negoziale16 e cioè di una tipologia del tutto opposta rispetto alla natura concorsuale del CCII.

 

I DIRITTI DEI LAVORATORI E IL RUOLO DEI RAPPRESENTANTI DEI LAVORATORI NEL D.L. N. 118/2021

a) Le misure protettive del patrimonio e l’esclusione da esse dei diritti di credito dei lavoratori

L’imprenditore pu  chiedere, con l’istanza di nomina dell’esperto o con successiva istanza, l’applicazione di misure protettive del patrimonio17: dal giorno della pubblicazione dell’istanza, i creditori non possono acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore, né possono iniziare, o proseguire, azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa.

Tuttavia, sono esclusi dalle misure protettive i diritti di credito dei lavoratori18.

In altri termini, i lavoratori potranno far valere i loro crediti senza limitazioni avvalendosi del privilegio generale di cui all’art. 2751 bis c.c., con cio’  a dire che restano esclusi dalle misure protettive i diritti di credito dei lavoratori così come i contributi previdenziali, sebbene titolari di tali crediti siano gli enti previdenziali.

b) La rinegoziazione dei contratti ad esecuzione continuata o periodica

All’esperto è data la possibilità di invitare le parti a rideterminare il contenuto dei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero quelli a esecuzione differita, qualora la prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa proprio a causa della pandemia19. Nel caso in cui, invece, non vi sia l’accordo tra le parti, il tribunale su domanda dell’imprenditore, sentito il parere dell’esperto e le ragioni di diniego dell’altro contraente, pu  rideterminare equamente le condizioni del contratto quale misura indispensabile per garantire la continuità aziendale.

Ma in un’ottica di salvaguardia e tutela del lavoratore, viene altresì sancita l’esclusione della rinegoziazione per le prestazioni oggetto di contratti di lavoro dipendente20.

 

c). L’obbligo di informazione sindacale

L’art. 4, comma 8, D.l. n. 118/2021 prevede un’ipotesi specifica di informazione sindacale nell’ambito della composizione negoziata della crisi.

La norma stabilisce che il datore di lavoro che occupa complessivamente più di 15 dipendenti21 è tenuto a informare le organizzazioni sindacali se nel corso della procedura debbono essere assunte “rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori” come nel caso di modifiche che riguardino l’organizzazione di lavoro o lo svolgimento delle prestazioni di lavoro. Tale obbligo di informazione con comunicazione scritta, trasmessa anche tramite PEC, deve essere assolto prima dell’adozione delle misure suscettibili di incidere a vario titolo sui rapporti di lavoro.

Ai soggetti sindacali, quindi, è attribuita la facoltà di chiedere un incontro entro tre giorni dalla ricezione della comunicazione-informativa, con obbligo di iniziare la consultazione con la presenza dell’esperto entro cinque giorni dal ricevimento dell’istanza, dovendosi esaurire tale confronto nell’arco di soli dieci giorni dal suo inizio. Il tutto caratterizzato da un vincolo di riservatezza rispetto alle informazioni “qualificate come tali dal datore di lavoro” ed emerse nella consultazione, e ci  in virtù di un “legittimo interesse dell’impresa”.

In tale ambito, peraltro, l’esperto non pare assumere in modo esplicito un ruolo particolarmente rilevante e infatti non sono presenti indicazioni sulle modalità di gestione dell’incontro, cioè sul ruolo che egli assume come parte della procedura, se non la sola previsione dell’importo del compenso per il lavoro svolto purché risultante dai rapporti redatti dallo stesso facilitatore22.

La composizione negoziata quindi, da un punto di vista giuslavoristico, ruota attorno a quelle rilevanti determinazioni che possono essere assunte nel corso della procedura, ex art. 4, comma 8, rivolte nei confronti di una pluralità di lavoratori e in grado di modificare l’organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni. È il caso, ad esempio, dell’assegnazione a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, ma rientranti nella medesima categoria legale23, quale conseguenza della modifica degli assetti organizzativi aziendali, o come previsione dei contratti collettivi24.

Inoltre, potrebbe essere valutata una pluralità di accordi individuali25, realizzati dinnanzi alle commissioni di certificazione, finalizzati a prevedere modifiche delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento, nonché della retribuzione in ragione dello stato di crisi in cui versa l’impresa e in modo tale da assicurare al lavoratore la conservazione dell’occupazione.

Altre rilevanti determinazioni potrebbero riguardare la necessità di operare il trasferimento individuale o collettivo dei lavoratori, la cui condizione di legittimità risiede per l’appunto nell’esistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttivi26. Queste modifiche che, peraltro, nascono su iniziativa unilaterale del datore, per poi essere sottoposte anche alla valutazione dei soggetti sindacali, incontrano due evidenti nodi e cioè l’eccessiva celerità con cui deve svolgersi la consultazione e, poi, l’esistenza di un vincolo di riservatezza che, in tutta evidenza, incide esclusivamente sulla posizione dei soggetti sindacali. Un’osservazione: sebbene la composizione negoziata sia un procedimento stragiudiziale rafforzato e voglia discostarsi dagli strumenti di regolazione della crisi di tipo giudiziale, è ben comprensibile che possa caratterizzarsi per la celerità ma, in concreto, tempi stretti non possono che defluire in una tutela disequilibrata per i lavoratori nei confronti del datore di lavoro. In altre parole, la consultazione meriterebbe una tempistica più dilatata, perché funzionale alla conoscenza della reale situazione che coinvolge i lavoratori.

In merito poi al vincolo di riservatezza, è necessario sollevare un secondo opinabile aspetto. Dall’informativa sindacale potrebbero essere attivati anche dei contratti collettivi di prossimità27 al fine di realizzare specifiche intese finalizzate alla gestione della crisi aziendale, potendo operare anche in deroga sia alle disposizioni di legge che disciplinano le materie inerenti all’organizzazione del lavoro che alle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Tale ipotesi, nella prassi, dovrebbe realizzarsi a seguito del confronto con i lavoratori, il che mal si concilia con la previsione28 secondo cui le informazioni rese dal datore di lavoro sono soggette al vincolo di riservatezza perché idonee a tutelare l’interesse dell’impresa. Pare affiorare un’aporia interpretativa del Legislatore perché non considera che la partecipazione informata e attiva delle parti sociali è lo strumento dedicato alla realizzazione dei diritti dei lavoratori, e cioè dei diritti sindacali connessi al rapporto di lavoro. A corollario, si aggiunga che la mancata o inesatta informazione dei soggetti sindacali circa le rilevanti determinazioni assunte dall’imprenditore, potrebbe comportare come diretta conseguenza l’attivazione della procedura relativa alla repressione della condotta antisindacale in capo al datore di lavoro29, per aver posto in essere un comportamento idoneo a impedire, o limitare, l’effettivo esercizio dell’attività sindacale.

d) Le procedure sindacali “prevalenti” rispetto a quelle previste dall’art. 4, comma 8, D.l. n. 118/2021

L’art. 4, comma 8, D.l. n. 118/2021, soffre per  di un’applicazione residuale e lo dimostra il fatto che non opera nei molteplici casi in cui il nostro Legislatore abbia previsto specifiche e diverse procedure di informazione e consultazione sindacale.

Di conseguenza non si applica laddove sussistano precisi obblighi di informazione e consultazione, a patto che essi siano già codificati, come nel caso dei licenziamenti collettivi30, della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, o ancora, del trasferimento d’azienda di cui all’art. 2112 c.c.

Si constata quindi che la composizione negoziata della crisi configura una sorta di debolezza sistemica nei confronti delle organizzazioni sindacali chiamate a fornire un contributo “ridotto” in relazione alle eventuali modifiche che, a vario titolo, incidono sui rapporti di lavoro.

e) Il caso del trasferimento d’azienda

Il trasferimento di azienda rientra tra gli atti di straordinaria amministrazione e, da un punto di vista giuslavoristico, rappresenta una delle possibili soluzioni alla crisi aziendale. Al riguardo, l’art 47, L. n. 428/1990, prevede che nel caso di trasferimento d’azienda o di una parte di essa, in cui siano occupati più di quindici lavoratori ed effettuato ai sensi dell’art. 2112 c.c., il cedente ed il cessionario debbano darne comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni prima ai soggetti sindacali. In particolare, dovranno informare le rappresentanze sindacali unitarie o quelle aziendali costituite, a norma dell’art. 19, L. n. 300/1970, nelle unità produttive interessate, nonché i sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento. Come rilevato, questa specifica procedura comporta l’inapplicabilità dell’art. 4, comma 8, D.l. n. 118/2021. Peraltro, nell’ambito della composizione negoziata della crisi, all’imprenditore è concesso trasferire l’azienda, o uno o più dei suoi rami, tramite due precise modalità: 1) in maniera autonoma31, cioè senza richiedere l’autorizzazione del tribunale, dando notizia all’esperto 2) o, nel caso più usuale, muovendosi con l’autorizzazione del tribunale32 ove si sancisce che “il tribunale, su richiesta dell’imprenditore e previa verifica della funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, pu (…) autorizzare l’imprenditore a trasferire in qualunque forma l’azienda o uno o più suoi rami senza gli effetti di cui all’articolo 2560 , secondo comma, del codice civile, dettando le misure ritenute opportune, tenuto conto delle istanze delle parti interessate al fine di tutelare gli interessi coinvolti; resta fermo l’articolo 2112 del codice civile”.

 

IL PAGAMENTO DELLE RETRIBUZIONI DOVUTE PER LE MENSILITÀ ANTECEDENTI AL DEPOSITO DEL RICORSO PER CONCORDATO PREVENTIVO IN CONTINUITÀ

L’art. 20, comma 1, lett. d), D.l. n. 118/2021, ha ampliato l’art. 182- quinquies33 della Legge fallimentare34, prevedendo che il tribunale possa autorizzare il pagamento delle retribuzioni dovute per le mensilità antecedenti al deposito del ricorso ai lavoratori addetti all’attività di cui è prevista la continuazione. Tale modifica mette in luce come i lavoratori possano essere considerati a pieno titolo dei “creditori strategici dell’impresa”, tanto più che il dato letterale della norma, nel momento in cui si riferisce alle c.d. retribuzioni dovute per le mensilità antecedenti, non prevede alcun tipo di vincolo temporale. Assistiamo quindi a un’estensione del regime di intangibilità dei crediti dei lavoratori che, presumibilmente, sarà esteso nelle varie procedure concorsuali, in quanto l’art. 20, comma 1, lett. d), D.l. n. 118/2021 ha avuto il pregio di estendere il campo applicativo dell’art. 182- quinquies della Legge fallimentare, con la conseguenza che debbano essere incorporati anche i crediti dei lavoratori, non più soggetti alla disciplina generale dettata per il pagamento degli altri creditori.

 

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

La composizione negoziata della crisi rappresenta una procedura che tende a valorizzare e tutelare quei diritti dei lavoratori35 che rischiano di essere compromessi a causa dello squilibrio patrimoniale o economico-finanziario dell’impresa e manifesta un’attenzione rinnovata all’occupazione come elemento attivo nel superamento della crisi. Inoltre, l’impianto del D.l. n. 118/2021 è destinato a coordinarsi e integrarsi con la Direttiva Insolvency di prossima attuazione ed è possibile constatare come non emergano deroghe o deviazioni dall’applicazione delle norme del diritto del lavoro, per così dire, ordinario.

Per quanto riguarda, invece, le soluzioni di carattere collettivo, si ravvisa la possibilità di avvalersi dell’art. 8, D.l. n. 138/201136  che permette di realizzare specifiche intese, con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, finalizzate alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali37. Tali intese possono derogare alla legge e ai Ccnl, a condizione di essere sottoscritte da parte delle “associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda”. Inoltre, la procedura di composizione negoziata della crisi potrebbe fare ricorso anche a soluzioni pratiche e operative di carattere individuale38 vale a dire singoli accordi con i lavoratori interessati: la conciliazione in sede protetta potrebbe essere anche intesa come adempimento ulteriore rispetto all’accordo collettivo e avrebbe altresì il pregio di inibire le possibilità di impugnazione39. Coordinare l’istituto della composizione negoziata della crisi (e la relativa procedura di informazione e consultazione sindacale) con gli altri strumenti noti al giuslavorista puo’  rappresentare la corretta modalità per tutelare ogni diritto, derivante dalla prestazione di lavoro, in capo al lavoratore.

 

 

 

* Sintesi dell’articolo pubblicato ne LG, 4/2022, pag. 353 ss. dal titolo Profili di dritto sindacale e del lavoro nella composizione negoziata della crisi.
1. In attuazione della L. delega 19 ottobre 2017, n. 155.
2. Il riferimento è alle disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso
di disoccupazione involontaria, di cui al D.lgs. n. 22/2015, su cui è recentemente intervenuta con alcune
modifiche la L. n. 234/2021 (Legge di Bilancio 2022).
3. Convertito con modificazioni nella L. 21 ottobre 2021, n. 147.

4. Cfr. Ambrosini, La “ falsa partenza” del codice della crisi, le novità del decreto liquidità e il tema dell’insolvenza incolpevole, in www.ilcaso.it.

5. Ambrosini, op. cit., 3, il quale ri-prende le considerazioni della Relazione Illustrativa al Codice della Crisi per evidenziare che “il “siste ma” non era (e non è tuttora) pronto ad affrontare e gestire un’innovazione di tale portata, foriera di effetti oggettivamente incerti, di là dalla bontà della scelta di fondo”.
6. A norma dell’art. 2, D.l. n. 118/2021.
7. L’imprenditore può chiedere la nomina dell’esperto indipendente al Segretario generale della Camera di
commercio, industria, artigianato ed agricoltura nel cui ambito territoriale si trovi la sede legale dell’impresa. L’istanza di nomina dell’esperto indipendente, presentata dall’imprenditore attraverso la piattaforma
telematica di cui all’art. 3 del decreto-legge, deve contenere le informazioni e la documentazione utile ai
fini dello svolgimento dell’incarico da parte del professionista nomina- to, incluso il certificato dei debiti
contributivi e per premi assicurativi di cui all’art. 363, comma 1, D.lgs. n. 14/2019 (in questo senso l’art. 5,
comma 3, lett. g), D.l. n. 118/2021).
8. Cfr., I. Pagni – M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa),
in L. De Simone – M. Fabiani – S. Leuzzi (a cura di), Le nuove misure di regolazione della crisi di impresa, Numero Speciale di Diritto della Crisi, novembre 2021, 12, secondo i quali il trasferimento d’azienda sarebbe
un “conveniente exit per conservare valore all’impresa e mantenere ric-chezza nel mercato, alla condizione
che il ricavato consenta all’imprenditore di gestire l’indebitamento
con accordi col ceto creditorio”; sul
trasferimento d’azienda in sede giudiziale, si legga anche L. De Simo- ne, Le autorizzazioni giudiziali, in L. De Simone – M. Fabiani – S.Leuzzi (a cura di), op. cit., 65 ss..
9. L’art. 3, D.l. n. 118/20021, al fine di verificare la ragionevole perseguibilità del risanamento dell’impresa istituisce una piattaforma telematica, accessibile dal sito Internet  della competente CCIAA, utilizzabile da parte dell’imprenditore e del professionista incaricato. Nella piattaforma sono riportate le indicazioni operative per la redazione del piano di risanamento, ed è prevista la possibilità di effettuare un test di auto-diagnosi che consenta
di verificare la situazione dell’impresa e l’effettiva perseguibilità del risanamento stesso.
10. Art. 5, comma 5, D.l. n. 118/2021.
11. Nel caso in cui, decorsi 180 giorni dall’accettazione dell’incarico, non siano individuate soluzioni adeguate alla risoluzione delle condizioni di squilibrio, l’incarico dell’esperto si considera concluso. Si badi, però, che l’incarico potrebbe proseguire sia su istanza delle parti sia nel caso in cui l’imprenditore richieda al Tribunale l’applicazione di misure protettive del patrimonio, autorizzazioni a contrarre finanziamenti o a trasferire l’azienda.

12. Artt. 6, 7 e 14, D.l. n. 118/2021.

13. Cfr. L. Stanghellini, La legislazio- ne d’emergenza in materia di crisi d’impresa, in Riv. Società, 2020, 357.
14. Il concetto di “selezione avversa” è stato teorizzato da G. Akerlof, The market for Lemons: Quality Uncertainty and the Market Mechanism, The Quarterly Journal of Economics, Vol. 84, No. 3 (Aug., 1970), 488-500.
15. Ciò perché il nostro legislatore in- tende realizzare la conservazione dell’impresa in un contesto di tipo
privatistico, in cui l’autorità non abbia funzioni di controllo. Le perplessità dell’autore sono altresì evidenziate dal seguente rilievo: il “nuovo” diventa così autoreferenziale; tutto ciò che si distacca dal passato così si autolegittima, addirittura presentandosi come “necessario”, così D. Galletti, Breve storia di una (contro)riforma annunciata, ne Il Fallimentarista, Focus del 1° settembre 2021, 7.
16. Così si esprime ancora D. Galletti, Breve storia di una (contro)riforma, cit., 1; l’autore precisa come “D’altro
canto non è certo un segreto come  interi strati del tessuto economico italiano avessero “preso di mira” da
tempo il CCII, considerato “indigesto” per un’imprenditoria da sempre “allergica” ad ogni forma di intromissione negli interna corporis dell’impresa, ed incline a considerare qualsiasi forma di controllo come un puro
costo, e mai uno strumento per investire in termini di efficienza”.
17. Art. 6, comma 1, D.L. n. 118/2021.
18. Art. 6, comma 3, D.L. n. 118/2021.
19. Art. 10, comma 2, D.l. n. 118/2021.
20. Interessante il rilievo sollevato da F. Aprile, Osservazioni chiaroscurali sui risvolti giuslavoristici della
procedura di composizione negoziata, in Diritto della Crisi, 3 novembre 2021, il quale nota che “lavoro di- pendente” è espressione poco rilevante rispetto al concetto giuridico di “lavoro subordinato”, chiedendosi se “in tale novero stanno pure quei rapporti collaborativi (anche “digitalizzati”) ai quali, a norma dell’art. 2, comma 1, D.lgs. n. 81/2015, si ap- plica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato”.
21. F. Aprile, Osservazioni chiaroscurali …, cit., secondo il quale “L’avverbio “complessivamente” sa un po’ di
pleonastico se, come è lecito ipotizza- re, rimanda implicitamente all’art. 18, comma 8, Statuto dei Lavoratori
(cui può riconoscersi una portata indicativa generale), secondo il quale i quindici dipendenti rilevano qualora
occupati “in ciascuna sede, stabili- mento, filiale, ufficio o reparto auto- nomo” in cui si articola l’impresa interessata, oppure quando quest’ultima li occupa nell’ambito dello stesso comune […], anche se ciascuna unità
produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti”.

22. Art. 16, comma 4, D.l. n. 118/2021.
23. Art. 2103 c.c., comma 3.
24. Art. 2103 c.c., comma 4.
25. Art. 2013 c.c., comma 6.
26. Art. 2103 c.c., comma 8.
27. Ai sensi dell’art. 8, D.l. n. 138/2011.

28. Art. 4, comma 8, D.l. n. 118/2021.
29. Art. 28, L. n. 300/1970.
30. Ai sensi della L. n. 223/1991.
31. Art. 9, D.L. n. 118/2021 .
32. Art. 10, comma 1, D.L. n. 118/2021.

33. Tale norma, nell’ambito del concordato con continuità aziendale, ammette la possibilità di pagare crediti anteriori per pre- stazioni di beni o servizi, previa autorizzazione del Tribunale ed a condizione che un professionista,
a sua volta in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett.d), l.fall. , attesti che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell’attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori.
34. R.D. 16 marzo 1942, n. 267.
35. Cfr. A. Farolfi, Brevi osservazioni sui profili giuslavoristici del d.l. n. 118/2021, in Lavoro Diritti Europa, 4, 2021, 14.
36. L’art. 8, D.L. n. 138/2011, ha introdotto una “riforma equilibrata” che permette alla contrattazione di effettuare “scambi negoziali virtuosi”, così M. Tiraboschi, L’articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138: una prima attuazione dello “Statuto dei lavori” di Marco Biagi, in Dir. rel. ind., 2012, 1, 90.

37. A tale fine, merita attenzione l’ipotesi di F. Aprile, Osservazioni chiaroscurali …, cit., secondo il quale le intese di prossimità “po- tendo essere finalizzate “alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali”, offrono il duplice e
innegabile vantaggio di disporre di estesa efficacia derogatoria – anche peggiorativa – sugli eventuali vincoli legislativi e collettivi sussistenti nelle materie oggetto della determinazione datoriale e di svolgere efficacia vincolante, se sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle rappresentanze sindacali, “nei confronti di tutti i lavoratori interessati”, e quindi anche di coloro che non aderiscono ai sindacati firmatari”.
38. Art. 2113 c.c., comma 4.
39. Più precisamente, fra le conciliazioni sottratte al regime di invalidità di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 2113 c.c., rientra anche la conciliazione avanti le Commissioni di certificazione  di lavoro.

 

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