IL TIROCINIO COME SPECCHIO DELLA REGOLAZIONE al di fuori della dicotomia autonomia-subordinazione

Marco Tuscano, Consulente del lavoro in Brescia

L’ACCOSTAMENTO DELLA PERSONA AL LAVORO: LA DICOTOMIA AUTONOMIA E SUBORDINAZIONE

Disquisire di diritto del lavoro, generalmente, significa trattare strettamente di quanto attiene alla tutela del lavoro subordinato1 , di tutto ciò che consente, quindi, di assicurare le necessarie forme di protezione per il lavoratore dipendente, soggetto alla eterodirezione del datore di lavoro e pertanto parte debole nel rapporto di lavoro.
A ben osservare, non mancano filoni dottrinali che ascrivono al diritto del lavoro anche altri ambiti, ipotizzandone talora una sua estensione, talaltra un suo aggiornamento2 , e, per dovere di precisione, va chiarito che in dottrina di sovente si è sollevato il problema dell’inefficienza qualificatoria delle disposizioni di cui all’art. 2094 cod. civ.3 , anche con riferimento all’evoluzione del mondo del lavoro e delle modalità di resa dello stesso4 .
Ad ogni modo, rifacendosi anche al percorso storico della tutela del lavoro, si può affermare che il diritto del lavoro sia quel diritto nato e cresciuto per garantire (almeno negli intenti) le tutele necessarie per il rapporto di lavoro subordinato, sommariamente riuscendovi.
Va da sé, quindi, che le prestazioni di lavoro al di fuori della subordinazione non ricadono nell’insieme delle protezioni fornite dal diritto del lavoro, sebbene, a tal proposito, non si possa che richiamare il principio dell’indisponibilità del tipo contrattuale: ultimo appiglio per quelle prestazioni di lavoro con un diverso nomen iuris, ma che di fatto si svolgono nelle tipiche modalità del lavoro subordinato5 , da valutare anche secondo quegli indici periodicamente individuati dalla giurisprudenza6.
Sintetizzando, il principio dell’indisponibilità del tipo contrattuale implica che “alle parti non è consentito scegliere il tipo contrattuale nel senso di escludere l’applicazione del diritto del lavoro laddove le modalità di esecuzione
presentino i tratti tipici della subordinazione”7 .
Ovviamente, vivere al di fuori della subordinazione non implica l’assenza di tutela alcuna, sebbene vada  affermato che, innegabilmente, il grado di protezione, al di fuori di quest’ambito, sia sensibilmente ridotto8 .
Nel nostro ordinamento giuridico, infatti, in via prioritaria, vi è certamente un’altra faccia della medaglia da dover considerare, ossia il lavoro reso in modalità autonoma, enunciato dall’art. 2222 cod. civ., storicamente in antitesi rispetto alla subordinazione, pur anch’esso soggetto a peculiari protezioni.
Da una parte, pertanto, si può affermare che vi sia il diritto del lavoro, dall’altra un diritto per il lavoro autonomo (o “disciplina del lavoro autonomo” 9 ), composto da tutele diverse e specifiche, ovvero quelle contenute, in particolar modo, nello  Statuto del lavoro autonomo (L. n. 81/2017), così come talvolta definito10.

Non è errato, a tal proposito, parlare di sostanziale dicotomia, o di assetto binario come già definito in dottrina11. Sintomatiche, a tal proposito, sono le parole consegnate da giurisprudenza ormai nota: “ogni attività umana
economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo, […] l’elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione”12.
A ben osservare, la rilevanza della dicotomia in analisi è peraltro confermata dall’avvento di alcune particolari tipologie contrattuali, non apparentemente riconducibili (perlomeno in via immediata) all’alveo del lavoro subordinato o autonomo. Si fa riferimento, in particolare, alle collaborazioni di cui all’art. 409, comma 3, c.p.c., ovvero a quella parasubordinazione che taluno attribuì inizialmente ad un teorico a sé stante tertium genus (il
terzo, quindi, oltre la citata dicotomia). Tali forme di lavoro, in tutta evidenza, hanno manifestato invece la necessità di richiamarsi nuovamente alla bipartizione “autonomiasubordinazione”, sia al fine di una loro plausibile catalogazione (generalmente all’alveo del lavoro autonomo13), sia al fine di garantire sufficienti tutele per il lavoratore, di fatto appoggiandosi alle protezioni tipiche del lavoro subordinato in presenza dei requisiti necessari
(si veda a tal proposito l’art. 2, comma 1, D.lgs. n. 81/201514).
Anche valutando, quindi, queste forme di lavoro del tutto peculiari, appare evidente come la suddetta dicotomia si sia rivelata un perpetuo punto di riferimento, soprattutto allo scopo di riconoscere un appropriato meccanismo di tutele che fosse confacente ai dettami costituzionali.
In conclusione, nel valutare l’accostamento della persona al lavoro, e le sue necessarie protezioni, certamente difficile per il giuslavorista appare abbandonare la logica binaria tipica del nostro ordinamento giuridico15, sebbene le considerazioni non possano necessariamente fermarsi a questo punto.

IL LAVORO SENZA CONTRATTO
A questo punto della riflessione, preme notare che le surrichiamate modalità di accostamento della persona al lavoro trovano la loro effettiva genesi in un contratto e, a tal proposito, pare necessario sottolineare che la dottrina maggioritaria ritiene che il rapporto di lavoro in genere, o perlomeno quello appartenente alle tradizionali forme di lavoro, abbia un’origine puramente contrattuale16.
Eppure, non si può dimenticare che esiste un bacino di forme lavorative diverse, le quali, evidentemente ed empiricamente, non trovano la loro fonte in un contratto tra le parti, pur concretizzandosi, a tutti gli effetti, nella
resa di un’attività lavorativa. Le stesse, con una mera esigenza classificatoria, possono essere ascritte alla macrocategoria del lavoro senza contratto, intendendosi per tale l’intero alveo di quelle esperienze lavorative rese al di fuori di un preciso vincolo contrattuale. A titolo esemplificativo, tra queste forme di lavoro è possibile identificare l’intero complesso dei tirocini (tra cui quello curricolare e quello extracurricolare), regolamentati tramite convenzioni e progetti formativi, il contratto di prestazione occasionale di cui all’art. 54-bis, L. n. 96/2017 (che contratto invero non è), che trova la sua regolamentazione e attuazione tramite una piattaforma online e non di certo in un contratto17, oppure il periodo di pratica professionale, altrimenti detto praticantato, anch’esso ascrivibile all’alveo dei tirocini18, se non anche il compartimento del lavoro familiare reso affectionis vel benevolentiae causa.
Come evidente, nelle circostanze summenzionate  è certamente possibile identificare la resa di una prestazione di lavoro, con specifici e peculiari vincoli giuridici19, sebbene questi ultimi non scaturiscano dalle rigide maglie
di un contratto di lavoro e, quindi, da un reale animus contrahendi delle parti.
Orbene, vi è da chiarire, in conclusione, che i lavoratori appartenenti a tale bacino appaiono spesso  insufficientemente tutelati, vuoi per la frequentissima assenza di significative tutele pensionistico-previdenziali, vuoi per la innegabile precarietà che contraddistingue tali prestazioni. Come a dire che, superando i confini della citata dicotomia, il lavoro non sia meritevole di rilevanti tutele. Peraltro, a tal proposito, la dottrina più volte ha rimarcato la necessità di istituire sufficienti protezioni anche per questa gamma di esperienze lavorative non standard 20, finanche rivisitando completamente larga parte degli istituti21, così da combattere l’istituzionalizzazione del lavoro povero e la diffusione dei cosiddetti working poors.

IL TIROCINIO COME SPECCHIO DELLA REGOLAMENTAZIONE AL DI FUORI DELLA DICOTOMIA
Un’analisi empirica, certamente, può coadiuvare la comprensione delle generali criticità che appartengono al lavoro che vive oltre i confini dell’autonomia e della subordinazione. Da qui l’esigenza di scegliere e valutare con occhio critico una specifica forma di lavoro  senza contratto.
Come si vedrà, gran parte delle criticità rilevate non riguardano, unicamente, le specifiche tutele previste, la loro natura e la loro estensione, ma spesso, bensì, la carente qualità della regolazione, che poi, di conseguenza, sfocia in situazioni di insufficiente protezione per il lavoratore debole22. In particolare, si prenderà qui a riferimento il tirocinio extracurricolare, da definirsi oggi “un percorso formativo di alternanza tra studio e lavoro, finalizzato all’orientamento e alla formazione professionale, anche per migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro”23,
evidentemente, ma anche per espressa previsione24, da non considerarsi lavoro subordinato.
Innanzi a tutto, preme chiarire che, per le forme di lavoro acontrattuali, il già richiamato principio dell’indisponibilità del tipo contrattuale risulta assai depotenziato; proprio perché, in tali casi, è il Legislatore a dire cosa il lavoro sia, o meglio non sia, attenuando il potere riqualificatorio, essenza del principio25.
In altre parole, abbandonando la logica del contratto di lavoro, e finendo al di fuori dei confini di autonomia e subordinazione, si pone il problema della necessaria rivisitazione della portata del suddetto principio, poiché
il Legislatore, in buona sostanza, converge prioritariamente sull’importanza del nomen iuris, più che sulle modalità effettive di svolgimento della prestazione26.
A tal proposito, va considerato che il tirocinio consente, se non addirittura esige27, la resa di attività lavorativa, anche sotto una certa direzione del datore di lavoro (qui soggetto ospitante)28, nonostante non sia per espressa previsione, come visto, da considerarsi lavoro subordinato. Certo, non va dimenticato che, ex lege, “il tirocinio […] non può essere utilizzato in sostituzione di lavoro dipendente”29, e che la giurisprudenza più volte ha consegnato dei parametri per identificare una prestazione ascrivibile alla subordinazione (ad esempio, l’assenza di formazione o la ripetitività ed elementarità dei compiti assegnati), eppure il rischio di cadere in situazioni di abuso appare permanente e difficilmente scardinabile se si considera l’“economicità” dello strumento rispetto ad un ordinario rapporto di lavoro. A titolo esemplificativo, è previsto un semplice rimborso spese per l’attività lavorativa (non paragonabile alla retribuzione di cui all’art. 36, Cost.) e non vi sono costi pensionistico- previdenziali, posto che non vi è una tutela pensionistico-previdenziale per il tirocinante. Il rischio è, in tutta evidenza, quello di trovarsi
di fronte alla legittimazione di un lavoro dal corrispettivo povero, e povero di tutele: una beffa. Una prospettiva inaccettabile poiché del tutto antitetica rispetto ai sacri principi sanciti dalla nostra Costituzione. Tuttavia, pare difficile in poche righe affrontare nello specifico la discussione sulla natura dello strumento, e sulle tutele per esso previste, se non anche sulla reale necessità che debba esistere un tirocinio dall’essenza extracurricolare30, volendosi invece focalizzare l’attenzione sulla inadeguatezza dell’intero impianto regolatorio, il quale certamente denota la poca attenzione rivolta nei confronti del lavoro oltre i confini dell’autonomia e della subordinazione. A tal proposito, si considerino le ultime previsioni normative da parte della Legge di Bilancio 2022, con le quali il Legislatore ha voluto porre le basi per una riforma del tirocinio tramite specifiche e dettagliate disposizioni. Ebbene, tali disposizioni, in primis, sono parse da subito in contrasto con precedenti pronunce della Corte costituzionale (non vi può essere, infatti, una “indebita invasione dello Stato in una materia di competenza residuale delle Regioni”31), in secundis hanno evidenziato la scarsa attenzione riposta nella loro trascrizione. Si noti infatti come all’art. 1,  comma 724, (forse involontariamente?) sia stata prevista l’obbligatorietà della comunicazione obbligatoria Unilav per il tirocinio in genere, e non unicamente per quello extracurricolare, in totale controtendenza rispetto a quanto previsto dalla nota M.L.P.S. n. 4746/2007, la quale prevedeva di “escludere l’obbligo di comunicazione per i tirocini promossi
da soggetti ed istituzioni formative a favore dei propri studenti ed allievi frequentanti, per realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro”. Tuttavia, successivamente, con nota n. 530/2022 l’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) ha chiarito che, in merito all’obbligo di comunicazione preventiva, “si ritiene, in coerenza con i precedenti orientamenti, che lo stesso riguardi unicamente i tirocini extracurriculari”; anche se, agli occhi del giuslavorista, il verbo ritenere non pare equiparabile al verbo legiferare.
E, richiamandosi proprio all’intervento dell’Inl summenzionato, preme sottolineare la sempre forte incidenza che la prassi amministrativa ha avuto nel settore: sempre decisiva per determinare i corretti perimetri dello strumento. A titolo esemplificativo, si veda la circolare Inl n. 08/2018 in tema di riqualificazione del rapporto.
Ivi si afferma, tra le molte precisazioni, che la “corresponsione significativa e non episodica di somme ulteriori rispetto a quanto previsto nel PFI” può essere causa di riqualificazione del rapporto: tale specifica, invero, appare
più sostanziale che chiarificatrice ai fini della corretta gestione del rapporto.
Come evidente, una così forte rilevanza della prassi amministrativa può essere foriera di criticità non indifferenti, oltreché manifestare una presumibile insufficienza regolatoria. A tal proposito, non pare fuori fuoco richiamarsi
a quanto avvenuto nelle circostanze del bonus 200 € di cui al D.l. n. 50/2022, ovvero alle incongruenze manifestatesi tra passi e norma32 e alle notevoli difficoltà causate tanto agli operatori, quanto ai lavoratori. In aggiunta,
va notato che in dottrina si è già più volte  evidenziato, anche se per altri ambiti, come la prassi amministrativa sia servita, di frequente, per supplire al silenzio del Legislatore33, a volte manifestando, peraltro, un problema di
coerenza con le disposizioni normative34. Orbene, come se quanto illustrato non fosse sufficiente, va da ultimo evidenziato un ripetuto (e smodato) ricorso alle Faq, le quali, spesso, hanno consegnato informazioni da
considerarsi imprescindibili. A tal proposito, si vedano le Faq fornite dal Sito Cliclavoro in materia di Tirocini formativi e di orientamento35, ma anche quelle fornite, molto spesso, dalle singole regioni36. Sulle Faq, tuttavia, preme riportare quanto deciso dai giudici del Consiglio di Stato con sentenza n. 1275/2021: “In linea generale,
occorre prendere atto del sempre maggiore ricorso da parte delle pubbliche amministrazioni alle Frequently Asked Questions (FAQ) […]. Si tratta di una serie di risposte alle domande che sono state poste (o potrebbero essere
poste) […]. In tal modo viene data risposta pubblica, su un sito web, a interrogativi ricorrenti, sì da chiarire erga omnes e pubblicamente le questioni poste con maggiore frequenza. Il ricorso alle FAQ, evidentemente, è
normalmente da ricondurre a esigenze di trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione e di economicità della medesima. […]. Tuttavia, non si può neppure dimenticare che le FAQ sono sconosciute all’ordinamento
giuridico, in particolare all’art. 1 delle preleggi al Codice civile. Esse svolgono una funzione eminentemente pratica […]. È quindi da escludere che le risposte alle FAQ possano essere assimilate a una fonte del diritto, né primaria, né secondaria. Neppure possono essere considerate affini alle circolari, dal momento che non costituiscono un
obbligo interno per gli organi amministrativi. In difetto dei necessari presupposti legali, esse non possono costituire neppure atti di interpretazione autentica”.
In tutta evidenza, l’emanazione delle perigliose Faq manifesta l’incontrovertibile necessità di meglio chiarire e perimetrare i confini dello strumento, quest’ultimo presumibilmente maldisciplinato ab origine dalla norma.

CONCLUSIONI
Si è testé trattato, in particolare, di tirocinio extracurricolare, invero, si badi bene, la carenza di tutele appare caratteristica intrinseca di tutto quelle forme di lavoro che abbandonano la logica contrattuale e che vivono al di
fuori del caldo abbraccio delle protezioni tipiche della subordinazione, se non anche di quelle specifiche per il lavoro autonomo. Prendere atto della carenza di tutele, come si è visto, non è però sufficiente. Urge infatti, in primis, interrogarsi sulle modalità con cui il lavoro acontrattuale viene regolamentato, ovvero sulla attenzione e sulla tecnica riposte dal Legislatore nei confronti di quest’alveo. Come ormai chiaro, il bacino del lavoro senza contratto molto spesso pare bistrattato, “Eppure, si tratta di lavoro, la cui tutela «in tutte le sue forme» è garantita dall’art. 35 Cost”37. In apertura si è discusso della sostanziale dicotomia che permea il nostro ordinamento giuridico. Al di là delle discussioni forse squisitamente dottrinali riguardanti la definizione di “diritto del lavoro”, o la presumibilmente
evidente necessità di allargamento del suo perimetro, piuttosto sembra doveroso riconoscere, innanzi a tutto, la dignità per il lavoro in quanto tale.
La necessità di un’evoluzione generale, quindi, verso un diritto delle “relazioni personali di lavoro”38, o “del mercato del lavoro”, che sfoci in una nuova “cultura del diritto del lavoro” 39 in cui si riesca pienamente a garantire
la tutela dei più deboli al cospetto dei più forti40, indubbiamente tramite più certezze e minori ambiguità.

 

1. Cfr. ex multis M. Roccella, Manuale di diritto del lavoro, Giappichelli Editore, e M. V. Ballestrero, La dicotomia autonomia/subordinazione.
Uno sguardo in prospettiva, Labour & Law Issues, vol. 6, no. 2, 2020.
2. Cfr. sulla questione M. V. Ballestrero, La dicotomia autonomia/subordinazione. Uno sguardo in prospettiva, cit.. 3. Ibidem.
4. Cfr. ex multis M. Pallini, La subordinazione è morta! Lunga vita alla subordinazione!, Labour & Law Issues, vol. 6, no. 2, 2020.
5. Cfr. Corte costituzionale n. 121/1993 e n. 115/1994, in dottrina M. V. Ballestrero, Brevi note sulla dialettica tra posizioni contrattualistiche e acontrattualistiche, in Lavoro Diritti Europa n. 2020/3.
6. A titolo esemplificativo si veda la recente ordinanza n. 22846/2022 della Corte di Cassazione.
7. Così M. V. Ballestrero, Brevi note sulla dialettica tra posizioni contrattualistiche e a-contrattualistiche, cit., p. 7.
8. Cfr. A. Perulli, Il diritto del lavoro e il “problema” della subordinazione, Labour & Law Issues, vol. 6, no. 2, 2020, p. I.103. In aggiunta, per uno studio delle tutele al di fuori del contratto di lavoro, mi si permetta di rimandare a M. Tuscano, il lavoro senza contratto, Adapt University Press.
9. Così M. V. Ballestrero, La dicotomia autonomia/subordinazione. Uno sguardo in prospettiva,
cit,, p. I.14.
10. Cfr. ex multis M. V. Ballestrero, op. cit. e G. Cavallini, Il «nuovo» lavoro autonomo dopo la stagione delle riforme, Lavoro@confronto.

11. Cfr. A. Perulli, op. cit..
12. Cfr. ex multis Corte di Cassazione n. 9251/2010.
13. Cfr. in dottrina M. V. Ballestrero.
14. Il quale recita: “A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui
modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
15. A tal proposito, si veda nuovamente M. V. Ballestrero che non condivide un teorico superamento della dicotomia in analisi, in La dicotomia autonomia/subordinazione. Uno sguardo in prospettiva, cit,, p. I.14.
16. Cfr. M. V. Ballestrero, Brevi note sulla dialettica tra posizioni contrattualistiche e a-contrattualistiche, cit. e M. Roccella, op. cit..
17. Cfr. V. Pinto, Prestazioni occasionali e modalità agevolate di impiego tra passato e futuro, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 343/2017.
18. Cfr. in dottrina ex multis L. Casano.

30. Molto spesso in dottrina si è sollevato  il problema di come il tirocinio possa depotenziare la possibilità di  inserimento del giovane nel mondo del lavoro tramite un vero e proprio contratto, ad esempio di apprendistato.
Cfr. ex multis M. Tiraboschi, Persona e lavoro tra tutele e mercato, cit..

31. Cfr. sentenza n. 287/2012, Corte costituzionale.
32. Cfr. ex multis A. Borella, L’indennità una tantum di 200 euro ai dipendenti. Chiarimenti inps in ordine
sparso, in Sintesi n. 06/2022.
33. Cfr. I. Corso, La c.d. maxisanzione: elementi caratterizzanti e ambito di applicazione della fattispecie sanzionata,
in Legalità e rapporti di lavoro, Incentivi e sanzioni, a cura di M. Brollo, C. Cester, L. Menghini, EUT, p. 456.
34. Ibidem, pp. 461 e 462.

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Ciò che autonomo non è

Andrea Asnaghi – Consulente del Lavoro in Paderno Dugnano

 

Il titolo di questo contributo vuole essere simpaticamente provocatorio e tende a parafrasare il nome che gli amici di Adapt hanno dato una serie di riflessioni e convegni il cui contenuto* (senza volerne sminuire la ricchezza, come è costretta a fare una definizione sintetica) è sostanzialmente riconducibile alla domanda se l’evoluzione in atto, sulla spinta di molti fattori, nel mondo del lavoro renda ancora attuale la distinzione classica fra lavoro autonomo e subordinato, chiedendosi nel contempo se è giustificata l’ossessione dell’attuale legislatore italiano per il lavoro subordinato a tempo indeterminato come promozione dell’occupazione stabile e di qualità.
La questione posta è solo sotto un certo profilo abbastanza retorica, in quanto le risposte sono già insite nella domanda, e non possono che essere negative:

  • la subordinazione è nozione che si stempera oggi nelle mille e mille sfaccettature in cui la prestazione personale può essere svolta ed il concetto, quantomeno nella sua accezione classica, è pertanto imploso da (molto) tempo;
  • l’occupazione stabile e di qualità ha come veri fattori trainanti la formazione, una progettazione economico-industriale seria ed efficaci strumenti e strutture di ricollocazione e di reinserimento al lavoro, non certo il totem “posto fisso” che, vista anche l’estrema mutevolezza delle competenze, davvero rischia di essere una pura chimera (e lo stesso dicasi della paventata – e catastrofica – reintroduzione del vecchio art. 18).

Anche le definizioni con cui il legislatore ha tentato via via di affrontare la materia autonomia/subordinazione non hanno raggiunto risultati apprezzabili: la norma sul lavoro a progetto è, a parere di chi scrive il capitolo meno azzeccato del D.lgs. n. 276/2003 (non aderendo tuttavia all’acritica accusa ideologica, e finanche assassina, che in quel capitolo ha voluto vedere la causa di certa dilagante precarietà, e non un tentativo di arginarla); la riforma Fornero ne ha inasprito le parti più critiche, peggiorando le cose; vari progetti di riforma si sono incagliati, nel merito, su una definizione accettabile del concetto di dipendenza economica; l’art. 2 del D.lgs. n. 81/2015 nel voler fare un passo avanti ha fatto un mezzo passo indietro (con tanto di interpretazioni contrastanti e relativo contenzioso).
Tuttavia, una volta chiarito che il legislatore è ancora una volta a metà del guado (se non in mezzo ad una palude) rimane l’interrogativo su come interpretare e regolare sotto un profilo giuridico l’ibridazione (almeno apparente) fra lavoro autonomo e subordinato ricorrente in buona parte delle prestazioni odierne e sempre più attuale.
Il lavoro del futuro è un lavoro che si sposta davvero verso l’autonomia? E, soprattutto, di quale autonomia stiamo parlando? Nel panorama giuridico e lavorativo italiano, cosa possiamo permetterci?
Una certa riflessione giuslavoristica, nel riscontrare e valorizzare questa tendenza all’autonomia e le problematiche connesse nel mercato del lavoro italiano, ha proposto di arrivare ad un superamento parziale della distinzione classica attraverso l’elaborazione di uno statuto dei lavori, cioè di un corpus di norme comuni applicabili egualmente al lavoro autonomo ed al lavoro subordinato personale, professionale o meno che sia.
Le difficoltà da questo punto di vista sono molteplici e non sono mai state ad oggi risolte, in parte per la difficoltà del legislatore ad entrare in un ruolo di comprensione e definizione del lavoro autonomo, anzi direi, proprio perché il lavoro autonomo personale, in questa riflessione, non è mai stato centrato ed è stato visto piuttosto come il contraltare del lavoro subordinato classico.
I nodi di questa incomprensione sono tanti e sono sotto gli occhi di tutti; solo per ricordarne qualcuno diverso dai soliti potremmo ricordare le difficoltà odierne di classificazione (e conseguentemente del loro inquadramento anche sotto il profilo assicurativo) del ruolo dei soci che lavorano in un’impresa o degli amministratori che vi prestano attività, oppure dei familiari, o ancora dei soci di cooperativa. La dottrina la prassi ed anche l’elaborazione giurisprudenziale sembrano ben lontani dall’aver trovato punti di equilibrio. Oggi vi sono prestazioni che, nel panorama giuridico attuale, sotto un profilo meramente definitorio, spostando qualche virgola e pochi elementi fattuali, possono essere inquadrati in regime di: impresa individuale, lavoro autonomo, collaborazione personale e lavoro agile. Con tanto di apertura al contenzioso ed agli abusi, legalizzati o meno che siano.
Ma anche con il rischio di arrivare agli assurdi come quello della sentenza del 29 novembre 2017 della Corte di Giustizia europea (causa C-214/16) sul diritto di un lavoratore “autonomo” alle ferie retribuite, che non gli sarebbero state concesse dall’azienda. La domanda sorge spontanea: se la determinazione di una cosa così importante come le ferie era rimessa all’azienda, di quale autonomia stiamo parlando? Ma a tale assurdo arriveremo presto anche in Italia, con il lavoratore “autonomo” coordinato e continuativo a cui (in caso di etero-organizzazione) si applica la medesima disciplina (anche previdenziale) del lavoro subordinato: il che è corretto, infatti in tal caso l’autonomia si diluisce (ma allora perché denominarlo autonomo?).
Volendo usare un principio regolatore e discriminante, ad avviso di chi scrive sarebbe logico ribaltare il concetto e porre questo assioma: “tutto ciò che non è realmente autonomo è subordinato”.
Ora, la definizione di lavoro autonomo e di autonomia, prima ancora che giuridica, è filosofico-sociale: il lavoratore autonomo è un piccolo, anzi minimo, imprenditore di se stesso. Nel panorama economico ha scelto di stare per conto suo, in forza di un progetto professionale con il quale ritiene di poter condurre la propria attività con vantaggi dal punto di vista economico e personale, e per farlo, sceglie, adotta ed usa a proprio rischio tutti i mezzi–pochi o tanti che siano – che sono necessari alla sua attività (che non è, pertanto, una mera ”prestazione”).
Di contro, il lavoratore subordinato è uno che tale progetto non ha e che tali rischi, conseguentemente, non vuole (o non vorrebbe) assumere.
Fuori da queste definizioni, che cosa resta? Con tutta onestà, un “subordinato mascherato” , ove il nascondimento risponde a precise esigenze di natura economica volte ad eludere alcuni vincoli, oneri e costi tipicamente riferiti al lavoro subordinato o, talvolta, al lavoro autonomo (in taluni casi, con vantaggio anche del prestatore). Vincoli ed oneri dei quali la rincorsa all’elusione rappresenta una caratteristica di spicco nel nostro Paese, basti pensare agli enormi settori inquinati da terziarizzazioni fittizie, contrattazioni pirata e contratti di dubbio spessore (tanto per fare un esempio: si vuole negare che i lavoratori dei call center, senza distinzione fra inbound ed outbound, oppure fra contrattualizzati e non contrattualizzati, siano dei lavoratori subordinati a tutti gli effetti?). È quindi non scontata la domanda se ci possiamo permettere definizioni troppo ampie e vaghe, se non vogliamo trovarci ulteriormente di fronte ad avvisi di ricerca del personale del tipo “assumiamo solo con partita IVA”, che non è una mera terminologia errata ma un modo errato di pensare e riguarda peraltro non solo le partite IVA ma ingenti settori piccolo-imprenditoriali.

Vi è parallelamente l’emergere obiettivo di un tertium genus, il cui carattere definitorio non si gioca tuttavia principalmente sul divario fra autonomia e subordinazione, ma piuttosto sulla “modica quantità” ed in buona parte quindi sulla anomalia o discontinuità della prestazione: oggi tali attività sono confinate, nella espressione più nobile e fuori da contesti illeciti, nelle attività regolate dai PrestO e/o lavoro occasionale, oppure dal lavoro a chiamata (che, al di là degli aspetti definitori, non è lavoro subordinato in senso stretto difettando, almeno in quello senza disponibilità, del sinallagma classico del lavoro subordinato). A tali attività si aggiungono, e potrebbero essere ugualmente regolate in tali nicchie, quelle attività che riguardano le nuove frontiere del lavoro, soprattutto nell’ambito, vastissimo e dilagante, della sharing economy.
Fuori dalla alternativa subordinato-autonomo rimarrebbero così davvero pochi e ristretti ambiti specialistici, il cui rapporto potrebbe riguardare normazioni speciali ad hoc.
Ovviamente insistere sulla distinzione fra autonomia e subordinazione sarebbe possibile oggi solo a patto di procedere in altre due direzioni, oltre ad una coraggiosa e puntuale definizione di autonomia:da una parte, costruire un nucleo di tutele mirate (e quindi impossibili da ibridare con quelle del lavoro subordinato) sul lavoro autonomo, compreso quello professionale e piccolo imprenditoriale, volte a garantire a tali figure, spesso economicamente deboli, condizioni eque ed un minimo di protezione sociale;dall’altra, attuare una politica seria di revisione del lavoro subordinato, ampliando il concetto classico di subordinazione al punto di farvi ricomprendere una vasta area di attività che oggi presentano tratti di autonomia operativa e di assunzione di responsabilità (attraverso meccanismi di retribuzione variabile e/o legata in parte ad obiettivi) e nel contempo diminuendo in maniera adeguata costi ed oneri relativi al lavoro subordinato, anche attraverso un riequilibrio delle tutele che oggi appaiono troppo sbilanciate, peraltro a volte in un senso e a volte nell’altro.
Il tutto, ovviamente, entro un quadro di politiche economiche e lavorative che investano, ed invitino le aziende ad investire, nei fattori trainanti (formazione e ricerca), nonché con una seria attività di ricollocazione e sostegno al reddito. E magari, perché no, anche con controlli più efficaci.
Il che sarebbe quello che il legislatore del Jobs Act probabilmente si proponeva almeno in parte di fare (si pensi ad esempio alla recente L. n. 81/2017 sul lavoro autonomo e sul lavoro agile) non fosse che molti tentativi in queste direzioni si siano rivelati troppo timidi, oppure contraddittori, o ancora inefficaci, improvvisati (malgrado un’apparente organicità), e talvolta più rivolti ad un battage ideologico/pubblicitario di pronta resa che non ad un progetto mirato, o persino sensibili ad interessi ben precisi.
C’è in ogni caso e prima di tutto (di qualsiasi nuova riforma: chiediamo un periodo sabbatico!) l’urgente necessità di una presa di coscienza collettiva sul significato del lavoro e del suo spessore nel contesto umano e sociale, e lo stesso dicasi per il concetto di impresa. Tanto per fare un esempio, continuare ideologicamente a pensare che questi siano e debbano rimanere ambiti contrapposti contribuisce ad alimentare una vasta carenza di responsabilità insieme con la legittimazione, e quindi proliferazione, dei peggiori difetti ed escamotage (il tutto, da una parte e dell’altra).
Non vorremmo continuare in eterno a ripeterci, con Flaiano, che in Italia “la situazione è grave ma non è seria”.

  • Articolo pubblicato anche sul Bollettino Adapt del 18 dicembre 2017, n. 43

 

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