IL CORAGGIO CE L’HO. È la paura che mi frega

di Andrea Merati, Responsabile del servizio di prevenzione e protezione

 

Pur non ritenendomi uno dei memorabili citati dall’Asnaghi, essendo ancora in vita per un significato e sostando nella normalità per l’altro senso dell’aggettivo, sono stato trascinato dai pensieri a scrivere non contro, non a favore, ma a lato dell’intervento dello scorso numero, ove si estendeva un parere sui provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale, in caso di carenza negli adempimenti di salute e sicurezza nel lavoro. Siccome la politica è una cosa seria ma certa musica lo è di più, credo che “un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”, doti gravemente e pericolosamente mancanti agli estensori di tante leggi, provvedimenti, circolari ed espedienti che regolano la prevenzione e la protezione da infortuni e, soprattutto, malattie professionali, dei lavoratori in questo paese. I provvedimenti di sospensione, regolati dall’art. 14 del D.lgs. n. 81/2008, nonché dal suo bell’allegato I, con contorno di carotine e piselli (ben descritto nel numero di Sintesi precedente a questo) servono solo per colpire gli ignoranti funzionali, mettere un po’ di paura agli onesti medi e far perdere tempo agli ispettori; perché ai farabutti veri, quelli per cui essere malviventi è la normalità, non miglioreranno certo la coscienza (sulla paura non credo possa prevedersi effetto). Posto che le sanzioni, magari pensate e concepite meglio, servono, immagino però, che con maggiore coraggio (portare a zero la quota di lavoro irregolare), altruismo (lavorare per estendere la prevenzione, piuttosto che la protezione) e fantasia (bastano dieci minuti di Google per trovare decine di idee nuove) si possano diminuire, morti, feriti, invalidi e malati del lavoro.

Anche restando nell’alveo del buon art. 14: è così difficile pensare che, nei prossimi bandi per l’assunzione di nuovi ispettori, si dia la priorità ai tecnici della prevenzione e, magari, assegnare punteggi aggiuntivi a chi ha finito il percorso accademico con la magistrale in Scienze delle professioni sanitarie della prevenzione? Poi, nel passaggio successivo, dare agli ispettori un appoggio perché intervengano sempre di più (alcuni già lo fanno ma va perfezionato e incentivato il modello) in affiancamento alle imprese per la soluzione dei problemi e nella creazione delle condizioni migliori per la salute e sicurezza dei lavoratori, sarebbe sconveniente? Per chi non ci sta vanno anche bene le legnate nei denti, ma per gli altri credo sia meglio trovare delle soluzioni.

Perché, nell’Italia reale, ci sono un sacco di persone serie che, quando cercano uno bravo per imbiancare, chiamano l’imbianchino, non l’avvocato: perché se la parete è muffa, costa meno e dà effetti migliori una pittura murale adatta, piuttosto che fare una causa ai funghi. Il titolo di questo articolo, naturalmente, ce l’ha regalato Totò; sempre perché la politica è una cosa seria ma certi comici lo sono di più.

 

 

 

 

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HR&Organizzazione – L’ECONOMIA dell’attenzione

Andrea Merati, Consulente sistemi di gestione aziendale

Tutto ebbe inizio il primo settembre 1969, quando l’economista, nonché professore, Herbert Simon parlò di “Progettare organizzazioni per un mondo ricco di informazioni”; l’evento, una conferenza universitaria, rimase casualmente compreso tra il Festival di Woodstock, a metà agosto, e la morte di Jack Kerouac, a fine ottobre: si concludono gli anni Settanta, inizia a spegnersi la rivoluzione giovane e si accende il congegno dell’innovazione tecnologica digitale. Il professor Simon, per farsi comprendere, raccontò una storiella (il termine cool sarebbe storytelling, ma non riesco): «La Pasqua scorsa i miei vicini hanno comprato per la loro figlia un paio di conigli. Non so se intenzionalmente o per sbaglio, fatto sta che uno era maschio e l’altra femmina, e così ora viviamo in un mondo ricco di conigli. Che un mondo sia ricco o povero di conigli è una questione relativa. Ma poiché il cibo è essenziale per le popolazioni biologiche, potremmo giudicare se il mondo è povero o ricco di conigli, mettendo a confronto il numero di conigli con la quantità di lattuga ed erba a loro disposizione. Un mondo ricco di conigli è un mondo povero di lattuga e viceversa». Più avanti, nel discorso, aggiunge: «In una società ricca d’informazione deve dunque mancare qualcosa: questo qualcosa è l’attenzione».

Abbiamo a disposizione una gran quantità di ricerche (gli scettici possono riversarsi sull’internet a cercare i lavori di Hayles o di Seaver) sulle moderne capacità di lettura: in digitale è molto più difficile mantenere lo stesso livello di comprensione, empatia e ricordo rispetto alla lettura su carta; inoltre, dopo oltre cinquant’anni, si conferma il pensiero del professor Simon: abbiamo una enorme ricchezza di informazioni ma, contestualmente, siamo sempre più affetti da un deficit di attenzione. Tra il 2017 e il 2021 si è prodotta una quantità di dati che ha superato quella generata nell’intera precedente storia umana, tanto che si comincia a parlare di non sapere più dove metter la roba (gli armadi digitali occupano spazio ma, al contrario dei nostri guardaroba, hanno anche il problema di consumare un sacco di energia). Da quando gran parte delle nostre vite (quella privata e quella lavorativa) hanno preso casa on line, la nostra capacità di concentrazione ha iniziato a scemare: complessivamente per circa il 40%, con picchi nei giovani (64%) e nella mezza età (57%), le motivazioni di tale fenomeno pare siano ascrivibili alla dipendenza da smartphone, alla bulimia da social network e all’uso compulsivo, assurdo e violento della posta elettronica (in questo caso, agnostici e dubbiosi possono scatenare il Google su Fletcher – non è la signora in giallo -, Demeneix o CMU of Pittsburgh; gli aggettivi, invece, sono colpa mia).

Tutto questo ci racconta che abbiamo un problema di comunicazione efficace, che è molto probabile che il nostro messaggio non venga assimilato e che risulti anche poco assorbito, per non parlare di quanto possa esser capito. Perdite di tempo enormi e costose, tanto che hanno pure un nome: switch cost, il costo dello spostamento dell’attenzione, quando si guardano le notifiche o si leggono messaggi e poi si deve tornare al lavoro iniziale. Tornando al nostro professore, egli ci ricorda che per elaborare le informazioni è necessario distribuire la nostra attenzione attraverso quattro classi di attività: ascolto, conservazione, pensiero e parola; da qui si evince che una organizzazione deve tendere ad assorbire
meno quantità possibile di attenzione, assumendo più informazioni di quante ne produce; quindi, funziona se ascolta e pensa più di quanto parli.
Dobbiamo rivedere la progettazione e le modalità dei nostri sistemi informativi, legando il tutto a una cultura nuova della comunicazione, tecnologica e no, verso l’esterno ma, soprattutto, all’interno del nostro spazio professionale. Ci torneremo, nel mentre possiamo considerare che Herbert Simon ha vinto il Turing nel 1975, il Nobel per l’economia nel 1978 e, nel 1993, ha ottenuto il riconoscimento per gli straordinari contributi dati alla psicologia, dall’American Psychological Association; potremmo anche disapprovare le sue conclusioni, osservando orgogliosamente sui ripiani della nostra libreria, la medaglia d’oro della Marciallegra vinta alle medie e il diploma di merito conquistato al circolo degli scacchi, ma rischiamo di perderci in un labirinto di informazioni inutili, che distolgono l’attenzione da ciò che ci serve davvero.

 

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POFFARBACCO, LE SOSPENSIONI ESISTONO DAVVERO: cronache da un mondo che non ci crede neanche quando vede

di Andrea Merati, Responsabile del servizio di prevenzione e protezione

 

Mancava qualche giorno a primavera quando avvenne per la prima volta. Uno sconosciuto mi chiamava, stringendo tra le mani una serie di fogli, di cui non comprendeva del tutto il significato. Temeva il peggio per lui e per le sorti della sovrana patria (sì, perché, in taluni casi, molti recuperano reminiscenze storico-politiche, in un crescendo di sciovinismo antinazionalista qualunquista, che coinvolge l’Italia intera nel proprio disfacimento – spesso anche la religione viene menzionata nella sua sparizione improvvisa e muta). L’inconsapevole era stato oggetto di un’imboscata peggio che Don Abbondio: due losche figure gli avevano chiesto il Documento di Valutazione dei Rischi e gli attestati di formazione dei dipendenti; esso non li aveva perché, di grazia, signora mia, dovr  mica occuparmi anche di questo; il di lui commercialista, amorevolmente, lo manda a dar via il quesito a me. Le ormai sudate carte, a furia di stare e passar di mano, erano un verbale di ispezione e una notifica di sospensione dell’attività. Come già raccontato in un precedente articolo, hanno assunto potere di ispezione per questioni di salute e sicurezza sul lavoro, anche i componenti dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e, sempre per le modifiche che la Legge n. 215/2021 ha portato direttamente nel D.lgs. n. 81/2008, ci sono provvedimenti di sospensione che possono essere attivati immediatamente per (estraggo le righe salienti del nuovo allegato I):

  • Mancata elaborazione del DVR
  • Mancata elaborazione del Piano di Emergenza ed Evacuazione
  • Mancata formazione e addestramento
  • Mancata costituzione del Servizio di Prevenzione e Protezione
  • Mancata elaborazione del POS
  • Omessa vigilanza in ordine alla rimozione o modifica dei dispositivi di sicurezza segnalazione o controllo.

Naturalmente, esistono anche delle precise e sostanziose circolari che l’Ispettorato ha emanato per spiegare con quali modalità e cautele espleterà la sua attività.

Tornando al mio inerudito interlocutore, esso si trovava a dover produrre un DVR e dei diplomi (l’ignaro li definiva così, con la tenerezza di un padre che cerca l’istruzione estrema dei suoi amati pargoli) per poter pagare quanto prima la sanzione (definita gabella, dall’incolto funzionale ma acculturato medievale) e riprendere la serena strada dell’onesto e probo italico daffare. Per dovere professionale e per salvaguardia di qualche posto di lavoro, eseguii il mio compito: il riluttante pag  la sanzione, invi  i documenti e ottenne il rilascio; per quello che viene spesso catalogato tra la stravaganza e l’anatema iettatorio, aggiunsi che, in seguito alla revoca della sospensione, sarebbe proseguito l’iter ispettivo. Non fui degno di altra fiducia e, come un qualsiasi questuante, venni messo alla porta. Lo sbrigativo torn  a cercarmi “per proseguire con le atre cose che chiedono”; ometto il seguito, perché De Sica e Zavattini hanno già detto tutto, con il pianto di Bruno alla fine di Ladri di biciclette.

Riporto in calce (clicca qui) uno stralcio significativo delle sanzioni comminabili in prima istanza che, ricordo, sono aggiuntive a quelle previste dal D.lgs. n. 81/2008 e dalle, eventuali, azioni penali. Altri tre casi simili, tra cui quello di uno studio professionale che trasecolò di sdegno per lesa solennità e imponenza, mi furono sottoposti e gaudentemente risolti, fino a oggi; dal mio limitato e particolare scenario, mi par quindi d’intendere che consapevolezza e cultura della sicurezza, auspicabili tra le persone serie, non vengano granché sospinte, neanche dal nuovo anelato spavento sanzionatorio. Insistiamo a sognare un mondo dove “Buongiorno voglia davvero dire buongiorno”.

 

 

 

 

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HR&Organizzazione – INTELLIGENZA ARTIFICIALE: gli emarginati digitali

di Andrea Merati, Esperto di sistemi di gestione

In affiancamento al delirio bellico si ritorna a parlare dell’intelligenza artificiale; questa ripresa di moda (come le microgonne per la primavera-estate 2022 – Zendaya e Nicole Kidman non ne possono più fare a meno) mi permette di portare su queste pagine le parole di Emanuela Girardi, fondatrice e presidente dell’associazione Pop AI (se vi fa ridere cercatela in rete: tornerete subito seri): “se non portiamo le competenze ai lavoratori e ai cittadini creeremo i nuovi poveri del futuro, gli emarginati digitali, che non saranno in grado né di partecipare al mondo del lavoro, né alla nuova società.” Mi permetto di trasporre il concetto ai professionisti: vedo un mesto futuro.

L’Italia ha pubblicato, ultima in Europa, un piano strategico per la diffusione dell’intelligenza artificiale; appare un po’ come il tema di terza liceo di uno studente informato e visionario, speranzoso e sognante, che si vede adulto in un mondo fantascientifico: senza finanziamenti e tempi di realizzazione, del tutto mancante di una visione industriale, nonché di modalità per spingere le nuove competenze nell’istruzione, nella pubblica amministrazione e nelle aziende. Insomma, ci dobbiamo muovere per conto nostro. Ogni volta che sfruttiamo l’informatica nei processi, le capacità e le competenze crescono in termini di quantità di operazioni eseguite, di dati elaborati e di velocità di esecuzione; ma non è più abbastanza, perché ci siamo accorti che ci manca sempre il tempo, dobbiamo rincorrere le normative, le richieste dei clienti e lo spazio del fare risulta perennemente scarso o insufficiente. L’intelligenza artificiale è in grado di aumentare le nostre facoltà di elaborazione per risolvere problemi e prendere decisioni: potrebbe essere una delle ultime opportunità per un sistema produttivo, come il nostro, già schiacciato dall’invecchiamento materiale della popolazione, che rischia l’annientamento da invecchiamento mentale (morte cerebrale mi sembrava troppo forte, allora ho deciso di non scriverlo).

Non sono qui a pubblicizzare prodotti o a vendere coltelli per le verdure, non serve fare nomi perché basta cercare sull’internet (un consiglio: fate le ricerche importanti con un browser diverso da quello che usate abitualmente e con la finestra in incognito, potreste ricavarne qualche sorpresa; anche questa è una questione di intelligenza artificiale, quella che riguarda l’apprendimento di chi siamo per darci risultati maggiormente attinenti a quello che viviamo; però, a volte, è meglio avere una visione più ampia e meno mediata della realtà).

Rispetto al mio precedente scritto su queste pagine, ci sono diverse novità, perché il progresso tecnologico non è stato rallentato dalla peste e molta evoluzione degli strumenti di Machine Learning e di Natural Language Processing hanno migliorato e creato sistemi di aiuto all’elaborazione delle informazioni e all’automazione dei processi, anche quelli decisionali e produttivi (in questo caso non mi riferisco all’inscatolamento del burro o al trasferimento dei container nel Pacifico, ma alle attività di uno studio di consulenza); la maggior concentrazione di novità tecnologiche e funzionali si trova nella redazione e gestione dei contratti: le soluzioni basate sull’intelligenza artificiale, per esempio, possono accelerare il processo di revisione del 20-90% senza sacrificare l’accuratezza, rispetto alla revisione manuale.
Espongo due esempi tra quelli che mi è capitato di analizzare negli ultimi tempi.
Lo studio Fredrikson Law, con uffici in Stati Uniti, Messico e Cina, ha deciso di adottare un software di Machine Learning per l’analisi dei contratti che ha ottenuto una diminuzione di quasi il 50% del tempo sulla revisione dei documenti; inoltre, lo studio ha stimato che il nuovo strumento ha aumentato l’efficienza complessiva dei processi di oltre il 20%.
Lo studio legale Salazar Law, specializzato in procedure fallimentari, ristrutturazioni aziendali, contenziosi e contratti di lavoro, grazie all’adozione di un software di Natural Language Processing, ha potuto mantenere la propria struttura piccola e, nel contempo, divenire un’alternativa più rapida ed efficace alle imprese più grandi del settore. Salazar Law ha utilizzato una piattaforma che consente di produrre documenti che rispettano sia le esigenze legali, sia le richieste dei clienti, tramite l’automazione nella creazione e nella revisione dei documenti, supportandola con suggerimenti e proposte che il software genera grazie al ciclo continuo di lettura e autoapprendimento che lo caratterizza.
Per questa primavera Jovanotti racconta che “La morte è quella cosa, che agli altri può succedere.
Ma resta sempre la speranza che a noi non accadrà”, per sempre i Pink Floyd chiedono: per non restare emarginati digitali.

 

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HR&Organizzazione – Un ufficio magro per lo studio professionale

di Andrea Merati, Consulente sistemi di gestione aziendale

Mi risintonizzo direttamente con il finale dell’ultimo articolo con il quale ho ingombrato le pagine di ottobre. Per chi lo avesse fortuitamente o volontariamente perso (ma anche a favore di coloro che l’hanno sostituito con altri concetti e pensieri negli umani spazi della memoria) recava il titolo che segue:

La semplificazione sospirata

Si disquisiva di informatica adeguata e formazione del personale per affrontare opportunamente il GDPR ma in realtà, già a quei tempi, il mio pensiero dirottava verso altro.

Immaginavo un mondo dorato e utopico (tipo quello in cui le persone non confondono il parcheggio in seconda fila con la propria residenza) dove l’occasione di una nuova normativa è afferrata per spingersi oltre l’adeguamento, verso una profonda riorganizzazione funzionale e organizzativa che generi soddisfazione e ritorno economico.

La derivazione sostanzialmente industriale della mia occupazione accese luci, riflettori e occhi di bue su tutto ciò che compagini di alta consulenza mi hanno insegnato negli ultimi quindici anni: Toyota Way, Six Sigma, Lego Serious Play, Monozukuri, 5S, Kanban; per farla breve sono caduto nel Lean Thinking, in particolare nella sua declinazione ancora poco considerata (ultimamente è più di tendenza il casualwear d’ispirazione street) che prende il nome di Lean Office.

Quindi ecco undici temi di ponderazione, per iniziare a pensare agilmente alla riorganizzazione degli studi. Alcune cose sembreranno lapalissiane, a volte però ci vuole qualcosa, che non deve essere per forza l’invenzione del secolo ma sia capace si scalzare i pensieri routinari, puntando a una realistica revisione di ciò che non c’è (un giorno di tanti anni fa, ero un giovane di alti propositi, parlando con il capo manutenzione di una importante industria della plastica, raccolsi questa lezione: “Ingegnere, dia retta a uno che non ha studiato, qui non c’è da progettare niente di nuovo ma da semplificare il vecchio”; lo sto ancora ringraziando).

Undici ovvietà interessanti

Mi hanno insegnato che bisogna iniziare individuando dove risiede il valore del servizio per i clienti. Si deve fare uno sforzo per uscire dalla prosopopea di sapere quello che serve agli altri; non vuol dire accantonare professionalità ed esperienza ma, con umiltà e disponibilità, provare a capire cosa ci si aspetta dalla prestazione professionale in termini di tempo e risultato.

La seconda fatica è soffermarsi sulle modalità con le quali il valore viene generato; non significa calcolare i costi fissi e variabili, o il peso degli stipendi nell’erosione dei margini ma, invece, indentificare tutti i passaggi che compongono la catena di produzione del servizio che si fornisce.

A questo punto si entra in area tecnica: analizzare volumi, varietà, variabilità, eccezioni e difficoltà che caratterizzano il servizio. Qui è indispensabile prendersi tutto il tempo necessario per raccogliere i dati ma, soprattutto, per ascoltare i collaboratori, tutti, indistintamente, provocare il loro senso critico, ascoltare senza controbattere (ancora meglio se l’orecchio è quello di un esterno, equidistante e disinteressato), per raccogliere tutte quelle informazioni che, altrimenti, rimarranno a vagare per sempre tra i corridoi e la macchinetta del caffè (oppure ad alimentare la mestizia frustrata delle cene famigliari o a fomentare l’ilarità generale nelle cene conviviali, dove il capo è quello stupido che non ha capito niente e fa ridere più del Fantasma Formaggino).

Al quarto stadio c’è da effettuare una mappatura di tempi, inefficienze ed errori (non conformità, per quelli che già masticano la materia).

Di seguito si studiano i carichi di lavoro per ciascun gruppo omogeneo di lavoratori e per i casi particolari: principalmente bisogna fare attenzione ai capi ufficio di fatto e non di nomina, nonché ai lavoratori di riferimento, sforzandosi di accantonare le preferenze personali (come a scuola: i professori bravi sono quelli che pur avendo, umanamente, predilezioni per alcuni studenti, non le lasciano trasparire, mai).

Il sesto movimento è la specializzazione delle risorse umane e tecniche per creare un flusso di informazioni e formazione che metta le persone nella condizione di condurre a termine il proprio compito con sicurezza e responsabilità.

Giunti a questo punto si possono bilanciare le risorse rispetto ai fabbisogni: mansioni, incarichi, assegnazioni e tecnologia (con relativo ciclo di manutenzione e sostituzione), senza dimenticare una seria programmazione degli aumenti di organico.

L’ottavo nano è suddividere il più possibile le attività di contatto con l’esterno (front) dalle attività di produzione interne (back), il “tutti che fanno tutto” incrementa solo le vendite degli ansiolitici.

La nona attività si srotola nello scegliere dove e quando adottare un comportamento in anticipazione oppure in reazione. Questa è la migliore occasione di sfoderare le doti imprenditoriali e di leadership a favore dell’organizzazione e della credibilità verso i propri collaboratori e clienti. Anche Batman, che professionalmente si occupa di emergenze più grandi di lui, ha un programma di manutenzione della Batmobile (perché sarebbe un’orribile caduta di stile rimanere in panne mentre Gotham City è attaccata dal male) e momenti di progettualità per la creazione di strumenti sempre più sofisticati (ha iniziato nel 1939, se usasse ancora gli stessi metodi e la medesima tecnologia dei suoi primi tempi, sarebbe annientato dal primo ragazzino cattivo che incontra appena fuori dalla Batcaverna).

Il penultimo gradino della faticosa ma gratificante salita verso una organizzazione agile (e remunerativa) si estrinseca nel conferire alla struttura di servizio la giusta autonomia decisionale in un chiaro quadro gerarchico; il famoso chi fa cosa, la celebre formazione e l’acclamatissima responsabilità di chi governa.

Finalmente l’undicesima ovvietà arriva per stabilire indicatori di prestazione: per la gestione del miglioramento iniziale e continuo, nonché per l’incentivazione delle risorse umane (la cara vecchia pacca sulle spalle va bene, ma anche la distribuzione del reddito fa piacere alla gente).

Come tutte le grandi teorie universali, anche questa della Lean Office necessita di una forte razione di studio delle opportunità ma anche di una precisa e decisa dose di impegno al cambiamento, altrimenti è meglio continuare a rimanere nella scia delle belle navi all’orizzonte, remando furiosamente a due braccia, perché rallentare un istante, solo per lucidare la barca, serve solo a rimanere ancora più indietro, mentre ci sorpassano anche i pedalò.

 

 

 

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