L’ULTIMA TENTAZIONE DELL’INPS*

di Mauro Paris, Avvocato in Belluno e Milano  

Alle note campagne ispettive di contestazione degli applicati Ccnl “pirata”, in luogo di quelli c.d. “leader”, e di loro sostituzione d’ufficio, si aggiunge adesso la pretesa dell’Istituto di disapplicare i Ccnl “leader” meno favorevoli -tra più Ccnl ammessi-, scambiandoli con quelli di migliore trattamento per i lavoratori. Una pretesa che non trova fondamento nella legge e riconoscimento nella giurisprudenza, ma che deve allertare gli operatori a un’attenta vigilanza e a pronte risposte difensive.

 

Era già nota l’idiosincrasia dell’Inps per i contratti collettivi cosiddetti “pirata”, quelli sottoscritti da organizzazioni e associazioni ritenute meno rappresentative delle categorie di riferimento, per cui l’Istituto è solito operare sostituzioni d’ufficio del Ccnl “meno rappresentativo” con quello “più rappresentativo” (il c.d. contratto “ leader”).

La circostanza che non venga quasi mai fornita effettiva prova (in effetti diabolica, allo stato) della minore o maggiore rappresentatività di coloro che hanno sottoscritto il Ccnl, in genere, con diverse argomentazioni, non viene ritenuto neppure rilevante (come indubbiamente, altrimenti, dovrebbe essere) dai Tribunali. Spesso l’Inps non è neppure in grado di garantire prova univoca e compiuta del minore trattamento retributivo (e, si sa, è questo il nocciolo sostanziale della faccenda) che consegue dall’applicazione del Ccnl “pirata”. Lo si disapplica di principio e basta.

La ragione giuridica dell’imposta compressione delle libertà sindacali -intese sotto forma di sostanziale limite alla discrezionale eleggibilità di contratti collettivi alternativi-, viene giustificata dai funzionari con la previsione di legge relativa al rispetto del “minimale” di garanzia, come stabilito dall’art. 1, Legge 389/1989. Quella per cui “la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’ importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale”. Cosa c’entra tale disposizione rispetto all’applicazione d’ufficio di un diverso Ccnl? Nulla, riguardando solo i trattamenti economici dei lavoratori.

Come è dato osservarsi, il precetto precitato, contrariamente a quanto reputa l’Inps, non ammette affatto la sostituzione d’emblée di un Ccnl, poiché inviso, con un altro più gradito, né tale sostituzione costituisce un’operazione che l’ordinamento ammette (tantomeno la Corte Costituzionale: cfr. sentenza n. 51/2015). In astratto, perciò, dovrebbe essere solamente offerta la garanzia di un trattamento economico non inferiore a quello stabilito dal con- tratto collettivo concluso da parti maggiormente rappresentative.

Quale sia il Ccnl firmato da OO.SS caratterizzate da maggiore rappresentatività nel settore, costituisce, beninteso, come detto, un’operazione ermeneutica meno piana di quanto solita- mente si vorrebbe fare intendere. Non solo per la difficoltà di provare chi sia più “popolare”. Ma pure per quella di rendere con correttezza i calcoli della misura del trattamento retributivo eventualmente deteriore, come pure per l’esigenza di assicurare una valutazione complessiva di quanto sia da considerare economicamente rilevante nella comparazione.

Come non bastasse, al già complicato rapporto tra contratti collettivi “pirata” e “leader”, si aggiunge oggi un’ulteriore “tentazione” da parte dell’Istituto. Quella di volere scegliere e applicare, tra più contratti “leader” egualmente validi ed applicabili nel settore, il “migliore”.

Vale a dire quello dal trattamento retributivo più favorevole per il lavoratore, ove l’inteso magiore favore atterrebbe solo alla retribuzione. Quale sia il trattamento complessivamente più vantaggioso per il lavoratore, va detto, è faccenda di tutt’altro che immediata comprensione, come conferma attenta giurisprudenza, interessando svariati aspetti, non inerenti solo alla retribuzione minima in sé, ma  alla valutazione comparativa di elementi e istituti ulteriori rispetto a quelli che costituiscono il cosiddetto minimo costituzionale.

Per l’Inps, i suoi funzionari e ispettori, pertanto, poco conta che il Ccnl sia stato sottoscritto indubitabilmente da associazioni e organizza- zioni comparativamente più rappresentative (come, anzi, viene spesso pacificamente riconosciuto). Accade, infatti, che nel corso di con- trolli sul lavoro, pure ammettendosi espressa- mente la natura “leader” del Ccnl già applicato dal datore di lavoro, si preferisca comunque sostituirlo con un altro Ccnl “ leader”, al fine di garantire un trattamento migliorativo di natura retributiva ai lavoratori.

In casi recenti, per esempio, la scelta ispettiva è caduta sul Ccnl Terziario, distribuzione e servi- zi in luogo del Ccnl per il personale dipendente da imprese esercenti servizi ausiliari, fiduciari e integrati resi alle imprese pubbliche e private (c.d. Ccnl Safi), da anni applicato da aziende. Stesso ambito di attività e coincidenza di da- tori di lavoro che possono naturalmente fare ricorso ai due Ccnl, in quanto conclusi e sottoscritti da parte di organizzazioni “più rap- presentative su base nazionale”, sebbene i trattamenti retributivi siano valutati inferiori nel secondo caso. Per cui, l’Inps, con proprio atto impositivo, in tali casi ha deciso di garantire il migliore trattamento possibile ai lavoratori, operando, come è ovvio, i recuperi di contribuzione sui maggiori imponibili individuati. Il principio di migliore trattamento retributivo del dipendente -diversamente dai principi di sufficienza e adeguatezza della retribuzione-, tuttavia, è frutto di un palese fraintendimento e risulta sconosciuto al nostro ordinamento. Vale a dire che ben possono esistere situazioni in cui le medesime mansioni e attività siano retribuite con compensi differenti.

Al riguardo, malgrado le pretese dell’Istituto, già esiste univoca giurisprudenza di segno opposto. Per esempio, in modo esemplare, il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 2625/2021, ha rammentato come

non esista nel nostro ordinamento un principio che imponga al datore di lavoro, nell’ambito dei rapporti privatistici, di garantire parità di retribuzione e/o di inquadramento a tutti i lavoratori svolgenti le medesime mansioni, posto che l’art. 36 Cost. si limita a stabilire il principio di sufficienza e adeguatezza della retribuzione, prescindendo da ogni comparazione intersoggettiva e che l’art. 3 Cost. impone l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma non anche nei rapporti interprivati. (cfr.: Cass. 17 luglio 2007 n. 16015).

In generale, lungi da determinarsi automatismi in ordine all’applicazione necessaria del Ccnl “migliore”, è la stessa Suprema Corte che ribadisce come, nel rapporto tra contrattazione collettiva e articolo 36 della Costituzione, il legislatore tende a considerare, in linea generale, la retribuzione prevista dalla norma collettiva come il parametro comunque più idoneo a specificare quella garantita dalla disposizione costituzionale. Ciò avviene attraverso l’adeguamento di questo principio alle contingenze reali, non solo temporali (con una norma che mano a mano si rinnova), bensì spaziali (con il rilievo dato anche ai contratti territoriali). Ragione per cui la retribuzione prevista da una norma collettiva “valida” costituisce “presunzione” di adeguatezza ai principi di proporzionalità e di sufficienza.

In definitiva, i Ccnl “ leader” sono in ogni caso adeguati a regolare i rapporti di lavoro tra le parti.

E a conferma di ciò, e della non correttezza del- le denunciate azioni degli Istituti, anche di recente la Suprema Corte ha ribadito che sussiste la possibilità di applicare retribuzioni tabellari pure inferiori rispetto a quelle praticate in settori e ambiti affini (cfr. sentenza n. 1107/2022).

 

 

 

* L’articolo è anche sul sito www.verifichelavoro.it della rivista Verifiche e Lavoro.

 

 

 

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Una proposta al mese – ALIQUOTE E MASSIMALI comunicati per tempo

di Andrea Asnaghi- Consulente del lavoro in Paderno Dugnano (Mi)

E non è necessario perdersi
in astruse strategie,
tu lo sai, può ancora vincere
chi ha il coraggio delle idee.
(R. Zero, “Il coraggio delle idee”)

 

D’accordo che la legge di Murphy ci aveva avvisato: se qualcosa può andar male lo farà. E se non bastasse, il corollario numero 5 ribadisce che “lasciate a se stesse, le cose tendono ad andare di male in peggio”.
D’altronde ci rendiamo conto che ci sono proposte che sembrano l’espressione di desiderata. Tuttavia, rimane sempre nello sfondo la voglia di crederci e, soprattutto di non lasciare le cose a se stesse.
Ma di cosa stiamo parlando?
Di un sacco di cose, in realtà, ma lo spunto ci arriva dalla circolare Inps n. 25 dell’11 febbraio 2022, che con simpatica comodità ci comunica aliquote e massimali da applicare per la contribuzione alla Gestione Separata.
Salvaguardando un minimo di pudore, la circolare “concede” che chi non abbia versato correttamente i contributi a causa del ritardo (della circolare) possa recuperare entro i tre mesi successivi. In realtà questa concessione deriva da una deliberazione del consiglio di amministrazione Inps, la n. 5/1993 di cui sarà utile riportare qualche passaggio (il grassetto è a nostra cura).

1) Modifiche in campo normativo aventi riflessi sulla misura ed il versamento delle contribuzioni previdenziali ed assistenziali. Il primo criterio adottato dal Consiglio è scaturito dalla considerazione che in occasione della  introduzione di novità in materia contributiva – sempre più frequenti ed il più delle volte disposte con Decreto legge a ridosso delle scadenze previste – sono a disposizione dell’Istituto tempi ristrettissimi per dare notizia delle innovazioni e per fornire le indicazioni, complesse e minuziose, per la compilazione della modulistica, il rispetto delle quali è alla base di una corretta gestione delle posizioni contributive aziendali, e dei datori di lavoro per adeguare le proprie procedure e provvedere ai conseguenti  adempimenti contributivi. In tali casi è stata, quindi, ravvisata una vera e propria situazione di impossibilità oggettiva ad adempiere nei termini agli obblighi di legge, in particolare per le imprese che si avvalgano di tecnologie informatiche. 
In relazione a quanto sopra è stato fissato il criterio per il quale in presenza di innovazioni normative aventi riflessi sulla misura ed il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, la sistemazione delle partite connesse con i mutamenti in campo contributivo può essere effettuata entro il giorno 20 (ora 16 n.d.r.) del terzo mese successivo a quello di emanazione da parte di questa Direzione Generale delle relative istruzioni applicative ed operative, con la maggiorazione sulle eventuali differenze contributive dovute dei soli interessi al tasso legale.

Proviamo a tradurre quanto sopra in linguaggio non burocratese: siccome il Legislatore sciabola allegramente modifiche complesse (talvolta anche astruse, diremmo noi) dell’ultimo minuto, anche i signori dell’Inps sono in difficoltà a seguirlo, e pertanto capiscono  che le loro  stesse difficoltà si ripercuotono a cascata sugli operatori, specie se si avvalgono di procedure informatiche che devono essere adeguate alle novità. Pertanto, concedono un po’di tempo in più, beninteso pagando i “soli” interessi legali.
Era il 1993, quasi trent’anni or sono, e come premesso, pare che le cose invece che cambiare in meglio peggiorino.
Non ci credete? Provate a considerare le date delle circolari Inps relative alla comunicazione di massimali ed aliquote alla Gestione Separata negli ultimi anni: quella del 2016 è stata pubblicata il 29.01.2016, quelle per il 2017 e 2018 sono state pubblicate il 31 di gennaio degli stessi anni, quella del 2019 è andata al 6 febbraio, per il 2020 il 3 febbraio, per il 2021 il 5 febbraio, ed eccoci arrivati al record 2022: 11 febbraio!
Onestamente non è che sempre ci siano state chissà quali modifiche. Ma comunque l’Inps deve aspettare quantomeno i dati Istat, dato che il massimale contributivo ex L. n. 335/1995 art. 2, co. 18 (N.b. che non vale solo per la Gestione Separata) “è annualmente rivalutato sulla base dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, così come calcolato
dall’Istat”. È pertanto evidente che Inps per tale parametro deve attendere e più di tanto anche in questo caso i miracoli non può fare. Lasciamo per un attimo l’Inps – che però (almeno in questo caso, in altri no) scopriamo da queste poche righe essere più vittima, al pari nostro quasi, che carnefice – e poniamoci qualche domanda generale.
Ma ha senso, in un Paese civile, che qualcuno non sappia al 1° gennaio dell’anno quale sia il carico contributivo spettante per l’anno che è arrivato? Ora, poniamo pure che a Capodanno (che è pure festivo) qualcuno stia ancora smaltendo le bollicine della sera prima, tuttavia dal giorno dopo le proiezioni di costo (prima ancora degli adempimenti) qualcuno dovrà esser in grado di farle, no? Invece mettiamo in moto meccanismi che – inevitabilmente – fanno stare tutti in affanno e con dati imprecisi o tardivi o con interventi on sapore di pezza (così a noi sembra la predetta, ancorchè benedetta, determinazione
del CdA Inps sul punto) e comunque con qualche costo in più (interessi legali).
Prima di arrivare alle proposte facciamo ancora qualche altra considerazione.
La prima arriva nientemeno che dalla Costituzione Italiana, e precisamente dell’art. 103 il quale fra le altre cose prevede che “con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi”. Che ha molti scopi utili, uno dei quali è l’invito al Legislatore di pensare per tempo cosa fare e di quali strumenti ed entrate disporre e non all’ultima ora preso alle strette fra le risorse limitate (per definizione) ed i propri obiettivi futuri. Anche perché la fretta, così come il bisogno, spesso sono cattivi consiglieri. Se vi fate venire a mente le Finanziarie e leggi collegate – non degli ultimi anni ma tutte, da quando fate i professionisti – troverete molti elementi a favore di questa riflessione.
La seconda arriva dallo Statuto del contribuente, e precisamente dall’art. 3, per quanto sia uno degli articoli di legge più disattesi dal Legislatore. Anche qui il grassetto è a nostra cura

Art. 3. (Efficacia temporale delle norme tributarie)
1. Salvo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo
a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono.
2. In ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere  adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti.

Ora, evitiamo per un attimo disquisizioni di alta dottrina sulla differenza fra tributi e contributi (compresa anche la loro sostanziale equiparazione in uno Stato che sempre più mischia le cose, e la Gestione Separata rischia di esserne l’esempio più lampante, dato che secondo le SS. UU. di Cassazione, sentenza n. 3240/2010, “ha il sapore di una tassa aggiuntiva su determinati tipi di reddito”) e constatiamo che quanto abbiamo esposto, indipendentemente da altre considerazioni, avrebbe l’intenzione di disegnare un Paese in cui le cose si fanno bene, con razionalità e per tempo, nel rispetto delle persone ed anche di chi, come i professionisti, assiste le persone e le imprese nell’adempimento dei loro doveri fisco-contributivi.
E basterebbero pochi accorgimenti, da cui ecco le proposte.
• La prima è che laddove sia previsto, come nel caso del massimale contributivo, una rivalutazione annuale, la stessa sia operata con riferimento al periodo dicembre-novembre e non gennaio-dicembre (statisticamente, la differenza sarebbe impercettibile e comunque rispetterebbe il trend dell’andamento dei prezzi al consumo), in modo da aver disponibili per l’inizio dell’anno successivo i dati esatti. A scrivere una norma così basta meno di un minuto.
• La seconda, copiando dallo Statuto del contribuente, anche senza essere così…fiscali (si perdoni il bisticcio di parole), è che “le modifiche in aumento delle aliquote di carattere contributivo ed assicurativo, nonché delle altre disposizioni che incidano in aumento sul versamento dei contributi, abbiano effetto dal mese successivo alla comunicazione delle stesse e di quanto necessario alla loro attuazione materiale da parte dell’Istituto assicurativo preposto”.
In fondo, non ci vuol molto per dare torto, una volta tanto a Murphy.
Oppure vogliamo continuare nei secoli a dargli amaramente ragione?

 

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