Una proposta al mese – Per una revisione ed uniformità dell’offerta conciliativa e della tassazione dell’indennità di licenziamento

di Andrea Asnaghi, Consulente del lavoro in Paderno Dugnano

“Donaci, padre Zeus, il miracolo di un cambiamenta”

(Simonide di Ceo)

Un passo avanti e due indietro, qualche scatto repentino dentro un andamento lento, un crescente nervosismo che sale (soprattutto in chi legge) . Il fandango del nostro legislatore è così, per una che ne fa giusta cento ne pensa sbagliate (o discutibili o contraddittorie o inefficaci, scegliete voi…).

È il caso dell’indennità risarcitoria e dell’offerta conciliativa previste dal vituperatissimo D.lgs. n. 23/2015.

Le idee di fondo sono buone: deflazionare il contenzioso giudiziale con un incentivo fiscale e trovare una misura economica precisa per definire le indennità economiche conseguenti ad un licenziamento illegittimo. Le soluzioni adottate, a nostro avviso, un po’ meno , a cominciare dall’antidiluviana previsione che il pagamento de quo debba essere fatto unicamente con assegno circolare (una traduzione pratica piuttosto rozza del noto “pochi, maledetti e subito”). Ma l’offerta conciliativa è davvero così affascinante? Calcolatrice alla mano, essa rappresenta un concreto vantaggio per il lavoratore solo in caso di stipendi medio- alti (circa da RAL superiori ai 40/45.000 euro) e, anche il tali casi, soltanto quando si raggiunga un’anzianità di servizio di almeno 15 anni (cifra più, cifra meno). Un po’ poco, come appeal. E una scrittura della norma che lascia spazio a qualche dubbio (vedi, al fine di trovare un percorso condiviso ed equilibrato, l’Orientamento del nostro Centro Studi).

Proviamo pertanto a dare una maggiore consistenza ed efficacia alle previsioni di legge. Cominciamo con l’immaginare un’uniformità delle varie norme sull’indennità di licenziamento, per cui il concetto di mensilità conseguente ad un risarcimento sul licenziamento per tutti i casi previsti dalla legge (non solo, quindi, quelli delle tutele crescenti, ma anche quelli contemplati dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori o dalla L. n. 604/1966) debba parametrarsi sull’ultima retribuzione utile ai fini del Tfr (possibilmente con un concetto univoco e definito normativamente in modo preciso, per cui il suddetto lavoro del CSR di Milano potrà essere utile a tale definizione).

Per quanto riguarda la deflazione del contenzioso, proponiamo due misure, anche in questo caso applicabili non solo alle tutele crescenti ma a tutti i casi di licenziamento.

La prima è di natura fiscale/impositiva e consiste nell’attribuire uno sconto fiscale alle indennità di risarcimento per il licenziamento conseguenti ad una conciliazione stragiudiziale, nel senso di definite prima ed in alternativa al radicamento di una causa (in altre parole, il solo deposito del ricorso, anche con definizione intervenuta prima della sentenza, farebbe decadere l’agevolazione). Lo sconto consisterebbe nell’applicare a tali transazioni un’aliquota fiscale pari al 50 % dell’aliquota Tfr e nessuna imponibilità previdenziale (quest’ultima, tuttavia, già in re ipsa rispetto alle somme erogate a tale specifico titolo) entro il limite della somma massima indennitaria prevista per il caso specifico. In tal modo si darebbe un incentivo alle parti, in maniera più equilibrata rispetto all’attuale ed in ogni ambito del licenziamento, di pervenire ad una conciliazione. Lo sconto si applicherebbe, peraltro, solo con il versamento delle ritenute in modo corretto, ovvero qualora il datore non versasse le ritenute si accollerebbe in proprio il 50 % di sconto, senza conseguenze per il lavoratore.

En passant, ci sembra giusto attribuire alle indennità di licenziamento, scontate o meno che siano, una tassazione a titolo definitivo, consistente nell’applicazione (come ora) alle stesse dell’aliquota spettante ai fini del Tfr (eventualmente dimezzata nel senso della nostra proposta di poche righe sopra) ma senza riliquidazione ex post da parte delle Entrate. La cosa ci sembra rappresentare equamente l’esigenza del lavoratore di sapere esattamente quale cifra netta sta intascando a fronte della cessazione del contendere, senza “sorprese future” sgradite e, peraltro, si coordina perfettamente con quanto sopra proposto in termini di agevolazione.

Elenchiamo quelli che secondo noi sono gli ulteriori i vantaggi (oltre quelli già detti) di tali proposte rispetto al panorama attuale :

– incentivo autentico della conciliazione stragiudiziale, in tutti i casi del licenziamento e non solo a tutele crescenti, senza obbligare il lavoratore ad accettare cifre troppo basse rispetto alle indennità di legge e con un incentivo fiscale che trasversalmente ha sempre una certa convenienza (e non solo in qualche caso sporadico);

– certezza del diritto sia in termini fiscali di percezione che in prevenzione degli abusi (si pensi a quelle “indennità-polpettone” – a volte anche di importo abnorme – in cui confluiscono, mercè l’esenzione previdenziale, anche aspetti del contenzioso che sarebbero del tutto imponibili);

– eliminazione dell’Unilav-conciliazione, cioè della necessità di ulteriori comunicazioni posticce ed inutili, in quanto l’attività di accertamento e di contabilizzazione (anche in termini di valutazione dell’impatto sulla Finanza pubblica) di tali somme agevolate verrebbe automaticamente garantita dalla certificazione fiscale.

L’eventuale minor introito fiscale (peraltro, nel rigore della proposta, tutto da dimostrare: le altre somme eventualmente concordate in definizione dell’ulteriore contenzioso – e senza possibilità di altre somme definitorie della casistica “cessazione del rapporto” – sarebbe imponibili secondo il proprio titolo specifico) sarebbe ampiamente compensato dalla facilità e linearità di riscossione e dalla ulteriore deflazione del lavoro delle aule giudiziarie.

Per quanto riguarda la seconda proposta , pensiamo di rivalutare ulteriormente la funzione di tutte le commissioni di certificazione ex art. 76 del D.lgs. n. 276/2003, annullando procedure analoghe previste dall’art. 7 della L. n. 604/1966 (come modificato dalla riforma Fornero) e l’offerta conciliativa dell’art. 6 del D.lgs. n. 23/2015.

Fatta salva la possibilità di ogni altra procedura conciliativa, proponiamo che in caso di contestazione sul licenziamento, entro 90 giorni dalla ricezione dell’impugnazione dello stesso, possa essere effettuata presso le commissioni di certificazione (che, ai sensi dell’art. 82 del D.lgs. n. 276/2003 hanno anche facoltà di certificare rinunzie e transazioni) un’offerta volontaria di conciliazione, comunicata alla commissione ed alla parte, di un numero di mensilità pari almeno all’85 %, con arrotondamento normale (0,5 inferiore) ad un numero di mensilità finite e con un minimo comunque di una, delle mensilità massime spettanti per legge per il caso in questione. L’offerta sarebbe irrevocabile per un periodo di 30 giorni dalla ricezione della stessa e potrebbe essere avanzata dal datore di lavoro, che si accollerebbe gli eventuali costi di istruzione della procedura di certificazione. La commissione adita avrebbe l’obbligo di convocare entro i predetti 30 giorni le parti per discutere la proposta e, in caso di accettazione del confronto da parte del lavoratore, di verbalizzare, con verbale che costituisce atto di certificazione, l’accordo delle parti oppure le motivazioni e dichiarazioni che le parti rilasciano in tale sede, a favore della proposta o per rifiutare la stessa. Il comportamento delle parti in tale confronto risulterebbe decisivo ai fini della ripartizione delle spese di una successiva causa. In caso di accettazione dell’offerta, almeno il 50 % della somma dovrebbe essere corrisposto al lavoratore contestualmente o entro 5 giorni dall’accordo ed il restante , anche a rate, entro i successivi 4 mesi. Le parti, una volta radicato il confronto, potrebbero altresì accordarsi per una cifra anche superiore all’offerta o per una diversa rateazione.

Il vantaggio di tale proposta, che con qualche modifica potrebbe utilmente replicarsi anche in altre ipotesi di contenzioso lavoristico (di cui si vorrebbe l’alleggerimento giudiziale) consiste nell’evitare passaggi includenti e formali con una procedura che, pur facoltativa, sarebbe indice di una volontà concreta ed effettiva di definire costruttivamente la vertenza in atto.

Il mondo del contenzioso lavoristico ha bisogno di certezze, equilibrio, confronto serio, incentivazione, al fine di promuovere una cultura della conciliazione ed un’assenza della litigiosità, talvolta spesso fine a se stessa e poco utile alle relazioni industriali. Le nostre proposte, senza nessuna pretesa, vanno esattamente in questa direzione e possono essere utili a sviluppare ulteriori riflessioni in tal senso.