Indennita’ per licenziamento illegittimo e offerta conciliativa: che ne sara’ di noi?

di Chiara Julia Favaloro, Avvocato e Consulente del Lavoro in Milano e Riccardo Vannocci, Consulente del Lavoro in Milano

 

Indennità per licenziamento illegittimo e offerta conciliativa: che ne sarà di noi? La domanda sembra quanto più azzeccata!

Se da un lato, infatti, non possiamo che rilevare l’inasprimento delle disposizioni normative apportato dal Decreto Dignità, dall’altro occorre segnalare che la Corte Costituzionale ha sovvertito ogni aspettativa in tema di calcolo dell’indennità per licenziamento illegittimo.

L’art. 3 del D.Lgs. n. 23/2015 (c.d. Jobs Act) aveva introdotto un criterio univoco per il calcolo dell’indennità spettante al lavoratore illegittimamente licenziato, ricompreso tra 4 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto e calcolato esclusivamente sulla sua anzianità di servizio.

Il Legislatore, già allora, aveva inteso svincolare dalla discrezionalità del Giudice la quantificazione dell’onere che, in caso di licenziamento illegittimo, sarebbe gravato sul datore di lavoro, nell’ottica di incentivare (o, quantomeno, tentarci!) le assunzioni a tempo indeterminato, e garantire ai datori di lavoro la possibilità di conoscere ex ante il potenziale rischio economico in caso di licenziamento ingiustificato dei propri dipendenti.

A distanza di oltre tre anni, il Legislatore ha seguito il medesimo ragionamento e, con il Decreto Dignità, ha confermato il criterio di calcolo, inasprendo la “forbice” e passando da 4-24 mensilità a 6-36 mensilità.

Fin qui, dunque, nonostante le diverse ed accese critiche mosse nei confronti tanto del Jobs Act, quanto del Decreto Dignità, il criterio di calcolo è sempre rimasto il medesimo.

Tuttavia, il terremoto è arrivato comunque! Con comunicato stampa del 26.9.2018, infatti, la Corte Costituzionale ha annunciato la sentenza che ha paralizzato il sistema!

La Corte Costituzionale, infatti, ha dichiarato illegittimo l’art. 3, co. 1, del D.Lgs. n. 23/2015 nella parte in cui è stata individuata l’anzianità di servizio quale unico criterio di calcolo dell’indennità per licenziamento illegittimo, in quanto contraria ai principi di ragionevolezza e uguaglianza Costituzionalmente garantiti.

In ragione di ciò, la Corte ha ritenuto restituire al Giudice la palla! Non più, dunque, un criterio puramente matematico ed oggettivo, bensì un ritorno ad una valutazione discrezionale dell’organo giudicante, basata su fattori differenti rispetto all’anzianità di servizio, quali, ad esempio, la gravità della violazione della legge, le dimensioni aziendali, i carichi di famiglia, l’anzianità del lavoratore.

In sostanza, il lavoratore potrà ottenere un’indennità ora compresa tra un minimo di 6 ed un massimo di 36 mensilità, indipendentemente dalla propria anzianità di servizio, a scelta insindacabile del solo Giudice.

La sentenza, dunque, investe esclusivamente le disposizioni del comma 1 del citato articolo, ossia il criterio di calcolo, lasciando, di conseguenza, inalterata la previsione della misura minima e massima di mensilità riconoscibili al lavoratore.

Seppur non siano ancora state pubblicate le motivazioni di tale sentenza, già il Tribunale di Bari, con ordinanza dell’11.10.2018, ha ritenuto di applicare i principi della Corte Costituzionale, condannando un datore di lavoro al pagamento di 12 mensilità in luogo delle 4 cui, in ragione dell’anzianità di servizio del lavoratore, avrebbe dovuto condannarlo ante pronuncia della Corte Costituzionale.

Occorre tuttavia segnalare che la sentenza della Corte Costituzionale ha inevitabilmente generato un “doppio binario”: se da un lato, infatti, gli effetti di tale decisione si riflettono sugli esiti di eventuali procedimenti pendenti e/o futuri, è pur vero che gli stessi non investiranno le modalità di calcolo della c.d. offerta conciliativa ex art. 6 del D.Lgs. n. 23/2015.

Come noto, tale strumento permette ai datori di lavoro di offrire al lavoratore licenziato, avanti ad una sede protetta, un’indennità non assoggettata a contribuzione e tassazione, purché nei termini dell’impugnazione stragiudiziale, calcolata anch’essa sulla base dell’anzianità di servizio, tra un minimo di 2 ed un massimo di 18 mensilità (innalzate a 3-27 mensilità dal Decreto Dignità).

La sentenza della Corte Costituzionale, tuttavia, ha lasciato inalterato tale sistema di calcolo, il quale è rimasto, dunque, ancorato alla sola anzianità di servizio del lavoratore.

Va da sé che i lavoratori, nella consapevolezza di poter ottenere un importo più alto in sede giudiziale, salvo che non godano di una rilevante anzianità di servizio, troveranno più favorevole assumersi il rischio di un contenzioso, piuttosto che accettare somme potenzialmente inferiori a quanto potrebbero ottenere “grazie” alla discrezionalità del Giudice.

Tra Decreto Dignità ed illegittimità costituzionale, non ci resta che attendere che le Corti e gli esperti giuslavoristi si pronuncino.