Decreto dignità: più della Legge poté la Circolare

di Andrea Morzenti, Curatore e autore di intornoallavoro.com

 

Negli ambienti frequentati dagli addetti ai lavori, si dice, si mormora, di grandi e importanti aziende che avrebbero chiesto ai loro grandi e importanti studi legali, un parere legale, una interpretazione, della Circolare del Ministero del Lavoro n. 17 del 31 ottobre 2018 con cui il Ministero avrebbe “fornito le prime indicazioni interpretative in materia di contratto di lavoro a tempo determinato e somministrazione di lavoro dopo le modifiche introdotte” dal Decreto cosiddetto Dignità (che, di seguito, chiamerò DD).

Ora, capite, che se sono necessari pareri ed interpretazioni su un atto amministrativo interpretativo di una norma di legge, ecco, c’è qualcosa che non va. Forse, aveva ragione un amico, un ottimo avvocato, quando mi diceva “fidati, è meglio se il Ministero non la scrive la Circolare”. Ma tant’è, la Circolare c’è e ora occorre prenderne in qualche modo atto.

Con una doverosa premessa. E cioè che le circolari «[…] non producono alcun “diritto vivente” che vincoli nella interpretazione delle norme» (C. Cost., n. 188/1998; Cass., n. 12911/2017). Detto ciò, partiamo.

Il Ministero del Lavoro ha quindi lasciato trascorrere tutto quanto il regime transitorio e ha pubblicato la sua Circolare. Sul transitorio, forse, non sapeva proprio cosa scrivere, non sapeva come interpretare una delle tante norme di difficile lettura del DD, e si è quindi limitato solo a scrivere che il regime transitorio ha trovato “applicazione anche con riferimento alla somministrazione di lavoro a tempo determinato”. Un’interpretazione ovvia ai più, anche se alcune voci in contrasto con questa lettura vi erano state (cfr., in particolare, Circolare Fondazione Studi Consulenti del Lavoro n. 16/2018).

Qui mi soffermerò su tre dei tanti punti trattati nella Circolare del Ministero: i) somministrazione di lavoro, ii) periodo massimo di occupazione e iii) condizioni.

Somministrazione di lavoro

Il Ministero precisa che “nessuna limitazione è stata introdotta per l’invio in missione di lavoratori assunti a tempo indeterminato dal somministratore. Pertanto, in questo caso, ai sensi dell’articolo 31 del citato decreto legislativo n. 81, tali lavoratori possono essere inviati in missione sia a tempo indeterminato che a termine presso gli utilizzatori senza obbligo di causale o limiti di durata, rispettando i limiti percentuali stabiliti dalla medesima disposizione”.

Si giunge a questa importante conclusione in quanto le novità del DD hanno riguardato il solo contratto di lavoro a termine (anche) delle agenzie e non il contratto commerciale di somministrazione. Quindi, se l’agenzia assume a tempo indeterminato non è mai richiesta la causale anche in caso di somministrazione a tempo determinato.

E, scrive il Ministero, non vi sono neppure “limiti di durata” all’invio in missione. Ora, su questo aspetto, se è pacifico che non vi sono dubbi in caso di somministrazione a tempo indeterminato, qualche riflessione in più va fatta in caso di somministrazione a tempo determinato. Perché, se è vero che l’invio in missione da parte dell’agenzia non ha limiti, residuano dubbi lato utilizzatore, in quanto quest’ultimo riceverebbe attività lavorativa (missione) sempre con contratto di somministrazione a tempo determinato (cfr. art. 19, co. 2, D.lgs. n. 81/2015, salvo diverse disposizioni dei contratti collettivi anche aziendali). E, aderendo alla tesi più estensiva, verrebbero meno tutte le differenze tra somministrazione a tempo determinato e quella a tempo indeterminato (salvo i diversi limiti percentuali).

Periodo massimo di occupazione

Qui il Ministero, nel titolo (non è mio, è proprio della Circolare), supera la fantasia e le peggiori letture negative del DD. Non dice di “occupazione a tempo determinato”, ma di “occupazione” punto. Quasi a voler dire, inconsciamente, che decorsi gli n mesi (vedremo poi quanti) l’occupazione viene meno…

Detto ciò, titolo a parte, è questo sicuramente il paragrafo meno chiaro di tutta la Circolare, che sconta la difficoltà (e la poca conoscenza/dimestichezza) nel comprendere appieno le differenze tra contratto di lavoro “a scopo di somministrazione” e contratto commerciale “di somministrazione”. Che vedo esserci anche a Roma, in Via Veneto.

Si parte con un “In proposito occorre anche considerare che per effetto della riforma l’articolo 19, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015 è adesso applicabile anche alla somministrazione di lavoro a tempo determinato”, che non è vero. Perché la somministrazione di lavoro a tempo determinato c’è da sempre nel comma citato (anzi c’è dal 2012, Riforma Fornero, altro comma, altro decreto, ma sostanzialmente stessi contenuti). Forse il Ministero voleva dire “contratti a termine a scopo di somministrazione”, cioè i contratti di lavoro a termine stipulati dalle agenzie? Forse, chissà…

E si continua con un “il suddetto limite temporale di 24 mesi opera tanto in caso di ricorso a contratti a tempo determinato quanto nell’ipotesi di utilizzo mediante contratti di somministrazione a termine. Ne consegue che, raggiunto tale limite, il datore di lavoro non potrà più ricorrere alla somministrazione di lavoro a tempo determinato con lo stesso lavoratore per svolgere mansioni di pari livello e della medesima categoria legale”. Cosa vorrà dire qui il Ministero? Smentisce e contraddice sé stesso quando nel 2012 disse che “il periodo massimo costituisce solo un limite alla stipulazione di contratti a tempo determinato e non – invece – al ricorso alla somministrazione di lavoro. Ne deriva che, una volta raggiunti i trentasei mesi, il datore di lavoro potrà ricorrere alla somministrazione a tempo determinato con lo stesso lavoratore” (cfr. Circolare n. 18 e Interpello n. 32)? Oppure vuol dirci altro con la locuzione “il datore di lavoro non potrà”? Perché nella somministrazione il datore di lavoro è l’agenzia (somministratore), non l’azienda (utilizzatore).

E si finisce con “si chiarisce che il computo dei 24 mesi di lavoro deve tenere conto di tutti i rapporti di lavoro a termine a scopo di somministrazione intercorsi tra le parti, ivi compresi quelli antecedenti alla data di entrata in vigore della riforma”. E qui, mi chiedo: a chi si riferisce il Ministero? All’utilizzatore, ricordando che deve computare i contratti di somministrazione a tempo determinato anche prima del 14 luglio 2018 (in particolare, aggiungo io, solo quelli dal 18 luglio 2012, data di entrata in vigore delle Riforma Fornero)? O al somministratore?

Perché, se all’utilizzatore, la locuzione “rapporti di lavoro a termine a scopo di somministrazione” potrebbe anche validare la tesi per cui la somministrazione a tempo determinato eseguita con rapporti di lavoro a tempo indeterminato non avrebbe limiti di durata.

Se, invece, il riferimento è al somministratore, lascia quantomeno dubbiosi, in quanto al somministratore l’art. 19, co. 2 non si è mai applicato prima del 14 luglio 2018. E, non essendoci nel DD alcuna norma di “computo a ritroso” (cfr., a contrario, art. 5, co. 4-bis, del D.lgs. n. 368/2001, introdotto dalla L. n. 247/2007) non si capisce il perché, e la legittimità, di una norma con effetti sostanzialmente retroattivi.

Condizioni

Su questo mi limito a riportare le posizioni del Ministero e un, permettetemi, errore di sbaglio (forse un copia/incolla andato un po’ lungo).

Partiamo dalle posizioni. Molto semplicemente il Ministero dice che, quale conseguenza del comma 1-ter dell’articolo 2 del DD (introdotto dalla legge di conversione, l’oscuro comma come lo chiamo io), tutti i “passaggi” dello stesso lavoratore da contratto di somministrazione a contratto a termine (e viceversa), con lo stesso datore/utilizzatore, necessitano sempre e comunque di causale. In sostanza, sono sempre dei rinnovi. Io condivido solo in parte queste conclusioni, come ho provato a spiegare in modo più compiuto possibile nel mio articolo su questa stessa Rivista n. 10 di ottobre 2018. Altra conseguenza, questa invece assolutamente condivisibile, è che per il somministratore la causale risulta necessaria (oltre che, ovviamente, in caso di contratto di durata iniziale o prorogata superiore ai dodici mesi) in caso di rinnovo, solo se con lo stesso utilizzatore.

E veniamo a quello che ho chiamato “errore di sbaglio”. Il Ministero scrive “si evidenzia che l’obbligo di specificare le motivazioni del ricorso alla somministrazione di lavoratori a termine sorge non solo quando i periodi siano riferiti al medesimo utilizzatore nello svolgimento di una missione di durata superiore a 12 mesi, ma anche qualora lo stesso utilizzatore aveva instaurato un precedente contratto di lavoro a termine con il medesimo lavoratore per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria”. Ecco, qui, il copia/incolla, come dicevo, è andato un po’ lungo. Perché l’obbligo di causale sorge, in caso di rinnovo, indipendentemente da “mansioni di pari livello e categoria”, requisito questo richiesto solo per il contatore dei 24 mesi (art. 19, co. 2, D.lgs. n. 81/2015) e non, appunto, in caso di rinnovo con causale (art. 19, co. 1 e art. 21, co. 01, D.lgs. n. 81/2015).

Insomma, in conclusione, riparto dalle premesse. Vero è che la Circolare non produce effetti vincolanti nell’interpretazione del DD. Per gli Ispettori del Lavoro sì, ma per altri interpreti no; tantomeno per un Giudice, soggetto solo alla Legge. Ma certamente fissa paletti, che potranno influenzare le policies delle aziende e delle agenzie. Le varie domande che ho posto (a cui chissà quante altre se ne possono – e se ne sono già – aggiunte) credo spieghino il perché grandi aziende han dovuto chiedere interpretazioni della Circolare ai loro legali.

In estrema sintesi, possiamo dire che più della Legge poté la Circolare.