La sospensione dell’attività imprenditoriale fra disequilibri normativi e forzature di prassi

Andrea Asnaghi, Consulente del lavoro in Paderno Dugnano

La sospensione dell’attività imprenditoriale è indubbiamente un fatto dalle conseguenze gravi per un’azienda e pertanto sarebbe auspicabile che tale provvedimento venisse attuato solamente laddove se ne riscontrasse l’effettiva necessità. Purtroppo sia la formulazione normativa sia la prassi messa in campo dal corpo ispettivo, e ribadita da ultimo nel giugno scorso con la pubblicazione di una serie di FAQ sull’argomento, non appaiono equilibrate e rischiano di penalizzare in particolare la piccolissima azienda. Un passaggi di prassi, inoltre, sembra non rispecchiare in pieno il testo normativo potendosi così creare contenzioso in opposizione alle decisioni ispettive.

Nel giugno 2017 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha emanato una nota con cui ha comunicato l’assestamento, in tema di sospensione dell’attività ex art. 14 del D.lgs. n. 81/2008, dell’attività formativa dell’intero corpus ispettivo, comprensivo cioè di quello degli Istituti Previdenziali. Nell’occasione ha inoltre pubblicato sul proprio sito alcune FAQ di indirizzo generale sulle questioni più ricorrenti e controverse nella materia.

Non si può tuttavia ritenere che sull’argomento si sia tracciato un punto fermo – come forse pretenderebbe l’INL – in quanto, a parere di chi scrive, sono ancora diverse le questioni tutt’altro che pacifiche e scontate.

Fermo restando che il lavoro nero è in assoluto fattispecie spregevole e decisamente stigmatizzabile e perseguibile, il plus rappresentato dalla sospensione dell’attività imprenditoriale non appare ad oggi sufficientemente calibrato e rischia di creare qualche problema, oltre ad alimentare il contenzioso.

Una norma non equilibrata

Osserviamo come la disposizione dell’art. 14 non appaia particolarmente equilibrata. Essa prevede in buona sostanza che gli ispettori possano emettere un provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale2 (solo per la parte di attività interessata dalle violazioni de quibus) qualora riscontrino “l’impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, nonché in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro”. Senza voler mettere in discussione la percentuale del 20 per cento indicata dalla norma – che il legislatore ha evidentemente individuato come soglia massima superata la quale non sussistono le condizioni di sicurezza minime, anche se non è dato comprendere su quali dati (statistici? di tecnica organizzativa?) si sia basato per fissare tale limite – osserviamo che in genere qualora una norma preveda un rapporto percentuale, come nel caso in esame, è buona regola fissare contemporaneamente un limite minimo e/o un limite massimo, quali correttivi ad un’aliquota il cui risultato potrebbe assumere un significato diverso in termini di valore assoluto. Pertanto risulta opportuno individuare delle soglie c.d. di tolleranza (o di intolleranza), di modo che tale risultato non faccia scattare situazioni troppo penalizzanti anche per valori trascurabili, oppure ex converso che non risulti eccessivamente lassista rispetto ad una violazione di dimensioni insopportabili.

Tanto per fare un esempio numerico, a chi scrive non sembra che un numero di 19 lavoratori in nero, contro altri 80 in forza, sia meno grave o meno rischioso di 1 lavoratore in nero su un totale di 5.

Il problema, seppure in altri termini, era stato sollevato dalla lungimirante “Direttiva Sacconi” sulle ispezioni, emanata nel settembre 2008.

Citiamo testualmente il passaggio:

Quanto alla sospensione della attività d’impresa, peraltro, sembra opportuno un richiamo sulla opportunità di adottare tale grave provvedimento (…) in modo da non punire esasperatamente le microimprese.(…). Per quanto concerne la percentuale di lavoratori “in nero”, si ritiene che nella micro-impresa trovata con un solo dipendente irregolarmente occupato non siano di regola sussistenti i requisiti essenziali di tutela di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008 idonei a sfociare in un provvedimento di sospensione”.

La Direttiva in tal modo molto opportunamente si domandava se non fosse il caso di evitare il provvedimento in argomento per l’azienda di dimensioni così limitate che la presenza di un solo dipendente in nero avrebbe fatto automaticamente scattare la sospensione. Al riguardo giova ricordare, se le parole hanno ancora un senso, che la definizione europea di micro-impresa si riferisce ad un’azienda con un numero di dipendenti inferiore a 10 unità e con un fatturato annuo non superiore ai 2 milioni di euro. L’attenzione dell’allora Ministro del Lavoro veniva però disgraziatamente male interpretata dal legislatore che, pochi mesi dopo, nel correttivo al D.lgs. n. 81/2008, con l’aggiunta del comma 11-bis all’art. 14 così disponeva: “Il provvedimento di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare non si applica nel caso in cui il lavoratore irregolare risulti l’unico occupato dall’impresa”.

Il concetto di micro-impresa si trasformava così nella (diversa) nozione di “impresa senza dipendenti” (peraltro, si noti: indipendentemente dal fatturato realizzato), contro l’originaria espressione letterale ma soprattutto contro la logica: infatti, l’impresa senza altri occupati oltre al lavoratore trovato “in nero” molto probabilmente si trova nella condizione di non aver realizzato, in quanto non obbligata, alcuna misura di prevenzione o di valutazione in termini di sicurezza ovvero di non averla mantenuta aggiornata (qualora avesse avuto lavoratori occupati nel passato). Quindi il lavoratore in nero unico dipendente si trova presumibilmente nella situazione meno garantita dal punto di vista della sicurezza, e per assurdo, in quel caso il provvedimento di sospensione sarebbe molto più giustificabile rispetto ad un’azienda ove già operassero altri dipendenti. Né ha particolarmente senso sostenere, come fa il Ministero nella FAQ n. 1 sulla scorta di una sentenza del TAR Piemonte, che oltre alla finalità evidentemente cautelare il provvedimento di sospensione ha “la finalità di sollecitare il datore di lavoro a regolarizzare la posizione lavorativa di dipendenti in nero”, in quanto tale ulteriore finalità evidentemente non sarebbe in alcun modo correlata al numero dei dipendenti trovati in nero ma soprattutto alla loro percentuale rispetto agli occupati regolari. A veder bene, inoltre, il passaggio normativo in argomento rischia pertanto di rivelarsi addirittura in contrasto con i principi di uniformità, ragionevolezza ed uguaglianza propri della nostra Costituzione, non sussistendo alcuna giustificazione – né logica né tantomeno pratica – nel “favorire” l’azienda senza dipendenti rispetto a quella che ne ha in forza due o tre3.

Allo stesso modo, appare un buco normativo non aver previsto una soglia massima di lavoratori irregolari oltre la quale, indipendentemente dalla consistenza aziendale, il provvedimento di sospensione debba essere in ogni caso elevato4.

Una prassi ingiustificabile

L’assurdo viene tuttavia raggiunto nella FAQ n. 6, in cui l’Ispettorato cristallizza un atteggiamento già adombrato in precedenti interventi, sia del Ministero che della Direzione Generale dell’Attività Ispettiva: per evitare “comportamenti opportunistici”, secondo l’INL la base di computo del provvedimento di sospensione deve essere calcolata con riferimento ai lavoratori “fotografati” (una vera e propria istantanea) all’esatto momento dell’ingresso degli ispettori in azienda, senza tenere in alcun conto eventuali lavoratori assenti o addirittura sopraggiunti in un secondo momento.

L’Ispettorato interpreta – malamente, ad avviso di chi scrive – il passaggio normativo in cui si lega il provvedimento di sospensione (rectius, il paragone, e quindi il computo numerico che ad esso sottende) ai “lavoratori presenti sul luogo di lavoro”.

Come è stato correttamente evidenziato dallo stesso Ministero con la propria circolare n. 33/2009, il significato della norma è quello di ricomprendere nel numero di dipendenti presi a base per il calcolo del 20 per cento anche i lavoratori trovati in nero, sommandoli a tal fine a quelli regolari per comparare il risultato con la percentuale di sbarramento.

Tuttavia il Ministero nella propria prassi, ora confermata dalla FAQ n. 6, compie un passo ulteriore, interpretando la legge – con un orientamento che non sembra supportato dalla lettera della norma, risultando pertanto del tutto arbitrario – nel senso che il conteggio in questione debba essere riferito al momento (istante) dell’accesso ispettivo.

A parere dello scrivente, la dizione “personale presente sul luogo di lavoro” si riferisce al personale normalmente e stabilmente occupato in via ricorrente sul luogo di lavoro ispezionato, non potendo pertanto un’azienda ricorrere al personale ubicato in altri siti e/o comunque in forza a qualsiasi titolo al fine di “guadagnare” la percentuale utile ad evitare la sospensione, in quanto l’efficacia della sicurezza normalmente viene riferita non già al complesso aziendale ma a ciascuno specifico sito produttivo (concetto espresso in più punti nel D.lgs. n. 81/2008; solo per citarne alcuni, art. 29 co. 4, art. 47 co. 1, art. 49 ). Parliamo di sicurezza consapevoli che il senso da rendere al provvedimento di sospensione non possa che essere, in via esclusiva, quello di una misura di carattere protettivo e tutelante, e proprio in quest’ottica inserita nel Testo Unico della sicurezza.

È però del tutto evidente che una cosa è il concetto appena espresso, un’altra è considerare unicamente il personale presente al momento “istantaneo” dell’accesso ispettivo e ciò per una duplice ragione:

– da una parte è del tutto evidente che a supportare o meno il provvedimento di sospensione sarebbe un fatto del tutto aleatorio: basterebbe ad esempio un avvenimento del tutto incidentale relativo al lavoratore o all’organizzazione aziendale (una malattia, un giorno o anche solo poche ore di permesso, una commissione presso un ufficio, una visita medica, una missione, la partecipazione ad un corso di formazione esterno … magari proprio sulla sicurezza) oppure che l’orario di arrivo degli ispettori sul posto di lavoro sia anticipato o ritardato, per determinare effetti completamente diversi rispetto al provvedimento sospensivo, senza pertanto che di questi differenti effetti sarebbe possibile cogliere alcuna ratio;

– d’altra parte, proprio in funzione della logica suddetta, nel computo del personale non può non tenersi conto del personale normalmente ed in via stabile concretamente occupato nel sito produttivo ispezionato.

Per quanto comprensibile sia la preoccupazione ministeriale, volta ad arginare fenomeni di “mobilità strumentale” del personale attuata unicamente al fine di evitare la sospensione, basterebbe fissare parametri diversi senza imporre una prassi rigida, assurda e del tutto ingiustificata (oltre che, non abbiamo dubbi, foriera di contenzioso), ad esempio legittimando il “metodo fotografico” del personale presente sul luogo di lavoro solo ove non sia possibile dalla documentazione ufficiale (ovviamente precedente all’ispezione) ricostruire il personale appartenente ad un determinato sito, ovvero qualora si tratti di una prestazione mobile, in cui tale ricostruzione sarebbe difficile; ovviamente, qualora gli ispettori riscontrassero in qualsiasi modo una situazione di fatto diversa da quanto dichiarato dall’impresa, riacquisirebbero pertanto in pieno la facoltà di disporre il fermo dell’attività.

Si pensi, per offrire un’ipotesi particolarmente significativa, ad un’azienda che abbia una ed una sola sede di lavoro con un numero di lavoratori regolari pari a sei e nella quale, durante un accesso ispettivo, venga trovato un ulteriore lavoratore in nero; tuttavia, al momento dell’accesso ispettivo un lavoratore con la mansione di magazziniere-autista era impegnato nelle consegne esterne ed un altro aveva chiesto due ore di permesso per una visita medica, quindi i lavoratori istantaneamente presenti erano 4, più l’irregolare. Stando alla FAQ n. 6 (anzi: stando al comportamento che in concreto gli ispettori adottano regolarmente) il provvedimento di sospensione sarebbe adottabile.

Ma questo – al di là dell’aleatorietà che da sé sola basterebbe a qualificare fallace ed immotivato un tale provvedimento – a quale finalità e a quale logica consegue?

Nell’azienda ”monosito” dell’esempio di poc’anzi è indubbio che, sia sotto il profilo squisitamente cautelare, sia rispetto ad un computo di gravità legato alla mera proporzionalità fra regolari e non, staremmo parlando di un’impresa in cui sono presenti ed operanti 6 dipendenti correttamente assunti. Diventa veramente arduo sostenere una tesi differente.

Ed allora, con quale discernimento (qualità che viene prima della discrezionalità, perché ne costituisce il fondamento) applicare un ingiustificabile provvedimento di sospensione?

Conclusioni

Dall’indirizzo ministeriale, e da quanto si osserva nella pratica, sembra evincersi che talvolta il provvedimento di sospensione serva agli ispettori non come misura effettivamente cautelare ma ben più come “elemento coercitivo”, volto ad annullare sul nascere una resistenza alle determinazioni ispettive (anche, si lasci dire, quelle meno supportate da un’attività di concreto accertamento) di fronte al rischio, di una sospensione dell’attività lavorativa a medio termine, rischio talvolta ben più grave per il datore di una sanzione o di una regolarizzazione. In particolar modo nella piccola impresa sorpresa con un lavoratore in nero, il dato è abbastanza evidente. Sotto questo aspetto, la vigilanza sembra proprio non voler rinunciare a questo strumento di “semplificazione” (ma solo della propria attività ispettiva) a favore di una razionalizzazione della norma e della prassi.

Ma, così fosse, bisognerebbe avere il coraggio legislativo di saltare direttamente qualsiasi considerazione intermedia in termini proporzionali e di considerare la sospensione sempre attuabile in presenza di lavoratori in nero, qualunque ne fosse la percentuale, anche se si trattasse di un solo lavoratore.

Tuttavia una simile risoluzione normativa sarebbe in contrasto con principi di ragionevolezza, nonché di libertà ed autonomia di impresa, andando ad impattare in maniera significativa nella protezione all’iniziativa imprenditoriale che è un bene costituzionalmente garantito.

È quindi per questo che il provvedimento di sospensione si giustifica solo e soltanto in chiave cautelare e di prevenzione. E sotto questo aspetto, essendo provvedimento emergenziale e di tutela, esso appare irragionevole per una violazione minima (quale sarebbe la presenza di un solo5 dipendente in nero).

In conclusione, a fare le spese di una ingiustificata tendenza “estensiva” del ricorso alla sospensione sono pertanto oggi soprattutto le micro-aziende6, ove, come esposto, spesso il superamento della soglia prevista dalla norma è solo frutto di una imprevidente formulazione normativa e di un assurdo irrigidimento della prassi.

1 Articolo già pubblicato, previe modifiche editoriali, nel n. 11/2017 di “Strumenti di lavoro”, ed. Euroconference

2 Nella FAQ n. 4 in Ministero interpreta la nozione di attività imprenditoriale escludendo da tale fattispecie i soggetti quali Onlus, Studi professionali non organizzati in forma societaria (STP), Associazioni sportive dilettantistiche, Associazioni culturali e consimili, salvo che nel corso dell’ispezione non appaia riscontrabile l’esercizio di un’attività economica vera e propria.

3 Anzi, ragionando a contrariis, se non sussistono elementi di urgenza e tutela (tali da portare al fermo dell’attività) nella impresa senza dipendenti con un solo lavoratore a nero, si potrebbe sostenere in analogia che un solo lavoratore a nero non giustificherebbe mai il provvedimento di sospensione.

4 Basandosi sul concetto europeo di piccola impresa (fino a 50 dipendenti) e mantenendo ferma la percentuale teorica del 20 %, si potrebbe legiferare che un numero di lavoratori trovati in nero pari o superiori a 10 farebbe sempre scattare la sospensione. Del resto, da un lato la diffusione del lavoro nero nelle aziende di una certa dimensione non è particolarmente elevata, dall’altro lato è del tutto probabile che in una situazione del genere (cioè oltre un certo numero di lavoratori non regolari) ci si aspetterebbe di riscontrare molteplici profili di irregolarità sostanziale, proprio perché il fatto sarebbe anomalo ed indice di una pervicace volontà elusiva.

5 E’ opportuno ribadire che chi scrive ritiene l’impiego di lavoratori in nero, fosse anche solo uno, un fatto grave. Quello che non sembra equo è aggiungere alle sanzioni già previste un provvedimento di sospensione senza reali necessità cautelari, perché l’assenza di tale requisito prospetterebbe quasi un bis in idem rispetto alla maxi-sanzione per lavoro nero.

6 Anche perché la presenza di lavoratori irregolari, salvo situazioni particolarmente criminose, solitamente si attesta su uno o pochi elementi: è quindi evidente che a rimanere “sotto soglia”, a rischio sospensione, sono soprattutto le micro-imprese.