USO IMPROPRIO DEL CONGEDO PARENTALE: giustifica il licenziamento per abuso del diritto

Antonella Rosati, Ricercatrice Centro Studi Fondazione Consulenti del Lavoro di Milano ·

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F. Toffoletto e C. Manganaro analizzano la giurisprudenza sull’abuso del diritto al congedo parentale

Gli Autori analizzano la sentenza della Corte di Cassazione n. 2618 del 4 febbraio 2025 che si inserisce nel filone giurisprudenziale riguardante l’abuso del diritto al congedo parentale e il conseguente licenziamento per giusta causa. Il caso in esame ha visto protagonista un dipendente di ANAS S.p.A. licenziato per aver svolto un’attività lavorativa retribuita durante il periodo di congedo parentale, in violazione delle finalità del beneficio previsto dall’art. 32 del D.lgs. n. 151/2001.

IL QUADRO FATTUALE E LE MOTIVAZIONI DELLA CORTE

La Corte di Appello di Roma aveva già confermato la sentenza di primo grado, ritenendo provata la condotta contestata grazie alle risultanze di un’indagine investigativa commissionata dal datore di lavoro. Il lavoratore, nel periodo di congedo, aveva svolto in maniera sistematica attività di compravendita di autovetture attraverso una società della quale era amministratore unico. Gli Ermellini, nel rigettare il ricorso del lavoratore, hanno confermato che la condotta in esame costituiva un abuso del diritto al congedo parentale, in quanto incompatibile con la ratio dell’istituto, che punta a garantire l’assistenza e la presenza del genitore per il soddisfacimento dei bisogni affettivi e materiali del minore. Il comportamento del dipendente è stato qualificato come una grave violazione dei principi di correttezza e buona fede, nonché del dovere di fedeltà ex art. 2105 c.c., connotandosi per un disvalore sociale significativo.

LE QUESTIONI GIURIDICHE AFFRONTATE

Nel suo ricorso, il dipendente aveva sollevato i seguenti motivi di censura:

– la legittimità dell’indagine investigativa, contestando il mancato rispetto delle norme che regolano l’attività delle agenzie investigative;

 – l’acquisizione della documentazione probatoria, ritenuta tardiva e quindi inutilizzabile;

– l’onere della prova del licenziamento, sostenendo che l’indagine aveva coperto solo quattro giorni e non l’intero periodo di congedo;

– la proporzionalità della sanzione, rilevando che la condotta era sanzionabile con misure conservative secondo il CCNL applicabile;

– l’interpretazione dell’art. 32, D.lgs. n. 151/2001, sostenendo che l’attività lavorativa non impediva la cura del minore;

 – la mancata compensazione delle spese processuali, lamentando l’eccessiva onerosità della condanna.

La Suprema Corte ha respinto tutte le censure, ribadendo che:

– l’investigazione era legittima e le risultanze probatorie idonee a dimostrare l’abuso;

– l’onere della prova era stato correttamente assolto dal datore di lavoro;

 – il licenziamento per giusta causa era proporzionato alla gravità della condotta.

LE IMPLICAZIONI DELLA DECISIONE

Questa pronuncia ribadisce il principio secondo cui lo sviamento delle finalità del congedo parentale giustifica il licenziamento per giusta causa. Il diritto al congedo parentale non può essere utilizzato per finalità estranee alla cura del figlio e qualsiasi condotta che si ponga in contrasto con tale funzione può determinare la perdita del rapporto di lavoro. Il provvedimento si inserisce in una linea giurisprudenziale che valorizza la correttezza nell’uso degli strumenti di welfare aziendale e pubblico, evidenziando come l’ordinamento sia particolarmente rigido nel sanzionare abusi che possano pregiudicare l’equilibrio tra esigenze lavorative e tutela della genitorialità. Inoltre, rileva l’indebita percezione dell’indennità e lo sviamento dell’intervento assistenziale nei confronti dell’ente previdenziale erogatore del trattamento economico, configurandosi così una duplice lesione degli interessi tutelati dall’ordinamento.

CONCLUSIONI

La sentenza n. 2618/2025 conferma un orientamento ormai consolidato 1 della Cassazione in materia di congedo parentale e abusi del lavoratore. L’importanza del principio della buona fede nell’esercizio dei diritti e delle tutele previste dall’ordinamento è qui riaffermata con decisione, a tutela non solo del datore di lavoro, ma anche dell’integrità degli strumenti di welfare familiare. Il congedo parentale deve essere utilizzato per gli scopi per cui è stato concepito e qualsiasi utilizzo distorto può avere conseguenze estremamente gravi per il lavoratore. Come si legge nella decisione in commento “è proprio la compressione della iniziativa datoriale lato sensu intesa ed il sacrificio imposto alla collettività in relazione ai costi sociali ed economici connessi alla fruizione del congedo parentale a giustificare una valutazione particolarmente rigorosa, sotto il profilo disciplinare, della condotta del lavoratore che si sia sostanziata nello sviamento dalle finalità proprie dell’istituto e in un’utilizzazione strumentale dello stesso per la realizzazione di finalità ad esso del tutto estranee”. La decisione rappresenta quindi un monito per i dipendenti e un chiarimento importante per datori di lavoro e operatori del diritto sulle modalità di gestione di situazioni simili. In buona sostanza non solo un comportamento inadempiente nei confronti del datore di lavoro ma un illecito socialmente esecrabile.

1. La decisione espressamente fa riferimento a precedenti relativi alla fruizione di permessi per l’assistenza al disabile ed altri più specifici, analoghi alla fattispecie (Cass. 16 giugno 2008, n. 16207 e Cass. 11 gennaio 2018, n. 509). Nel precedente più risalente, in particolare, era stato ritenuto abusivo lo svolgere un’attività lavorativa nella pizzeria di titolarità della moglie.

* Sintesi dell’articolo pubblicato in Mod.24 Contenzioso Lavoro, 31 luglio 2025, n. 7, pag. 51 ss, dal titolo Abuso dei congedi parentali, legittimo il licenziamento.

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