Una proposta al mese – UNIONI CIVILI E CONVIVENZE DI FATTO. Perché non prevedere identici obblighi previdenziali?  

Alberto Borella, Consulente del Lavoro in Chiavenna (So)

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Con la Legge n. 76 del 20 maggio 2016, conosciuta anche come Legge Cirinnà, è stata introdotta in Italia la Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze.

LE UNIONI CIVILI

In particolare, l’art. 1, comma 2, stabilisce la possibilità che due persone maggiorenni dello stesso sesso possano costituire una Unione civile mediante dichiarazione di fronte all’Ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni. Importante, tra le tante disposizioni che riguardano le Unioni civili, quanto previsto al comma 20 dove si prevede che, seppur al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.

LE CONVIVENZE DI FATTO

Il successivo comma 36 dello stesso articolo disciplina invece la Convivenza di fatto ovvero il rapporto tra due persone maggiorenni (si parla quindi sia di coppie eterosessuali che omosessuali) unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale – non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile – coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune. Anche qui molto importante risulta il comma 46 che introduce nel codice civile il nuovo art. 230-ter, riconoscendo al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Diritto di partecipazione che però non si configura qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato. Va qui subito evidenziato che la Convivenza di fatto disciplinata dalla Legge n. 76/2016 è qualcosa di diverso sia dalla Convivenza ai fini anagrafici, che si riferisce ad un insieme di persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune (art. 5 del D.P.R. n. 223/1989), che da una situazione di Convivenza derivante da vincoli affettivi non diversamente specificati (art. 4 del sopracitato D.P.R.). Solo quest’ultima ha in comune con la Convivenza di fatto la sua identificazione – parliamo solo ai fini anagrafici – quale famiglia che quindi viene attestata in un unico stato di famiglia ossia l’insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, unione civile, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune. La Convivenza di fatto rappresenta invece uno step ulteriore, dato che la Legge Cirinnà subordina l’esercizio dei diritti e doveri ivi previsti ad una apposita dichiarazione circa l’esistenza di legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale (art. 1, commi 36 e 37, della Legge n. 76/2016).

L’INPS E LE UNIONI CIVILI

Con la circolare n. 66 del 31 marzo 2017 l’Inps fornisce le prime istruzioni in merito alle nuove disposizioni normative sulla disciplina degli obblighi previdenziali posti a carico degli esercenti attività d’impresa. Per quanto riguarda le Unioni civili le conclusioni a cui giunge l’Istituto appaiono scontate data l’equiparazione prevista dall’art. 1, comma 20, della Legge n. 76/2016 tra il coniuge ed ognuna delle parti dell’Unione civile. Inevitabile quindi l’estensione delle tutele previdenziali in vigore per gli esercenti attività autonoma (artigiani e commercianti) anche ai coadiuvanti uniti al titolare da un rapporto di unione civile e registrato ai sensi di legge. Questo vale sia per le cosiddette quote fisse che per quelle a percentuali dato che il comma 13 della legge in questione considera applicabili alle Unioni civili – tra le altre – anche l’art. 230-bis c.c., equiparando il soggetto unito civilmente al titolare dell’impresa familiare al coniuge, con tutti i conseguenti diritti ed obblighi di natura fiscale e previdenziale.

L’INPS E LE CONVIVENZE DI FATTO

Diversa invece è la posizione dell’Istituto riguardo al convivente di fatto. L’Inps parte da una prima considerazione ovvero che, seppur la nuova normativa estenda al convivente alcune tutele in materia penitenziaria, sanitaria e abitativa, non introduce alcuna equiparazione di status, né estende al convivente, per quanto di interesse, gli stessi diritti/obblighi di copertura previdenziale previsti per il familiare coadiutore. Allo stesso modo nessun rilievo pratico assume l’introduzione del nuovo art. 230-ter codice civile che prevede il diritto alla partecipazione agli utili dell’impresa in modo commisurato al lavoro stabilmente prestato all’interno dell’impresa (sempre che non sussista già un rapporto di subordinazione o di società tra le parti). L’Istituto ritiene infatti che tale innovazione non attribuisca ai conviventi di fatto i medesimi diritti di cui godono i familiari individuati dall’art. 230-bis, poiché a tal fine il legislatore avrebbe utilizzato locuzioni idonee ad includere il convivente nella formulazione del predetto articolo e non avrebbe al contrario introdotto un nuovo articolo, che disciplina separatamente i diritti del convivente che presti attività in un’impresa familiare. Per questi motivi l’Istituto conclude precisando come l’eventuale attribuzione di utili d’impresa al convivente di fatto, da parte del titolare, ai sensi del nuovo articolo 230-ter, non abbia alcuna conseguenza in ordine all’insorgenza dell’obbligo contributivo del convivente alle gestioni autonome, mancando i necessari requisiti soggettivi, dati dal legame di parentela o affinità rispetto al titolare. La conclusione potrebbe apparire forse eccessivamente cavillosa ma non va ignorato il passaggio contenuto nel comma 67 dell’art. 1 della Legge n. 76/2016 – peraltro non evidenziato nel documento di prassi Inps – dove il Ministero del lavoro afferma che provvederà al monitoraggio degli oneri di natura previdenziale ed assistenziale di cui ai commi da 11 a 20 dell’art. 1, commi che riguardano le sole Unioni civili. In sostanza viene indirettamente esclusa ogni rilevanza previdenziale della nuova normativa sulle Convivenze di fatto.

L’AGENZIA DELLE ENTRATE E LE CONVIVENZE DI FATTO

Qualche mese dopo la presa di posizione dell’Inps si registra una Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, la numero 134/E del 26 ottobre 2017, in risposta ad un interpello riguardante l’imputazione degli utili al convivente di fatto che presta stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente in relazione alle previsioni contenute nell’art. 5 del TUIR, nella legge 20 maggio 2016, n. 76 e nell’art. 230-ter codice civile. Rinviamo al lettore la lettura dei passaggi giuridici alla base della decisione. Qui ci limitiamo a evidenziare come l’Agenzia, pur prendendo atto di come l’art. 5, comma 4, del TUIR richiami solo l’art. 230-bis del c.c. e non anche l’art. 230-ter del c.c. (cosa che parrebbe escludere l’applicazione della norma fiscale richiamata a tale ultima ipotesi), ritiene che il riferimento alla “partecipazione agli utili dell’impresa familiare” spettanti al convivente previsto nell’art. 230-ter, consente di applicare anche a questa fattispecie i principi generali che hanno portato alla collocazione dell’impresa familiare all’interno dell’articolo 5 del TUIR. Nonostante l’Inps si fosse riservata la rivalutazione della propria posizione a fronte delle opportune istruzioni eventualmente emanate dalla competente Autorità finanziaria per regolamentare gli aspetti fiscali di tale innovazione legislativa e le eventuali problematiche connesse, ad oggi nulla risulta cambiato e quindi il convivente non è soggetto ad alcun obbligo contributivo nonostante la percezione di un reddito fiscalmente rilevante.

L’INAIL E LE CONVIVENZE DI FATTO

Anche l’Inail è prontamente intervenuto sulla questione con la circolare n. 45 del 13 ottobre 2017 dove viene affermato che l’articolo 1, comma 20, della legge in questione, equiparando le parti dell’unione civile ai coniugi, determina l’applicazione automatica alle parti stesse delle norme riguardanti i diritti alle prestazioni economiche erogate dall’Inail, precedentemente riservate solo ai coniugi. Riguardo invece alle convivenze di fatto sostiene che in assenza di una espressa disposizione normativa in materia di equiparazione di status tra coniuge e convivente di fatto, quest’ultimo non può essere ritenuto beneficiario delle prestazioni economiche erogate dall’Inail.

L’ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO E LE CONVIVENZE DI FATTO

Sulla problematica è intervenuto di recente anche l’Inl con la nota n. 879 del 23 maggio 2023, confermando l’orientamento, espresso sin dal 2017 dall’Inps, volto ad equiparare le parti unite civilmente allo status di coniuge ed escludendo ciò in relazione alla convivenza more uxorio. Il passaggio più interessante dell’intervento è comunque quello conclusivo dove lo stesso Ispettorato riconosce come la normativa potrebbe avere una evoluzione in senso contrario considerata la rimessione della questione alle Sezioni Unite Civili affinché si pronunci su un tema di particolare importanza ovvero “Se l’articolo 230 bis, comma 3, c.c. possa essere evolutivamente interpretato (in considerazione dell’evoluzione dei costumi nonché della giurisprudenza costituzionale e della legislazione nazionale in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso) in chiave di esegesi orientata sia agli artt. 2, 3, 4 e 35 Cost. sia all’art. 8 CEDU come inteso dalla Corte di Strasburgo, nel senso di prevedere l’applicabilità della relativa disciplina anche al convivente more uxorio, laddove la convivenza di fatto sia caratterizzata da un grado accertato di stabilità”.

LE VARIE TIPOLOGIE DI CONVIVENZA

Ricapitolando ad oggi abbiamo in pratica tre tipi di convivenza, tutte fondate su rapporti affettivi (una quarta si basa su meri rapporti di assistenza) e che hanno un denominatore comune ovvero il fatto che, dal punto di vista anagrafico, sono considerate quali famiglie e quindi i suoi componenti sono iscritti nello stesso stato di famiglia (art. 4 del D.P.R. n. 223/1989). Vediamole nel dettaglio.

1.La Convivenza di fatto ai sensi della Legge n. 76/2016 e regolata altresì da un contratto di convivenza. La particolarità di questa convivenza è che oltre che basarsi su dichiarati vincoli affettivi e di assistenza, i rapporti patrimoniali tra i conviventi sono regolati appunto da un contratto di convivenza, documento previsto dal comma 50 e seguenti dell’art. 1 della Legge n. 76/2016 a mezzo del quale i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune. E’ quindi una loro facoltà. Ove se ne avvalgano, l’atto dovrà essere redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico. Inoltre, ai fini della sua opponibilità ai terzi, il professionista che ha ricevuto l’atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione ai sensi del comma 51 deve provvedere, entro i successivi dieci giorni, a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe (artt. 5 e 7 del regolamento di cui al D.P.R. n. 223/1989). A questa tipologia di convivenza di fatto si applicano, oltre alle disposizioni di cui ai commi 36 a 49 della Legge n. 76/2016, anche quelle dai commi 50 a 65.

2. La Convivenza di fatto ai sensi della Legge n. 76/2016 priva di un contratto di convivenza.

Per questo tipo di convivenza di fatto – che si basa anch’essa su vincoli affettivi e di assistenza – è richiesta unicamente la specifica dichiarazione ai fini anagrafici prevista dall’art. 1, comma 37, della Legge n. 76/2023. A queste convivenze si applicano le sole disposizioni dei commi da 36 a 49. I rapporti patrimoniali sono comunque regolati dal nuovo art. 230-ter c.c. che, come abbiamo visto, dispone che Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare … Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.

3. La mera Convivenza in quanto priva della apposita dichiarazione prevista della Legge n. 76/2016.

In questo caso siamo di fronte alla situazione classica di Convivenza ante Legge n. 76/2016 e che ancora oggi comprende coloro che hanno dichiarato in anagrafe generici vincoli affettivi tra i quali annoveriamo, oltre ai classici fidanzati, pure il caso di due o anche più fratelli e sorelle che conviventi di fatto non possono essere dato che la Legge Cirinnà esclude chi è già vincolato da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile. A questa terza specie di convivenza non si applica ope legis quanto previsto dalla Legge n. 76/2016, compreso l’art. 230-ter del c.c. che il comma 36 dell’art. 1 della norma riferisce esplicitamente ai soli conviventi di fatto secondo la definizione data di costoro dal successivo comma 371 .

LA NOSTRA PROPOSTA

Il quadro che si presenta come si vede oltre che complesso è delicato in quanto sono in gioco sia le tutele assicurative e, soprattutto, quelle previdenziali. Tutele che non possono attendere il parere di una giurisprudenza che, oltre che ondivaga, ha spesso tempi biblici. Lo sottolinea lo stesso Inl parlando della fisiologica inconciliabilità dei tempi di Giustizia con il rispetto della stringente tempistica procedimentale ispettiva. Per la nostra proposta partiamo quindi da una osservazione ovvero dalla circostanza che entrambe le due tipologie di Convivenza di fatto si fondano – a prescindere dalla formalizzazione o meno di un contratto di convivenza – su una dichiarazione anagrafica di esistenza di legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale. In funzione di tale dichiarazione opera l’art. 230-ter c.c. che riconosce al convivente di fatto che presta attività nell’impresa dell’altro convivente il diritto (residuale in quanto viene fatta salva l’esistenza di un diverso rapporto) della partecipazione agli utili di una impresa che il codice civile espressamente definisce, è bene rammentarlo e sottolinearlo, quale impresa familiare. Non dimentichiamo peraltro, a tal proposito, che con l’eventuale contratto di convivenza le parti potrebbero configurare i loro rapporti all’interno dell’impresa gestita da uno dei due conviventi, esplicitamente come collaborazione di tipo familiare. Ciò premesso, negare l’estensione degli obblighi previdenziali ai componenti di quella che la stessa norma considera una impresa familiare, seppur ai sensi non del 230-bis ma del nuovo art. 230-ter del codice civile, appare discriminatorio in un’ottica di garantire a tutti un trattamento previdenziale e pensionistico. E abbiamo visto come l’Agenzia delle Entrate un passo in questa direzione lo abbia già fatto. La nostra proposta è quindi, ça va sans dire, di estendere a tutte le convivenze di fatto le tutele previdenziali e assicurative. Certo, dagli obblighi rimarrebbero escluse le classiche convivenze, i “ fidanzati” (etero o omosessuali) che comunque potrebbero gestire la prestazione lavorativa dell’uno all’interno dell’impresa dell’altro semplicemente rendendo l’apposita dichiarazione in Anagrafe circa l’esistenza di legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale (art. 1, commi 36 e 37, Legge n. 76/2016). Acquisendo in tal modo lo status di conviventi di fatto a tutti gli effetti di legge, alle loro prestazioni si applicherebbe anche l’art. 230-ter del codice civile.

  1. Stando alla nota n. 231 del 6 febbraio 2017 del Ministero dell’Interno, la dichiarazione anagrafica prevista dal comma 37 è solo dichiarativa e non costituiva della convivenza di fatto. Il suo accertamento potrebbe pertanto avvenire anche in sede giudiziaria.

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