E non è necessario perdersi
in astruse strategie,
tu lo sai, può ancora vincere
chi ha il coraggio delle idee.
(R. Zero, “Il coraggio delle idee”)
Nello scorso numero della nostra Rivista1 abbiamo elencato una serie di piccole, ma a nostro avviso efficaci semplificazioni, sulla gestione amministrativa del Durc on-line, in modo da renderlo maggiormente accessibile alle aziende senza snaturarne la funzione di garanzia di regolarità, ponendo rimedio agli ostacoli che attualmente lo rendono un vero e proprio strumento di tortura.
Ahinoi, non è solo in ambito amministrativo che rinveniamo delle criticità, ma anche sotto altri aspetti che possiamo definire “di merito”, le contraddizioni non sono poche.
E Durc fu.
E non solo, poiché il celeberrimo co. 1175, art. 1 della L. n. 296/2006 ha reso obbligatorio, per usufruire di qualsivoglia agevolazione contributiva, oltre al possesso del Durc regolare, anche il pieno rispetto degli altri obblighi di legge, nonché degli accordi e contratti collettivi nazionali, regionali, territoriali o aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale che, la cui definizione attendiamo tutti con apprensione di conoscere, da che mondo è mondo, come fossimo in attesa del messia. Tralasciando la mancata individuazione dei contratti collettivi citati dal co. 1175, la cui discussione meriterebbe fiumi di inchiostro, e soffermandoci invece sulla necessità di dover dimostrare la regolarità aziendale ai fini di beneficiare degli sgravi contributivi, il punto fondamentale da evidenziare è che il Durc (come già abbiamo avuto modo di affermare nel numero precedente di questa Rivista), altro non è che una mera certificazione amministrativa della regolarità aziendale, che non costituisce elemento fondante del diritto al beneficio, ma solo condizione di mantenimento o perdita di quello stesso beneficio, qualora abbia esito irregolare. Il diritto dell’azienda a fruire degli sgravi nasce nel momento in cui essa ha tutti i requisiti stabiliti dalla norma che regolamenta lo sgravio stesso e, per tale motivo, può immediatamente usufruirne.
È a posteriori che interviene l’obbligo di Durc regolare che, se assente, preclude il proseguimento alla fruizione del beneficio, dal momento in cui si accerta l’irregolarità e fino al momento in cui la stessa viene ristabilita, come puntualmente confermato dall’Inl nella circolare n. 3/2017 che richiamava a sua volta la risposta ad interpello del Ministero del lavoro n. 33/2013.
Resta pertanto sconcertante la prassi adottata da diverse sedi Inps che, anziché limitare il recupero delle agevolazioni contributive al solo periodo di accertata irregolarità aziendale, sfruttano il limite massimo di prescrizione, per procedere al diniego degli sgravi fruiti negli ultimi 5 anni.
A tal proposito, sarebbe quindi quantomeno opportuno un chiaro ed immediato intervento normativo che limiti una volta per tutte il recupero delle agevolazioni con esclusivo riferimento al periodo di accertata irregolarità aziendale.
Andando oltre, sarebbe opportuno riportare nel medesimo intervento normativo anche quanto previsto dalla citata circolare Inl n. 3/2017 “Va pertanto chiarito che, mentre l’eventuale assenza del Durc (che può peraltro derivare da un accertata violazione di legge e/o di contratto) incide sulla intera compagine aziendale e quindi sulla fruizione, per tutto il periodo di scopertura, dei benefici, le violazioni di legge e/o di contratto (che non abbiano riflessi sulla posizione contributiva) assumono rilevanza limitatamente al lavoratore cui gli stessi benefici si riferiscono ed esclusivamente per una durata pari al periodo in cui si sia protratta la violazione”, per evitare che il giudice eccessivamente rispettoso della gerarchia delle fonti non consideri pienamente valido tale importantissimo concetto poichè contenuto in un atto di prassi, magari ribaltando sull’intera azienda l’irregolarità accertata sul singolo lavoratore, qualora trattasi, appunto, di violazione di legge e/o di contratto senza riflessi sulla posizione contributiva.
Continuano inoltre a spuntare come funghi sentenze (per fortuna finora di merito), che affermano l’illegittimità della compensazione tra debiti contributivi e crediti di altra natura, argomento già trattato su questa Rivista2, e di cui anche Assonime si è preoccupata nel caso n.3/2023 pubblicato sul proprio sito. Tale preoccupante orientamento deriva da un’interpretazione distorta dell’art. 17 del D.lgs.241/1997, che recita “I contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’Inps e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Orbene, i giudici che si sono espressi in materia considerano l’espressione “nei confronti dei medesimi soggetti”, riferita non al singolo contribuente, come è logico ed immediato intuire, ma ritengono invece che il legislatore si riferisca al singolo ente, precludendo, di conseguenza, compensazione tra debiti e crediti di differente natura.
Eppure, già il comma 1 dell’art.22 del medesimo D.lgs. n. 241/1997, intitolato “Suddivisione delle somme tra gli enti destinatari” afferma che “Entro il primo giorno lavorativo successivo a quello di versamento delle somme da parte delle banche e di ricevimento dei relativi dati riepilogativi, un’apposita struttura di gestione attribuisce agli enti destinatari le somme a ciascuno di essi spettanti, tenendo conto dell’eventuale compensazione eseguita dai contribuenti”, ergo, come confermato anche nell’interpretazione di Assonime, in caso di compensazione di debiti previdenziali con crediti fiscali, l’Inps riceve in accredito da parte dell’Erario l’importo portato in compensazione, con assolvimento del debito previdenziale. E pensare che la legge delega del D.lgs. n. 241/97, ovvero la L. n. 662/1996, alla lettera b), c. 134, art. 3, menziona candidamente i “versamenti unitari, anche in unica soluzione, con eventuale compensazione, in relazione alle esigenze organizzative e alle caratteristiche dei soggetti passivi, delle partite attive e passive, con ripartizione del gettito tra gli enti a cura dell’ente percettore” prevedendo chiaramente ciò che oggi i giudici di merito negano a spada tratta.
È doveroso aggiungere che nelle sentenze contro tali compensazioni (Trib. Milano n. 2207/2021 e n. 7823/2022, Trib. Brescia n. 1251 /2022), vi è un ulteriore elemento, ovvero la paventata inesistenza dei crediti portati in compensazione, dei quali l’Inps si prodiga di accertare la sussistenza e, nelle more di ciò, , ritiene preclusa la compensazione. Considerato quanto disposto dal citato c.1, art. 22, D.lgs. n. 241/97, nasce spontaneo il dubbio relativamente alla legittimità dell’azione diretta dell’Inps contro il contribuente nel recupero del debito previdenziale, poiché appare logico dedurre che, come confermato anche dalla circolare del Ministero delle finanze n. 101/2000, nonché dalla risoluzione Ag. Entrate n. 452/2008, la compensazione su F24 non dovrebbe risentire dell’effettiva sussistenza del credito su cui, invece, l’ente legittimato al recupero del corrispondente importo appare essere la stessa Agenzia delle Entrate, fatti salvi naturalmente i casi in cui l’Inps non abbia ricevuto dalla stessa il “giroconto” a copertura del debito. È inoltre banale ma doveroso ricordare che i crediti previdenziali possono essere compensati in F24 con qualsiasi tipologia di debito, a maggior ragione davvero non si comprende il recente accanimento contro l’operazione contraria. Per dissipare qualsivoglia dubbio, è necessario un brevissimo intervento normativo che chiarisca la piena legittimità delle compensazioni tra partite di origine diversa, confermando le regole introdotte sia dalla L. n. 662/96 nonché, visto quando accaduto con il D.lgs. n. 241/97, inserendo una maggiore rigidità nell’emanazione dei decreti attuativi delle leggi delega, che dovranno riportare in maniera pedissequa la volontà espressa nella legge delega, onde evitare pericolose
elucubrazioni nelle aule dei tribunali come nel caso in trattazione. Infine, è doverosa una riflessione finale sui 4 miliardi3 destinati ad incentivare l’occupazione nelle aree svantaggiate del nostro paese, nonché l’occupazione delle donne e dei giovani mediante il sistema degli sgravi contributivi che è sempre più complicato applicare e mantenere: una sostanziale e strutturale riduzione del costo del lavoro a fronte di riduzioni temporanee che spesso si rivelano “trappole”, anche in conseguenza delle criticità di gestione del Durc, è l’unica soluzione logica da percorrere.
Oltre ad un beneficio immediato per le aziende, anche la collettività ne tratterebbe giovamento, non solo per la maggiore propensione ad occupare nuove risorse umane, ma anche perché la riduzione del contenzioso che inevitabilmente si verrebbe a creare, comporterebbe un ingente risparmio di tempo e denaro da parte sia delle amministrazioni pubbliche (e quindi di ogni singolo cittadino), che delle imprese coinvolte.
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