E non è necessario perdersi
in astruse strategie,
tu lo sai, può ancora vincere
chi ha il coraggio delle idee.
(R. Zero, “Il coraggio delle idee”)
Ci sono un paio di cose che non vanno nella nuova disciplina del lavoro sportivo prevista dal D.lgs. n. 36 del 28.02.2021. Disposizioni di cui non si intuisce – così quantomeno è per chi scrive – la ragione.
Oddio, ad essere onesti ce ne sarebbero delle altre, ma già queste ci fanno capire quanto il legislatore proprio non ci abbia capito nulla della materia sport. Eppure la norma è del 2021 e in questi due ultimi anni è stata rivista e sistemata – tra decreti-legge, leggi di conversione e decreti legislativi – una decina di volte. Il risultato? Un pastrocchio nel più classico del un colpo al cerchio e l’altro alla botte che ha prodotto un contenitore dove ci si mette sì il vino ma all’interno del quale il nettare degli dei diventa aceto.
IL LAVORO SPORTIVO NELL’AREA DEL DILETTANTISMO
L’art. 25 del D.lgs. n. 36/2021 individua quale lavoratore sportivo l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che … esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo. È inoltre lavoratore sportivo ogni tesserato … che svolge verso un corrispettivo le mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti dei singoli enti affilianti, tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva, con esplicita esclusione delle mansioni di carattere amministrativo-gestionale.
Precisato infine che l’attività di lavoro sportivo pu costituire oggetto di un rapporto di lavoro subordinato o di un rapporto di lavoro autonomo, anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative, il successivo art. 28 stabilisce che il lavoro sportivo nell’area dilettantistica si presume quale collaborazione coordinata e continuativa quando ricorrono i seguenti requisiti nei confronti del medesimo committente:
Cominciamo con la questione orario di lavoro per il quale viene fissata un dead line al superamento della quale il lavoro sportivo nella forma della co.co.co. cessa di essere presunto come tale.
Si tratta di una presunzione relativa, il che comporta che entro le 18 ore è l’organo ispettivo a dover dimostrare che la prestazione è un qualcosa di diverso dalla collaborazione coordinata e continuativa; diversamente, superato questo limite, la prova spetta al committente.
Primo dubbio sollevato da molti commentatori è se il limite sia settimanale o una media nell’arco del contratto?
Scritta così la disposizione sembra individuare un limite secco: ove venisse superato, anche in una sola settimana nel corso della stagione, questo limite, scatta l’inversione della prova. L’organo ispettivo potrebbe quindi disconoscere la collaborazione coordinata in base al fatto che in una sola settimana un istruttore ha prestato 19 ore di lavoro sportivo? Basta davvero richiamare il mero superamento delle 18 ore o è comunque prevista una attività di indagine rivolta alle modalità di svolgimento del rapporto e da qui verificare l’effettiva volontà delle parti?
Perché è proprio questa la questione. Per anni ci hanno insegnato che la qualificazione sub specie di locatio operis o di locatio operarum, e la sua sussunzione sotto l’uno o l’altro nomen iuris, è questione alquanto delicata, che richiede sempre una approfondita opera di accertamento della realtà fattuale. Improbabile che adesso cambi tutto e sia sufficiente riferirsi alla quantità di prestazione lavorativa. Che senso ha, allora, questa presunzione relativa se l’effettivo comportamento delle parti è sempre il fulcro di una eventuale riqualificazione? Onere della prova invertito o no, il verbale dovrà dare conto dell’accertamento di una diversa volontà delle parti, ab origine oppure modificatasi nel corso del rapporto lavorativo.
Ma poi quali sarebbero le conseguenze del superamento della prestazione settimanale massima indicata? Teniamo presente che:
Tutto quanto sopra premesso, se anche fosse che con la riqualificazione ispettiva, il rapporto venisse ricondotto a lavoro subordinato quali sarebbero i vantaggi per lo Stato di questa operazione?
Dal punto di vista contributivo gli emolumenti corrisposti verrebbero interamente assoggettati alle aliquote contributive previste per i subordinati. Se si considera pero’ che l’82% dei lavoratori sportivi attualmente censiti è sotto il limite dei 5.000 euro (quindi di fatto intoccabili), parliamo di un gettito irrisorio per quei rapporti che avessero superato di poco le 18 ore settimanali.
Anche dal punto di vista fiscale parliamo di spiccioli dato che l’art. 36 dispone per tutti i compensi di lavoro sportivo nell’area del dilettantismo – sia che si tratti di co.co.co. o di lavoro autonomo ed anche di lavoratori subordinati – una fascia di esenzione fino a 15.000 euro annui.
Vale la pena tutto questo a fronte di un possibile aumento del contenzioso per riqualificazioni di rapporti svolti appena sopra il limite delle 18 ore e che non avrebbero, soprattutto dal punto di vista pensionistico, una grande utilità per questi soggetti? Di certo un vantaggio per lo Stato: nuovi introiti senza futuri esborsi.
C’è poi un altro problema nell’individuazione di un limite orario settimanale. Questa cosa farebbe presupporre che tutti i lavoratori sportivi debbano per legge essere pagati a ore. O quantomeno che debba essere necessaria una sorta di tracciamento della prestazione lavorativa in termini di ore.
Ma sono solo le mie ASD che pagano gli allenatori con un compenso a forfait di qualche migliaio di euro a stagione?
Si dice anche che per il calcolo del limite deve essere escluso il tempo dedicato alla partecipazione a manifestazioni sportive. Anche qui altre inutili complicazioni.
Se voglio retribuire queste ore, dovra’ tenere contabilmente distinte – sul Libro Unico del Lavoro o sul Registro delle attività sportive dilettantistiche – le ore di allenamento da quelle di partecipazione alla manifestazione. Con il dubbio che, ove non le volessi pagare, potrebbero essere considerate prestazioni di volontariato, vietate a chi – lo vedremo a breve – svolge qualsiasi altra attività retribuita con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività sportiva.
LE PRESTAZIONI SPORTIVE DEI VOLONTARI
Una premessa è doverosa e necessaria. Il comma 1 dell’art. 29 consente agli Enti sportivi il ricorso ai volontari nello svolgimento delle attività istituzionali … comprensive dello svolgimento diretto dell’attività sportiva, nonché della formazione, della didattica e della preparazione degli atleti.
Il comma 2 invece, fissando il divieto di remunerazione delle prestazioni sportive dei volontari sotto qualsiasi forma, si riferisce alle sole attività, gratuite, di tipo sportivo.
Anche il comma 3 rimanda unicamente alle sole prestazioni sportive di volontariato stabilendone la loro incompatibilità con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività sportiva. La norma prevede comunque la possibilità di erogare un rimborso a fronte di alcune spese sostenute dal volontario.
E qui sorge un primo problema: ove risultasse che un volontario, un istruttore, avesse percepito un compenso non riconducibile a spese di vitto, alloggio, di viaggio e di trasporto – o anche solo un rimborso di spese non ritualmente documentate – cosa accadrebbe? Quale sarebbe la sanzione, peraltro non esplicitamente prevista dal D.lgs. n. 36/2021? Verrà riqualificato come lavoratore subordinato per l’attività di volontariato anche se la prestazione non superasse le 18 ore settimanali? E peggio ancora: se unitamente alle prestazioni di volontariato venisse accertata una diversa attività sportiva regolarmente retribuita, ma emergesse che le due prestazioni complessivamente non vanno a superare le 18 ore settimanali, che accadrebbe a questi due rapporti?
Comunque sia, tornando alle nostre incompatibilità, dovremmo concludere:
Questi divieti risultano assolutamente illogici ed incomprensibili considerato pure che con l’art. 3 si dichiara l’obiettivo di sostenere e tutelare il volontariato sportivo.
Per quale motivo quindi a un atleta dilettante di un certo livello, retribuito per la sua attività sportiva, dovrebbe essere precluso di svolgere gratuitamente presso la propria ASD una prestazione di allenatore delle squadre giovanili o di direttore di gara per categorie amatoriali? Di cosa si ha paura? Che tramite la doppia veste di lavoratore sportivo retribuito e di volontario, si possano fare dei giochetti e pagare in nero una parte di prestazioni facendole passare per volontariato?
LA NOSTRA PROPOSTA
La modifica al D.lgs. n. 36/2021 che qui si propone, ça va sans dire, riguarda quindi: