Come noto, l’articolo 2, L. n. 297/1982 ha “istituito presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale il Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto con lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto, di cui all’articolo 2120 del codice civile, spettante ai lavoratori o loro aventi diritto. (…)”. Presupposti dunque per l’intervento del Fondo di garanzia ai sensi della norma appena richiamata sono contestualmente: la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, l’insolvenza del datore di lavoro, la sussistenza del Tfr e il diritto alla sua percezione in capo al lavoratore o ai suoi eredi.
L’art. 1 del D.lgs. n. 80/92 ha successivamente esteso la tutela del Fondo di garanzia anche a crediti di lavoro inerenti agli ultimi 3 mesi di rapporto di lavoro, rientranti nei 12 mesi che precedono la data:
Rimangono esclusi dalla tutela del Fondo di garanzia le indennità di mancato preavviso, gli importi relativi a ferie non godute, e le indennità di malattia a carico dell’Inps che il datore di lavoro avrebbe dovuto anticipare. In ogni caso, il Fondo risarcisce entro un massimale pari a 3 volte la misura massima del trattamento straordinario di integrazione salariale mensile, al netto delle trattenute previdenziali e assistenziali. (art. 2, co. 2, D.lgs. n. 80/92).
Ciò premesso, la sentenza in esame (Cassazione Civile- sezione Lavoro n. 39700/2021) riguarda il caso di un soggetto che aveva promosso dinanzi al Giudice del Lavoro domanda (respinta in primo grado) di accertamento del diritto a fruire delle prestazioni del Fondo di garanzia, con conseguente condanna dell’Inps al pagamento di € 6.800,20 a titolo di Tfr, in relazione all’intercorso rapporto di lavoro con una Società, dichiarata fallita. Senonché, anche se l’importo richiesto all’Inps era iscritto allo stato passivo del fallimento, in fase istruttoria il ricorrente non era riuscito a dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la Società dichiarata fallita – requisito necessario per l’intervento del Fondo di garanzia – e anche in sede di appello, i giudici di 2° grado respingevano per tale motivo il ricorso promosso dal lavoratore.
Ricorreva l’interessato ancora per cassazione, ritenendo che l’Inps non avesse un autonomo potere accertativo circa la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato in relazione alle prestazioni rilasciate in capo alla società dichiarata fallita.
Per la decisione in esame la Suprema Corte quanto già esaminato per un caso analogo oggetto di Cass. 19 luglio 2018, n. 19277, come di seguito:
Nel suo excursus la Cassazione precisa anche quanto segue:
Ancora “il lavoratore, che abbia continuato a rendere la prestazione alle dipendenze del cessionario dell’azienda trasferita, non può essere ammesso allo stato passivo del fallimento del suo precedente datore cedente, per il credito da Tfr, poiché esso matura progressivamente in ragione dell’accantonamento annuale divenendo esigibile solo al momento della cessazione definitiva del rapporto di lavoro” (Cass., 27 febbraio 2020, n. 5376).
Tornando al caso in esame, la Cassazione – in linea con le conclusioni della Corte d’Appello – rigetta il ricorso, confermando che nel caso di specie la carenza di prove in ordine all’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato (requisito originario per la maturazione del credito per Tfr) comporta: