STALKING OCCUPAZIONALE COME REATO

Nina Catizone, Consulente del lavoro in Torino

Una nuova pronuncia della Cassazione

Allarmante è una sentenza appena depositata il 1° febbraio 2024 dalla Corte di Cassazione in tema di stalking occupazionale. Allarmante per le imprese così come per i lavoratori. Il fatto è che il mondo della sicurezza sul lavoro sta cambiando sotto diversi aspetti, e in particolare stanno cambiando i rischi. Restano al centro dell’attenzione i grandi rischi come i rischi nei cantieri. Ma adesso si affacciano nuovi rischi, quei rischi che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro e l’Unione Europea chiamano rischi emergenti come lo stalking. Purtroppo, il nostro Paese continua a non seguire l’esempio offerto dalla Francia. Dove da vent’anni l’art. 222-33-2 del codice penale punisce il reato di harcèlement moral, e, cioè, il fatto di molestare altri mediante condotte ripetute aventi per oggetto o per effetto una degradazione delle condizioni di lavoro atte a ledere i suoi diritti e la sua dignità, ad alterarne la salute fisica o mentale o a comprometterne il futuro professionale. Nel codice penale italiano manca un’apposita, specifica norma. Con un risultato che la Cassazione finisce per porre in luce proprio nella sentenza n. 4567 del 1° febbraio 2024. Questo il caso. Si addebita all’amministratore di tre s.r.l. di aver sottoposto proprie dipendenti, in numerose occasioni anche in tempi diversi, a continue vessazioni lesive dell’integrità morale e del decoro. Ma nel processo a suo carico assistiamo a una serie di colpi di scena: – anzitutto, l’imputato viene rinviato a giudizio per il delitto di “maltrattamenti contro familiari e conviventi” di cui all’art. 572 c.p. – il Tribunale condanna l’imputato, ma non per il delitto di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p. contestato all’origine, bensì per il reato di atti vessatorio previsto dall’art. 612-bis c.p. – anche la Corte d’Appello condanna l’imputato, ma non per il reato di cui all’art. 572 c.p., bensì per il reato di violenza privata punito nell’art. 610 c.p. – la Cassazione conferma la condanna per violenza privata. Si tratta di colpi di scena che a ben vedere non sorprendono, ma che appaiono preoccupanti. In quanto si tratta di colpi di scena originati proprio dal fatto che in Italia la storia giurisprudenziale dello stalking lavorativo come reato ha già oltre vent’anni, ma è una storia non alimentata da un’apposita, specifica norma. E allora vediamo come questa storia si è sviluppata nel tempo: – dal 2001 la Sezione VI della Cassazione Penale ha cominciato a riconoscere l’applicabilità del delitto di maltrattamenti, e ciò in quanto, al di là della rubrica l’art. 572 c.p. prevede le ipotesi di chi commette maltrattamenti in danno di “persona sottoposta alla sua autorità”, e il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore subordinato, essendo caratterizzato dal potere direttivo e disciplinare che la legge attribuisce al datore nei confronti del lavoratore dipendente, pone quest’ultimo nella condizione di “persona sottoposta alla sua autorità’’; – dal 2009, la Sezione VI ha ristretto il campo di applicazione dell’art. 572 c.p., nel senso che la condotta persecutoria e maltrattante del datore di lavoro in danno del dipendente può, sì, essere sussunta nel reato di cui all’art. 572 c.p., ma a condizione che il rapporto tra datore di lavoro e dipendente sia caratterizzata dal tratto della “para-familiarità”; – dal 2020, entra in scena una diversa Sezione della Cassazione penale, la Sezione V, e afferma la riconducibilità delle condotte vessatorie del datore di lavoro in danno del lavoratore nell’ambito di un’altra norma incriminatrice, quell’art. 612-bis c.p. che punisce il delitto di atti persecutori. Da qualche anno, quindi, si assisteva al fenomeno di due Cassazioni. La sentenza n. 4567 del 1° febbraio 2024 finisce, dunque, per arricchire ulteriormente questo fenomeno. In primo grado, si opta, inizialmente, per il 572 c.p., e poi per il 612-bis, ma in appello vince il 610 c.p., e questa volta la Sezione V percorre questa terza strada. Leggiamo perché: La Corte di Appello “individua un quid pluris, oltre la minaccia e la violenza in sé, consistente nel condizionamento pro-futuro delle azioni delle persone offese, soggiogandole così da costringerle a una condotta meramente omissiva, funzionale all’esercizio di un controllo sulla libertà psichica delle vittime e ad evitare qualsivoglia elemento di contrasto all’imposizione della sua (dell’imputato) volontà”. Come non sperare che, sull’onda delle indicazioni date dall’OIL nella Convenzione del 21 giugno 2019, n. 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro, e resa esecutiva in Italia con la Legge 15 gennaio 2021, n. 4, il nuovo Parlamento raccolga la sfida. Più proposte di legge nella passata legislatura miravano a introdurre un apposito reato di stalking, inserendo nel codice penale uno specifico articolo, il 612-ter. Successivamente, da una nota del Servizio Studi del Senato n. 30 del luglio 2023 apprendiamo che sono state proposte norme “in materia di molestie sul lavoro, di molestie sessuali e di mobbing” (A.S. n. 89, A.S. n. 257 e A.S. n. 671). Come non sperare allora che il Parlamento raccolga la sfida e decida di introdurre uno specifico reato di stalking occupazionale?


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