Speciale Convegno – “MAPPE DEL FUTURO: GIOVANI, ORIENTAMENTO E AI NEL PANORAMA PROFESSIONALE”

A cura della Redazione,

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Il futuro del lavoro si è fatto presente in Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove si è svolto il convegno “Mappe del futuro: giovani, orientamento e AI nel panorama professionale”, evento clou della seconda edizione del Tour “Il Lavoro viaggia con noi” organizzato dalla Fondazione Consulenti per il Lavoro. Una giornata che ha saputo intrecciare magistralmente tre dimensioni fondamentali del panorama lavorativo contemporaneo: l’orientamento delle nuove generazioni, la formazione professionale e l’impatto dirompente dell’intelligenza artificiale. Quattro voci autorevoli hanno offerto al numeroso pubblico di studenti, professionisti e docenti una panoramica completa e sfaccettata delle sfide e delle opportunità che ci attendono. Il convegno si è inserito perfettamente nel contesto delle attività del truck educativo, che ha animato la giornata milanese con speech dedicati e attività interattive, creando un ponte ideale tra la dimensione teorica degli approfondimenti universitari e quella pratica dell’orientamento giovanile.

IL FATTORE UMANO NELLE ORGANIZZAZIONI DEL FUTURO

“Buongiorno e benvenuti a tutti. Quando mi hanno chiesto di parlare del fattore umano nelle organizzazioni del futuro, ho subito pensato a quanto la nostra professione sia cambiata ed evoluta nel tempo.” Con queste parole Andrea Asnaghi, Coordinatore del Centro Studi Fondazione Consulenti per il Lavoro Milano, ha aperto il suo intervento al convegno “Mappe del futuro: giovani, orientamento e AI nel panorama professionale” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il relatore ha immediatamente chiarito come il ruolo dei consulenti del lavoro si sia trasformato: “Non ci occupiamo più soltanto di amministrare il personale sotto l’aspetto giuridico, tecnico e amministrativo. Il nostro ruolo è diventato molto più alto: oggi parliamo di benessere, di relazioni, di bisogni, di persone.” Una trasformazione che, secondo Asnaghi, richiede di “armonizzare le varie sensibilità che vivono l’azienda, perché il mondo del lavoro è una comunità.” La parte centrale dell’intervento si è concentrata su quella che Asnaghi ha definito “una sfida fondamentale” del trattare di e con le persone, articolata in tre aspetti cruciali. Il primo è l’imprevedibilità. Con un richiamo alla sua esperienza di formazione iniziata nel 1978, Asnaghi ha citato il romanzo (dello stesso anno) “Il Fattore Umano” di Graham Greene per illustrare come l’elemento umano sia costruito “sull’imprevedibilità dell’uomo, sulle migliaia di connessioni sinaptiche che si intrecciano, scaturendo in scelte talvolta del tutto imprevedibili.” Il secondo aspetto riguarda la non-linearità dei rapporti umani: “Non è vero che se dai un aumento a qualcuno è automaticamente felice, o se gli cambi posizione è contento. Non funziona così.” Una considerazione che ha esteso ai rapporti in generale: “Lo vediamo nei rapporti normali, familiari, di amicizia: i rapporti umani non seguono il principio lineare di causa-effetto.” Il terzo elemento è il coinvolgimento relazionale. “Se scrivi un testo e sbagli qualcosa, il computer ti dice educatamente che cosa hai sbagliato; la persona magari ti dice “sei stupido per quello che stai dicendo”, oppure interpreta ciò che hai scritto in un modo diverso, magari sentendosi coinvolta” ha osservato Asnaghi con ironia, sottolineando come anche solo ogni semplice comunicazione abbia “insieme un contenuto e un aspetto di relazione. E la relazione è bilaterale, nel trattare le persone giudichi e sei giudicato, organizzi ma sei al contempo plasmato da ciò che hai intorno”. Riprendendo la piramide di Maslow e gli sviluppi teorici di tale modello, il relatore ha tracciato l’evoluzione dei bisogni dell’individuo nell’organizzazione: dal livello materiale e di sicurezza, sicuramente indispensabili, verso “un bisogno di realizzazione, di autostima, di significato” sempre più centrale nelle società contemporanee. “Ci sono aziende che oggi si evolvono mettendo il purpose, lo scopo, come valore guida dell’organizzazione,” ha evidenziato, inserendo questo fenomeno nel contesto più ampio di una società “che vede il primato della persona: pensate a quanto abbiamo sentito parlare di conciliazione vita-lavoro, smart working, welfare.” Uno dei passaggi più densi dell’intervento ha riguardato l’analisi dell’evoluzione del contesto sociale in cui operano le organizzazioni e che, dentro una normale riflessione sistemica, non possono non essere condizionate. Asnaghi ha presentato al pubblico tre modelli concettuali che descrivono la crescente complessità del nostro tempo:

1. VUCA (anni 80-90): Volatilità, Incertezza, Complessità, Ambiguità. Nato dal mondo post-Guerra Fredda per descrivere cambiamenti rapidi, eventi imprevedibili, sistemi interconnessi e situazioni dal significato poco chiaro.

2. BANI (Covid 2020-21): Fragile, Ansioso, Non-lineare, Incomprensibile. La fragilità descrive quei sistemi che, pur sembrando solidi, si rivelano vulnerabili e privi di resilienza, tanto da essere esposti a rotture improvvise. L’ansia nasce dalla diffusa incertezza e dalla preoccupazione per il futuro, generando caos emotivo e rendendo difficile prendere decisioni. La non linearità si manifesta quando il rapporto tra causa ed effetto diventa imprevedibile, con eventi che si sviluppano in modo inatteso e sproporzionato. Infine, l’incomprensibilità è il risultato di una complessità crescente che rende difficile comprendere appieno ciò che accade, sfuggendo spesso alla nostra capacità di analisi.

3. RUPT (2024): Rapido, Imprevedibile, Paradossale, Intricato. Non descrive solo la realtà ma si concentra sulle capacità necessarie ai leader per navigare cambiamenti sovrapposti, gestire tensioni paradossali (innovare per il lungo termine mentre si gestisce il breve), e comprendere interconnessioni dove ogni azione genera effetti a catena. “C’è una linea evolutiva di peggioramento che rende sempre più difficile alle organizzazioni capire il proprio ruolo all’interno del contesto sociale e mondiale e all’individuo orientarsi in questa complessità crescente,” ha concluso Asnaghi. Con una confessione personale che ha strappato sorrisi al pubblico in sala, Asnaghi ha affrontato il tema delle “ricette facili”: “Personalmente confesso che odio le risposte semplici, perché non esiste una risposta semplice. Quando leggo sui social “le 10 regole per la leadership di successo” o “5 cose da dire per avere successo” o “come rendere felici i dipendenti”, mi irrito perché danno l’illusione di togliere la complessità che invece è intrinseca nel trattare con le persone.” Il relatore ha quindi proposto una visione più articolata del valore aziendale: “Le imprese che sanno generare valore vero sono quelle che costruiscono valore umano. Ma che cos’è questo valore? È il valore del reddito, dell’utile, o piuttosto il valore di un substrato in cui le persone trovano la loro dimensione?” In una delle affermazioni più nette dell’intervento, Asnaghi ha sfatato quello che ha definito “alcune leggende metropolitane”: “Le organizzazioni non danno motivazioni. Le organizzazioni possono al massimo dare scintille – come la scintilla del gas nella cucina -, ma il combustibile viene dalla persona.” L’importante, ha spiegato, è “non spegnere questo “gas”, non soffocare la motivazione, ma creare un terreno in cui possa crescere e svilupparsi.” Il collegamento con il tema dell’orientamento ha permesso ad Asnaghi di sviluppare una delle riflessioni più originali dell’intervento: “Orientamento vuol dire direzione, e direzione è sinonimo anche di senso. Senso significa anche significato. Orientamento vuol dire aiutare una persona a cercare un senso, a dare un senso e a cercare un significato (in questo caso al proprio lavoro).” Questa definizione ha portato il relatore a delineare il ruolo futuro delle organizzazioni: “Non spegnere la fiammella, dare la scintilla, creare possibilità anche all’interno delle diversità. È una generazione di significato, un dare ragione del proprio scopo di essere – non quello di fare tre occupati in più, ma ragionare sul significato e sul valore del lavoro e della persona.” Particolarmente toccante, relativamente all’orientamento e alle incertezze giovanili in merito, è stato il momento in cui Asnaghi ha condiviso un ricordo personale legato proprio all’aula universitaria che lo ospitava: “Ho iniziato nel 1978 qui in Cattolica – sono laureato in filosofia a indirizzo psicologico. Quando stavo scegliendo il corso di studio dell’università, confuso e combattuto come molti a quell’età, una persona molto importante per me mi disse: “Non essere preoccupato di quello che sceglierai, perché comunque ciò che tu sarai come persona sarà sempre una continuità, qualsiasi cosa tu possa fare nella vita.” “E difatti … oggi sono qui, nel mio vecchio istituto, a parlare del fattore umano, come consulente del lavoro per scelta,” ha continuato. “Non abbiate paura di cercare un senso, il vostro senso, perché questo senso vi accompagnerà per tutta la vita. Qua, in Cattolica, qualcuno la definirebbe vocazione”. L’intervento si è concluso con una visione prospettica della professione: “I consulenti del lavoro del futuro non saranno più qualcuno che gestisce numeri, ma qualcuno che gestisce risorse umane. Questo rappresenta un grosso cambio di paradigma per la nostra professione.” Un cambio che, secondo Asnaghi, richiede collaborazione: “Come diciamo sempre: oggi bisogna fare squadra, di fronte a una tale complessità ed alla vastità di campi in cui mettere mano, non è più pensabile che ognuno possa fare da solo, mentre insieme possiamo fare grandi cose.” L’intervento ha messo in risalto la capacità del relatore di coniugare profondità teorica, esperienza pratica e riflessione umana in un discorso che ha saputo toccare i temi centrali del mondo del lavoro contemporaneo.

IL FUTURO DEL LAVORO E IL SUPERAMENTO DEL DISALLINEAMENTO TRA COMPETENZE

Maurizio Del Conte, Presidente di Afol Metropolitana Milano, ha offerto una riflessione profonda e articolata sul futuro del mercato del lavoro durante il convegno “Mappe del futuro: giovani, orientamento e AI nel panorama professionale”. Il suo intervento, intitolato “Superare il disallineamento tra competenze”, ha toccato temi cruciali per comprendere le sfide che ci attendono. Del Conte ha esordito richiamando l’Agenda di Lisbona e il suo obiettivo di creare “more and better jobs”. “Sul secondo aspetto non abbiamo lavorato bene”, ha ammesso con franchezza, sottolineando come discutere di matching significhi in realtà discutere della qualità del lavoro. Il presidente di Afol ha poi evidenziato il paradosso del mercato attuale: mentre il tasso di disoccupazione è a livelli fisiologici, le aziende faticano a trovare personale qualificato, creando un disallineamento che rappresenta una delle principali sfide contemporanee. La prospettiva demografica, ha aggiunto Del Conte, ci dice che dovremo lavorare in modo sempre più efficiente. Una necessità che diventa ancora più urgente considerando le trasformazioni in atto nel tessuto produttivo del paese. L’intervento ha poi preso una piega più ottimistica, utilizzando Milano come caso di studio esemplare. “Milano è diventata città del turismo, una volta era impensabile”, ha osservato Del Conte, spiegando come questa trasformazione apparentemente inspiegabile dimostri che “dove c’è volontà si riesce a costruire l’inimmaginabile, anche in tempi rapidi.” La sfida del matching, secondo il Presidente di Afol, consiste proprio nel riconvertire il tessuto di competenze da manifatturiero in un contesto competitivo internazionale. “E devi avere la qualità del lavoro, se no sei fuori”, ha sottolineato, identificando nella formazione professionale la strada maestra per questa trasformazione. Del Conte ha posto l’accento sulla centralità dell’educazione e della scuola di qualità come fondamento di ogni politica del lavoro efficace. “La persona non va trattata per segmenti isolati, la transizione va accompagnata. Se no si perde il senso”, ha spiegato, introducendo un tema che attraversa tutto il suo ragionamento: l’approccio olistico alle politiche del lavoro. Le nuove dinamiche lavorative, ha proseguito, ci dicono che la durata media di un contratto è di 4, 5 anni e che chi inizia oggi a lavorare avrà 8 o 9 transizioni lavorative nella propria carriera. Questa realtà impone di raccordare la filiera della formazione con quella dei servizi del lavoro, ampliando il concetto stesso di politiche attive. “Le politiche attive non sono solo matching, ma anche formazione professionale”, ha chiarito Del Conte, spiegando come il concetto di “work ready” sia ormai superato. La realtà attuale richiede invece un impegno costante in reskilling e upskilling, riqualificazione e aggiornamento delle competenze. Una parte significativa dell’intervento è stata dedicata al ruolo dell’intelligenza artificiale nel mercato del lavoro. Del Conte ha illustrato come il portale SIISL sia ormai una realtà con applicazioni specifiche per migliorare l’incrocio tra domanda e offerta tramite IA, utilizzando questa tecnologia come strumento di allineamento. Tuttavia, il Presidente ha mostrato un approccio equilibrato e realistico verso l’IA, richiamando l’esperienza internazionale di paesi come Fiandre, Francia e Germania. “L’obiettivo era aumentare l’efficienza dei servizi, non tagliare le persone”, ha precisato, sottolineando come l’IA debba essere integrata con le capacità umane piuttosto che sostituirle. Del Conte si è, infine, mostrato preoccupato per l’enfasi eccessiva data a questi strumenti come soluzione universale delle politiche attive. “Non è stato così all’estero, non sarà così qui”, ha avvertito, identificando nel tema centrale italiano – la riattivazione degli inattivi – una sfida che richiede approcci più articolati. La parte più incisiva dell’intervento ha riguardato il problema degli inattivi in Italia. “Nel nostro mercato del lavoro la quota di inattivi tra giovani e donne rappresenta oggi il cluster più educato e formato. Stiamo sprecando bacini enormi”, ha denunciato Del Conte con evidente preoccupazione. Il presidente di Afol ha poi condiviso i risultati di uno studio pilota condotto a Milano, dove attraverso contatti telefonici mirati e l’intervento di voci umane specializzate – psicologi, formatori e altri professionisti – sono riusciti a coinvolgere circa il 34% delle persone contattate. Un risultato che dimostra come l’approccio umano rimanga fondamentale anche nell’era dell’intelligenza artificiale. L’intervento di Del Conte ha delineato una visione chiara: il futuro del lavoro richiede un approccio integrato che combini tecnologia e fattore umano, formazione continua e politiche attive mirate. La sfida principale non è tanto creare nuovi posti di lavoro, quanto migliorarne la qualità e massimizzare l’utilizzo delle competenze già disponibili nel paese. La sua analisi ha offerto al pubblico del convegno non solo una diagnosi lucida dei problemi attuali, ma anche una roadmap concreta per affrontare le sfide future, sempre mantenendo la persona al centro delle politiche del lavoro.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NEL MONDO DEL LAVORO LEGALE E DELLA CONSULENZA

Durante il convegno tenutosi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Potito di Nunzio, Presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Milano, ha offerto una lucida analisi su un tema di stringente attualità: l’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro legale e della consulenza del lavoro. Secondo di Nunzio, si sta vivendo un’accelerazione tecnologica straordinaria, paragonabile per impatto alla robotizzazione che ha trasformato il settore manifatturiero. Tuttavia, questa volta il cambiamento tocca direttamente i professionisti intellettuali, i cosiddetti “colletti bianchi”. La velocità di evoluzione è impressionante e genera aspettative sempre più elevate da parte della clientela, che richiede risposte immediate e soluzioni tempestive. L’intelligenza artificiale viene spesso presentata come un assistente avanzato. Le sue applicazioni pratiche includono la comparazione di contratti collettivi, la preparazione di bozze preliminari di pareri legali e l’analisi comparativa di normative. La qualità degli output prodotti dall’IA ha raggiunto livelli tali da rendere spesso difficile distinguere un testo generato artificialmente da uno redatto da un professionista umano. Tuttavia, è fondamentale chiedersi se l’IA rappresenti esclusivamente un assistente potenziato o se nasconda potenzialità e rischi più profondi. Di Nunzio ha sottolineato come la velocità rappresenti indubbiamente il principale vantaggio competitivo dell’intelligenza artificiale. Non è raro, ha osservato, che i clienti sottopongano ai professionisti output generati da ChatGPT chiedendo una validazione della correttezza delle informazioni fornite. Questo scenario evidenzia un aspetto cruciale: il controllo umano non può mai essere delegato completamente. Di Nunzio ha messo in guardia contro l’affidamento cieco alle soluzioni proposte dall’IA, definendolo un rischio professionale inaccettabile. Un errore nell’interpretazione di una clausola contrattuale specifica o di un accordo territoriale particolare può generare conseguenze legali e professionali di notevole gravità. Il vero nodo critico, secondo il Presidente dell’Ordine milanese, risiede nella capacità di mantenere un controllo attivo, critico e costantemente umano sull’operato dell’intelligenza artificiale. La tentazione di delegare completamente, spinti dalle pressioni temporali e dalle scadenze incalzanti, deve essere rigorosamente evitata. Nel suo intervento, di Nunzio ha riconosciuto le concrete opportunità di razionalizzazione offerte dall’intelligenza artificiale, particolarmente negli adempimenti preassuntivi e nelle pratiche amministrative più complesse. Questa ottimizzazione, ha spiegato, potrebbe liberare tempo prezioso da dedicare alla consulenza strategica di più alto valore. Tuttavia, ha avvertito che tale potenziale si scontra con questioni fondamentali di sicurezza dei dati. L’utilizzo di strumenti di IA generalisti, non specificamente progettati per il settore legale, equivale secondo di Nunzio a un’esposizione inaccettabile di informazioni sensibili. Il Presidente dell’Ordine milanese ha posto particolare enfasi sulla questione della sicurezza dei dati. I consulenti del lavoro, ha cordato, trattano quotidianamente dati di estrema sensibilità: cedolini paga, informazioni su contenziosi, performance aziendali, piani strategici. L’inserimento di tali informazioni in sistemi cloud generici, potenzialmente non conformi alle normative GDPR, rappresenta secondo di Nunzio un azzardo professionale che nessun consulente serio può permettersi. Ha quindi sottolineato come sia imperativo utilizzare esclusivamente strumenti certificati e specificamente progettati per il settore, con garanzie concrete in termini di protezione dei dati e conformità normativa. Un aspetto particolarmente interessante dell’analisi di di Nunzio ha riguardato le competenze richieste per l’integrazione efficace dell’intelligenza artificiale. Secondo di Nunzio, non è sufficiente saper utilizzare lo strumento; è necessario saperlo “sfidare”, mettere alla prova, validare e, quando necessario, confutare i suoi output. Paradossalmente, ha osservato, l’utilizzo professionale dell’IA richiede competenze ancora più raffinate rispetto al passato, elevando ulteriormente il livello della professionalità richiesta. Questo scenario, secondo di Nunzio, impone una profonda revisione degli approcci formativi. Non è più sufficiente l’aggiornamento normativo tradizionale, pur rimanendo fondamentale. Il relatore ha identificato la necessità di sviluppare competenze trasversali che includono la capacità di formulare prompt efficaci e precisi, l’abilità di validazione critica degli output generati, e la competenza nel consigliare i clienti sull’uso etico dell’IA nelle loro organizzazioni. Ha concluso questo punto sottolineando come la professionalità non venga sminuita da questi sviluppi, ma al contrario si elevi e si arricchisca di nuove dimensioni. Nel delineare le prospettive future, di Nunzio ha fatto riferimento alle proiezioni che indicano un possibile impatto significativo sull’occupazione verso la fine del 2026 e il 2027, dovuto all’automazione di compiti amministrativi anche negli studi professionali. Il relatore ha evidenziato come questo scenario si presenti in un contesto demografico caratterizzato da carenza di personale qualificato, creando un paradosso interessante. L’automazione delle routine amministrative, ha spiegato, potrebbe diventare una necessità per mantenere l’efficienza operativa, proprio mentre si registra difficoltà nel reperimento di figure professionali intermedie. Il Presidente dell’Ordine di Milano ha identificato i prossimi due-tre anni come cruciali per investire seriamente in reskilling e upskilling professionale. Ha sottolineato l’importanza di orientare le competenze verso la consulenza strategica di alto livello e sviluppare quella capacità critica e di giudizio che l’intelligenza artificiale, almeno allo stato attuale, non è in grado di replicare. Una delle riflessioni più stimolanti dell’intervento ha riguardato una domanda provocatoria posta da di Nunzio: se l’intelligenza artificiale gestirà progressivamente analisi dati, ricerche documentali e bozze standardizzate, dove risiederà il vero valore aggiunto distintivo del consulente del lavoro o dell’avvocato giuslavorista? Di Nunzio ha individuato la risposta negli aspetti più squisitamente umani della professione: la capacità di interpretazione tra le righe delle norme, il pensiero laterale e creativo, la gestione etica dei casi complessi, e la costruzione di relazioni di fiducia con la clientela. Questi elementi, ha concluso, intrinsecamente umani, rappresentano il nucleo distintivo che nessuna intelligenza artificiale può replicare e che i professionisti devono coltivare oggi più che mai. Nelle conclusioni del suo intervento, di Nunzio ha definito l’intelligenza artificiale uno strumento potente e, data la velocità richiesta dal mercato, sostanzialmente indispensabile. Tuttavia, ha ribadito che il suo utilizzo deve essere guidato da principi rigorosi: controllo umano costante su tutti gli output generati, sviluppo di competenze evolute e specifiche per l’era digitale, attenzione maniacale alla sicurezza dei dati trattati.

Il messaggio finale è stato chiaro: non si assiste alla fine del professionista, ma alla sua profonda trasformazione verso livelli di competenza e responsabilità ancora più elevati. L’intelligenza artificiale, ha concluso di Nunzio, non sostituisce il giudizio professionale né la relazione fiduciaria con il cliente, ma offre ai consulenti l’opportunità di elevare ulteriormente il valore della propria consulenza specialistica.

L’UNIVERSITÀ DI FRONTE ALLA SFIDA DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Il Prof. Nicolò Rossi ha espresso durante il convegno il punto di vista di chi è quotidianamente a contatto con gli studenti, confessando di essere più preoccupato dell’ignoranza naturale umana che non dell’intelligenza artificiale in sé. Da questa preoccupazione, ha spiegato il relatore, emerge chiaramente il compito fondamentale della scuola e dell’università, che devono svolgere un ruolo di trasmissione del sapere, di consistenza nella formazione e di coltivazione dell’umano nella sua totalità. Secondo Rossi è essenziale mantenersi aperti verso l’intero, perché siamo inseriti in una totalità che chiede il contributo di tutti. “L’orientamento sta proprio qui dentro”, ha sottolineato. “Se non so dove sto, come posso sapere dove vado?”. L’università ha un ruolo importantissimo in questo senso, e non a caso l’etimologia del termine “università” rimanda al concetto di totalità, sottolineando l’aspetto della dimensione universale del sapere. Il professore ha poi richiamato l’attenzione sui problemi delle professioni e del mondo del lavoro, con le loro potenzialità e i loro rischi. Ha citato due esempi significativi: il caso di un avvocato di Firenze e quello, avvenuto negli Stati Uniti, di un altro avvocato che fu condannato dal giudice. In entrambi i casi, i professionisti si erano affidati all’intelligenza artificiale per redigere documenti legali, ma l’IA aveva inventato contenuti giuridici, citazioni di sentenze inesistenti e riferimenti normativi falsi. Questi episodi, ha commentato Rossi, ricordano che in ambito professionale gli errori costano cari, molto cari. I problemi dell’intelligenza artificiale generativa, ha proseguito il relatore, parlano dell’importanza della conoscenza e dello spirito critico, del sapere intercettare e comprendere le opportunità, tornando così al discorso del senso, che è fondamentale. Ha sottolineato la necessità di prepararsi sempre meglio e sempre di più, identificando nel terreno delle abilità umane quello più adatto: ragionare, avere metodo, avere capacità trasversali. Queste competenze, ha spiegato, si acquisiscono con la pratica e studiando, abilitando la memoria, con allenamento, con sforzo, con fatica. Riguardo ai rischi che si possono prospettare con l’intelligenza artificiale, Rossi ha osservato che si tratta di uno strumento che si misura nella sua applicazione concreta, citando esempi come la medicina e il collocamento lavorativo. Ha evidenziato il rischio dell’assuefazione e della dipendenza, identificando nel rischio della perdita di abilità trasversali il pericolo più evidente oggi. “Il terreno umano rischia di essere sempre più arido”, ha avvertito. Quanto al ruolo dell’università, il professore ha chiarito che l’istituzione non deve essere un seminatore, ma la formazione deve aiutare a preparare, a concimare il terreno. “Può sembrare un ruolo riduttivo? No, anzi”, ha concluso Rossi. “L’università dovrebbe essere lieta di questo compito, cioè dovrebbe essere fertile nel coltivare le potenzialità umane”.

CONCLUSIONI: LE MAPPE DEL FUTURO TRACCIATE A MILANO

Il convegno milanese ha disegnato con straordinaria chiarezza le coordinate del futuro panorama professionale, offrendo una mappa articolata e realistica delle trasformazioni in atto nel mondo del lavoro. Quattro prospettive diverse ma complementari hanno contribuito a delineare un quadro complesso ma coerente delle sfide che ci attendono. Emerge con forza, dai quattro interventi, un filo rosso che attraversa tutte le riflessioni: centralità imprescindibile della dimensione umana. Andrea Asnaghi lo ha espresso attraverso il concetto di “fattore umano” come elemento di imprevedibilità e ricchezza nelle organizzazioni; Maurizio Del Conte lo ha declinato nell’approccio olistico alle politiche del lavoro; Potito di Nunzio lo ha identificato nel valore distintivo del professionista nell’era dell’IA; Nicolò Rossi lo ha posto come fondamento del ruolo educativo dell’università. I relatori hanno identificato sfide comuni che attraversano tutti i settori. La crescente complessità del contesto (dai modelli VUCA a BANI a RUPT descritti da Asnaghi) si riflette nel paradosso del mercato del lavoro evidenziato da Del Conte: alti livelli occupazionali ma difficoltà nel matching tra domanda e offerta. L’accelerazione tecnologica analizzata da di Nunzio trova eco nelle preoccupazioni di Rossi sull’impoverimento delle competenze umane fondamentali. Tutti i relatori hanno adottato un approccio equilibrato verso l’intelligenza artificiale, riconoscendone le potenzialità ma sottolineandone i limiti e i rischi. Dal monito di di Nunzio sul controllo umano costante, alle riflessioni di Del Conte sull’IA come strumento di efficienza ma non soluzione universale, fino agli esempi concreti di Rossi sui rischi professionali, emerge una visione matura: l’IA è uno strumento potente che richiede competenze umane più raffinate, non la loro sostituzione. La formazione emerge come tema trasversale e strategico. Dall’evoluzione del ruolo dei consulenti del lavoro descritta da Asnaghi, alle necessità di reskilling e upskilling evidenziate da Del Conte, dalle nuove competenze professionali delineate da di Nunzio al ruolo dell’università come “terreno fertile” illustrato da Rossi, tutti concordano: il futuro appartiene a chi saprà apprendere continuamente. Particolarmente significativa è la ridefinizione del concetto di orientamento emersa dal convegno. Non più semplice matching tra competenze e opportunità, ma ricerca di senso e significato, come magistralmente espresso da Asnaghi. Un orientamento che deve accompagnare le persone nelle multiple transizioni lavorative che caratterizzeranno le carriere future, come evidenziato da Del Conte. Il convegno ha lanciato un messaggio chiaro alle nuove generazioni presenti in aula: il futuro del lavoro non è da temere ma da costruire consapevolmente. Le competenze umane – pensiero critico, creatività, capacità relazionali, spirito di adattamento – diventeranno sempre più preziose in un mondo tecnologicamente avanzato. La sfida non è competere con le macchine, ma sviluppare quelle qualità unicamente umane che nessuna intelligenza artificiale potrà mai replicare. Trattare a Milano questo approfondimento non è stata una scelta casuale. Come sottolineato da Del Conte, la città meneghina rappresenta un esempio concreto di come sia possibile trasformare il proprio tessuto economico e sociale quando esiste la volontà di farlo. Dal manifatturiero al terziario avanzato, dal business al turismo, Milano dimostra che il cambiamento è possibile e che le sfide possono diventare opportunità. Il convegno ha tracciato una direzione precisa per il futuro: investire nella persona, nella sua formazione e nella sua capacità di dare senso e significato al proprio percorso professionale. E conclude con un cauto ottimismo: il futuro del lavoro sarà complesso ma ricco di opportunità per chi saprà navigare il cambiamento con competenza, umanità e senso critico. Le mappe del futuro tracciate oggi a Milano indicano che il lavoro del futuro non sarà solo più tecnologico, ma anche più umano: una sfida stimolante per tutti coloro che si preparano ad affrontarlo. Un messaggio che risuona con particolare forza nell’aula dell’Università Cattolica, dove generazioni di studenti hanno imparato che il sapere è tanto più prezioso quanto più è al servizio della crescita umana integrale.

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