Dopo la recente sentenza C-359/16 del 6 febbraio 2018, commentata sul numero di maggio 2018 di questa Rivista, la Corte di Giustizia UE torna a pronunciarsi su un caso di richiesta di disconoscimento del certificato previdenziale A1.
Ricordiamo che il certificato A1 viene rilasciato al ricorrere di determinate condizioni specifiche e consente al lavoratore assicurato nel regime previdenziale obbligatorio di uno Stato membro UE, che sia distaccato dal proprio datore di lavoro nel territorio di un altro Stato membro UE, di mantenere per un determinato periodo la legislazione previdenziale dello Stato di origine, in deroga al principio generale della lex loci laboris.
Nella precedente sentenza n. 359 di febbraio 2018 la Corte di Giustizia affrontava il caso di un certificato A1 richiesto e ottenuto in modo fraudolento, e – in applicazione del principio di leale collaborazione tra gli Stati membri sancito dall’art. 76 del Regolamento UE 883/2004 – si pronunciava per la facoltà del giudice del Paese ospitante di procedere con la disapplicazione di detto certificato, con conseguente assoggettamento dei lavoratori distaccati, e per tutto il periodo di distacco, alla legislazione di sicurezza sociale del paese di esecuzione della prestazione lavorativa dei lavoratori distaccati, in base al principio di territorialità.
La sentenza n. 527/16 qui in commento – che non affronta un caso di frode bensì semmai di erroneo rilascio del certificato A1 – giunge invece a conclusioni differenti.
Il caso è quello di due società ungheresi (Martin-Meat e Martimpex) che ricevevano da parte di una società austriaca (Alpenrind) l’incarico di svolgere attività di macellazione, sezionamento e confezionamento di carni. L’attività veniva svolta da lavoratori delle società ungheresi distaccati in Austria presso i locali della Alpenrind.
Per tali lavoratori (250 in tutto nel periodo controverso) l’ente di sicurezza ungherese emetteva attestati di applicabilità della legislazione sociale ungherese, rilasciati in base agli artt. da 11 a 16 del Reg. n. 883/2004 e 19 Reg. n. 987/2009 (quindi per i primi 24 mesi). Alcuni di tali certificati venivano rilasciati con effetto retroattivo, e in parte per lavoratori per i quali l’ente previdenziale austriaco aveva riconosciuto l’applicabilità della legislazione austriaca.
Sorgeva dunque un contenzioso tra il Tribunale amministrativo austriaco, da un lato – che sosteneva l’efficacia dei certificati A1 dichiaranti l’assoggettamento dei lavoratori in questione alla legislazione ungherese per il periodo di distacco e quindi l’incompetenza dell’ente di previdenza sociale austriaco – e dall’altro la cassa di malattia austriaca (che si vedeva annullare la propria decisone di assoggettare detti lavoratori alla legislazione austriaca) e il Ministro, che accusavano l’ente di sicurezza sociale ungherese di violazione del principio di leale collaborazione tra gli Stati membri (art. 4, paragrafo 3, TUE).
D’altro canto l’Ungheria sosteneva che il diritto ungherese si opponeva alla revoca del certificato A1.
Coinvolta secondo il procedimento di consultazione previsto dall’art. 5 del Reg. n. 987/2009 per i casi in cui le parti sottopongano la questione per un tentativo di conciliazione dei differenti punti di vista, la Commissione amministrativa UE si esprimeva per l’errata emissione dei certificati A1 da parte dell’Ungheria, che pertanto avrebbero dovuto essere revocati.
La Corte amministrativa austriaca riteneva peraltro che la vicenda sollevasse alcune questioni interpretative del diritto dell’Unione, che dunque decideva di sottoporre alla Corte di Giustizia.
La sentenza affronta tre questioni.
La prima questione è proprio quella della portata vincolante del certificato A1, quand’anche sia emerso che lo stesso è stato rilasciato in assenza dei relativi presupposti.
Più precisamente, il giudice del rinvio chiedeva se l’art. 5, paragrafo 1 del Regolamento n. 987/2009 – che dispone che i documenti rilasciati dalle competenti istituzioni di uno Stato membro attestanti la situazione di una persona ai fini della legislazione di sicurezza sociale applicabile e le relative certificazioni a supporto, “sono accettati dalle istituzioni degli altri Stati membri fintantoché non siano ritirati o dichiarati non validi dallo Stato membro che li ha rilasciati” – implicasse che detti documenti e certificazioni vincolano non solo le istituzioni ma anche i giudici dello Stato in cui l’attività è svolta, e se tra le certificazioni vincolanti fosse da includere anche l’attestazione della legislazione applicabile, tra cui il certificato A1, rilasciato dall’istituzione dello Stato emittente. Il punto era, dunque, se i giudici austriaci potessero disapplicare il certificato A1 rilasciato dall’autorità amministrativa ungherese, e iscrivere i 150 lavoratori distaccati alla cassa sanitaria austriaca.
La Corte, richiamati i principi di certezza del diritto e di unicità della legislazione di sicurezza sociale applicabile per la medesima prestazione, nega tale facoltà, perché se, al di fuori dei casi di frode o di abuso di diritto, si ammettesse che una istituzione può richiedere al giudice nazionale dello Stato in cui il lavoratore è distaccato di far dichiarare invalido un certificato A1, il sistema basato sulla leale collaborazione tra gli organi competenti degli Stati membri rischierebbe di essere compromesso.
In senso conforme, sul carattere vincolante già del certificato E101, che nell’evoluzione della regolamentazione di sicurezza sociale UE ha preceduto il certificato A1, e la competenza esclusiva dell’istituzione emittente riguardo alla valutazione della validità di tale certificato, cfr. le sentenze del 26 gennaio 2006, Herbosch Kiere, C-2/05, EU:C:2006:69, punti da 30 a 32, e del 27 aprile 2017, A-Rosa Flussschiff, C-620/15, EU:C:2017:309, punto 51.
L’art. 5, paragrafo 1 del Regolamento n. 987/2009, codifica dunque un orientamento giurisprudenziale della CGE consolidato.
Il suddetto principio si applica, prosegue la Corte in merito alla seconda questione, anche nel caso in cui, espletata la procedura di dialogo e consultazione senza che le autorità dello Stato distaccante e dello Stato di invio abbiano trovato un accordo circa la validità della certificazione A1 emessa, e la questione sia stata dalle medesime autorità deferita alla Commissione Amministrativa nell’ambito del tentativo di conciliazione previsto dall’art. 5, paragrafi da 2 a 4 del Reg. n. 987/2009 per il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale applicabile, e la Commissione abbia infine concluso che il certificato A1 era stato rilasciato erroneamente, e che avrebbe dovuto essere ritirato. Infatti nell’ambito di tale procedura il ruolo della Commissione è quello di (tentare di) conciliare i punti di vista delle autorità competenti degli Stati membri che le hanno sottoposto la questione.
Infine, prosegue la Corte nella decisione della stessa questione, il combinato disposto dell’art. 5, par. 1 e dell’art. 19,par 2. del Reg. n. 987/2009 “devono essere interpretati nel senso che un certificato A1, rilasciato dall’istituzione competente di uno stato membro ai sensi dell’art. 12 par.1 del Reg. 883/2004 vincola sia le istituzioni di sicurezza sociale dello Stato membro in cui l’attività è svolta sia i giudici di tale Stato membro, se del caso con effetto retroattivo quand’anche tale certificato sia stato rilasciato solo dopo che detto Stato membro aveva accertato l’assoggettamento del lavoratore interessato all’assicurazione obbligatoria ai sensi della propria legislazione”.
Last but not least, per le considerevoli ricadute operative in caso di frequente ricorso al distacco, ad esempio in occasione di appalti transnazionali o progetti internazionali intercompany, la terza questione riguarda la non applicabilità della normativa speciale di deroga al principio della lex loci prevista all’art. 12 del Reg. n. 883/2004, laddove consente ad un lavoratore distaccato di rimanere assoggettato per un determinato periodo alla legislazione previdenziale del Paese di provenienza, “purché non sia inviato in sostituzione di altra persona”. Secondo la Corte infatti, qualora un lavoratore sia inviato in distacco da un datore di lavoro in sostituzione di lavoratore distaccato anche da altro datore di lavoro (a prescindere dunque da quale sia l’impresa o lo Stato membro di provenienza di tale lavoratore distaccato ex novo), la deroga al principio della lex loci prevista dall’art. 12, Reg. n. 883/2004 non sarà applicabile. Il reiterato ricorso a lavoratori distaccati per coprire la medesima posizione lavorativa non è infatti conforme – ricorda la Corte – ai principi generali dello stesso Reg. n. 883/2004, che considera la lex loci laboris miglior strumento per garantire la parità di trattamento delle persone occupate in un medesimo Stato membro.
La condizione di non sostituzione si applica dunque cumulativamente a quella, parimenti prevista dall’art. 12, paragrafo 1 del Reg. n. 883/2004, relativa alla durata massima del lavoro in questione.