SENZA FILTRO – SO’ CONTRARIO ALLA PENTOLA A PRESSIONE

Alberto Borella, Consulente del Lavoro in Chiavenna (So)

Recentemente m’è tornato alla mente un famosissimo (almeno lo è tra noi cosiddetti boomer) sketch di un Massimo Boldi cuoco che urlava con inflessione toscana: «So’ ’ontrario alla pentola a pressione, non si può vedere la ’ottura. Come dite voi cottura a Milano? Cottura? Noi a Firenze si dice ’ottura.» Era l’inizio della comicità demenziale. Me lo sono ricordato pensando a come si son ridotti oggi i Referendum. Una tale tristezza che fa venir voglia anche a me di gridare, parafrasando il mitico Cipollino, «So’ contrario ai Referendum che non si può vedere la volontà popolare!» Che belli i tempi quando si decideva su repubblica/monarchia, aborto si/aborto no, divorzio si/divorzio no. Quando lo scopo della consultazione popolare era veramente conoscere la volontà dei cittadini e non usarla per scopi assai meno nobili. Negli ultimi anni abbiamo infatti visto referendum su riforme costituzionali venire personalizzati così che la consultazione dall’oggetto del quesito referendario (del quale finisce che non gliene frega niente a nessuno) diventa una sorta di voto di fiducia sul Governo, di cui di conseguenza si pretendono le dimissioni in caso di fallimento della consultazione. Tra l’altro non ho mai capito perché il fallimento di una proposta di modifica costituzionale dovrebbe far cadere un Governo ed il fallimento di un disegno di legge ordinaria di massima importanza non lo debba fare. Ma soprattutto mi chiedo: se si pretende che un Esecutivo cada per il fatto che ha proposto una cosa che al popolo non è piaciuta, cosa dovrebbe fare l’opposizione in caso di vittoria del Governo visto che non voleva qualcosa che il popolo invece dice di condividere? E trovo altrettanto intollerabili quei referendum smaccatamente ideologici tanto da sembrare pro o contro una certa parte politica. Ho letto quello proposto dalla Cgil sul D.lgs. n. 23/2015, Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, che si chiede venga abrogato nella sua interezza. Una norma che peraltro la giurisprudenza ha già di fatto smantellato, pezzo per pezzo, rispetto la sua originaria portata. Oggi, a distanza di nove anni, se ne propone la cancellazione tramite la consultazione referendaria. Fino all’altro ieri ci si spingeva ad una protesta o qualche sciopero, ma nulla di tanto eclatante contro i governi “amici”, partendo da quello che aveva emanato il provvedimento. Ora, guarda caso da quando è in carica un governo meno “simpatico”, le parti sociali sentono impellente il bisogno di intervenire, con forza e determinazione. Sarà ma a me pare che anche stavolta la volontà popolare venga strumentalizzata. Ma non siamo qui per parlare di dinamiche politiche (né tantomeno aprire processi alle intenzioni) ma a disquisire di questioni tecniche. Perché di fatto a noi “operatori” del settore la cosa che sta più a cuore è che una norma sia applicabile con un discreto margine di certezza. Non bastassero le consultazioni ideologiche abbiamo pure i referendum tecnici dove la questione posta è talmente criptica che sottoporli al giudizio popolare risulta un falso esercizio di democrazia dato che chi va a votare si trova necessariamente a scegliere, incapace di cogliere certe sfumature, in base alle simpatie politiche. Parlo di quei referendum dove capire la portata della scelta pro o contro è quasi impossibile. Anche qui parlare di espressione della sovranità popolare fa venir da ridere. Anni di Presidenti della Repubblica che dicono di scrivere norme chiare, senza rimandi ad altre norme di legge per permettere la piena intelligibilità del testo e ci tocca andare a votare referendum che paiono equazioni di terzo grado. Ecco la summa di questi due tipologie di referendum popolari – ideologici e tecnici – la riscontro nel quesito proposto per la modifica, l’ennesima, del contratto a tempo determinato, dove lo scontro tra opposte visioni da sempre raggiunge una delle sue massime espressioni. Parlo di uno dei quattro Referendum abrogativi proposti dalla Cgil a metà aprile 2024. Proviamo a leggerlo insieme:

Ora diciamocelo con franchezza. Aldilà della questione tecnica – che riveste già di suo una certa complessità – cosa mai potrà capire un normale cittadino delle conseguenze di questa abrogazione? Niente, non potrà che rifarsi alla narrazione che verrà fatta da favorevoli e da contrari. E qualunque sarà il risultato, la ratio costituzionale che ha previsto il ricorso al Referendum sarà stata violentata. Pensate che io, un Consulente del lavoro, per comprendere le conseguenze del referendum proposto, ho dovuto riscrivere l’art. 19 come risulterebbe dopo le eventuali modifiche. Pensate che questa cosa la farà anche un comune cittadino? Vabbè, proviamo insieme a capirci qualcosa di più partendo dalla nuova formulazione che avrebbero gli articoli 19 e 21 del D.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 ove il referendum ottenesse la maggioranza di sì.

La prima cosa che mi viene in mente è il passaggio con il quale si vorrebbe abolire la lettera b) del comma 1 dell’art. 19 ovvero possibilità per le parti di individuare, in assenza delle previsioni dei contratti collettivi comparativamente più rappresentativi, quale causale di ricorso al contratto a termine le esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva. Va detto preliminarmente che il richiamo ad esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti che troviamo alla lettera b) del comma 1 tanto ricorda le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo del D.lgs. n. 368/2001 che non pochi problemi hanno creato in passato. Nell’ottica di evitare incertezza ben venga l’abrogazione o meglio una sua più ragionata e puntuale riscrittura. Detto questo però una domanda nasce spontanea. Perché chiedere l’abolizione della lettera b) quando per renderla inefficace basterebbe intervenire a livello di contratti collettivi individuando, ai sensi della lettera a), i casi di legittima apposizione del termine? È un po’ come dire: se lo dicono i firmatari dei contratti collettivi – che ricordiamolo sono di diritto comune – si possono stipulare contratti a tempo determinato, altrimenti, salvo vi siano esigenze sostitutive, esistono solo i contratti a tempo indeterminato. Un’arma di ricatto? Mah, qualche dubbio di legittimità costituzionale mi frulla per la testa. Ma andiamo oltre, all’effetto principale della modifica proposta dalla Cgil ossia il fatto che i contratti a termine non potranno più avere un periodo di acausalità ma necessariamente dovranno riferirsi: – o a esigenze sostitutive; – oppure alle ipotesi previste dai Ccnl firmati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro. Sempre che trovino un accordo sulle ipotesi. Ove non lo trovassero torniamo a quanto appena detto: in pratica, salvo che in azienda risultasse assente qualcuno, le assunzioni dovrebbero essere fatte tutte a tempo indeterminato. Il sogno da anni di quasi tutte le organizzazioni sindacali dei lavoratori che non hanno mai nascosto la loro utopia: tutti assunti a tempo indeterminato e posto di lavoro sacro. Dio me l’ha dato e guai a chi me lo tocca per dirla alla Napoleone. Peccato che sarebbe un disastro per le aziende considerata l’attuale ultragarantista normativa in materia di licenziamenti. Ma mettiamo pure che un accordo lo trovino sempre, proviamo a vedere alcune delle causali che già sono state individuate in alcuni contratti collettivi.

CCNL PER IL SETTORE COMMERCIO – CONFCOMMERCIO Articolo 71 bisCausali di assunzione con contratto a tempo determinato Le Parti, con riferimento alla delega di cui all’art. 19, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 81/2015, definiscono quali causali di legittima apposizione del termine al contratto individuale di lavoro i seguenti casi, da dettagliare specificatamente nello stesso: (… omissis …) – riduzione impatto ambientale: lavoratori assunti con specifiche professionalità e impiegati direttamente nei processi organizzativi e/o produttivi che abbiano l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale dei processi medesimi; – terziario avanzato: lavoratori assunti per specifiche mansioni di progettazione, di realizzazione e di assistenza e vendita di prodotti innovativi, anche digitali, nell’ambito del terziario avanzato; – digitalizzazione: lavoratori assunti con specifiche professionalità per lo sviluppo di metodologie e di nuove competenze in ambito digitale; (… omissis …) – incremento temporaneo: lavoratori assunti per progetti o incarichi temporanei di durata superiore ai 12 mesi o prorogati oltre i 12 mesi continuativi, per una durata massima di 24 mesi.

CCNL PER I LAVORATORI DEGLI STUDI PROFESSIONALI E DELLE STRUTTURE CHE SVOLGONO ATTIVITÀ PROFESSIONALI Articolo 53 – Specifiche esigenze e contratto a tempo determinato con causale L’art. 19, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 81/2015 affida alla contrattazione collettiva l’individuazione di esigenze e casi che consentono la stipulazione dei contratti a termine con una durata superiore a 12 mesi, ma non eccedente i 24 mesi nonché in caso di rinnovo del contratto a termine. Le Parti firmatarie del presente C.C.N.L. individuano, dunque, le seguenti causali che consentono la stipula o il rinnovo di contratti a termine fino a 24 mesi: – Incremento temporaneo. Si intende l’incremento temporaneo dell’attività lavorativa conseguente all’ottenimento da parte del datore di lavoro di incarichi professionali temporanei di durata superiore a 12 mesi o prorogati oltre i 12 mesi.

Soffermiamoci su aggettivi ed avverbi utilizzati: specifiche … direttamente … ridurre … innovative … nuove … temporanei. Se questo è il meglio che le Organizzazioni Sindacali sanno fare per declinare le ipotesi “oggettive” di possibilità di ricorso al contratto a termine temo, ove passasse il referendum, che assisteremo ad un intasamento mai visto delle aule giudiziarie. Questo perché certi termini sembrano scelti apposta per finire dritti in Tribunale, mentre lo scopo di ogni norma è l’esatto contrario: evitare un contenzioso giudiziario. Qualcuno crede veramente che le ipotesi sopra citate siano sufficientemente dettagliate, puntuali, circostanziate, oggettivamente identificabili e che non vi sarà alcun contenzioso in merito ad esse? Ricordiamoci del consolidato orientamento giurisprudenziale che richiede l’indicazione specifica e puntuale della ragione giustificativa della clausola appositiva del termine, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto. (Cass., n. 2894/2023). Se si parte da ipotesi individuate dalla contrattazione collettiva così generiche ed astratte, difficile che le pattuizioni individuali non possano essere messe in discussione. Davvero qualcuno pensa che l’opera di sussunzione giuridica che il giudice è chiamato a svolgere – ovvero riconoscere, nel caso concreto, i connotati della fattispecie astratta – offrirà risultati obiettivi, quindi condivisibili, o la discrezionalità del giudice avrà il sopravvento? Da questo punto di vista – lo ripeto per i distratti – da questo punto di vista, certamente più apprezzabile il disegno di legge n. 672, attualmente al Senato, con cui si chiedono nuove modifiche alla disciplina dei contratti a termine consentendo di stipulare con lo stesso soggetto contratti a termine senza causale fino a un massimo di 24 mesi (anziché 12 mesi) per l’espletamento delle medesime mansioni, raggiungibili attraverso un numero massimo di 6 proroghe ed eventuali 4 rinnovi intervallati da « stop & go ». Quantomeno qui lo scopo dichiarato, lo si voglia credere o no, delle modifiche proposte è di semplificare la disciplina dei contratti a termine nonché di garantire una maggiore certezza del diritto, vista la natura fortemente aleatoria e incerta delle causali, con evidente effetto di deflazione del contenzioso. Già, una maggiore certezza del diritto, il sogno di noi operatori del settore. Probabilmente non di chi vive di contenzioso.


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