Anche se mi secca usare parole straniere, voi tutti sapete cos’è il brainstorrming: la tempesta cerebrale non è una malattia rara, anzi… altro non è che una riunione in cui si condividono a ruota libera idee, suggerimenti, proposte. La regola fondamentale del brainstorming è proprio l’assoluta libertà, direi quasi la licenza, di sparare (anche, eventualmente) stupidaggini; si buttano lì cose, anche le più assurde (apparentemente, poi a volte si scopre che non lo sono) e tutti assieme si cerca di dargli una dimensione, un volto, un costrutto. Proprio per questo, in partenza non si butta via nulla, non si trascura nessuna intuizione, eventualmente verranno via via scartate le ipotesi fuori pista, quelle che non reggono alle obiezioni, quelle che vengono superate da idee migliori. Infatti, poi alla fine si decide. Nessuno, di solito, si sente umiliato o sacrificato, tutti hanno concorso al bene anche con suggerimenti sbagliati, che per hanno aiutato a correggere il tiro. In questa operazione, frequente in azienda, specie in quelle dove è più alta la necessità creativa, non c’è nulla di male. Ora – benchè penso ne converremo tutti al punto da far sembrare banale l’osservazione – fra l’operazione poc’anzi descritta e una legge dello Stato corre una forte differenza: quest’ultima è immediatamente precettiva ed indirizza l’agire delle persone nei campi di cui si occupa; per questo deve fornire certezza, equilibrio, sicurezze. Probabilmente nasce anch’essa da qualche brainstorming, ma poi si cristallizza in qualcosa di compiuto.
Certo, sappiamo bene che l’iter parlamentare di una legge o di un decreto riserva soprese. Qualche pentimento dell’ultima o penultima ora, qualche manina interessata, qualche azione di lobby, insomma talvolta a livello normativo quello che era partito come un abito da sera di Prada finisce per trasformarsi in un costume di Arlecchino. E di questo l’estensore della norma ha colpe relative.
Tuttavia da parecchio tempo assistiamo ad uno strano fenomeno: viene varata una norma, la gente comincia a leggerla, comincia ad annotarsi le cose che stridono, fa più volte la punta alla matita perché le cose che stridono sono parecchie; finite le annotazioni, i più esperti, oppure i pubblicisti (non sempre le cose coincidono) cominciano a scrivere e a commentare (sulle riviste, sui social, nei convegni); sui social lo fanno anche i professionisti qualunque, dove “qualunque” spesso non vuol dire che ne sanno di meno ma solo che non scrivono libri. Gli stili sono diversi, c’è chi si genuflette davanti alla norma o chi la critica acriticamente (di solito per questioni di parte, ormai i commenti sulla res publica sono a livello di bar sport nell’occasione di un derby calcistico), chi prende le distanze con moderazione e classe, chi usa il sarcasmo ed anche chi è palesemente imbufalito e non si fa una ragione del come possano scriversi certe cose.
In passato, anche recente, abbiamo assistito a diverse leggi marziane – e questa Rubrica ne ha dato conto, tanto da coniare il termine di “prestilegislatore” a significare l’improvvisazione fantastica (nel senso di vaneggiante e campata per aria) di regolazioni, a voler essere gentili, senza capo né coda.
Ma anche quando il legislatore sa di ci che scrive, per qualche strano motivo pochi giorni dopo la pubblicazione di un Decreto legge cominciano a girare le voci più disparate, poi rilevatesi spesso vere, su possibili emendamenti (quasi avessero emanato non delle statuizioni compiute ma dei brogliacci “da brainstorming, appunto).
Sgombrato il campo da interventi smaccatamente politici, sulle modifiche puramente tecniche (del tipo ma hai pensato a questo o a quello, perché hai scritto queste cose in questo modo, cosa vogliono dire, la norma è comprensibile o ambigua, l’applicazione pratica è semplice o mostruosa? E domande simili), su tutto ci viene da chiedersi: ma non ci si poteva pensare prima?
E su tante cose che vengono modificate, è abbastanza evidente che la modifica è perché qualcosa è stato pensato un po’ …superficialmente.
E’ una questione di metodo.
Proviamo a trasporlo a livello imprenditoriale: pensate ad un’azienda che produce casseforti, dove un giorno il board si riunisce e poi il boss annuncia che verrà avviata la costruzione di … lampadari. E subito l’intelligente popolazione aziendale comincia a fare legittime domande: abbiamo il know-how sufficiente? Facciamo articoli semplici o di design? Gli agenti sono stati informati? Il magazzino dove lo facciamo? Abbiamo la capacità finanziaria per comprare i macchinari necessari? Il “break even” quando pensiamo di raggiungerlo? E così via … Se di fronte a tutte queste domande l’annunciatore annaspasse, cominciasse ad improvvisare, a rettificare, a cambiare strada… e ad un certo punto l’azienda decidesse di fare non più lampadari ma… carrozzine per bambini (sicuramente dal contenuto ben più prezioso delle casseforti e da cui escono sorrisi che illuminano ben più dei lampadari), che idea si farebbe la gente che lavora lì? Ora se penso al D.l. n. 48 – ma non in quanto tale, solo come ultimo arrivato e al quale sarebbe ingiusto buttare addosso le colpe di altre leggi che in qualche modo sta cercando di migliorare – la tentazione di pensare che poteva essere ideato subito meglio mi viene. Sgombro subito l’obiezione che mi è stata ricordata qualche tempo fa da un amico: il meglio è nemico del bene, se pensi che, in fondo, tutto pu essere migliorabile e perfettibile, ti blocchi in attesa del meglio e non farai mai nulla (e quindi , nemmeno nulla di buono).
Sono assolutamente d’accordo, ma un minimo di senso critico va adoperato lo stesso. Anche perché oramai capita di non capire più nulla, chi parla dell’annunciato, chi parla del testo, chi parla del forse-emendamento, chi parla di quel che ha compreso, con tanta fatica e con una discreta crisi di rigetto; anche perché dietro c’è una nazione che non sa cosa fare, che soffre i tentennamenti, che deve scegliere oggi per oggi ma in assenza di certezze si affida al caso, al destino, alla provvidenza; welfare sì, no, forse; smart working prorogato per figli che oramai sono diventati genitori a loro volta, tempo determinato ma non troppo, per ancora un po’ (sono tre etti e venti, lascio?); le imprese sono come gente che ha acquistato pinne e boccaglio e si trova sul Cervino, oppure pile da alta montagna e poi viene mandata in vacanza a Taormina. In ogni caso, mi piacerebbe che in quanto al metodo, si affermassero alcuni principi: evitare gli annunci (le anticipazioni, le slides, i comunicati stampa): una norma è tale quando viene pubblicata sulla Gazzetta (Ufficiale, non dello Sport), prima le ipotesi nemmeno dovrebbero circolare, oppure dovrebbero farlo in modo discreto e segreto, per quello che diremo dopo; tra l’altro si eviterebbero fiumi di articoli-ipotesi dei sempre-bene-informati (che su questa informazione trasversale spesso costruiscono parte della loro fortuna), ma soprattutto si eviterebbero richieste agli studi che cominciano con le frasi tipo: “ho sentito al telegiornale che …”, “ho letto delle slide secondo cui …”, all’azienda di mio cugino è arrivata una circolare che …” (circolare scritta dal professionista parente povero del sempre-bene-informato, per il quale l’importante è arrivare prima, non si sa bene a dire cosa, ma prima); – rinunciare ai sensazionalismi: una legge è buona se funziona e fa funzionare le cose, non se eccita gli animi (in un senso o nell’altro), ad esempio non c’è bisogno di un data precisa o di un evento di risonanza nazionale per la sua pubblicazione (anche perché, talvolta, il sensazionalismo è alla base della redazione della S norma, e così non si va troppo lontano);
evitare, quando possibile, di nominarla riferita all’estensore, o il presunto tale: Biagi fu ucciso (d’accordo, la legge prese il suo nome dopo, ma ancora oggi viene ricordato – a torto e con ignominia – da qualche sempliciotto disinformato come il padre del precariato), Fornero venne additata a lungo come l’affamatrice di generazioni di esodati, solo Renzi se la cava ancora discretamente per via del bonus (ma su altro pagò pegno anche lui);
evitare, contemporaneamente, nomi ridicolmente altisonanti: il decreto trasparenza (tutto
fuorchè trasparente), il non dignitoso decreto dignità, il decreto rinascita (meno male che non l’han chiamato decreto ricrescita, molte signore attempate si sarebbero allarmate) e via discorrendo;
– usare il benedetto principio di fallibilità: fare gli “avvocati del diavolo” sulla propria idea, praticamente guardare ad una norma, come si fa con una teoria, chiedendosi quali siano i lati deboli, i punti di caduta, anche pratici, quindi individuarli ed emendarli prima; chiedersi anche come si muoverà la folta categoria degli escapologi (anche se ora usano un nome leggermente più professionale), quelli che fatta una legge trovato un inganno, anzi due o tre);
– perseguire la gratuità: non considerare chi ci guadagna e chi perde, ma a cosa serve, se è utile,
se migliora le cose, se aiuta, se semplifica;
– perseguire la chiarezza: significa non aver bisogno, dopo, di inutili (e inefficaci) circolari interpretative, oppure dibattiti dottrinali e diatribe giurisprudenziali, per carpire un significato che se è scritto semplice rende superfluo il chiacchiericcio in più e ha una piana e certa applicazione, da subito (verrebbe da dire: non scrivere le leggi come si scrivono certi contratti collettivi);
– usare i saggi: professionisti, esperti, studiosi (magari dei team ad hoc) a cui sottoporre le leggi, prima, ho detto prima, assolutamente prima, disperatamente prima (e se sbagliano di brutto… cambiare saggi);
– difendere la norma dalle manine che la stravolgono: se ci si crede, se si ha una maggioranza forte e coesa, si può fare.
E poi, essere disposti al miglioramento. E in questo vediamo ultimamente svilupparsi una certa sensibilità prima sconosciuta. Perché in passato, anche di fronte alle cose peggiori, ai decreti più astrusi, alle norme più invereconde, l’ostinazione di certi legislatori o di certi esecutivi (o la presunzione di aver fatto la cosa giusta solo perché acclamata a furor di popolo, che poi magari era soltanto una piccola schiera di simpatizzanti imbesuiti) ha portato a schiantarsi contro il muro senza nemmeno accorgersi, tanto poi certe persone cadono sempre in piedi.
Noi che al miglioramento ci crediamo sempre e sempre scommetteremo su di esso, gli emendamenti (se intelligenti, che non è sempre detto) li salutiamo comunque con favore. Però
pensarci prima è meglio ancora.