“Tutti quanti voglion fare il jazz…” cantavano gli adorabili micetti de “Gli Aristogatti”. Parasfrasando, oggi tutti vogliono parlare di sicurezza. Intendiamoci, la sicurezza sul lavoro è un argomento talmente serio che sembra perfino pleonastico ribadirne l’importanza. E che se ne parli è un bene, così come capita spesso anche in questa Rivista ad opera di memorabili autori. Il campanello d’allarme scatta quando parlare di sicurezza diventa cool, quasi fosse un passaggio obbligato di qualsiasi manovra o riflessione (insieme ai giovani, alle donne, alla parità di genere, alla conciliazione vita lavoro e a temi simili, che meriterebbero, per dirla con il jingle pubblicitario in voga un tempo, “fatti, non parole”). Ancor peggio quando la sicurezza viene presa a scusa per inserire qua e là norme che magari con la sicurezza c’entrano poco.
Né vale l’obiezione che, in fondo, tutto c’entra con la sicurezza, che come concetto non sarebbe nemmeno tanto lontano dal vero, peccato però che in questo modo, a ben pensarci, quella che poi si svilisce è proprio la sicurezza vera, reale, concreta e la giustizia, che è figlia dell’equità e della ragionevolezza. Così discettano di sicurezza quelli per cui la sicurezza è stata spesso tragica merce di scambio contrattuale, quelli che dalla sicurezza si sono tenuti ben lontani perché “sono sempre questioni complicate”, ovviamente ne trattano i talebani della sicurezza (che non sanno che il radicalismo ottuso di qualunque genere è il peggior nemico del credo che si vuole difendere) e anche coloro che nella sicurezza vedono un ulteriore spunto per appioppare sanzioni e collezionare relativi punteggi-efficenza. Insomma, come è detto l’argomento è cool ma talmente cool che non si capisce perché, numeri alla mano, alla fine sono sempre troppi quelli che ce lo rimettono (il cool ).
L’occasione per riaffrontare il tema – perdonateci se sarà in chiave un po’ complessa e sfaccettata – è data dalla nota n. 162 del 24 gennaio 2023 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro in tema di art. 14 del D.lgs. n. 81/2008. Com’è noto l’art. 14 è quello che prevede il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale in accertamento della carenza delle condizioni di sicurezza e comunque qualora sia riscontrata una certa percentuale di lavoratori in nero. Tale articolo 14 è stato a lungo rimaneggiato, quasi a voler far apparire (ogni volta) tutta la serietà e la determinazione del legislatore di turno a reprimere il datore che non garantisce ai lavoratori condizioni sicure. Repressione che ci sta tutta, diciamolo, ma con il giudizio e la misura che sono opportuni in ogni dove (anche se il giudizio e la misura sono argomenti silenziosi, non fanno immagine, non suscitano sensazione).
La nota Inl n. 162/2023 è, diciamolo subito, assolutamente ineccepibile e contiene un principio indiscutibile che valorizzeremo più avanti: indipendentemente dalla percentuale di lavoratori trovati in nero e dalle esclusioni del caso (che poi analizzeremo), se sussistono “gravi violazioni di natura prevenzionistica” (“ivi comprese la mancanza del DVR e della nomina del RSPP”) la sospensione dell’attività va sempre adottata. Quindi anche in caso di microimprese con un solo lavoratore, senza altri dipendenti, in assenza delle condizioni di sicurezza, si applica la sospensione.
A questo punto però, a rischio di esser pedanti, è opportuno un po’ di cronostoria (tranquilli, recente).
Cominciamo con la versione originale dell’art. 14 in questione (la norma è dell’aprile 2008, siamo nel TUSL, Testo Unico Sicurezza sul Lavoro, meglio noto come 81/2008) che prevede la sospensione dell’attività di impresa in due casi:
Soffermiamoci un attimo sulla percentuale: la norma introduce una presunzione assoluta di pericolo laddove in un posto di lavoro siano presente almeno 1/5 di lavoratori senza arte nè parte (cioè non denunciati – e quindi si suppone anche privi di formazione, DPI etc.), senza contare che per una profonda connessione fra sicurezza sul lavoro e sicurezza sociale (anche questo è un tema che riprenderemo) non è che si respiri un così grande benessere in un’azienda con una parte del personale impiegato in modo pressappochistico (per usare un eufemismo). Pochi mesi più tardi (siamo nel settembre 2008) la Direttiva Sacconi in materia di ispezioni1 (priva di applicazioni normative immediate, ma importante ed illuminata norma di indirizzo) riporta in materia quanto segue (l’evidenziazione in grassetto è a nostra cura).
“Quanto alla sospensione della attività d’impresa, peraltro, sembra opportuno un richiamo sulla opportunità di adottare tale grave provvedimento, penalmente sanzionato in caso di inottemperanza con la pena dell’arresto fino a sei mesi, in maniera tale da non creare intollerabili discriminazioni, ma anche in modo da non punire esasperatamente le microimprese. In questa prospettiva la discrezionalità dell’ispettore nella adozione del provvedimento dovrà limitarsi esclusivamente alla verifica della sussistenza dei requisiti di legge e delle condizioni di effettivo rischio e pericolo in una ottica di tutela e prevenzione della salute e sicurezza dei lavoratori. (…) D’altro canto, per quanto concerne la percentuale di lavoratori “in nero”, si ritiene che nella micro-impresa trovata con un solo dipendente irregolarmente occupato non siano di regola sussistenti i requisiti essenziali di tutela di cui al Decreto legislativo n. 81 del 2008 idonei a sfociare in un provvedimento di sospensione”.
Nell’art. 14 delle microimprese non si era mai parlato, ma a questo punto qualcuno comincia a chiedersi cosa vorrà mai significare questo passaggio criptico. Che poi a leggerlo bene così criptico non è, in altre parole la direttiva dice all’ispettore: “sospendi quando ci sono fondate ragioni di sicurezza mancante, e per l’applicazione della percentuale di lavoratori in nero guarda che nella microimpresa, ove basta ci sia un solo lavoratore per sforare la soglia (si parla di lavoratori presenti) usa il discernimento e in mancanza di altri elementi la condizione di pericolosità non darla per presupposta con la rigida applicazione della percentuale”. Anche tutte le disquisizioni dell’epoca su come identificare questa misteriosa microimpresa non avevano ragione di esistere, c’è un concetto ben preciso di microimpresa nella legislazione europea: “impresa con un numero di dipendenti inferiore a 10 e il cui fatturato o totale di bilancio annuo non superi 2 milioni di euro”. Lo spirito etico e saggio, credo ormai sepolto, che animava la Direttiva Sacconi era, lo dice la direttiva stessa, ispirare le azioni di vigilanza, e di conseguenza sanzionatorie, ad un criterio sostanziale (di repressione delle reali fattispecie a rischio) e non meramente formale (dare multe e provvedimenti a raffica, sulla base di violazioni non significative e burocratiche). Il passaggio citato della direttiva non piacque a tanti (compreso non pochi nel corpo ispettivo) cosicchè la classica manina inserì poco tempo dopo all’art. 14 un comma, l’11/bis (oggi comma 4), che svilì del tutto il significato di quanto sopra, concedendo benevolmente che “ Il provvedimento di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare non si applica nel caso in cui il lavoratore irregolare risulti l’unico occupato dall’impresa”. Il che è una doppia stupidaggine: primo perché l’indirizzo ministeriale aveva uno scopo ben differente (mentre qui vi è un’interpretazione di microimpresa così fantasiosa da far invidia ai Fratelli Grimm), secondariamente perché, se il problema è la sicurezza, ben sarà meno sicuro un dipendente di un’azienda sconosciuta e non consapevole dei suoi obblighi (e che quindi non ha messo in piedi nulla in termini di sicurezza – che è poi il concetto che la nota n. 162/2023 Inl dice in buona sostanza) rispetto ad una che invece tali obblighi ben li conosce, o dovrebbe conoscerli, in quanto già applicati per altri dipendenti.
Saltando qualche passaggio storico intermedio, veniamo alle recenti modifiche intervenute nell’art. 14, ad opera dell’art. 13 del D.l. n. 146/2021, analizzandolo nell’ultima versione, secondo le quali l’Ispettorato adotta2 la sospensione:
Sulla schizofrenia dell’art. 14 latest edition, a parte altre considerazioni, ci soffermeremo sui punti B-C (in stretta connessione) e D, elencati in precedenza.
Ma non prima di aver fatto una considerazione; parliamoci chiaro, il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale costituisce una forte leva deterrente in mano all’ispettore, che se trova qualcosa che non va (magari un rapporto di lavoro di cui si contesta la natura, e su cui si potrebbe discutere) con la sospensione mette in difficoltà l’azienda (pensate ad un negozio sotto Natale, ad uno Studio, in forma di STP, in periodo di scadenza, ad un’azienda con lavorazioni a ciclo continuo), molto spesso nella valutazione puramente economica se pagare a denti stretti o ricorrere, la bilancia pende sulla prima scelta perché la seconda (per tempi e rischi) sarebbe ben meno conveniente. E proprio per questo è stata tolta qualsiasi discrezionalità all’ispettore, per proteggerlo: anche di fronte alla sospensione più inverosimile, al provvedimento di minor buonsenso, egli potrà sempre nascondersi dietro alla “obbligatorietà dell’atto dovuto”.
Una società sempre più rigida sotto il profilo normativo-burocratico è tuttavia una società inumana, ingessata, incapace di discernimento vero; poi appare inutile discutere sugli eventuali inconvenienti dell’affidamento di compiti alla “non intelligente” intelligenza artificiale, se predisponiamo in modo che anche le persone si muovano in modo automatico ed irresponsabile. E in ogni caso, sia detto con tutto il rispetto e la considerazione verso gli ispettori ed il loro compito, forse a proteggerli dovrebbero esserci norme chiare ed efficaci e buona formazione, non rigidità.
Passando ai punti B-C di cui sopra, la percentuale, come visto, si è dimezzata, penalizzando ancora di più la microimpresa (che, ricordate, avrebbe dovuto essere un po’ salvaguardata).
Eh sì perché ad un’azienda sino a 10 dipendenti (prima 5) basterà avere un lavoratore “un po’ così” (anche senza essere di Genova) per incappare nella sospensione.
Pensate ad una libreria che sotto Natale utilizzi per qualche giorno un lavoratore occasionale per confezionare i pacchetti-regalo e che gli sia sfuggita la necessità di comunicazione o che, del tutto ingenuamente, abbia tenuto in nero per quelle due settimane un proprio amico o parente a dare una mano; è del tutto evidente il deturpamento delle più elementari norme di diritto e di sicurezza che porta giustamente l’infame libraio, che palesemente mette a rischio la vita dell’amico “pacchettista”, nelle fauci della sospensione. Beninteso: la maxisanzione sul lavoro nero comunque è applicabile, e ci sta tutta, perché il lavoro nero (qualsiasi lavoro in nero) semplicemente non deve esistere, ma qui stiamo parlando di un’altra cosa, di un provvedimento di sospensione dell’attività che perde qualsiasi connotato con un’esigenza di sicurezza, diventando quasi un bis in idem.
In quella percentuale vi è poi una palese seconda ingiustizia, cioè la precisazione che la percentuale si conta sui lavoratori “presenti al momento dell’accesso”: per cui la differenza (per il raggiungimento della percentuale, diventata mero automatismo bieco) la può fare anche il fatto che uno o più lavoratori siano malati quel giorno, che qualcuno sia uscito per fare una consegna, che qualcuno sia in pausa, che qualcuno sia in permesso 104 o donazione sangue !!! Non sembra anche a voi che questa aleatorietà sia tutto tranne che qualcosa di equo e ragionevole? A svantaggio di tutti, ma, ancora una volta, mettendo a rischio soprattutto l’azienda con un numero esiguo di dipendenti.
Una piccola notazione: con notevole buonsenso la circolare Inl n. 3/2021 prevede che in caso di mancanze specifiche in tema di sicurezza (es. mancata formazione, mancata fornitura dei DPI), il provvedimento di sospensione possa essere adottato solo nei confronti dei lavoratori trovati “sprovvisti” (ovviamente con diritto a retribuzione e contribuzione per il periodo di sospensione). Anche la circolare n. 162/2023 richiama l’allontanamento del lavoratore senza provvedimento formale di sospensione dell’attività.
A questo punto, la logica potrebbe essere questa: sospendere tutti i lavoratori in qualche modo interessati da gravi violazioni in materia di sicurezza che ne mettano a rischio (in vario modo) l’incolumità, senza applicazione di percentuali (di fatto superate dai successivi interventi sulla norma) che poi, come detto, non servono a molto se non a fare cassa e a rafforzare forzosamente l’azione ispettiva.
Passiamo ora al punto D ovverosia all’inserimento nell’art. 14 dei lavoratori autonomi occasionali, ove il legislatore ha superato se stesso. Cominciamo con una piccola autoaccusa: la proposta di denuncia preventiva del lavoro autonomo occasionale è partita dal nostro Centro Studi dei consulenti del lavoro milanesi3. Gli scopi e le prospettive della nostra proposta, che prevedeva anche un’assicurazione previdenziale4, sono stati colti molto molto parzialmente, ma soprattutto il legislatore e chi lo segue, oltre a valorizzare solo la parte per così dire buro-sanzionatoria della proposta, dimostrava una notevole e reiterata mancanza di coraggio. La norma veniva infatti inserita all’interno dell’art. 14 del TUSL, dove c’entra come i cavoli a merenda; non si capisce se tale inserimento sia stato dovuto alla pusillanimità del legislatore di turno (che ha riparato il nuovo adempimento dietro il solito “lo esige la sicurezza”) o ➤ se, peggio ancora, si sia voluto far passare una norma tutto sommato amministrativa come un ulteriore passo verso la sicurezza (in mancanza di altri e ben più importanti passi). L’inserimento di tale adempimento nell’art. 14, tuttavia, ne depotenziava del tutto la portata, in quanto (lo ammette la nota Inl n. 29 dell’11 gennaio 2022) in tal modo esso si riferiva solo “ai committenti che operano in qualità di imprenditori”, mentre il fenomeno del lavoro autonomo occasionale, spesso abusato, richiedeva ben altra perspicacia di intervento. Ma la timidezza dell’intervento, gli aggiustamenti delle “manine” delle lobbies e degli interessi vari non finivano lì: con la nota in questione e con due successivi interventi (Nota n. 109 del 27/01/2022 e nota n. 393 del 01/03/2022), Inl riduceva ulteriormente l’ambito di applicazione della comunicazione, dalla quale rimanevano via via esclusi: i professionisti, gli Enti del terzo settore e le ASD, gli enti pubblici non economici, le prestazioni di natura intellettuale (fra cui ITL ricomprende, ma solo a titolo esemplificativo: le traduzioni, le guide turistiche, le consulenze scientifiche, le docenze ed attività formative, i progettisti grafici etc.) che, come tutti sanno, non sono soggette ad alcuna forma di elusione degli obblighi tipici del lavoro dipendente sotto lo scudo formale del lavoro occasionale5. Ma ancor peggio, l’errore marchiano dell’inserimento di tali prestazioni fra i lavoratori dell’art. 14 è che esso è del tutto eccentrico rispetto alla struttura stessa del D.lgs. n. 81/2008, in quanto l’autentico lavoratore autonomo occasionale non è ricompreso nella definizione di lavoratore di cui all’art. 2 ed è escluso dal computo dei lavoratori di cui all’art. 4 del D. lgs. n. 81/2008 (ai sensi della lettera i) dello stesso articolo). Ad esso semmai andrebbe applicata, in quanto esecutore di contratto d’opera, la normativa di cui all’art. 26 del TUSL.
Insomma, ritorniamo alla logica, condivisibile, della nota Inl n. 162/2023: la sospensione prevista dall’art. 14 del TUSL ha lo scopo nobilissimo di preservare i lavoratori qualora non protetti da adeguati presidi di sicurezza. Volendo pertanto applicare questo concetto integralmente e a 360 gradi, la finalità non deve pertanto essere quella di collezionare sanzioni, di rafforzare come deterrente posticcio l’attività ispettiva, di massacrare la piccola impresa con percentuali che permettono in concreto di sanzionare quasi sempre solo quella. Perché poi – in fondo il vero interrogativo è questo – in tema di sicurezza, parlare solo di sanzioni e sanzioni e sanzioni davvero aumenta la cultura della sicurezza sul lavoro e la coscienza del suo valore?
E già che si siamo, parlando di microimpresa, una piccola notazione va comunque fatta anche alla nota Inl n. 162/2023, quando sostiene che la mancanza di DVR e della nomina del RSPP (che ovviamente nell’azienda senza dipendenti non verranno trovati) automaticamente determina la sospensione dell’attività. Da tempo tutti gli operatori equilibrati ammettono che la struttura complessa dell’81/2008 mal si concilia con aziende di ridottissime dimensioni, specie per attività a basso rischio. Allora se si vuole promuovere la sicurezza e non fare cassa, sarà meglio posare la mannaia e riflettere seriamente sul concetto della Direttiva ispezioni: sanzionare e reprimere violazioni sostanziali, non concentrandosi sugli aspetti meramente formali. Il che un minimo di discrezionalità e di discernimento lo richiede, dal legislatore giù giù fino all’ultimo ispettore. O continueremo ad avere – come ora – una sicurezza sulla carta e, quindi, di carta.