Senza Filtro – IL PROFESSIONISTA “FACTOTUM”

Andrea Asnaghi, Andrea Asnaghi Consulente del Lavoro in Paderno Dugnano (Mi) ·

“Tu sei quello che fai, non “ quello che dici di fare” (Carl Gustav Jung)

Fine/inizio anno, tempo di cambiamenti, di nuove imprese. E quindi anche tempo di cambio studi, clienti che vanno, clienti che arrivano. Se viaggi con il vento in poppa i secondi sono più dei primi. Certo dipende dal significato di “vento in poppa”: lavori bene, sei strutturato, offri servizi, oppure fai prezzi irrisori (con l’equo compenso rischi di essere poco deontologico), lavori un tanto al chilo, sei supino ai desiderata del cliente, fai pubblicità esasperate o paradossali, ti leghi a qualche “cordata” (qualcuna semilecita, altre parliamone…), sei un abusivo con prestanome, etc etc. Sono movimenti che suscitano osservazioni e riflessioni. Apro subito una parentesi (non è che non mi capiti mai, come giusto giusto vedete adesso). Mi direte: ma perché vieni a cianciare in una rivista che parla di lavoro sui problemi e la qualità dei professionisti e del loro operare? Non sono beghe vostre da risolversi al vostro interno? Solo in parte, miei cari, perché i professionisti, specie quelli che si occupano di lavoro, sono un pezzo importante della società civile, determinano con la loro assistenza alle imprese scelte e modalità di comportamento, fanno cultura di impresa e di approccio sociale, tutte cose che determinano ricadute importanti sulla vita delle persone. La seconda parentesi che apro, ed è l’ultima, è che sono obbligato a parlare di “professionisti” in senso generico, e non di consulenti del lavoro (come vorrei), a causa di una legge n. 12/79 che, per motivi che forse 46 anni fa si potevano in parte capire ma che oggi rasentano l’assurdo, ad occuparsi di lavoro possono concorrere altri professionisti (più o meno specializzati per farlo), o addirittura i ced delle associazioni di categoria (che spesso sono uno schermo per fare di tutto a tutti), quando non sono società commerciali che dietro qualche paravento o anche senza alcun paravento fanno apertis verbis e coram populo (e soprattutto nell’indifferenza generale) cose che per legge sarebbero riservate ad altri. Fra gli “altri professionisti” ci sono anche gli spassosi commercialisti del lavoro, sui quali abbiamo già fatto considerazioni tempo fa in questa rubrica1 , che – amanti dell’ossimoro – sono persino prevenuti nel 2024 al primo congresso annuale della (presunta e pretenziosa) “categoria”. Ma quest’ultima osservazione mi spinge ad una prima definizione di professionista “ factotum”; quello che si occupa di tutto quanto riguarda l’azienda: fisco, lavoro, sicurezza, privacy, eccetera (scritto così per intero perchè è un “eccetera” vasto come un oceano). Ora non è che non esistano studi strutturati e multidisciplinari, ma spesso incontriamo alcuni singoli, veri e propri “one man band”, che suscitano in me sentimenti contrastanti, che vanno dalla diffidenza all’ammirazione. Ammirazione perché sicuramente qualche Leonardo da Vinci in giro ci sarà, diffidenza perchè verso un mondo professionale che va verso la specializzazione (all’interno delle stesse singole professioni!) talvolta il dubbio che l’eclettismo nasconda una mancanza di profondità è lecito. La famosa battuta di Totò, in questo caso potrebbe risuonare così: siamo uomini o mezzemaniche? O, se preferite, siamo professionisti o faccendieri? C’è un secondo significato di professionista factotum, ed è quello che si occupa di fare tutto per il cliente. Non solo gli elabora le paghe, ma gli imputa le presenze, gli paga gli stipendi e gli F24, si occupa della distribuzione dei documenti ai dipendenti (e talvolta mi viene il sospetto che qualche sera vada anche a scaricare la lavastoviglie del cliente e a stirargli i panni). Non voglio fare facile ironia su realtà che in certi contesti sono obbligate ad essere “servizievoli”, è che bisogna capire quando tali servizi rischino di sconfinare in una depressione della consulenza vera di cui anche l’azienda con mezzo dipendente ha bisogno, specialmente se e quando non se ne rende conto. Il terzo factotum è il professionista che fa di tutto, cioè aderisce acriticamente alle istanze del cliente. “Vogliamo dare sempre lo stesso netto tutti i mesi ad un dipendente”, ad esempio. Rispondere con semplicismo che si può fare (qualcuno addirittura ci aggiunge un “lo fanno in tanti” o “il programma me lo fare” deducendo da tutto ciò che sia davvero possibile) vuol dire rinunciare alla domanda fondamentale: ma qual è la retribuzione del dipendente (che poi è un concetto che ha mille riverberi giuridici, sei sicuro di fare una vera assistenza professionale al cliente non considerandoli)? Un altro esempio è “voglio allungare – o rinnovare – il tempo determinato, trovami tu la causale giusta”; aderire vuol dire rischiare di far sprofondare il cliente in un mare di guai. Ma il peggio è il quarto esempio di factotum, quello che per arrivare ai desiderata del cliente, si presta ad operazioni che definiamo “borderline” solo per delicatezza. Ad esempio, arrivare al netto desiderato con poste esenti (trasferte, rimborsi spese e amenità varie) calcolate dal “professionista” stesso ed inserite a bella posta (talvolta anche senza criterio) in busta paga. Oppure taroccare come autonomi (cococo, occasionali) contratti genuinamente dipendenti. O ancora legittimare distacchi non genuini o catene di vera e propria somministrazione illecita (o addirittura fraudolenta). Dove qui factotum non vuol dire fare tutto quanto fare di tutto. Insomma, se nel mondo del lavoro qualche cosa non va sempre per il verso giusto, forse qualche domanda dovremmo rivolgerla anche al nostro interno, inteso come mondo professionale, non credete? E anche a quel mondo non esattamente professionale che in maniera più o meno lecita (più meno che più) si occupa delle medesime cose. Perché poi i danni del professionista factotum si concentrano, quando le cose prendono una brutta piega, in una frase classica del cliente: “non ne so niente, faceva tutto il professionista”, Tale frase, spesso pronunciata dal cliente con una spudoratezza che al confronto Salomè figura una suora di clausura, ha in ogni caso due risvolti inquietanti. Il primo è che – anche a pensare bene e nei casi tranquilli – nel “fare tutto noi” in queste modalità stiamo quantomeno rinunciando come professionisti ad aiutare le aziende specie quelle piccole-medie, a crescere, ad evolversi, dandogli strumenti e competenze per sviluppare imprenditorialità, visione, senso critico e civico, (in un parola, a capire ed essere consce di ciò che stanno facendo) ma questo è un boomerang tragico, perché se manca un concetto di imprenditorialità (e legalità e regolarità) e perché rivolgersi ad un professionista quando sarà più comodo un faccendiere? E soprattutto, quando prima o poi certi malaffari, certi aggiustamenti, certe abitudini malsane verranno intercettati (e Dio voglia che accada), che fine faranno le imprese (e chi le ha seguite così sfacciatamente)? Il secondo aspetto è, anche nell’immediato, ancor più grave, perché in questo modo il “factotum” si può trovare di colpo inguaiato, civilmente se le cose sono più leggere, ma anche penalmente, quale architetto, fautore o complice di determinate scelte. Insomma, più di una riflessione in merito, sulla qualità e le scelte delle professioni, va fatta. E qui, a costo di ripetermi, tale riflessione a maggior ragione va posta quando, come nel campo dell’amministrazione del personale, le ricadute sulle persone sono, vere, concrete, immediate, segnano pezzi di società civile e di cultura. E quindi permettetemi, con un piccolissimo senso di orgoglio, di notare una cosa. Nel codice deontologico del consulente del lavoro – esattamente all’art. 24 – ci sono due frasette piccole ma significative ed esplicite, ai commi 2 e 4 (per chi non avesse ben inteso il 2). Le riporto.

 2. Il Consulente del lavoro non deve consigliare azioni inutilmente gravose e suggerire comportamenti, atti o negozi nulli, illeciti o fraudolenti.

4. Il consulente del lavoro deve rifiutarsi di accettare l’incarico o di prestare la propria attività quando dagli elementi conosciuti possa fondatamente desumere che la sua attività possa concorrere alla realizzazione di un’operazione illecita.

 Secondo me potrebbe occuparsi di lavoro e di persone solo chi fosse, oltre che dotato di competenze certificate e specifiche in materia, soggetto ai medesimi principi e ne rispondesse personalmente, a rischio di esclusione dalla professione (e con il coraggio, poi, di escluderli veramente, non solo tanto per dire o sulla carta). Insomma non professionisti “apprendisti stregoni” o maghi e fattucchiere, ma lievito della società civile. Come cantava Lucio Dalla? “Senza grandi disturbi, qualcuno sparirà, saranno forse i troppo furbi e i cretini di ogni età”. Che bell’augurio per l’anno nuovo, non vi pare?


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