SENZA FILTRO – “IL CONTRIBUTO DEL BUON SENSO (CHE NON C’È): ELOGIO SARCASTICO DELL’ALIQUOTA AGGIUNTIVA DEL 2%”

Noemi Secci e Loredana Salis, articoliste previdenziali deluse (ma con stile)

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In principio era la pensione. Poi venne la previdenza complementare. E infine, come un colpo di scena di quelli che lasciano il pubblico muto, arrivò l’aliquota aggiuntiva del 2%.

Sì, avete letto bene: il legislatore, in un lampo di genio (forse durante una pausa caffè particolarmente ispirata), ha pensato bene di introdurre, per chi comincerà a lavorare dal 1° gennaio 2025, una contribuzione aggiuntiva Inps pari al 2%, rigorosamente a carico del lavoratore. Il tutto per garantire, dicono, “una pensione più alta”. Una misura epocale, dicono. E in effetti lo è: epocale il grado di rigidità, epocale l’assenza di incentivi, epocale la capacità di apparire un’opportunità mentre è, più realisticamente, un monumento al paradosso previdenziale.

La grande promessa: versa oggi, godi (forse) a 67 anni

Il principio ispiratore è semplice quanto geniale: versa di più, paga di tasca tua, ma attento! Non potrai toccare nulla prima dei 67 anni. Niente anticipazioni, niente flessibilità, nemmeno una monetina in caso di bisogno: tutto bloccato, come in una cassaforte svizzera. Anzi no, peggio. Perché almeno la cassaforte svizzera la puoi aprire se hai il codice.

Pensi di pensionarti a 64 anni, magari con la pensione anticipata contributiva? Mi spiace, caro lavoratore previdente, il tuo supplemento previdenziale resterà dietro le quinte, in attesa del grande debutto a 67 anni. È la burocrazia, carissimo.

Lo sconto fiscale che si dimezza (e con lui l’entusiasmo)

Non bastava l’obbligo di rinunciare alla liquidità per decenni. Anche il fisco ci mette del suo, premiando lo sforzo del giovane lavoratore con… il 50% di deducibilità. Applausi! Non è obbligatorio, ma viene trattato peggio dei contributi obbligatori. Nemmeno la previdenza complementare, tanto vituperata nei salotti pubblici, osa tanto: lì almeno si deduce tutto fino a 5.164 euro. Qui invece metà deduci, metà no. È come comprare un’auto nuova, ma con solo due ruote comprese nel prezzo.

E attenzione: l’imposizione fiscale sulla pensione finale sarà la stessa delle normali pensioni. Niente agevolazioni, niente riduzioni. Aliquote Irpef ordinarie e pedalare.

Un bel gesto simbolico (senza effetti pratici)

Uno si illude: “Verso di più, almeno posso andare prima in pensione”. E invece no. Quel 2% extra non vale un fico secco ai fini del calcolo dell’importo soglia. Non ti aiuta ad andare in pensione a 64 anni, non ti aiuta a raggiungere il minimo per la pensione di vecchiaia contributiva. Serve solo ad aumentare l’importo finale della pensione. Quando? Ovviamente sempre e solo a 67 anni. Come dire: “Puoi comprare un biglietto per lo spettacolo, ma l’ingresso è vietato fino all’ultima scena”.

È come se ti offrissero un ascensore per scalare l’Everest… che però parte solo dal campo base. Buona fortuna.

La grande domanda: perché farlo?

Qui la satira si arrende e cede il passo all’interrogativo esistenziale: chi mai dovrebbe aderire? Forse il lavoratore estremamente previdente, ma poco fiscalmente accorto. O forse il fanatico dell’Inps, quello che la sera legge la L. n. 335/1995 come altri leggono romanzi di Stephen King. Forse qualcuno c’è, ma per la maggior parte, è più probabile che la misura finisca nel grande dimenticatoio delle norme “ben intenzionate ma male concepite”.

Perché, diciamocelo: chiamare “opportunità” una contribuzione a carico del lavoratore, fiscalmente svantaggiata, senza flessibilità né effetti sull’uscita pensionistica è un po’ come chiamare “palestra gratuita” una scala mobile guasta.

Conclusione: elogio dell’inutilità travestita da riforma

In un’Italia previdenziale che annaspa tra pensioni future incerte e giovani scoraggiati, il legislatore ha scelto una risposta coraggiosa: complicare senza incentivare, tassare senza premiare, vincolare senza valorizzare. Il risultato? Una misura che sembra pensata per educare all’arte della rinuncia e dell’attesa. Un tributo al “risparmio a perdere”.

A voler essere ottimisti, potremmo dire che è un inizio. Ma a voler essere realistici, è una performance tragicomica del nostro sistema previdenziale, che anziché offrire un vero secondo pilastro pubblico, si limita a proporre un gradino traballante verso una pensione lontana e, ironia della sorte, irraggiungibile.

Nel frattempo, i giovani continueranno a guardare altrove: ai fondi pensione, ai PIR, magari al materasso. E l’aliquota aggiuntiva del 2%? Forse resterà nei manuali di previdenza come esempio da non seguire. O, più semplicemente, come l’ennesima occasione mancata per fare le cose sul serio.

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