Senza Filtro – IL CONTRAPPASSO

Andrea Asnaghi, Consulente del Lavoro in Paderno Dugnano (Mi)

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Ve lo devo confessare, se c’è una cosa che mi ha sempre affascinato nella Divina Commedia era il meccanismo del contrappasso: l’idea che ad una determinata colpa, ad un determinato difetto (e che difetto, ti ha portato nelle fiamme eterne!) corrispondesse una pena pittorescamente ad immagine e somiglianza della colpa stessa. Mi immaginavo il divertimento del buon Dante nell’immaginare a quale supplizio destinare il colpevole di turno. Senza mandare nessuno all’Inferno (nel senso di giudizio divino, se non al diavolo quantomeno a quel paese capita spesso di mandare gente) c’è quasi un senso di soddisfazione, di giustizia ristabilita nell’immaginare qualcuno sull’altro lato della medaglia, o come direbbe Gaber “dall’altra parte del cancello” rispetto ad un proprio cattivo comportamento. Che in fondo è anche un modo per far vedere le cose da un’altra angolazione, costringere qualcuno dotato di troppe e spesso infondate e “malanimate” certezze a considerare un altro punto di vista. E così, senza alcuna cattiveria ma solo con un po’ di ironia, mi immagino una specie di contrappasso, ma non definitivo ed eterno, e soprattutto non nell’aldilà, ma nell’aldiqua, nella vita di tutti giorni, quando qualcosa o qualcuno non mi gira per il giusto verso, una sorta di giustizia riparatrice. Prendi ad esempio quell’avvocato, quello che ha fatto reintegrare un lavoratore che ha dato del “cretino” al proprio datore di lavoro (certo, con alcuni motivi) in un consesso rilevante, ma sì, lo stesso avvocato che poi si autocelebra nell’occasione sui social proclamando che giustizia è fatta. Ecco, immaginatelo in un incontro con un cliente importante, mentre la sua collaboratrice lo appella con lo stesso titolo, gli dà del cretino coram populo (con buone ragioni, che so: un compenso inadeguato, una boria insopportabile e sprezzante dell’avvocato, carichi di lavoro impossibili, una colpa affibbiata ingiustamente alla collaboratrice per pararsi le spalle). Ovviamente di fronte all’immaginabile reazione del professionista, taaac, reintegro (con tanto di “giustizia è fatta” proclamata dal collega dell’appellato cretino). Immaginate quel giudice che ha reintegrato un gruppo di lavoratori sorpresi, dopo un controllo in seguito a vari furti avvenuti, ad aprire le valige dei passeggeri di un aeroporto. Il giudicante ha sostenuto che non c’era prova del furto, ma solo dell’apertura delle valige, derubricando la questione a mera sanzione conservativa. Ecco, per contrappasso mi figuro che ogni volta che lo stesso andasse in vacanza all’estero sorprendesse un addetto al controllo bagagli a frugargli dentro la valigia, e che di fronte al prevedibile risentimento del viaggiatore l’addetto rispondesse che non mancando nulla non ha fatto niente di male. E siccome il contrappasso deve essere bello potente, questo deve succedere ogni volta che il giudice va in vacanza, e per lungo tempo. Auguro ancora a tutti quelli che a vario titolo (magari, che so, qualche funzionario pubblico con un quintale di spocchia addosso) dicono e ti fanno capire che “lei non sa chi sono io”, di smarrire continuamente ogni documento di identità, così da non sapere loro stessi (e soprattutto non poter dimostrare) chi sono, in mille e mille situazioni imbarazzanti (un viaggio all’estero, un controllo a un posto di blocco stradale, etc.). Mi figuro anche l’ispettore o l’accertatore che irroga sanzioni per violazioni bagatellari, per quisquilie (non stiamo parlando di quelle sanzioni sacrosante, eh …), solamente per una rigidità poco tollerante, perché la legge è legge (e le sanzioni, si sa, fanno “punti ispezione”): ecco, mi piacerebbe che ogni volta che lasciasse l’auto in divieto di sosta, magari per un minuto, magari per un trasporto o uno scarico urgente, magari anche solo per aver ritardato dieci minuti sull’orario indicato sul disco orario, ci fosse un vigile che con lo stesso zelo lo multa. Perché la legge è legge e vale per tutti, la tolleranza zero anche. E d’altronde l’ha detto Qualcuno che se ne intendeva che “la misura con cui giudicate è la stessa con cui sarete giudicati”. Al datore di lavoro che non attribuisce ai lavoratori la “giusta mercede”, mettendo in piedi contratti farlocchi o filiere al ribasso, toccherebbe semplicemente un portafogli bucato, dove per ogni euro sottratto ingiustamente perda un euro per strada. Che dite, oramai il contante non va più di moda? Va bene, allora facciamo che il suo conto venga costantemente “hackerato” di tanti euro quanti sono quelli “risparmiati” con la sua indegna corsa al ribasso. Al lavoratore in malattia da mesi perché “strategicamente stressato” (con tutto il rispetto per chi soffre veramente, si intende), auguriamo che ogni volta in cui si trovi a dover dipendere dai servizi di un terzo (un autista, un cameriere, un tassista etc.) trovi un soggetto ugualmente finto-stressato e rimanga a mani vuote e/o a piedi e/o a bocca asciutta e/o a stomaco vuoto. N.B. vale per qualsiasi altra malattia inventata o trascinata. Ma vogliamo forse dimenticarci del medico che con compiacenza e sufficienza ha procurato al detto lavoratore quintalate di certificati medici sinceri come il vino al metanolo? Per lui (o lei) auguriamo che tutto ciò che gli passi di mano sia altrettanto falso e farlocco (le monete di resto alla spesa, il certificato di nascita, il rinnovo della patente, il rogito della casa); così per provare l’ebbrezza di avere fra le mani anche lui/lei un po’ di carta straccia. Non posso dimenticarmi degli escapologi fiscali e del lavoro, quelli bravi ad inventare e propugnare ogni mezzo (spesso del tutto illegale) di fuga dalle tasse e dagli oneri sociali: li metterei a fare un gioco continuo, loro così furbi e scaltri, una “escape room” da cui uscire … per entrare in un’altra escape room …e così via all’infinito, una specie di prigione da cui hai solo la sensazione di scappare per ritrovarti all’istante in un’altra. Chi con la faccia soddisfatta e felice come fosse in paradiso annuncia che “si può fare la spesa coi buoni pasto” (sì, dai, quelle pubblicità lì, non fate finta di non aver capito) augurerei di mangiare …buoni pasto (cartacei, si intende): splendide ricette di involtini di ticket restaurant (con ripieno degli stessi ticket), buoni pasto impanati (la panatura di coriandoli di ticket, mi raccomando) e così via. Possiamo dimenticare i prestilegislatori e i presticircolatori, quelli che scrivono norme e atti destinati a regolare la nostra vita di tutti i giorni con la stessa leggerezza e inconsistenza di una foglia in autunno? Beh, per loro, abituati a risolvere tutto (così credono, purtroppo) con un colpo di bacchetta magica regalerei un cilindro da mago, uno di quelli da cui escono prodigiosamente animali, e da questo cilindro, in continuazione farei uscire nella loro casa colombe, conigli, cavie, civette e ogni altro animale usato in magia. Che riempissero ed infestassero la loro casa procurandogli gli stessi sconcerto, imbarazzo e fastidio che procurano in noi i risultati delle loro cattive pensate. Non voglio dimenticare infine tutto coloro che ci dicono “ma dai, in fondo ti basta schiacciare un bottone” (adesso moltiplicatisi a dismisura per via dell’A.I).; bè a costoro regalerei una vita piena di bottoni ed interruttori da schiacciare, senza che però poi succeda nulla. Schiacciate pure, miei cari. Insomma non ve lo immaginate? Per un attimo, un mondo che si fermasse a riflettere, messo alle strette dal contrappasso, sull’evidenza di comportamenti e mentalità sbagliate. Magari non come una condanna definitiva, ma come una possibilità di redenzione. Non vogliamo esser giustizieri o giudici, il contrappasso qui proposto non va inteso come vendetta, come giudizio finale, ma come spinta gentile al ripensamento (si, magari un briciolo di punizione c’è, ma giusto un pizzico …). So che gli esempi potrebbero andare avanti molto a lungo e con aspetti più gravi dei primi che sono venuti alla mente ad un povero consulente del lavoro. In ogni caso, provateci anche voi, in qualche modo è un gioco liberatorio. Ma per finire, un pizzico di sana autoironia. Quale dunque sarebbe la pena adeguata per gli autori, fra cui il sottoscritto, del Senza Filtro, di questa rubricaccia che da anni imperversa malandrina sulle pagine di questa per altri versi gloriosa e autorevole rivista? Io me lo sono immaginato, tale contrappasso, come un sogno, un sogno ricorrente, che si svolge in una specie di giudizio universale dove i giudicandi vengono raggruppati secondo famiglie di colpe (o meriti) specifici. Così l’autore dei Senza Filtro si ritrova in questa stanzone infinito insieme ad altre anime, in una sorta di timore e di silenzio impaurito (ovviamente, quello è IL momento in cui non si scherza più). A poco a poco, però, durante l’attesa, gli sembra di riconoscere le anime che gli stanno più vicino: ma sì, sono i professionisti, i legislatori, i funzionari, i politici, gli escapologi, gli estensori di circolari, i trafficoni, i magistrati, i lavoratori e i datori che più volte ha additato, criticato, schernito, fustigato in quelle stesse sue pagine. E mentre tale riconoscimento si fa via via sempre più numeroso, un sottile dubbio e una domanda angosciante si insinua nello pseudo-scrittore: che ci faccio qua insieme a costoro? Non sarò mica un ribaldo, un imbecille, un marrano pari a loro? E a quel punto si veglia sudato. Confortato, ma solo fino a un certo punto, che si trattasse davvero solo di un sogno. Forse.

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