SENZA FILTRO – F COME …

Andrea Asnaghi , Consulente del Lavoro in Paderno Dugnano (Mi)

F come formazione. In Italia abbiamo un problema, anzi molti problemi, di formazione. Se qualcuno adesso comincia a tirare in ballo Spalletti e la Nazionale di calcio forse si trova sulla rivista sbagliata. Sembra una battuta, anzi lo è, ma se digitate “formazione” su un motore di ricerca entrate in un vortice sportivo, solo dopo tutta la serie A e un bel pezzo di serie B si comincia a ragionare in termini educativi. Apparentemente, e forse è proprio così, siamo più preoccupati dell’attaccante che schiererà domenica la nostra squadra del cuore (oppure che cosa dovremo mettere nella formazione del fantacalcio) che di ciò che entra nella nostra testa. Nella testa di tutti, precisiamo subito, giusto per cominciare a dire che la formazione non è solo una cosa che riguarda bambini, i giovani, la scuola, gli insegnanti, una determinata stagione della vita1 . La formazione ha un significato etimologico interessante: “acquisizione di una determinata consistenza materiale o fisionomia spirituale”. La definizione è illuminante: per effetto di qualcosa (un’azione esterna, un processo interiore, entrambe le cose) prendiamo una forma, ci definiamo, oppure ci modifichiamo, acquisiamo una forma diversa, esistiamo in un altro modo. E quindi dobbiamo subito precisare l’affermazione di qualche riga sopra. La formazione non è qualcosa che entra nella nostra testa come un liquido versato in un vaso: è la differenza – che spesso si ricorda in molti corsi sulla sicurezza – fra formazione ed informazione. Ma poiché il tema, se dovessimo comprendere tutto ciò che riguarda la formazione sarebbe un oceano, vorremmo dire due parole sulla formazione e il lavoro. Che rapporto c’è fra i due termini? Talvolta li si sente utilizzare come concetti antitetici o, al contrario, subordinati, ma queste posizioni, a ben vedere, sono le due facce della stessa medaglia: chi crede che la formazione o serve al lavoro o serve a poco e chi, al contrario, sostiene che il fine nobile della formazione è fornire strumenti di consapevolezza e ragione, indipendenti dal lavoro e dalle sue esigenze. Dovendo scegliere, propenderei decisamente per la seconda ipotesi, tuttavia non posso fare a meno di notare che tale separazione è astratta e inesatta, se solo si pensa che il lavoro (nella sua accezione e manifestazione più nobile) è in sé stesso formazione, plasma le persone ed il loro modo di pensare, fornisce spunti e valori positivi (in brutte esperienze, anche negativi purtroppo), contribuisce a dare un senso all’esistenza e alla sua continua costruzione. Se invece si allontana il senso ed il valore dal lavoro, considerando la formazione il gradino nobile e il lavoro in senso puramente strumentale (penso alle ingiuste critiche sul concetto dell’alternanza), è ovvio che si svuota il significato del lavoro e allora il rapporto fra i due aspetti diventa mera contrapposizione. Senza contare, poi, che il lavoro è permeato in tutti i suoi aspetti dalla formazione: da quella di inserimento ed apprendimento a quella sulla sicurezza, dalla formazione di orientamento a quella dedicata al reinserimento, dalla formazione permanente e di aggiornamento, a quella che offre spunti sulla riflessione di sé (sempre più importante nei contesti organizzativi che vogliono mettere al centro le persone). Ed è per questo che, sempre con un’altra F, alla formazione si affianca la parola finanziamento, fondi. Per la formazione sono necessarie risorse, non si fanno le nozze coi fichi secchi. Possono essere risorse limitate, e quindi con la necessità di essere usate in modo intelligente, che poi è il modo sempre ideale per fruirne. Da diversi anni, ad esempio, per sottolineare la crucialità della formazione, le aziende versano ad Inps uno 0,30% sulle retribuzioni erogate, risorse destinate proprio al finanziamento della formazione e che vengono fruite attraverso le proposte formative dei fondi professionali (ce ne sono tantissimi, sia di categoria che liberi). Ma non sono le uniche risorse destinate alla formazione: è tutto un fiorire di bandi e di iniziative (formazione 4.0, nuove competenze etc.) di carattere pubblico (statale, regionale, territoriale), ci sono incentivi di vario genere alle imprese (dalla contribuzione ridotta sull’apprendistato agli sconti Inail se vi è ultra formazione in materia di sicurezza). Insomma, non vi è chi non comprenda che passa dalla formazione il modo migliore per difendere il lavoro e l’occupazione, per conferire dignità e tranquillità alle persone rispetto al proprio futuro (ed anche al proprio presente), per resistere ed esistere in un mondo sempre più incerto e volubile. Anche sulla patente a crediti, ultima novità del prestilegislatore (non per criticare il concetto in sé, quanto la sua orribile ed improvvisata realizzazione, ma ne riparleremo), la formazione (qui in tema di sicurezza), gioca un ruolo importante. Insomma, quando in Italia si vuole fare qualcosa di serio (o a cui si vuol dare la parvenza di serietà), nell’ambito del lavoro, la formazione prima o poi salta fuori. Giustamente, in fondo. E contribuendo a far fiorire iniziative, proposte, corsi: un grande fiume, anzi una massa turbinosa e ribollente di iniziative che si inseguono, si sovrappongono, si intersecano, creano reciproche suggestioni. Tutto molto bello, no? E allora, si chiederanno i più attenti, perché iniziare questi pensieri in forma problematica? Ovvero, perché abbiamo un problema sulla formazione? Per rispondere dobbiamo introdurre altre F: formazione-fuffa, finta, farlocca, fantasiosa, fantasma, fotocopia. Ci sono varie sfumature per cui la formazione non funziona. C’è chi pensa che la formazione abbia un potere magico (“abbiamo un problema? Facciamo un corso!”). Però non funziona esattamente così, la vera formazione ha bisogno di analisi del fabbisogno, di verifica delle potenzialità dei partecipanti (e dei docenti…), del contesto (spazio-temporale-organizzativo) in cui possa essere strategicamente inserita, dei presupposti perché sia utile davvero, della sua coerenza nel tempo. Faccio un piccolo esempio: vedo corsi sulla comunicazione o sulle relazioni calati in contesti ove la gente non si sopporta o dove vi sono problemi organizzativi da risolvere, però pensiamo che con un po’ di ore di predicozzo (indipendentemente dalla bravura del docente) le cose funzioneranno; spesso non è così, in fondo la formazione è una promessa, senza seguito e contestualizzazione diventa una promessa mancata, una fonte di maggior insoddisfazione e conflitto. Vi è la formazione fotocopia, palesemente scopiazzata da qualcuno nei confronti di qualcun altro che l’aveva ben programmata, scegliendo egregiamente persone, contesti, contenuti, modalità di erogazione, tutte operazioni non scimmiottabili: “facciamolo anche noi” forse funziona con le sottilette di formaggio, ma non è un buon viatico per l’efficacia di un processo formativo. Vi è la formazione fuffa, quella fatta tanto per fare (siamo obbligati a fare tot ore, e in qualche modo le facciamo…): forse sarebbe istruttivo, ma è solo per fare un esempio, parlare con gli apprendisti al termine di alcuni dei corsi obbligatori in tema di formazione trasversale, di solito il commento più benevolo è “se andavo al cinema sarebbe stato più utile”. Lo stesso, se non peggio, vale per i corsi obbligatori (come quelli sulla sicurezza) talvolta fatti tanto per fare, magari senza nemmeno una verifica finale delle competenze acquisite. (Apro una parentesi: quello della verifica – seria – delle competenze è un tema spinoso e poco gradito, ma prima o poi ci si dovrà arrivare a capire se il messaggio è arrivato ai destinatari di un corso, no? Altrimenti, che formazione è?). In tema di formazione obbligatoria, un problema increscioso è la formazione fantasma. Recentemente sono stati condannati società di formazione e professionisti che vendevano falsi attestati in tema di sicurezza sul lavoro, rilasciati a persone o aziende che i corsi non li avevano mai fatti realmente. A parte l’aspetto sostanzialmente criminoso di tale condotta, ma le verifiche chi le faceva? In Italia c’è ancora gente che pensa di fare impresa senza fermarsi a riflettere e che quindi pensa che la formazione sia solo tempo perso. Talvolta (bisogna dirlo) è anche colpa dei corsi-fuffa, dopo un po’ che uno si sente dire cose strane o raffazzonate decide che non ha tempo da perdere, tuttavia la salute e la sicurezza sono una cosa seria (non sarebbe nemmeno il caso dirlo…), semmai si cambia formatore, non si manda tutto alla malora, anche perché in quella malora ci vanno le vite delle persone. La formazione farlocca, cugina della formazione fuffa, è quella tutto fumo e niente arrosto: è quella dei grandi numeri, delle grandi parole, dietro alle quali spesso si nasconde il vuoto cosmico. Salvo poi lamentarsi, dopo averne svuotato il significato, che si fa ancora troppo poca formazione. Forse sulla finta formazione vi è anche una certa responsabilità della F precedente, quella dei finanziamenti: suvvia, alzi la mano chi fra i colleghi non è stato mai contattato da enti/ agenzie/società di formazione creativi che ti propongono pacchetti formativi che ti garantiranno acquisizione di fondi, agevolazioni, sgravi, crediti di imposta, adempimenti di obblighi. Ma la formazione conseguente? “È un dettaglio”… A cercare di convincerti, ovviamente, una fetta del denaro che gira è riservata a te. Ma i controlli? “Un altro dettaglio”. Se qualcuno si adirerà a leggere quanto sopra ne sarò felice: conservo la speranza che siano tanti i genuini che si ribelleranno al quadro che ho dipinto in forza del proprio impegno quotidiano e dell’efficacia della loro azione (ho detto impegno ed efficacia, non grande nome o diffusione), suppongo anche che qualcuno si adirerà a causa di una discreta coda di paglia. Insomma, anche al di là delle pure attività fraudolente, la formazione, senza programmazione, contestualizzazione, verifiche, controlli seri (capiamo che fidarsi della buona volontà non basta, vero?) perde di efficacia, non è credibile, non funziona, è inutile, forse anche dannosa. E quindi dobbiamo liberarci, ritornano le F, dei faciloni, dei fanfaroni, dei faccendieri e, finanche, dei farabutti che sulla formazione ci campano senza gloria e con disonore; anche perché a pagarne il conto siamo noi tutti, non solo in termini squisitamente monetari, ma in termini di frustrazioni, ignoranza, mancata realizzazione, salute, vite, e quant’altro volete metterci di importante. “Dobbiamo liberarci” vorrebbe offrire un significato concreto, non ideale: da parte delle aziende, non accettare facili scorciatoie; da parte delle persone seguire i maestri e non i guru improvvisati e i nomi tanto pomposi (e costosi), quanto vacui; da parte dello Stato e degli Enti preposti, non solo finanziare ma anche intercettare e mettere fuori gioco chi della formazione fa carne da macello. Alla formazione bisogna essere appassionati: in fondo è la trasmissione di valori, se ti formo, se ti plasmo, se ti lascio qualcosa, vorremmo (tu ed io) che fosse qualcosa di buono, di utile, ed anche qualcosa di reciproco, perché è un confronto che arricchisce al tempo stesso chi è formato e chi forma. Perché… Si può vivere senza Formazione? No. Quando finisce la Formazione? Mai. Quando è utile la Formazione? Se è buona (avete notato la F maiuscola?), sempre: dimentichiamoci le altre F, per favore. Possiamo chiuderla con una battuta, ancora una volta utilizzando la F che ha fatto da filo conduttore a queste riflessioni: a seconda di come ci relazioniamo con essa, a seconda del rispetto e dell’attenzione che le riserviamo, la Formazione è un bivio fra il Futuro (o la Felicità, se volete) e il Fallimento. A ciascuno (aziende, persone, Paese) la scelta su quale strada imboccare.


Scarica l'articolo