L’ispettore del lavoro Mario Rossi pigiò con risolutezza il tasto n. 16 del lussuoso ascensore del lussuoso palazzo della lussuosa zona del centro, preparandosi per la consueta entrata in scena in azienda con cui era solito iniziare l’accertamento.
All’apertura della porta dell’ascensore, tuttavia, si trovò direttamente all’interno dell’ufficio reception e lo colse un leggero senso di stordimento. Una luce diffusa, diafana, nell’ambiente dominato dai colori bianco azzurrognoli delle pareti e dell’arredamento, coordinatissimo nei minimi dettagli, dava la sensazione di essere in un ambiente fantascientifico. L’aria aveva il sentore di una fragranza impercettibilmente balsamica, che più avanti l’ispettore avrebbe scoperto ricavata dalla corteccia della rarissima sequoia nana dell’Oregon. Una musica senza struttura si espandeva a basso volume nello spazio, un fastidioso mix strumentale fra una fusion elettronica ed una melodia orientale. Con il suo impermeabile color kaki e la borsa marrone in similpelle, all’interno di quel contesto l’ispettore sembrava il Tenente Colombo catapultato nell’astronave di Star Trek.
Ma quello che colpì di più l’ispettore fu la figura dietro il bancone: sopra una tuta intera unisex, perfettamente coordinata coi colori dell’ambiente, a coprire interamente il volto e il capo troneggiava la maschera a testa intera di Paperino. Una voce vagamente elettronica gracchiò dalla maschera.
“Buongiorno sono un ispettore, dovrei esaminare la vostra azienda. Ma mi perdoni, c’è per caso una festa in atto?”
“No, perchè?”, rispose Paperino.
“La maschera, anzi le maschere …”
Da dietro la vetrata della reception, infatti, si apriva un illuminato open space di persone nelle tute coordinate, tutte identiche nella foggia e nel colore, che indossavano maschere. All’ispettore nel marasma di figure in movimento parve di riconoscere Zagor, Snoopy, Batman, Mafalda, Rat-man ed altri.
“Sì certo ma che c’entra …”
“Nella nostra azienda, sempre all’avanguardia non solo nei servizi offerti ai nostri clienti – la voce metallica sembrava ripetere una cantilena – abbiamo semplicemente applicato il concetto in modo serio ed efficace. Dopo un sondaggio di gradimento fra dipendenti, abbiamo pensato che le tute indifferenziate e le maschere dei personaggi dei fumetti rendessero bene il senso di appartenenza aziendale (sa, ci occupiamo di grafica), e garantissero la piena disidentificazione personale”.
“Ma quindi … fra di voi … vi chiamate coi nomi dei fumetti?” disse l’ispettore mentre dal corridoio laterale osservava passare velocemente un Alan Ford con un faldone sotto il braccio.
“Assolutamente no. Siamo identificati con un numero. Vede il cartellino? Come le ho detto all’inizio, sono dipendente 451”.
“Ma che voce ha, scusi? Sembra che stia parlando con un microfono…”
“Pseudonimizzazione vocale – sospirò Paperino con una certa impazienza che la voce metallica non riuscì a coprire del tutto –. Nelle maschere abbiamo un deformatore che impedisce qualsiasi tentativo di identificazione personale o riconoscimento attraverso il timbro della voce”.
“Ma infatti! E io come faccio? Io non riesco a capire nemmeno se lei sia un uomo o una donna! Anche se, con la maschera di Paperino, posso immaginarlo …”
Con gesto istantaneo, dipendente 451 estrasse dalla tasca della tuta un piccolo taccuino nero ed un lapis bicolore blu-rosso e scrisse qualcosa con la punta blu.
“Ma cosa sta scrivendo?”
“Annoto sul <taccuino personale dei fatti e delle espressioni inappropriate> quanto appena successo: lei ha usato l’espressione “uomo o donna” cercando anzitutto di carpire il riferimento alla mia persona e quindi con un chiaro tentativo di violazione della nostra policy di pseudonimizzazione sessuale (tra l’altro, la tuta serve proprio per quello) ed inoltre dando una polarizzazione di genere assolutamente discriminatoria verso le altre diverse categorie (esempio i transgender). E comunque le dico subito che il tipo di maschera non è identificativo del genere: Paperino non deve necessariamente essere “un” Paperino.”
“Ma è assurdo! Ma mi dica un’altra cosa, perché indossa i guanti?”
“Questi sono guanti particolari, caro signore, in lattice di caucciù amazzonico (prodotti nel rispetto delle regole ambientali e del lavoro, vede il logo di garanzia della Rainforest Foundation?). Impediscono il rilascio di impronte digitali o altri elementi fisici che potrebbero subitaneamente portare ad una possibile identificazione personale”.
“Va bene, senta mi chiami cortesemente un responsabile”.
Taccuino e lapis balenarono nelle mani guantate di Paperino – 451.
“Cos’ho detto di male stavolta?” chiese l’ispettore, visibilmente intimorito.
“Mi perdoni, con l’espressione “un” responsabile lei ha sottinteso che a dirigere questa azienda fosse un individuo di sesso maschile. Ciò è evidentemente altamente discriminatorio ma siccome ritengo vi fosse anche una dose di involontarietà ho annotato la cosa con la punta blu – disse compunto Paperino che, mentre parlava, batteva dei tasti sul computer ed esaminava con soddisfazione la risposta sullo schermo – Dirigente 111 sarà da lei fra 120 secondi.
“Ma senta, mi faccia capire. – insistè l’ispettore – Mica andrete in giro così anche fuori, no? Dovrete pur cambiarvi per andare a casa … e lì fatalmente cadranno le maschere e tutto il resto…”
“Ci sono degli spogliatoi collegati direttamente all’entrata e all’uscita, che procedono a scaglionamento di tre minuti. Ha presente gli spogliatoi delle sale radiografiche, a doppia porta? Entriamo, lasciamo lì tuta e maschera, che ritroviamo il giorno dopo e usciamo dall’altra parte. Fuori è fuori, dentro non sappiamo nulla l’uno dell’altro. È molto meglio, no? Niente personalizzazioni, niente discriminazioni, niente molestie, solo fasci di competenze e ruoli”.
“E vabbè ma se uno si appropria della maschera di un altro? Poi, come sarebbe possibile identificarvi esattamente?”
“È assolutamente impossibile che ciò avvenga, ma l’identificazione è molto facile” disse una voce ugualmente metallica alle spalle dell’ispettore che si girò spaventato.
“Diabolik!”
“Prego, sono dirigente 111” disse la figura che effettivamente indossava la maschera del noto criminale a fumetti, porgendogli la mano.
“Mi scusi, è stata la suggestione – disse l’ispettore, stringendo la mano – ma mi sembrano un po’ cose da pazzi”.
Diabolik e Paperino tirarono fuori il taccuino.
“Perdoni” spiegò Diabolik – 111 “ma con l’espressione <pazzi> lei ha evidentemente usato un tono dispregiativo verso una disabilità cognitiva, emozionale e/o relazionale, adoperando un’espressione sdoganata fin dai tempi della Legge 13 maggio 1978, n. 180”.
“La legge Basaglia” disse l’ispettore, che non voleva mostrarsi impreparato.
“La prego, abbandoni questa usanza barbara di battezzare la legge con il nome dell’ispiratore” esclamò Diabolik!
Eh così almeno uno si ricorda nel tempo chi è il genio (o il cretino) che ha fatto certe norme – pensò l’ispettore (ma non lo disse). Vedendo invece l’alacre immancabile annotazione sospirò:
“E annotate tutto sul vostro taccuino … Ma a che vi serve?”
“Per la riunione di confronto settimanale con i GATTI” si inserì 451 con orgoglio.
“I … gatti?”
“I Grandi Ambasciatori della Tolleranza Trasversale Impersonale” precisò enfaticamente 451.
“Sono persone esperte nella comunicazione e nella team disidentification – intervenne dirigente – 111 – ci aiutano a slegarci da pregiudizi intellettuali e comunicativi, che come vede sono radicati nella nostra cultura, nell’intento di arrivare ad una totale, pacifica e liberante spersonalizzazione”.
“Torniamo all’identificazione … È possibile?” disse l’ispettore che stava per essere invaso da un senso di stordimento e voleva tornare su qualcosa di concreto.
“Ma certamente. Vede questo quadratino sul cartellino di ognuno di noi? – l’ispettore individuò, seguendo il gesto diaboliko, un piccolo quadratino di puntini e svirgoli neri – È un QR code che può essere letto con uno scanner di nostra ideazione, questo. Glielo lascio”.
Diabolik tirò fuori di tasca una specie di telefonino piccolo e lo porse all’ispettore.
“Sì ma, e se i dipendenti si scambiano maschera e cartellino?” affondò l’ispettore.
“Come le dicevo, è impossibile. Sia maschera che cartellino contengono un chip elettronico in grado di leggere dal contatto epidermico (attraverso peli o sudore o quant’altro) il DNA di ciascun dipendente, che abbiamo diligentemente raccolto in fase di assunzione. Una volta assegnati, cartellino e maschera non sono più intercambiabili né indossabili da qualcun altro. D’altronde abbiamo calcolato che la produzione fumettistica e cartoonistica mondiale ci assicura oltre 350.000 possibili personaggi, senza contare quelli in continua evoluzione” nel frattempo stava passando un Pokemon Bulbasaur.
“Ma …”
“Lo so già cosa mi sta chiedendo, abbiamo ottenuto ovviamente l’autorizzazione preventiva del Garante alla raccolta ed al trattamento di questi dati genetici e di profilazione, visto lo scopo di ridurre significativamente l’impatto identificativo. Anzi, insieme all’autorizzazione abbiamo ricevuto una lettera di elogio, sia dal Garante che dalla Direzione Generale di Roma del Ministero a cui lei appartiene, sa?”
“Sì, tanto quelli dei piani alti non ci dicono mai nulla” pensò l’ispettore …
“Purtroppo però ora la devo lasciare perché ho un appuntamento per un colloquio scolastico” disse Diabolik 111.
A questo sprazzo inatteso di umanità, il viso dell’ispettore si illuminò.
“Eh i figli … ne ho due anch’io, una meraviglia … guardi – disse con orgoglio estraendo lo smartphone di cui proprio qualche giorno prima aveva imparato ad utilizzare la cartella “foto” e mostrandole a Diabolik – guardi, guardi …”
“Mi scusi ma lei mi sta sottoponendo immagini di minori con il volto non oscurato …” disse con tono inorridito Diabolik – 111 indietreggiando e brandendo il taccuino.
“Sono i miei figli …” balbetto l’ispettore
“… e potenzialmente pedopornografiche …” continuò Diabolik (l’ispettore notò l’annotazione con la punta rossa).
“Ma è la mia bambina di 4 anni in spiaggia!”protestò.
“Va bene, va bene, ma ora devo proprio andare – si riprese frettolosamente Diabolik – In qualità di genitore 2 di familiare 4, che è anche discente 27, devo andare a colloquio con docente 72, che insegna la materia 8. Ho un appuntamento in aula 16 dalle 11.30 ed essendo il numero 3 sono già in ritardo. Se viene domattina alla stessa ora identifichiamo tutti, va bene?”
“D’accordo” disse con un filo di voce l’ispettore a cui la girandola di numeri aveva procurato un impegnativo capogiro.
Ma mentre stava per congedarsi, si risvegliò per un attimo il suo istinto investigativo.
“Le mani!” esclamò.
“Prego?” disse Diabolik.
“Nel salutarmi all’inizio lei mi ha stretto la mano. – disse trionfalmente l’ispettore – La mano nuda. E mi ha dato lo scanner. Con sopra le sue impronte. Non siete completamente spersonalizzati. Potrei attivare delle azioni per identificarla, in fondo”.
“Mio caro signore – rispose amabilmente Diabolik – 111 (all’ispettore sembrò che sorridesse in modo inquietante ma forse era solo l’espressione fissa della maschera) – è vero, noi dirigenti non indossiamo i guanti. D’altronde, lei capirà, dovendo avere particolari e frequenti rapporti interpersonali esterni, anche importanti, parrebbe brutto indossare qualcosa che ci fa sembrare distanti, distaccati. Tuttavia alla mattina, al nostro arrivo in ufficio, immergiamo le mani in una speciale soluzione chimica, ovviamente anallergica, di nostra invenzione, che rilascia sulle mani una sottile pellicola, la quale sortisce il medesimo effetto dei guanti. Oltretutto ci protegge dai microbi. Pertanto, non troverà impronte. La saluto”.
Anche dipendente 451 fece col capo un cenno freddamente cortese di commiato. Chissà se sorrideva, sotto la maschera.
Uscendo dall’edificio, l’ispettore fu colto da un senso di freddo pungente. Forse era il novembre umido di questa benedetta pianura lombarda, forse il vento. O forse chissà cosa … Istintivamente rialzò il bavero e si strinse nell’impermeabile notando il cielo plumbeo che racchiudeva la città in un senso di oscurità crepuscolare malgrado fosse solo mattino avanzato. Le nubi nere e minacciose che minacciavano tempesta sembravano la metafora di qualcosa che incombeva sul mondo.