Sentenze – Validità del patto di prova nel caso di successione di contratti: causa funzionale e condizioni di legittimità

Clara Rampollo, Consulente del Lavoro in Pavia

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Cass., sez. Lavoro, Ord. 6 aprile 2025, n. 9064

La vicenda riguarda la validità del patto di prova nei contratti di lavoro, con riferimento ai casi di successione di contratti e cambio di datore di lavoro, con particolare attenzione alla causa funzionale del patto di prova e alle condizioni che ne determinano la legittimità.

La controversia riguarda un dipendente che aveva prestato l’attività lavorativa presso il magazzino di protesi di un’azienda inizialmente come lavoratore somministrato tramite diverse agenzie in favore dell’appaltatore; successivamente il lavoratore è stato assunto a tempo indeterminato da un’azienda subentrata nell’appalto con un patto di prova di 26 giorni per poi ricevere la comunicazione della cessazione del rapporto per mancato superamento della prova.

La Corte d’Appello di Firenze ha dichiarato la nullità del patto di prova e l’illegittimità del licenziamento, condannando la società al pagamento di un’indennità risarcitoria in base a due motivi:

  • sin dall’inizio il lavoratore aveva sempre svolto le stesse mansioni di magazziniere (solo occasionalmente quelle di autista) ed anche di sanificatore-manutentore. L’attribuzione di quest’ultima qualifica nell’ultimo contratto non equivaleva all’assegnazione di compiti nuovi o diversi;
  • il fatto che il dipendente fosse prima lavoratore somministrato e poi assunto direttamente non giustificava l’apposizione del patto di prova, dato lo svolgimento delle medesime mansioni che rendeva non necessario verificare la permanenza dell’idoneità professionale.

La società che è subentratata nell’appalto ha proposto ricorso per cassazione basato su tre motivi principali, contestando la decisione della Corte d’Appello di Firenze, sostenendo la legittimità del patto di prova apposto al contratto di lavoro per tre motivi:

  • Violazione dell’art. 50 del D.lgs. n. 50/2016 e dell’art. 4 CCNL Multiservizi, per avere la Corte ritenuto esistente un obbligo di assunzione senza patto di prova, sebbene tali disposizioni non fossero applicabili a un lavoratore somministrato del precedente appaltatore;
  • Violazione dell’art. 4 CCNL per avere ritenuto applicabile al lavoratore una delle clausole di cui alle lettere a) e b) del citato articolo, sebbene egli fosse estraneo al loro ambito di applicazione in quanto lavoratore interinale;
  • Violazione dell’art. 2096 c.c. per avere giudicato privo di causa e nullo il patto di prova, che invece sarebbe legittimo a causa dell’inserimento del lavoratore in una nuova organizzazione aziendale, con un diverso datore di lavoro, inquadramento e mansioni.

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i primi due motivi di ricorso ritenendo che non si confrontassero con la ratio decidendi della sentenza impugnata. Secondo la Suprema Corte, la Corte d’Appello non aveva inteso estendere al lavoratore somministrato la diretta applicazione delle clausole sociali, ma aveva ritenuto insussistenti i presupposti per l’apposizione di un patto di prova in caso di successione di contratti. La decisione della Corte d’Appello si basava sui principi generali relativi alla causa del patto di prova, non sull’applicazione diretta delle clausole di salvaguardia occupazionale previste dal CCNL o dalla normativa sugli appalti pubblici.

La Corte ha ribadito i principi fondamentali sulla causa del patto di prova, elemento centrale per valutarne la legittimità. Questi principi costituiscono la base giuridica per l’analisi di tutti i casi simili: interesse comune, verifica datoriale e valutazione del dipendente.

La Corte ha chiarito in quali circostanze un patto di prova può essere considerato illegittimo per mancanza della sua causa funzionale, fornendo importanti linee guida per i giudici di merito. È illegittimamente apposto un patto di prova che non sia funzionale alla causa di reciproca sperimentazione della convenienza del contratto, ad esempio quando questa sia già avvenuta con esito positivo nello svolgimento di un precedente rapporto di lavoro tra le stesse parti e nelle specifiche mansioni. La ripetizione del patto di prova in successivi contratti tra le stesse parti, con mansioni analoghe, è ammissibile solo se vi sia la necessità di ulteriori e indispensabili verifiche, come valutare il comportamento e la personalità del lavoratore, elementi suscettibili di modificarsi nel tempo.

La Corte ha stabilito principi chiari su chi debba dimostrare cosa: il lavoratore che deduca la nullità del patto di prova, perché non funzionale alla causa della reciproca sperimentazione, sopporta il relativo onere probatorio; il difetto funzionale può essere provato anche per presunzioni, come l’aver prestato per un congruo tempo la propria opera per lo stesso datore con le stesse mansioni, anche in seguito a distacco o somministrazione.

La ripetizione del patto invece è legittima se il nuovo rapporto presenta elementi decisivi di novità: diverso datore, differente organizzazione produttiva o mansioni diverse: in presenza di tali elementi, non opera la presunzione di difetto funzionale e non si può addossare al datore l’onere di dimostrare le esigenze poste a base dell’apposizione del patto.

Secondo la Corte, l’esistenza di precedenti rapporti di lavoro somministrato, anche con le medesime mansioni, non priva il patto di prova della sua causa, che è volta a valutare non solo l’idoneità alle specifiche mansioni ma anche tutti gli altri elementi di qualificazione della prestazione, incluso il vincolo fiduciario.

La Cassazione ha identificato l’errore di diritto commesso dalla Corte d’Appello che ha portato all’accoglimento del terzo motivo di ricorso e alla cassazione della sentenza impugnata. È stato evidenziato che, nella valutazione della legittimità del patto di prova, occorre considerare molteplici fattori oltre alla semplice identità delle mansioni. Questi elementi sono cruciali per determinare se sussista un legittimo interesse alla sperimentazione: comportamento del lavoratore, inserimento nella struttura, vincolo fiduciario e modalità operative diverse che richiedono una verifica dell’adattabilità del lavoratore, anche a parità di mansioni formali. La Corte ha sottolineato l’importanza di contemperare i diversi interessi in gioco nella valutazione della legittimità del patto di prova, specialmente in presenza di datori di lavoro diversi. Occorre una valutazione complessiva che tenga conto di tutti gli elementi: durata della precedente esperienza, effettiva identità delle mansioni, cambiamenti nell’organizzazione o nelle modalità operative. Il giudice deve considerare se, nonostante la precedente esperienza come somministrato, sussista un legittimo interesse alla verifica di aspetti nuovi o diversi della prestazione lavorativa.

In conclusione, la Corte di Cassazione ha accolto il terzo motivo di ricorso, dichiarato inammissibili i primi due motivi, e cassato la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, rinviando alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità. La Corte d’Appello dovrà riesaminare il caso conformandosi ai principi di diritto enunciati dalla Cassazione, valutando tutti gli elementi rilevanti per determinare la legittimità del patto di prova, non limitandosi alla sola identità delle mansioni.

Questa sentenza è importante perché fornisce importanti linee guida per i giudici di merito che si trovano a valutare la legittimità del patto di prova in casi simili, indicando un approccio metodologico completo:

  • bilanciamento degli interessi datore di lavoro e lavoratore ai fini dell’idoneità complessiva della prestazione.
  • verifica dell’identità delle parti;
  • analisi delle mansioni;
  • valutazioni del contesto organizzativo;
  • bilanciamento degli interessi datore di lavoro e lavoratore ai fini dell’idoneità complessiva della prestazione.

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