Cass., sez. Lavoro, 8 dicembre 2024, n. 31505
Una lavoratrice addetta ad un appalto di servizi è stata licenziata per giustificato motivo oggettivo l’8 febbraio 2020 dopo il “cambio di appalto” sotto la disciplina del Jobs Act. Ha impugnato il licenziamento sostenendo la sua nullità per discriminazione e ritorsione, oltre alla sua illegittimità sotto vari profili, tra cui il fatto che il datore di lavoro non aveva rispettato l’obbligo di “repêchage”. Il Tribunale di Benevento, in primo grado, ha dichiarato risolto il rapporto e condannato la società a pagare un’indennità risarcitoria di 36 mensilità per la mancanza di motivazione relativa al giustificato motivo oggettivo del licenziamento. La società quindi faceva ricorso perché riteneva eccessivo la determinazione dell’indennità a 36 mesi. La Corte d’Appello ha poi ridotto tale indennità a 18 mensilità, confermando comunque l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo. La lavoratrice, quindi, adiva alla Cassazione per richiedere il carattere ritorsivo del licenziamento e la reintegra anche nel caso di applicazione della D.lgs. n. 23/2015. La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibili alcune doglianze della lavoratrice, in particolare riguardo al carattere ritorsivo e discriminatorio del licenziamento, non provato in modo esclusivo e determinante. Tuttavia, ha accolto il ricorso sulla questione della tutela applicabile: in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 128/2024, ha stabilito che, in caso di insussistenza del giustificato motivo oggettivo, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione attenuata nel posto di lavoro. Pertanto, la Cassazione ha cassato la decisione della Corte d’Appello e rinviato la causa affinché venga applicata la corretta tutela reintegratoria e non la semplice indennità economica.