Sentenze – Sussiste la giusta causa di licenziamento nel caso di reati di maltrattamento famigliare del lavoratore

Riccardo Bellocchio, Consulente del Lavoro in MIlano

Cass., sez. Lavoro 11 dicembre 2024, n. 31866

Il caso riguarda il licenziamento di un lavoratore, conducente di autobus, a seguito della sua condanna irrevocabile per violenza sessuale, maltrattamenti familiari e lesioni personali. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento, sostenendo la sua illegittimità poichè il fatto non riguardava l’attività lavorativa ma la sfera personale La Corte d’Appello di Milano ha confermato il licenziamento, ritenendo che la gravità dei reati commessi e la loro abitualità costituissero una giusta causa di destituzione. Inoltre, ha considerato il rischio che il lavoratore potesse perdere l’autocontrollo nello svolgimento delle sue mansioni, che prevedevano un costante contatto con il pubblico. Inoltre la Corte ha ritenuto di nessun rilievo il fatto che dopo la condanna la condotta del lavoratore sia stata ineccepibile. Il lavoratore allora ha presentato ricorso per Cassazione articolato in sei motivi, tra cui: 1. Violazione dell’art. 45, R.D. n. 148/1931 e dell’art. 27 Cost., per non aver considerato il reinserimento sociale del condannato. 2. Omesso esame di prove rilevanti che dimostravano la sua assenza di pericolosità. 3. Errata valutazione delle prove da parte della Corte d’Appello. 4. Violazione dell’art. 5 della Legge n. 604/1966 per mancata dimostrazione dell’impossibilità di reinserimento lavorativo. 5. Errata applicazione delle norme disciplinari e contrattuali. 6. Violazione dell’art. 2106 c.c. per non aver applicato una sanzione conservativa invece del licenziamento. La Corte di Cassazione respingeva invece il ricorso, confermando la legittimità del licenziamento per giusta causa. Inoltre ha ribadito il principio, già confermato da altre sentenze, secondo cui la condotta extralavorativa può avere rilievo disciplinare se compromette la fiducia del datore di lavoro nel prosieguo delle mansioni. Inoltre, il percorso riabilitativo del lavoratore non può annullare retroattivamente la gravità dei fatti. Il licenziamento, infine, rileva la Corte, non si basa su un automatismo legato alla condanna penale, ma sulla compromissione del rapporto fiduciario.


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