Sentenze – Reintegra anche per il dirigente se le accuse a base del licenziamento sono un pretesto
Elena Pellegatta, Consulente del Lavoro in Milano
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Cass., sez. Lavoro, 9 giugno 2025, n. 15330
È davvero minore la tutela contro il licenziamento del dirigente? Gli Ermellini rilevano che deve essere tutelato anche il dirigente contro un licenziamento ritorsivo, in quanto non è semplicemente ingiustificato, ma è nullo per motivo illecito e dunque, di fronte a una nullità così grave, la protezione è totale e si applica a tutti i lavoratori, senza distinzione di qualifica. Anche il dirigente, quindi, ha pieno diritto a tornare al suo posto. La vicenda prende avvio dall’impugnazione del licenziamento intimato al dirigente dal datore di lavoro, una banca. Durante l’appello, la Corte di Bari, a fronte dell’impugnazione della sentenza nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva ritenuto la nullità del licenziamento intimato dal datore al dirigente, perché determinato da motivo illecito, con applicazione delle conseguenze sanzionatorie previste dai commi 1 e 2 dell’art. 18 St. lav. novellato. Il giudice d’appello conviene con l’accertamento secondo cui “le contestazioni disciplinari mosse appaiono palesemente prive di fondamento”, come tali inidonee a giustificare il licenziamento del dirigente non solo ex art. 2119 c.c. ma anche ai sensi della disciplina della contrattazione collettiva applicabile che consente la risoluzione del rapporto di lavoro dirigenziale in caso di “giustificatezza” del recesso; esaminando diffusamente la vicenda professionale del dirigente ha condiviso col giudice di primo grado il convincimento che il licenziamento avesse natura ritorsiva, quale reazione ingiusta e arbitraria a comportamenti legittimi del dipendente. Propone ricorso in Cassazione la soccombente società; resiste con controricorso l’intimato. Nell’esame dei motivi, la Suprema Corte perviene all’assunto che l’accoglimento della domanda di nullità del licenziamento perché fondato su motivo illecito esige la prova che l’intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso e idonei a configurare un’ipotesi di legittima risoluzione del rapporto. Gli Ermellini precisano che l’onere della prova della esistenza di un motivo di ritorsione del licenziamento e del suo carattere determinante la volontà negoziale grava sul lavoratore che deduce ciò in giudizio e che si tratta di prova non agevole, sostanzialmente fondata sulla utilizzazione di presunzioni, tra le quali presenta un ruolo non secondario anche la dimostrazione della inesistenza del diverso motivo addotto a giustificazione del licenziamento o di alcun motivo ragionevole. Per incontrastata e pluriennale giurisprudenza di Cassazione, l’ipotesi dell’atto di licenziamento che rappresenti “l’ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito (diretto) o di altra persona ad esso legata e pertanto accomunata nella reazione (indiretto), che attribuisce al licenziamento il connotato della ingiustificata vendetta” è riconducibile all’istituto codicistico dell’atto nullo perché determinato da un motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., con riconoscimento legislativo espresso nel comma 1 dell’art. 18, L. n. 300/1970. Per l’art. 1345 c.c. il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe, disposizione applicabile anche agli atti negoziali unilaterali ex art. 1324 c.c. laddove essi siano finalizzati esclusivamente al perseguimento di scopi riprovevoli ed antisociali, rinvenendosi l’illiceità del motivo. Illecito è tipicamente il licenziamento motivato dalla ritorsione o dalla rappresaglia, che rende l’atto datoriale contrario ai valori ritenuti fondamentali per l’organizzazione sociale e ne determina la nullità. Dopo aver accertato unitamente al Tribunale che non sussistevano fatti idonei a giustificare il licenziamento, ha tratto, oltre che dalla pretestuosità del recesso, da una serie di elementi analiticamente esposti, il convincimento circa la natura ritorsiva dell’atto culminante la vicenda lavorativa del dirigente, giungendo alla conclusione che essi denotano come il contegno datoriale abbia progressivamente rivelato il movente, rappresentato in una prima fase dall’isolamento e allontanamento del dirigente, in seconda battuta dalla sostanziale espulsione dall’organigramma aziendale mediante dequalificazione e distacco, quale reazione ingiusta e arbitraria a comportamenti legittimi del dipendente.