Cass., sez. Lavoro, 19 ottobre 2023, n. 29101
Anche lo straining e lo stato morale del lavoratore sono costituzionalmente soggetti a tutela risarcitoria. La Suprema corte si esprime in questo senso sul caso di un lavoratore che viene riconosciuto, dal giudice di primo e secondo grado, oggetto di sotto inquadramento contrattuale e soggetto a condizioni di stress sul posto di lavoro, e che a seguito di un alterco con il suo diretto superiore, accusa un malore che si rivela essere una lieve ischemia. Il giudice di primo grado ha valutato il caso idoneo ad un inquadramento superiore e alla relativa retribuzione, ma non al risarcimento del danno, e la Corte d’Appello, pur avendo accertato la condotta stressante del superiore gerarchico del lavoratore, ha affermato tuttavia che andasse negata l’illiceità della stessa trattandosi di un episodio isolato che esulava dalla sistematicità di una condotta vessatoria persecutoria o discriminatoria reiterata e protratta nel tempo, con una chiara finalità che deve sussistere per poter qualificare come mobbizzante la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico. Il giudice di secondo grado ha negato perciò qualsiasi tutela risarcitoria in relazione alla domanda svolta. Così facendo però, secondo gli Ermellini, la Corte non ha fatto buon governo delle regole di diritto che vengono in rilievo in relazione alla tutela della personalità morale del lavoratore essendo oramai risalente l’orientamento, dalla sentenza di Cass., n. 3291 del 19 febbraio 2016, secondo cui, al di là della tassonomia e della qualificazione come mobbing e straining, quello che conta in questa materia è che il fatto commesso, anche isolatamente, sia un fatto illecito sulla base dell’art. 2087 del c.c. da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più elevato livello dell’ordinamento (la sua integrità psicofisica, la dignità, l’identità personale, la partecipazione alla vita sociale e politica). La reiterazione, l’intensità del dolo, o altre qualificazioni della condotta sono elementi che possono incidere eventualmente sul quantum del risarcimento ma è chiaro che nessuna offesa ad interessi protetti al massimo livello costituzionale come quelli in discorso può restare senza la minima reazione e protezione rappresentata dal risarcimento del danno, a prescindere dal dolo o dalla colpa datoriale, come è proprio della responsabilità contrattuale in cui è invece il datore che deve dimostrare di aver ottemperato alle prescrizioni di sicurezza. Quanto premesso, chiarisce come per la Suprema Corte lo straining rappresenti una forma attenuata di mobbing perché priva della continuità delle azioni, ma risulti sempre riconducibile all’art. 2087 c.c., sicché se viene accertato lo straining e non il mobbing la domanda di risarcimento del danno deve essere comunque accolta. è inoltre stato assegnato, con ordinanza della Corte di Cassazione del 7 febbraio 2023 n. 3692, un valore dirimente al rilievo dell’ “ambiente lavorativo stressogeno” quale fatto ingiusto, suscettibile di condurre anche al riesame di tutte le altre condotte datoriali allegate come vessatorie, ancorché apparentemente lecite o solo episodiche, in quanto la tutela del diritto fondamentale della persona del lavoratore trova fonte direttamente nella lettura, costituzionalmente orientata, dell’art. 2087. Per questo motivo, il ricorso del lavoratore viene accolto, e viene rimandato al giudice di appello il riesame del valore del risarcimento del danno richiesto per ambiente di lavoro stressante.