Sentenze – Per licenziare una lavoratrice in gravidanza occorre che ci sia la “colpa grave” e non la semplice giusta causa ordinaria

Riccardo Bellocchio, Consulente del Lavoro di Milano

Cass., Sez. Lavoro, 3 febbraio 2025, n. 2586

Una lavoratrice è stata licenziata per giusta causa da una società di somministrazione per utilizzo improprio dei permessi ex Legge n. 104/92, che le erano stati concessi per assistere il nonno disabile. Le indagini di un’agenzia investigativa hanno dimostrato che nei giorni di permesso la lavoratrice ha dedicato poco tempo all’assistenza, svolgendo invece attività personali (riparazione auto, acquisti, visite in gioielleria e negozi). La Corte d’Appello di Brescia ha confermato la legittimità del licenziamento, escludendo la natura ritorsiva e ritenendo che il comportamento fosse riconducibile alla “colpa grave” ex art. 54, comma 3, D.lgs. n. 151/2001, che consente il licenziamento anche di lavoratrici in gravidanza.

La lavoratrice impugnava la sentenza in Cassazione, lamentando tra le altre cose:

  1. Un’erronea equiparazione tra “colpa grave” e “giusta causa ordinaria”.
  2. Una mancata considerazione del suo stato di gravidanza.
  3. Una valutazione errata dell’abuso dei permessi della L. n. 104/92.
  4. Un travisamento delle prove a suo favore.

La Cassazione ha respinto la maggior parte dei motivi di ricorso, ritenendo che la Corte d’Appello avesse correttamente valutato l’abuso dei permessi e che le prove addotte dalla lavoratrice non fossero sufficienti a giustificare le sue attività, confermando le precedenti sentenze che evidenziano come il permesso usufruito dalla lavoratrice non è stato utilizzato in relazione alla sua funzione tipica che risiede nella destinazione di quel tempo sottratto al lavoro alla soddisfazione delle esigenze del disabile.

Tuttavia, ha accolto il primo motivo di ricorso, affermando che la Corte d’Appello non ha adeguatamente distinto tra giusta causa e colpa grave. Per licenziare una lavoratrice in gravidanza, la colpa deve essere particolarmente grave e legata a una valutazione specifica del suo stato psicofisico e non alla semplice giusta causa ordinaria.

Pertanto, la Corte ha rimandato il caso alla Corte d’Appello che dovrà riesaminare se la condotta della lavoratrice configuri una colpa grave sufficiente a superare il divieto di licenziamento in gravidanza.


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