Cass., sez. Lavoro, 7 gennaio 2025, n. 170
Costituisce discriminazione indiretta l’applicazione dell’ordinario periodo di comporto (previsto per il lavoratore non disabile) al lavoratore che si trovi in condizione di disabilità secondo il diritto dell’Unione, perché la mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori con disabilità, proprio in conseguenza della disabilità, trasmuta il criterio, apparentemente neutro, del computo dello stesso periodo di comporto in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto in quanto in posizione particolare svantaggio. È quanto affermato dagli Ermellini della Suprema corte di Torino, chiamati alla valutazione del merito di una sentenza di impugnazione di licenziamento per un lavoratore con disabilità che aveva superato il periodo di comporto. La vicenda prende avvio dal licenziamento intimato dall’azienda al lavoratore, già conosciuto come soggetto affetto da disabilità, che aveva superato il periodo di comporto. La Corte di Appello di Torino, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di prime cure, ha respinto le domande di impugnativa del licenziamento intimato il 2 ottobre 2019 per superamento del periodo di comporto. La Corte territoriale, in estrema sintesi, accertato che il lavoratore risultava essere “persona con disabilità” ai sensi degli artt. 1 e ss. del D.lgs. n. 216 del 2003, non aveva condiviso l’assunto del primo giudice secondo cui l’applicazione del medesimo periodo di comporto tanto ai lavoratori senza quanto a quelli con disabilità costituisse discriminazione indiretta. Ribaltando completamente la decisione d’appello, la Corte Suprema afferma invece che la conoscenza dello stato di disabilità del lavoratore, o la possibilità di conoscerlo secondo l’ordinaria diligenza da parte del datore di lavoro, fa sorgere l’onere datoriale, a cui non può corrispondere un comportamento ostruzionistico del lavoratore, di acquisire, prima di procedere al licenziamento, informazioni circa l’eventualità che le assenze per malattia del dipendente siano connesse allo stato di disabilità, al fine di individuare possibili accorgimenti ragionevoli imposti dall’art. 3, comma 3-bis, D.lgs. n. 216 del 2003, la cui adozione presuppone l’interlocuzione ed il confronto tra le parti, che costituiscono una fase ineludibile della fattispecie complessa del licenziamento de quo. In particolare, si è sostenuta l’esigenza che la contrattazione collettiva, in modo esplicito, disciplini la questione del comporto per i lavoratori con disabilità avendo riguardo alla condizione soggettiva, non risultando di per sé sufficiente il rilievo dato alle ipotesi di assenze determinate da particolari patologie o connotate da una certa gravità. Nella specie, la Corte territoriale come ricordato nello storico della lite, accertato che la società era a conoscenza della condizione di disabilità del lavoratore ed aveva intimato il licenziamento per superamento del periodo di comporto, non aveva provveduto ad acquisire informazioni circa la correlazione tra assenze per malattia del dipendente e stato personale di disabilità, al fine di individuare possibili accorgimenti ragionevoli onde evitare il recesso.