Sentenze – Nullità del ricorso volto alla richiesta di legittimità di un licenziamento disciplinare per giusta causa

Clara Rampollo, Consulente del Lavoro in Pavia

Cass., sez. Lavoro, ordinanza 30 gennaio 2024, n. 2761

La vicenda riguarda la nullità del ricorso presentato da un datore di lavoro in merito alla legittimità del licenziamento disciplinare per giusta causa intimato ad un dipendente con mansioni di “supervisore e controlli dei cantieri nei quali vengono espletati servizi di pulizia”. Il datore di lavoro impugna la sentenza della Corte d’Appello di Bologna che rigettava il reclamo contro la sentenza del tribunale di Forlì con cui era stato respinto il ricorso del datore di lavoro volto a dischiarare la legittimità del licenziamento disciplinare. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso presentato per motivi procedurali e di sostanza. La Corte d’Appello di Bologna aveva considerato tutti e tre i motivi opposti come ragioni di addebito alla lavoratrice per il suo licenziamento disciplinare in sede giudiziale, in particolare: – La sistematica violazione delle disposizioni aziendali in ordine all’orario di lavoro; – Lo svolgimento in modo incompleto e discontinuo della prestazione, con tanto di disbrigo di faccende personali durante l’orario di lavoro; – L’abuso di fiducia del datore, approfittando del fatto che non vi fosse un sistema di rilevazione automatica delle presenze considerando che le mansioni assegnate prevedevano anche l’allontanamento dall’ufficio per effettuare sopralluoghi. Questi stessi tre motivi sono stati utilizzati anche a base del ricorso presentato in Cassazione. Con il primo motivo il ricorrente sottolineava che la questione del rispetto della normativa aziendale in tema di orario giornaliero presentava un duplice aspetto. Quello di una presunta prassi derogatoria della normativa tradizionale e quello della riconferma esplicita dell’obbligo di rispettare un registro uscite contenuto in una comunicazione-ordine di servizio del direttore delle risorse umane di poco precedente ai fatti di causa. Il ricorrente in particolare sottolineava che né il Tribunale né la Corte d’Appello avevano mai preso in considerazione questo ultimo ordine di servizio ripetendo sempre e solo l’assunto inziale della desuetudine della normativa sull’orario di lavoro. Il secondo ed il terzo motivo sono stati anch’essi ritenuti infondati in considerazione del fatto che la dipendente poteva svolgere tutta la sua attività per via telefonica in ragione del ruolo di coordinatrice dalla stessa rivestito prescindendo dalla presenza in un determinato luogo; la possibilità di svolgere alcune attività a prescindere dalla presenza facevano sì che la lavoratrice avesse potuto svolgere il proprio lavoro anche nei giorni e nelle ore in cui la società datrice di lavoro aveva indicato come assenza dal servizio. La Corte di Cassazione ha, quindi, confermato quanto stabilito già in primo giudizio dal Tribunale di Forlì che aveva respinto il ricorso del datore di lavoro volto a dichiarare la legittimità del licenziamento intimato; il primo giudice aveva ritenuto che l’assenza del vincolo di orario lavorativo fosse propria dei lavoratori che svolgono attività di coordinatori senza fare riferimento al generico concetto di desuetudine circa l’osservanza dell’orario di lavoro in quell’azienda. In ragione del particolare ruolo di coordinatrice con plurimi compiti che prescindevano completamente dalla presenza fisica in un determinato luogo è stato quindi ribadito che la lavoratrice aveva potuto svolgere la propria attività anche nei giorni e nelle ore che la società datrice aveva indicato come assenza dal servizio e che aveva anche potuto tenere i necessari contatti per via telefonica in tutte le ore nelle quali la stessa risultava in luoghi diversi da quelli aziendali. La ricorrente avrebbe dovuto pertanto fondare il proprio reclamo alla Corte dimostrando che il tempo dedicato dalla lavoratrice fosse stato dedicato ad altre attività, non compatibili con quelle lavorative. Nemmeno i vizi di mancanza di motivazione o di motivazione apparentemente lamentati dalla ricorrente non sono riscontrabili dell’impugnata sentenza; se equivoco esiste è proprio nella lettura che la società reclamante dà alle ragioni di decisione che muovono dal presupposto che non vi fosse vincolo di orario lavorativo per lo svolgimento dei compiti assegnati alla lavoratrice coordinatrice. Il Tribunale di Forlì, infatti, sulla base delle prove assunte aveva già ritenuto, che la lavoratrice ben poteva lavorare da remoto, senza con questo fare venire meno la diligenza dovuta e nemmeno si poteva escludere, come dall’altro canto aveva fatto dalla Corte di Appello di Bologna, che la lavoratrice avesse lavorato nei giorni e nelle ore indicate dal datore di lavoro come assenza di servizio. La Cassazione rigetta pertanto il ricorso fondato sul fraintendimento del contenuto della contestazione disciplinare in quanto tale impostazione non ha messo a fuoco l’effettiva “ratio decidendi” della sentenza oggetto di reclamo.


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