Cass., sez. Lavoro, 7 ottobre 2024, n. 26181
La vicenda riguarda un dirigente, con rapporto di lavoro privatistico presso un’azienda speciale avente finalità pubbliche, licenziato per giusta causa. La Corte di Appello di Bologna aveva confermato la pronuncia di primo grado che, in estrema sintesi, aveva ritenuto che il dirigente avesse violato scientemente i doveri di lealtà e di fedeltà verso l’azienda. Al dirigente l’azienda aveva contestato di aver assunto la carica di consigliere delegato, con poteri di rappresentanza legale, presso una società di cui lo stesso dirigente era anche socio. Il doppio ruolo assunto dal dirigente aveva, nei fatti, leso il principio di terzietà e di indipendenza richiesto a chi ha il ruolo di direttore di un’azienda avente finalità pubbliche e di interesse generale, nata quale braccio operativo di un ente pubblico. La Cassazione, analizzando i motivi del ricorso del dirigente, chiarisce che l’obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato ha un contenuto più ampio di quello risultante dall’art. 2105 c.c., dovendo integrarsi con gli artt. 1175 e 1375 c.c. che impongono correttezza e buona fede anche nei comportamenti extralavorativi, necessariamente tali da non danneggiare il datore di lavoro. L’obbligo di fedeltà deve intendersi non soltanto come mero divieto di abuso di posizione attuato attraverso azioni concorrenziali e/o violazioni di segreti produttivi, ma anche come divieto di condotte che siano in contrasto con i doveri connessi con l’inserimento del dipendente nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa e che creino situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o che siano, comunque, idonee a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto, atteso che occorre valutare l’idoneità del comportamento a produrre un pregiudizio potenziale, per sé stesso valutabile nell’ambito della natura fiduciaria del rapporto, indipendentemente dal danno economico effettivo, la cui entità ha un rilievo secondario e accessorio nella valutazione complessiva delle circostanze di cui si sostanzia l’azione commessa. Inoltre la Suprema Corte ricorda che, in tema di licenziamento per giusta causa, nella valutazione dell’idoneità della condotta, ad incidere sulla persistenza dell’elemento fiduciario occorre avere riguardo anche alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento richiesto dalle mansioni espletate; ed è chiaro che nel rapporto di lavoro dirigenziale il profilo del vincolo fiduciario assume peculiare rilievo, con accentuazione degli obblighi di fedeltà e diligenza, stante il rapporto di collaborazione fiduciaria con il datore di lavoro, del quale è un “alter ego”, occupando una posizione di particolare responsabilità e collocandosi al vertice dell’organizzazione aziendale, svolgendo mansioni tali da improntare la vita dell’azienda. Nel caso in specie, la condotta contraria agli interessi del datore di lavoro, riscontrata nell’attività del dirigente, legato da un peculiare vincolo fiduciario con un’azienda avente finalità di interesse generale, con possibile lesione della posizione di terzietà e indipendenza di un soggetto istituito da un ente pubblico, non può che corroborare la valutazione dei giudici nel merito della lesione del vincolo fiduciario. Il ricorso è respinto.